L'adlocutio (plurale adlocutiones) era l'usanza di fare un discorso formale alle truppe, tenuto dai consoli repubblicani, dagli imperatori o dai loro generali, sia durante il periodo repubblicano sia quello imperiale. Era solitamente rivolto agli eserciti schierati, per incitarli prima di una battaglia o all'inizio di una campagna militare. Questa cerimonia poteva essere effettuata anche quando un imperatore adottava il suo successore, come avvenne nel caso di Nerva con Traiano.
Esempi di adlocutiones sono raffigurati in varie emissioni monetali, oltreché in vari monumenti, come la colonna di Traiano, la colonna di Marco Aurelio, l'arco di Settimio Severo, l'arco di Costantino e in una delle metope del fregio del Trophaeum Traiani di Adamklissi; la statua equestre di Marco Aurelio, situata nei Musei Capitolini a Roma, rappresenta l'imperatore proprio nell'atto dell'adlocutio.
Alcune adlocutiones famose
[modifica | modifica wikitesto]Epoca repubblicana
[modifica | modifica wikitesto]- 202 a.C.
- Celebre rimane una delle adlocutio più importanti della storia militare romana, quando Publio Cornelio Scipione l'Africano, prima della battaglia di Zama, cominciò a passare in rassegna alle truppe schierate dicendo loro:[1]
«Ricordatevi delle precedenti battaglie e mostratevi uomini valorosi, degni di voi e della vostra patria. Rammentate che se vincerete il nemico, non solo diventerete i signori della Libia, ma permetterete a voi stessi ed alla vostra patria la supremazia ed un dominio su tutto il resto del mondo conosciuto. Se al contrario la battaglia avesse esito differente, chi sarà morto da vero soldato sul campo di battaglia, avrà la gloria di essere defunto per la patria, mentre quelli che saranno scappati, vivranno per tutta la restante vita nella più grande vergogna e miseria. [...] Vi raccomando perciò di muovere contro il nemico tenendo presente due soli obbiettivi: o vincere o morire, poiché solo chi si pone questa unica alternativa, riesce sempre a battere il nemico, perché va in battaglia senza curarsi della propria vita.»
Epoca imperiale
[modifica | modifica wikitesto]- 19-8 a.C.
- La statua dell'imperatore Augusto è raffigurata in piedi, con il braccio destro alzato e il gesto di attirare l'attenzione: si tratta della posa con cui si richiedeva il silenzio prima dell'adlocutio come incitamento all'esercito prima della battaglia. La datazione vuole la statua scolpita dopo la restituzione delle insegne nel 19 a.C. e al termine delle campagne di "pacificazione" nelle province di Tiberio e mentre Augusto si trovava in Gallia (da ciò l'abito militare). In questo senso la statua verrebbe a essere interpretata come un manifesto in sostegno di Tiberio, del quale si celebrano le imprese sia in oriente coi Parti (al centro vi è infatti la rappresentazione del re Fraate IV dei Parti che restituisce le insegne dei Romani prese ai romani durante la sconfitta di Crasso; il generale romano che le riceve, con ai piedi un cane, è forse Tiberio) che in occidente (ai lati si trovano le personificazioni di due province vinte, la Germania e la Pannonia, dove era intervenuto Tiberio tra il 12 e l'8 a.C.).
- 67
- Nel corso della prima guerra giudaica, durante le fasi iniziali dell'assedio di Tarichee, Vespasiano inviò il figlio Tito ad affrontare il grosso dell'esercito giudeo con seicento cavalieri scelti. Il figlio, accortosi che il numero di nemici era di gran lunga superiore alle previsioni, inviò a chiedere rinforzi al padre, mentre egli stesso, intrattenendo le truppe, pronunziò un'adlocutio alle truppe riunite.[2] Questo fu il tenore del suo discorso:
«Romani, vi chiamo Romani poiché inizierò questo mio discorso ricordandovi qual è la vostra patria, in modo che sappiate chi siete e chi sono invece coloro che stiamo per affrontare. Ad oggi nessuno ha potuto sottrarsi al nostro potere, malgrado ciò i Giudei, non si sono ancora arresi, sebbene li abbiamo già battuti. Sarebbe assurdo se, mentre loro non appaiono avviliti delle sconfitte, noi lo fossimo dopo le vittorie fin qui riportate. Mi fa piacere vedere l'ardore che vi anima (pronti com'erano ad affrontare il nemico), ma non vorrei che qualcuno temesse la grande sproporzione numerica tra noi e loro. A costoro ricordo chi siamo noi e chi sono i nostri avversari; rammenti che i Giudei, anche se molto coraggiosi e sprezzanti della morte, non hanno un addestramento o un'esperienza di guerra adeguata, tant'è vero che appaiono più come una massa disordinata che un vero e proprio esercito. Al contrario, quale bisogno c'è di ricordarvi della nostra perizia e preparazione militare? Non a caso siamo gli unici che, anche in tempo di pace, continuiamo nelle esercitazioni militari, per risultare migliori nei confronti dei nostri avversari in guerra. A cosa poi servirebbero le continue esercitazioni se dovessimo preoccuparci della disparità numerica quando dobbiamo affrontare un nemico non adeguatamente preparato alle arti militari? Ricordatevi che combatterete in condizioni di superiorità, poiché voi siete armati in modo "pesante", loro invece "alla leggera"; voi siete a cavallo, loro a piedi; voi avete dei comandanti (centurioni), loro non ne hanno; tanto che questi vantaggi generano come effetto quello di moltiplicare il nostro numero, mentre i loro svantaggi ne riducono drasticamente le forze. Le guerre non si vincono con enormi masse di uomini, anche se bellicose, ma con il valore, anche di pochi. Questi ultimi, infatti, possono manovrare facilmente e darsi sostegno vicendevolmente, al contrario gli eserciti giganteschi possono procurarsi danni più di quanto possano riceverne dal nemico. I Giudei sono guidati dal loro ardore, dal coraggio e dalla disperazione, aiutano quando le cose vanno bene, ma svaniscono quando si scontrano con dei piccoli insuccessi. A noi sono di guida il valore e la disciplina che, [...] anche nelle avversità, rimane fino all'ultimo. [...] Se i Giudei si battono per salvare la loro libertà e la patria, per noi invece un'aspirazione maggiore è che lo si faccia per la gloria e il fatto che i Giudei non appaiano come una potenza pari alla nostra, considerando che noi [Romani] abbiamo assoggettato il mondo? Dobbiamo considerare che per noi non vi è il timore di subire un insuccesso irreparabile: i rinforzi presto ci raggiungeranno. Vi è da dire che noi possiamo ottenere la vittoria, anche da soli, e dobbiamo provarci prima che arrivino i rinforzi inviati da mio padre, perché il trionfo sia tutto nostro ed abbia quindi una maggiore importanza. Sento che questo è il momento di dare prova a mio padre, per me e per voi, [del nostro coraggio]. Da ciò vedremo se egli è veramente degno delle sue precedenti vittorie, se io di essere suo figlio e voi di combattere ai miei ordini. Mio padre è abituato a vincere, ed io non potrei tornare da lui dopo una sconfitta. Quanto a voi, come potreste vergognarvi se dovessimo essere sconfitti, visto che il vostro comandante combatterà in prima fila? Voi ben sapete che questo io farò, e sarò il primo a lanciarmi sul nemico. E poiché so che voi non sarete meno valorosi, grazie anche all'appoggio che gli dèi concederanno alla mia audacia, siate certi che vinceremo ben altre battaglie più importanti di questo scontro fuori dalle mura.»
- 101-106
- Nel corso della conquista della Dacia, l'imperatore Traiano, arringò più volte le truppe (adlocutio) prima di ogni possibile scontro in battaglia contro i Daci di Decebalo,[3] come risulta anche dalla rappresentazione del fregio colchide della omonimo monumento dedicato allo stesso imperatore nel foro di Traiano, eretto nel 113.
- 170-175
- Rimane famosa l'adlocutio rappresentata in uno degli otto pannelli dell'arco di Costantino, prelevati da un precedente arco di Marco Aurelio databile al 172-176, e dove la testa di quest'ultimo imperatore era stata sostituita con l'immagine del primo imperatore cristiano. Le teste dell'imperatore sono state rilavorate, come ritratti probabilmente di Costantino e Licinio (oggi le teste sono quelle del restauro del XVIII secolo e raffigurano Traiano, in quanto all'epoca i rilievi erano stati attribuiti all'epoca di questo imperatore).[4]
- L'imperatore Marco Aurelio in origine, in tenuta militare (paludamentum) parlava ai soldati dal suggesto, mentre dietro di lui è rappresentato Claudio Pompeiano. La scena si riferisce alle guerre marcomanniche combattute dall'imperatore filosofo contro le popolazioni germano-sarmatiche del fronte danubiano delle due Pannonie, tre Dacie e due Mesie.
- 238
- In seguito alla rivolta contro il regime imperiale di Massimino il Trace in Africa, e la conseguente elevazione al trono di Gordiano I, Massimino reagì, convocando l'intera sua armata danubiana (presso Sirmio) prima di marciare sull'Italia, pronunciando il seguente discorso:[5]
«Sono sicuro che ciò che vi sto dicendo sarà per Voi [soldati] incredibile ed inaspettato. Secondo me ha dell'incredibile, come pure appare ridicolo. Qualcuno sta levando le armi proprio contro di Voi ed il vostro coraggio. Ma non i Germani, che avete sconfitto in molte occasioni, neppure i Sarmati, che regolarmente hanno chiesto la pace. I Persiani dopo la loro recente invasione della Mesopotamia, sono ora calmi e contenti dei loro possedimenti. Il fatto che stiano in queste condizioni, è dovuto alla vostra reputazione per il coraggio con cui combattete, oltre all'esperienza del mio comando, quando fui comandante delle legioni che si trovano lungo il fiume [Eufrate]. Non sono quindi loro, ma i Cartaginesi che sono impazziti. Essi hanno persuaso o forzato un uomo debole e vecchio, che è uscito di senno per la vecchiaia, a diventare imperatore, quasi fosse un gioco in una processione. Ma che sorta di armata hanno messo insieme, quando i littori sono sufficienti a mala pena a servire il loro governatore? Quale sorta di armi utilizzano, non avendo nulla o forse solo le lance utilizzate negli scontri tra gladiatori e bestie? La loro sola esperienza di combattimento è nei cori o nelle battute spiritose o nelle danze. [...] Queste sono le persone contro cui noi dobbiamo combattere una guerra, se "guerra" è la parola corretta per definire ciò. Sono convinto che dovremo marciare verso l'Italia, fino a quando ciascuno di loro non si presenti a noi con un ramo d'ulivo e ci porti i propri figli, chiedendo il perdono e inginocchiandosi ai nostri piedi. Gli altri invece scapperanno, perché sono dei poveri codardi. Io allora distribuirò a tutti Voi le loro proprietà, e voi potrete prenderle e rallegrarvi senza alcuna riserva.»
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Polibio, Storie, XI, 10, 2-7.
- ^ Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, III, 10.1-2.
- ^ Le scene di adlocutio rappresentate sulla colonna di Traiano secondo la classificazione di Conrad Cichorius sono: 11, 21, 33, 39, 52-53, 56, 77 e 100.
- ^ Bianchi Bandinelli - Torelli, cit., Arte romana scheda 142.
- ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VII, 8.9.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Fonti primarie
- Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III.
- Quintiliano, Institutio oratoria, IX, 2, 37.
- Polibio, Storie, XI.
- Seneca, Consolatio ad Helviam, I, 3.
- Svetonio, Tiberio, 23.
- Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri IX, II, 7, 4.
- Varrone, De Lingua Latina, VI, 57.
- Fonti storiografiche moderne
- Ranuccio Bianchi Bandinelli e Mario Torelli, L'arte dell'antichità classica, Etruria-Roma, Torino, UTET, 1976.
- Filippo Coarelli, La colonna Traiana, Roma, 1999. ISBN 88-86359-34-9
- Filippo Coarelli, La colonna di Marco Aurelio, Roma 2008.
- Caprino, in C. Caprino – A.M. Colini – G. Gatti – Massimo Pallottino – P.Romanelli, La colonna di Marco Aurelio (illustrata a cura di Comune di Roma), Roma 1955.
- A cura di J.Scheid e V.Huet, Autor de la colonne Aurélienne, Belgium 2000.
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