Bozza:Tenuta Pantanacci

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Tenuta Pantanacci
CiviltàRomana e Pre-romana
UtilizzoArea sacra dedita ad offerte votive
EpocaIV secolo a.C.
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
ComuneLanuvio
Dimensioni
Superficie30 ettari 

La Tenuta Pantanacci è un parco archeologico e naturalistico che si estende per circa 30 ettari nella provincia sud di Roma, nell'area del Comune di Lanuvio che confina con il Comune di Genzano di Roma. Al suo interno si trovano la Stipe di Pantanacci, venuta alla luce nel 2012 in seguito ad una campagna di scavi e la Necropoli romana delle tre cappelle, che è censita tra i Luoghi del Cuore FAI.[1]

L’area attualmente appartenente alla Tenuta Pantanacci si inserisce fin dal IV Secolo a.c. nel complesso sacro del Tempio dedicato a Giunone Sospita ed al suo interno è collocata la stipe di Pantanacci. Nel Luglio del 2012 l’intervento del Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza ha consentito di interrompere uno scavo clandestino e di recuperare -in località Pantanacci (attualmente ricadente tra il Comune di Lanuvio e quello di Genzano di Roma) -una gran mole di materiale votivo destinato al mercato antiquario internazionale. Data la situazione di emergenza legata ai ritrovamenti, unitamente all’indubbio interesse archeologico del sito, è stata tempestivamente intrapresa la prima campagna di scavo sotto la direzione scientifica del Dott. Luca Attenni e, quale Responsabile unico del procedimento della Dott.ssa Giuseppina Ghini, funzionario della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio. Nel 2023 un gruppo internazionale operante nel settore del turismo e della cultura ha acquistato l’intera area riportandola al suo antico splendore e collocandola sotto la direzione archeologica del Dott Luca Attenni

Il sito archeologico in località Pantanacci si colloca nei rigogliosi boschi dell’antico ager lanuvinus , non lontano dal celebre santuario di Giunone Sospita; si identifica come una stipe votiva collocata in un antro naturale, interessato già in antico da interventi antropici. Il costone roccioso accoglie diverse cavità consecutive e probabilmente comunicanti. Gli oggetti donati e rinvenuti all’interno della grotta appartengono a tipologie differenti, con una cronologia prevalentemente orientata al IV – III secolo a.C. Per quanto concerne il vasellame, sono presenti prevalentemente ceramiche a impasto (soprattutto olle) e ceramica a vernice nera (tra cui spiccano esemplari miniaturistici e pezzi sovradipinti); riguardo i votivi anatomici, invece, sono stati riportati alla luce modelli raffiguranti mani, piedi, gambe, braccia, figurine intere (maschili, femminili e di infanti fasciati), busti con intestino, vesciche, mammelle, uteri, falli, vulve, orecchie, mascherine con occhi, teste maschili e femminili e, soprattutto, l’inedita tipologia dei cavi orali. La distribuzione vede la prevalenza di una tipologia votiva in ogni deposizione, senza però determinarne l’esclusività. Gli oggetti, concavi, venivano riempiti e poi sigillati con argilla finissima, collocati in nicchie artificiali a parete o in alloggiamenti a terra sistemati con sassi a fare da fermo; in corrispondenza di un punto sorgivo invece la ceramica (miniaturistica) è stata deposta direttamente sulla roccia, con l’acqua che vi scorreva sopra, come confermano le abbondanti concrezioni calcaree su vasellame e votivi. L’azione cultuale prevedeva anche offerte di cibi e bevande alla divinità, di cui sono stati trovati i resti di combustione. Dalle tracce di bruciato è possibile identificare più azioni deposizionali ripetute e ravvicinate, connesse a fuochi; essi dovevano sviluppare una fiamma viva a diretto contatto della parete rocciosa, che per l’elevata temperatura ha assunto una tipica colorazione rossastra sotto le evidenti tracce di bruciato. Residui di carbone sono stati rinvenuti su pietre piatte e tegole, che offrivano appoggio ai recipienti rovesciati – probabilmente simili a clibani – utilizzati per bruciare le offerte. Sono state rinvenute tracce di alimenti quali piselli, nocciole, gusci di molluschi e ossa di avicoli e ovini. I punti di deposizione primaria sono distribuiti lungo le pareti dell’antro, in vicinanza di grandi lastre di peperino che sembrano offrire un piano di calpestio, affiancato ai punti dove è presente il naturale appoggio roccioso che, plausibilmente, veniva coperto da una passerella lignea per agevolare il camminamento. Il centro della grotta non presenta concentrazioni di votivi tali da pensare a punti di deposizione ed è caratterizzato da un fondo roccioso coperto da uno strato di argilla finissima: si può ipotizzare che questa zona fosse già in antico punto di raccolta delle acque sorgive con valenza sacrale, il cui livello sarebbe stato mantenuto sotto controllo grazie a un sistema di chiuse in pietra (di cui è stato ritrovato un elemento). La stipe votiva in località Pantanacci, dunque, offre un quadro che permette, già con gli elementi raccolti nella prima campagna di scavo, di delineare un contesto sacrale ben definito, le cui connessioni al territorio e la cui effettiva estensione potranno essere approfondite da successive indagini. Data la particolarità del ritrovamento di deposizioni primarie integre e il pregio sia quantitativo che qualitativo dei materiali rinvenuti, il sito rappresenta sicuramente una delle realtà archeologiche di maggiore interesse scientifico degli ultimi anni nel panorama italiano e laziale in particolare.

La necropoli romana delle tre cappelle

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Passeggiando lungo via dei Pantanacci, intorno a delle abitazioni moderne, costruite sopra un’area che probabilmente nell’antichità ospitava una villa, sono visibili dei resti antichi come frammenti di colonne (tronchi scanalati e capitelli), frammenti di marmo e ceramiche. Superando le abitazioni, è visibile una prima camera sepolcrale a pianta rettangolare in opera mista: al suo interno, la copertura è costituita da una volta a botte sulla quale restano tracce del rivestimento in intonaco; all’esterno, invece, è presente un rivestimento in cocciopesto. Di fronte al sepolcro si conserva parte di un sarcofago e di una fontana. Continuando il percorso, si raggiunge un ambiente con volta a crociera ed a pianta cruciforme, dal cui corpo centrale si sviluppano tre vani rettangolari minori. Nell’ambiente centrale, dove è ben conservato un arco, si evidenziano delle decorazioni pittoriche che riproducono una figura maschile barbuta e severa e una figura femminile col busto scoperto, si tratta di Atteone e Diana. Del terzo ed ultimo ambiente, rimangono la parete di fondo settentrionale, e le due pareti laterali. Ai piedi di un muro addossato alla parete orientale, si trovano resti di una copertura a botte. ( Attenni L., Lanuvio. Il contesto topografico circostante l’iscrizione del collegio di Diana e Antinoo: luoghi di culto, impianti residenziali e viabilità, in Bollettino della Unione Storia ed Arte )

Il volto di Pantanacci

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Percorrendo uno dei molteplici sentieri che dalla necropoli romana delle tre cappelle portano alla stipe ci si imbatterà in una suggestiva formazione rocciosa che, a seconda della posizione da cui si guarda e da come la luce filtra tra la vegetazione, prende le sembianze di un volto umano.

La stipe e l’ambiente ipogeo di Pantanacci

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La grotta di Pantanacci rappresenta un luogo di culto “sine tecto”, ovvero senza un tempio vero e proprio, collegato alla natura, in particolare alla presenza di acqua, che ha restituito soprattutto votivi anatomici (mani, piedi,teste, organi genitali, ecc.), oltre a statuine di animali, offerenti, infanti, ceramica locale e di importazione, inquadrabili cronologicamente tra il IV e il III- II secolo a.C ( L. Attenni, “ La stipe votiva in località Pantanacci”, in Forma Urbis 17 ). Le operazioni di scavo della grotta sono state rese estremamente difficoltose dal continuo afflusso dell’acqua che oggi come allora sgorga spontanea dalle pareti di arenaria, ora a getto, ora sotto forma di infiltrazioni. Un complesso sistema per incanalare l’acqua faceva precipitare quella raccolta in superficie all’interno dell’antro sotto forma di rivoletto che, in circostanze particolari, poteva formare un piccolo laghetto per le abluzioni. I punti di deposizione primaria degli ex voto erano distribuiti lungo le pareti dell'antro, in vicinanza di grandi lastre di peperino che sembrano offrire un piano di calpestio, affiancato ai punti dove è presente il naturale appoggio roccioso, di pietra arenaria, che plausibilmente veniva coperto da una passerella lignea per agevolare il camminamento. Il centro della grotta è caratterizzato da un fondo roccioso coperto da uno strato di argilla finissima: si può ipotizzare che questa zona fosse già in antico punto di raccolta delle acque sorgive con valenza sacrale, il cui livello sarebbe stato mantenuto sotto controllo grazie ad un sistema di chiuse in pietra (di cui è stato ritrovato un elemento). Che le acque di Pantanacci avessero proprietà terapeutiche e salutari, favorendo lo sviluppo di un culto di divinità ad esse connesso, è stato confermato anche dalle analisi chimiche, analisi che hanno dimostrato che tali acque sono molto ricche di fluoro. Una chiusa messa in luce nel 2012, a forma di parallelepipedo con un foro passante decentrato, permetteva di mantenere all’interno della grotta un livello costante, poiché il surplus superava il foro ed andava ad incanalarsi nella discenderia (cunicolo scavato nella roccia) e in altri cunicoli che costituivano un articolato sistema di canalizzazione per acque terapeutiche e salutari che favorirono lo sviluppo di un culto ad esse strettamente connesso. Particolarmente suggestivo è un ambiente ipogeo al di sotto della grotta di Pantanacci, rinvenuto nel 2015 da Angelo Mele e Luca Attenni, lungo 15 mt. con copertura a volta interamente scavato nel peperino, la cui funzione è ancora incerta ma in stretta relazione con la grotta di Pantanacci mediante un cunicolo, denominato discenderia. La discenderia faceva defluire l’acqua dalla grotta di Pantanacci all’interno dell’ambiente ipogeo e attraverso una canaletta interna dall’ambiente ipogeo l’acqua si incanalata in un torrente ubicato nelle vicinanze. Ed infatti il costone roccioso in peperino, dove si colloca la grotta di Pantanacci, (costone lungo 60 mt. e alto più di 20 mt.; In antico doveva essere alto almeno 50 mt.) accoglie diverse cavità consecutive e probabilmente comunicanti, dalle cui pareti di fondo tutt'oggi sgorgano spontaneamente acque sorgive attraverso aperture. La stipe votiva in località Pantanacci dunque offre un quadro che permette di delineare un contesto sacrale ben definito[2].

La Grotta delle monete

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Poco distante dalla stipe è presente un'altra caverna, anche questa interessata da un flusso continuo di acqua che scaturisce dalla roccia, all'interno della quale sono state ritrovate numerose monete che probabilmente erano offerte in dono all'interno delle attività legate al culto del serpente.

Sempre lungo il percorso interno alla Tenuta Pantanacci, è visibile un fronte di una cava, alto circa 30 mt. che mostra tracce dei diversi piani di taglio e delle scalpellature oblique di distacco. Sono inoltre distinguibili sulla parete tufacea alcune nicchie di colombario. Di questi loculi (riconosciuti 42), alcuni sono di sezione quadrata altri ovale con presenza di edicola a timpano. Uno dei loculi presenta alla base un’iscrizione, visibile ancora oggi “D. VE”. ( Attenni L., Lanuvio. Il contesto topografico circostante l’iscrizione del collegio di Diana e Antinoo: luoghi di culto, impianti residenziali e viabilità, in Bollettino della Unione Storia ed Arte )

Le sorgenti e l'acquedotto romano di Lanuvio

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All'interno della Tenuta Pantanacci sono presenti molteplici sorgenti naturali, oltre a quelle precedentemente descritte all'interno della stipe e della grotta delle monete. In prossimità di alcune sorgenti, in diverse epoche, sono stati realizzati fontanili e cisterne. Dell’acquedotto romano di Lanuvio, che riforniva la Fontana degli Scogli, si sono recentemente occupati Luca Attenni , Manlio Lilli e Giuseppe Chiarucci . Esso proveniva da sotto Monte Leone, nel territorio di Genzano di Roma, e, attraversando l’area della tenuta Pantanacci, dove sono visibili consistenti tratti, e la collina di San Lorenzo, terminava all’angolo Nord- Ovest di Largo vittime di Brescia al civico 1. Per un totale di 3 km. Di lunghezza; qui doveva convogliare la maggior quantità d’acqua da distribuire alla città. Come dice il Galieti: L’acquedotto, che è quello antico della sorgente sotterranea del Monte del Leone, dirigendosi verso sud giunge alla Villa del duca con una galleria, tra tufo e pozzolana, lunga mt. 1218. Quindi prosegue ricavato nel peperino per mt. 1241 giungendo sotto San Lorenzo, donde va diretto al paese con altri 528 mt di galleria. Oggi i due ultimi tratti sono stati sostituiti da un sifone di tubi di ghisa lungo mt. 1450.La sorgente del Leone consta di quattro polle che scaturiscono tra le basalte e la pozzolana dove è quella detta del Calabrese, dista dalla prima circa mt. 290 e l’ultima si trova a 60 mt. più giù del Bottino . Accanto alla bocca (parte finale) dell’acquedotto, infatti, si sono trovati i resti di un edificio a pianta rettangolare con un pavimento costituito di lastre di peperino ed un muro in opera quadrata conservato per cinque filari. Il Chiarucci ipotizzava trattarsi di un muro di sostruzione, visto che i parallelepipedi sono disposti per testa e per taglio. Non si esprime per l’ambiente rettangolare, ma ipotizza che le pareti interne fossero intonacate; Luca Attenni non esclude che la struttura in opera quadrata potesse essere in relazione direttamente con l’acquedotto lanuvino, forse con lo scopo di redistribuzione a varie zone della città delle acque che provenivano dall’acquedotto , come il vicino balineum , localizzato al di sotto dell’attuale edificio comunale. Quello che è certo dell’acquedotto lanuvino è il suo percorso, meno chiara è la sua cronologia. Lilli lo data tra il 62 a.C. e il I secolo d.C., datazione ipotizzata in base alle analogie tra la tecnica reticolata irregolare dell’acquedotto e monumenti quali il santuario di Giunone Sospita, alcune villae del territorio ed un’iscrizione di età augustea-tiberiana che menziona la ripulitura dell’acquedotto lanuvino. Luca Attenni e l’ex operaio del Comune di Lanuvio Gianni Italiano hanno recentemente portato alla luce in località san Lorenzo una fistula plumbea, che potrebbe essere in relazione all’acquedotto, che reca impresso il nome di Cecilius Reparatus, personaggio che manca del prenomen e che probabilmente deve essere vissuto nella media età imperiale e che potrebbe aprire nuove chiavi di lettura sul monumento lanuvino.

  1. ^ NECROPOLI MACCHIA DELLE TRE CAPPELLE
  2. ^ Luca Attenni, Elena Calandra, Giuseppina Ghini e Massimo Rossi, La stipe votiva di Pantanacci, in Archeologia Viva, n. 159, maggio/giugno 2013, pp. 14-26. URL consultato il 16 settembre 2024.
  • L. Attenni, “Il santuario di Giunone Sospita”, in G. Ghini (a cura di), Guida agli antichi templi e santuari dei Castelli Romani e Prenestini, Castrocielo 2008, pp. 127-132.
  • L. Attenni, “Evidenze archeologiche nel territorio comunale di Lanuvio (Roma)”, in G. Ghini (a cura di), Lazio e Sabina 6. Atti del Convegno (Roma 4-6 marzo 2009), Roma 2010, pp. 276-278.
  • L. Attenni, “ La stipe votiva in località Pantanacci”, in Forma Urbis 17, 12, 2012, p. II.
  • Attenni 2013: L. Attenni, “The Pantanacci votive deposit: new anatomical discoveries”, in Etruscan News 15, 2013, pp. 1, 6.
  • Attenni L., (ed.) Sacra Nemora. La cultura del sacro nei contesti santuari ali in Area Albana. Rinvenimenti archeologici e recuperi della Guardia di Finanza, Catalogo della Mostra (Lanuvio 2017), Sommacampagna 2017, 163-175.
  • Attenni L., Lanuvio. Il contesto topografico circostante l’iscrizione del collegio di Diana e Antinoo: luoghi di culto, impianti residenziali e viabilità, in Bollettino della Unione Storia ed Arte (Gruppo Archeologico Latino- Colli AlbaniBruno Martellotta), 3a ser. 8, 2013, pp. 121-148.
  • Attenni L. –Ghini-G, La stipe votiva in località Pantanacci ( Lanuvio- Genzano di Roma), ZEVI F., (ed.), L’archeologia del sacro e l’archeologia del culto. Sabratha, Ebla, Ardea, Lanuvio, in Atti dei convegni Lincei 302, Roma, 2016, pp.237-274, con appendici di David Nonnis pp. 263-267 e Francesco Frediani Dionigi di Cosimo pp. 267-271.
  • Attenni, L. CARAFA JACOBINI, G, La seconda campagna di scavo nel versante occidentale del Santuario di Giunone Sospita a cura del Museo Civico Lanuvino. In: G. Ghini (ed.), Lazio e Sabina 11 (Atti del Convegno “Undicesimo incontro di Studi sul Lazio e la Sabina”, Roma 4-6-giugno 2014), Roma 2016, pp. 273-275
  • L. Attenni, E. CALANDRA, G. GHINI, M. ROSSI, “La Stipe votiva di Pantanacci. Per grazia ricevuta”, in Archeologia Viva 32, 159 (Maggio-Giugno), 2013, pp. 14-26.
  • L. Attenni, B. PREMUTICO, “Monte Cagnoletto”, in V. Melaranci (a cura di), Genzano. La città e i monumenti, Genzano di Roma 2001, pp. 260-264.
  • G. Chiarucci, Lanuvium, Paleani Editrice 1983.
  • G. GHINI, L. Attenni, “Il territorio tra Lanuvio e Genzano. Una stipe votiva in grotta: il deposito di Pantanacci”, in G. Ghini (a cura di), Lazio e Sabina 10.Atti del Convegno (Roma 4-6 giugno 2013).
  • G. Ghini, F. Marimpietri, M. Rossi, “Operazione Giunone”, in Archeo 334, 2012, pp. 8-10.
  • M. Lilli, Lanuvium, avanzi di edifici antichi negli appunti di R. Lanciani; (Roma, 2001).