Coordinate: 45°53′12.96″N 12°17′50.34″E

Utente:Paolo Steffan/Architetture religiose di Conegliano

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Voce principale: Conegliano.

Numerose e ricche sono le architetture religiose di Conegliano, città profondamente legata nei secoli al monachesimo. Luoghi di culto e monasteri sono stati parte integrante della vita cittadina e ancora oggi molti di essi godono di prestigio e sono stati restaurati.
Nei secoli, in questi edifici operarono molti artisti: tra i nomi più eccellenti vanno subito citati i coneglianesi Giovanni Battista Cima e Francesco Beccaruzzi, nonché il lombardo Francesco da Milano e il belga Ludovico Pozzoserrato.

Le chiese del centro storico

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Le chiese più antiche e ricche d'arte della città sono conservate nel centro storico, all'interno dell'antica cinta muraria del Castello o poco fuori di essa, e si sono sviluppate a partire dal medioevo intorno a scuole e ordini religiosi.

Affreschi e campanile; in alto a sinistra spunta la sommità della facciata

Il Duomo è l'edificio sacro più importante della città, col suo alto campanile che svetta dietro le architetture della Contrada Granda, costituendo un riferimento architettonico e religioso centrale.
Posto, sul lato nord di via XX settembre, tra Porta Dante e Piazza Cima, l'edificio è inscindibile dal Palazzo dei Battuti, che è a tutti gli effetti parte integrante del complesso rinascimentale del Duomo, costituendo così un centro artistico che conserva molte delle opere pittoriche più rilevanti dell'intero coneglianese (molte arrivate da altre chiese nel corso dei secoli).

Scala d'accesso alla Sala dei Battuti, sotoportego del campanile e lato destro della chiesa

La chiesa, che nasce come Santa Maria dei Battuti nel XIV secolo e che fu consacrata il 5 giugno 1491, è dedicata oggi a Santa Maria Annunziata e al patrono San Leonardo: intitolato a quest'ultimo, infatti, era stato l'antico Duomo ora non più esistente, che aveva sede sulla sommità del colle, nel complesso del castello (di cui era pieve già nel XI-XII secolo), poi qui trasferito.

La chiesa

La facciata a salienti del Duomo, di cui spunta solo la sommità con la croce, è celata da uno dei palazzi più affascinanti della Contrada Granda, la Scuola dei Battuti, che con un ampio porticato ogivale e coperto da una travatura lignea consente l'accesso all'interno della chiesa.
Questo è possibile per mezzo del portale, posto centralmente, e raggiungibile attraverso sei gradini disposti in forma pentagonale: si tratta di un portone rettangolare ligneo di dimensioni medie, inserito in una cornice in pietra scolpita con motivi floreali. Sopra una spessa architrave, la cornice forma una lunetta, all'interno della quale è presente un affresco del Cinquecento, Madonna con Bambino, di Francesco Beccaruzzi, dipinto con tinte lievi: tale immagine, ben conservata, mostra, su sfondo neutro, la Vergine sorridente nell'atto di sorreggere, con entrambe le mani, il Bambin Gesù e attorniata da santi, intenti a assistere alla scena.
Sulla stessa parete sono presenti altri affreschi decorativi, dovuti alla mano di una coppia di artisti che operarono anche all'interno, Jacopo Collet da Arten e Desiderio da Feltre.

Ai lati della facciata, sono presenti due aperture a tutto sesto, attraverso le quali, passando per un sotoportego, si scorrono i lati esterni delle navate laterali: entrambi i passaggi sono dotati di cancelli, ma quello di destra è accessibile e conduce, passando attraverso la base del campanile, alla scala che porta alla Sala dei Battuti, nonché all'ingresso laterale destro della chiesa. Proseguendo il lieve dislivello che accompagna l'ascesa verso la parte absidale del Duomo, si arriva ad un secondo cancello, che consente di entrare in via Cima, quasi di fronte alla casa dell'artista.

L'abside, terminante in forma semicircolare, è inserita nei vecchi edifici della sacrestia, addossati soprattutto al lato destro del Duomo.

Il campanile
La navata centrale

Struttura risalente nelle sue parti essenziali al 1497, il campanile è una torre a pianta quadrata, con facce a mattoni e costruito a parete doppia. Esso culmina in una terrazza delimitata da balaustra, sopra la quale si erge una guglia a cipolla sviluppata in larghezza e terminante con una piccola lanterna sovrastata dalla croce (elementi di costruzione successiva all'originale quattrocentesco).
Le quattro facce del campanile, a livello della cella campanaria presentano tutte cinque fori, che conferiscono particolare eleganza: una trifora sostenuta da colonnine di ordine tuscanico con sopra due finestre a oblò. Sulla faccia sud, che dà sulla Contrada e sul centro, un grande quadrante contiene le lancette nere e, dipinto su sfondo giallo, l'orologio; sotto di esso, scritto in latino a grandi lettere, attira il passante un messaggio riferito alle ore: VULNERANT OMNES, ULTIMA NECAT, Tutte feriscono l'ultima uccide.

Affresco con San Lorenzo
Le navate e l'abside

Internamente il Duomo, che riporta i segni di diverse epoche, è suddiviso in tre navate, divise da due file di quattro archi a sesto acuto sostenuti da colonne ioniche (poste tra i primi tre archi entrando dal portale) e pilastri; sopra gli archi corre una cornice dipinta e, sopra di essa, corrispondente a ciascun arco, c'è una monofora a tutto sesto. Infine, fanno da soffitto volte a crociera per navata.
Sia le volte sia gli archi conservano parzialmente le i decori che nel XV secolo la coppia di artisti Jacopo Collet da Arten e Desiderio da Feltre (già autori di decori esterni) vi posero; di particolare rilievo, sul pilastro mezzano, sia di sinistra che di destra, ben restaurati restano due affreschi con raffigurazione di santo (riscoperte durante lavori novecenteschi): inserite entrambe nel contesto prospettico di un arco a tutto sesto e viste nella loro interezza, sono le figure di Santo Stefano (pilastro di sinistra) e San Lorenzo.

Dalla navata centrale un arcone a tutto sesto (sovrastato da un crocifisso ligneo) e tre gradini fanno da accesso al presbiterio sopraelevato. Esso, di epoca successiva alla parte sopra descritta, è coperto da volta a botte con aperture su entrambi i lati, che assieme all'intonaco bianco danno grande luminosità; la volta, retta all'estremità da pilastri, ha tra di essi due colonne, mettendo in comunicazione l'altare con la parte terminale delle navate minori. Tra le finestre e le colonne, trovano spazio una di fronte all'altra due piccole tele: sono opere veneziane dell'ambito di Palma il Giovane, che vanno sotto il nome di Profeta David e Profeta Isaia.
Dietro l'altare (costituito da un semplice tavolo rettangolare) poggiano su una struttura in marmo il tabernacolo e una fila di candelabri.

Annunciazione del Pozzoserrato

Alle spalle del presbiterio ha spazio l'abside, priva di aperture, la quale ha appesa su un drappo verde della parete di fondo la Pala d'altare del Cima, un olio su tavola di grandi dimensioni che costituisce l'opera centrale tra i tesori del Duomo.

Il patrimonio artistico
Il fonte battesimale

Gli altri lavori a olio del Duomo sono disposti soprattutto lungo le pareti delle navate esterne, opere di artisti di indiscussa fama:

  • Francesco Ruschi: di questo artista sono le tele di dimensioni medio-piccole poste ai lati del portale, Mosè calpesta la corona e Ritrovamento di Mosè.
  • Francesco Frigimelica: nella navata sinistra si trova Il battesimo di Cristo, opera del primo Seicento che ha coerentemente luogo nella cappella dove è posizionato il fonte battesimale. La tela raffigura, sotto un cerchio di angeli, il Cristo (a sinistra) immerso nelle acque del Giordano con il capo chino e le mani giunte, mentre Giovanni Battista col braccio destro alzato sta somministrandogli il battesimo.
  • Ludovico Pozzoserrato: dell'artista belga, autore degli affreschi della Scuola dei Battuti, il Duomo contiene una grande tela con Anninciazione del secondo Cinquecento; sotto un cielo di angeli musicanti con al centro lo Spirito Santo in forma di colomba, l'Arcangelo Gabriele entra in scena da sinistra, ad annunciare la lieta notizia alla Vergine Maria, inginocchiata a destra davanti a un leggio, nell'atto di reagire tenendo la mano sinistra vicino al cuore; fra le due figure si apre uno sfondo nel quale si può riconoscere, abbracciato dal contorno sfumato dell'arco prealpino, un paesaggio collinare che richiama il coneglianese.

Nella chiesa vi sono anche delle opere scultoree di un certo valore:

  • Altare di San Leonardo: l'opera del 1858 dello scultore di scuola canoviana Marco Casagrande è posta nella navata destra. Si tratta di un altare che occupa l'intera parete di una cappella laterale, in stile neoclassico: un'architettura architravata e percorsa da un fregio in bassorilievo è sostenuta da sei colonne corinzie, con al centro una porta chiusa, davanti alla quale si erge il santo patrono di Conegliano.

La Pala del Cima

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Template:Opera pittorica Madonna in trono col Bambino fra angeli e santi è un dipinto ad olio su tavola (trasposto su tela) di cm 150 × 235 realizzato intorno al 1492 dal pittore italiano Cima da Conegliano.

Pensata come pala d'altare per il Duomo di Conegliano, città che diede i natali all'artista e nella quale è ancora visibile la dimora del pittore, la Madonna in trono fu commissionata da Francesco Codroipo e Giovanni della Pasqualina negli anni 1490, quando il Cima era attivo in Venezia, sotto le influenze di Giovanni Bellini, della cui impostazione artistica la pala coneglianese risente.
Dopo oltre cinque secoli, la pala è ancora conservata dietro l'altare maggiore del Duomo di Conegliano ed è l'unica opera che l'artista ha lasciato in questa città.

Nel XX secolo, causa le condizioni precarie del legno si è reso necessario il trasferimento su tela, mediante la tecnica del rullo termico.

La tavola rappresenta centralmente la Vergine in trono col Bambin Gesù in grembo, sul lato sinistro i santi Giovanni Battista, Nicola e Caterina d'Alessandria, sul lato destro i santi Apollonia, Francesco d'Assisi e Pietro; ai piedi del trono due figure di fanciulli musicanti danno movimento alla scena principale, ossia una sacra conversazione, le cui figure si mostrano assorte.

Analizzando più da vicino i singoli soggetti, per un totale di dieci, ciascuna figura sembra avere la sua autonomia:

  • la Madonna, col suo sguardo pensieroso, è avvolta – secondo tradizione – nelle ampie vesti dai colori rosso e blu: con la mano sinistra sostiene il Bambino, che le è seduto sulla gamba sinistra e che carezza la mano destra, che la Vergine gli porge con delicatezza;
  • il Battista, avvolto nel suo drappo verde, si mostra nel gesto di pregare;
  • Caterina, appoggiata alla ruota del suo martirio, guarda in alto;
  • Nicola, dietro ai due, è rivolto verso il Battista, con l'espressione meno assorta della composizione;
  • Apollonia è il personaggio che fa entrare nel quadro l'osservatore, coi suoi occhi rivolti in avanti, a incontrare chi si accinge a scrutare la scena;
  • Pietro, con gli occhi bassi sul libro che regge tra le mani (al polso di una delle quali sono appese le chiavi), sta leggendo;
  • Francesco è silenziosamente rivolto verso il centro della scena;
  • i due angelici fanciulli, infine, sono concentrati nell'atto del suono, con l'eleganza delle relative pose e la concentrazione di chi sta lavorando sulle corde del proprio strumento.

La composizione è inserita in un contesto architettonico che guarda alla sobrietà e alla classicità delle forme, con una cupola al di sopra della scena e, alle spalle del trono, una volta a botte con cassettoni, dietro la quale si apre un cielo azzurro con nuvolette bianche, il quale avvolge di grande luminosità il tutto.

Facciata e Sala dei Battuti

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Le nove arcate ogivali della Scuola dei Battuti

Sede di una Scuola dei Battuti a partire dal Duecento, Conegliano si fregia di questo glorioso edificio e della relativa sala negli ultimi anni del XIV secolo, quando i Battuti, grazie a ingenti donazioni ricevute negli anni, possono permettersi, una volta ultimata la chiesa, anche la costruzione di un luogo di incontro a essi riservato.
Questa sarà la funzione dell'edificio nei secoli, sino al 1806, quando per decreto di Napoleone la scuola sarà soppressa, con sorte analoga a quella che avranno tutte le scuole di Venezia nei tre anni successivi.

Esterni

La facciata dall'elegante stile romanico-gotico, incastonata tra i palazzi di via XX settembre, è di due piani e si caratterizza per il suo estendersi in lunghezza: infatti si allunga con un grande porticato aperto sulla via da nove arconi a sesto acuto, a cui corrispondono asimmetricamente nove aperture del primo piano, composte di sette trifore a tutto sesto, alle quali si interpongono in quarta e in ottava posizione due monofore con la sporgenza di un terrazino.

Tutta la facciata nel 1593 si coprì di affreschi, ad opera del Pozzoserrato, e ancora oggi lo stato di conservazione è abbastanza buono, anche grazie ai numerosi recenti restauri e alla limitazione del traffico automobilistico in Contrada.
Le raffigurazioni del primo piano rappresentano figure e episodi biblici: nell'ordine, inquadrati e intervallati dalle monofore e dalle trifore, si possono distinguere Ester supplica Assuero, Davide e l'Arca di Dio, Raab nasconde gli esploratori ebrei, La Madonna salva il vascello che trasporta i Battuti, Salomone e la Regina di Saba; Diluvio Universale; Gedeone e il vello di lana; Visione di Giacobbe e Carità Cristiana.
Sotto a questi riquadri è dipinta una cornice geometrica che funge da marcapiano; nelle velette che si vengono a formare tra un arco e l'altro sono affrescate otto figure di sibille e profeti, circondate da altre decorazioni geometriche con rimandi all'architettura classica.

Interni

Tutto il primo piano, corrispondente all'intera estensione del portico del piano terra, è occupato dalla Sala dei Battuti, luogo nel quale la confraternita riunita intorno alla Scuola dei Battuti, trovava il proprio punto di aggregazione. Questo spazio enorme, della vastità di circa 41 metri per 7, ha tutte le pareti suddivise in riquadri con affrescate scene a carattere religioso, dovute al genio di due artisti cinquecenteschi, il Pozzoserrato, già autore dell'affrescatura esterna, e Francesco da Milano, autorevole artista che vanta, tra i suoi lavori, i magistrali affreschi della volta della pieve della vicina Castello Roganzuolo.

I cicli pittorici, conseguentemente, sono due: il più antico è del Da Milano (1511) e le scene, tratte dal Vangelo sono nell'ordine seguente: Annunciazione, Visitazione, Adorazione dei pastori, Pastori, Presentazione, Adorazione dei Magi, Strage degli In­nocenti, Fuga in Egitto, Nozze di Cana, Moltiplicazione dei pani e dei pesci, Resurrezione di Lazzaro, Ingresso a Gerusalemme, Ultima cena, Cattura, Salita al Calvario, Crocifissione, Discesa di Gesù nel Limbo, Resurrezione, Donne al Sepolcro, Santa Veronica tra i Santi Pietro e Paolo, Gesù appare alla Vergine, Noli me tangere, Cena di Emmaus; Ascensione di Gesù; Giudizio Universale.
Pozzoserrato invece dipinge a fine secolo, ma episodi che fanno da prologo a questi: Creazione del Mondo, I progenitori, Peccato originale. Si costituisce così un continuum completo che va dalla Creazione al Giudizio Universale.

La chiesa dei Santi Martino e Rosa

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San Martino dal Castello
San Martino, parte absidale e campanile

Luogo sacro di antica origine, già presente nella prima metà del XIV secolo legata a un monastero, la Chiesa di San Martino (in veneto locale Cesa de San Martin) è stata ricostruita per volontà della comunità dei frati domenicani tra 1674 e 1730, quando assunse l'aspetto che ancora oggi la caratterizza.
Due episodi interessarono la chiesa nel primo Novecento: il primo riguarda la non realizzazione della facciata che l'architetto Vincenzo Rinaldo, costruttore della facciata della chiesa di San Rocco, era impegnato a progettare, cosicché il prospetto principale restò disadorno; il secondo episodio invece segna la storia della chiesa in modo irreversibile: durante i bombardamenti della Grande Guerra l'edificio venne colpito in molte sue parti, cosicché la parrocchia dovette attivarsi nella ristrutturazione dell'edificio nella sua totalità.

Oggi la Chiesa dei Santi Martino e Rosa si incontra, maestosa, nella piazza omonima, dopo aver passato l'omonimo ponte sul Monticano, fiume verso il quale la chiesa guarda.
Dal 1921 è retta dai Giuseppini del Murialdo, il primo ordine religioso che vi entrò dopo che Napoleone aveva fatto chiudere il convento nel 1806.

Esterni

La facciata a capanna dell'edificio si presenta grezza, coperta a laterizio, e del tutto disadorna: come testimonia il progetto del Rinaldo, una volontà di coprirla c'era, dunque la condizione attuale si poneva inizialmente come un a priori per una copertura in marmo o in pietra.
Le aperture della facciata sono due: il portale d'ingresso a tutto sesto, inscritto in una cornice lapidea semplice; la grande finestra tripartita a mezza luna, posta in altro al centro. Quest'ultima fa da modello anche alle aperture della navata, poste alla stessa altezza per un totale di tre per lato.
Ai lati sono presenti dei massicci contrafforti, che sul lato destro sono isolati dalla piazza per mezzo di un muro in pietra, all'interno del quale si vedono le sporgenze delle tre cappelle laterali della navata.
L'abside esternamente è un parallelepipedo annesso al retro del corpo principale della chiesa e adiacente ai palazzi della piazza, in luogo della quale, un tempo, c'era un cimitero.

Il campanile è posto sul lato nord, a sinistra dell'abside: è una torre di altezza contenuta, caratterizzata da quattro lati uguali biforati a livello della cella campanaria.

Interni

Dentro l'edificio ha un'unica navata e sei cappelle laterali. Il presbiterio è rialzato e accessibile per mezzo di gradini, che conducono all'altare e all'opera più preziosa che la chiesa custodisce: Adorazione dei pastori, di Francesco da Milano.
Tale dipinto raffigura centralmente la Madonna e San Giuseppe chini sul Bambin Gesù, mentre viene dolcemente carezzato da un angelo; sul lato sinistro entra in scena un pastore suonante il flauto, mentre sulla sinistra altri due pastori sono in adorazione; dietro un grande arco a tutto sesto sul quale siedono due angioletti, che tengono fra le mani una fascia sulla quale si intravede la scritta (in latino nel quadro) Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà; a destra si apre un paesaggio collinare e montuoso, con arroccata una città murata. La scena avviene alla luce del tramonto.
All'opera del Da Milano seguono, nel coro, la pala di Sante Peranda Ultima Cena (1615) e la tela del 1590 Santi Sebastiano, Rocco e Barbara di Ludovico Pozzoserrato.

Lungo la navata è presente un pulpito in legno del Settecento, scolpito con bassorilievi, opera di un artista dell'ambito di Andrea Brustolon.

Ex Convento dei Domenicani

L'edificio di due piani annesso alla chiesa, lungo il corso del Monticano, è ciò che rimane del vecchio convento dei Domenicani. Edificio risale al XVIII secolo ed è ricordato soprattutto per aver rivestito a lungo sede dell'ex Caserma Marras; tuttavia conserva ancora l'aspetto di un monastero, con la lunga facciata con due livelli di aperture (monofore a tutto sesto al pian terreno, rettangolari al primo piano) e dentro il chiostro.
L'edificio, in corso di restauro (2009) è in attesa di essere la sede della Biblioteca comunale.
Il cortile esterno è recintato da un muro in sassi con accesso da Piazza San Martino: qui una piccola struttura a un piano, parzialmente ricostruita, è il Museo degli Alpini; è questo il punto da dove di diparte una passerella che percorre il lungofiume, collegando pedonalmente il Ponte di San Martino e il Ponte della Madonna.

La chiesa dei Santi Rocco e Domenico

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La facciata di San Rocco

La chiesa di San Rocco (in veneto locale Cesa de San Roco) è un edificio seicentesco, eretto dalla comunità come ex voto per la peste degli anni 1630.
Era allora un edificio barocco unito a una complesso conventuale di monache domenicane, che ebbe vita fino al primo decennio dell'Ottocento (soppresso dai provvedimenti napoleonici) e del quale ci è giunta solo la foresteria.
In città esisteva già un'antica cappella votiva dedicata a San Rocco, annessa nel Quattrocento alla chiesa del convento di San Francesco, a testimoniare una devozione che nei secoli si rinnovava.

Esterni

L'edificio, esternamente, è di stile composito e frutto di lavori di molte epoche. La facciata attuale è opera novecentesca di Vincenzo Rinaldo, tripartita e con tratti neoclassici: le tre parti sono divise da lunghe lesene ioniche, che terminano sotto l'architrave, al di sopra della quale uno spazioso frontone contiene bassorilievi.
La media altezza della facciata è centralmente decorata da un rosone inscritto in un quadrante, lateralmente aperta da due monofore a tutto sesto in cornice lapidea.
Nella parte bassa si accede al portale, attraverso un portico sostenuto da archi a tutto sesto, quello centrale abbellito da un timpano e da due colonnine ioniche.

La parete laterale sinistra è addossata a un palazzo, mentre quella di destra è visibile: molto in contrasto con la facciata, essa si presenta grezza e disadorna.
Dietro la struttura è presente il campanile: di piccole dimensioni e con una bifora per lato a livello della cella campanaria, esso si caratterizza per la terminazione a corona e per la mancanza di un orologio.

Interni

Dentro la chiesa è a una navata, anch'essa di stile composito, dovuto alle suggestioni delle diverse epoche.
Non vi sono opere di particolare importanza storica, ma alcune sono degne di nota: tra esse la maggiore è Lo sposalizio mistico di Santa Caterina, grande pala d'altare di Francesco Beccaruzzi. Va citato l' affresco del soffitto Apoteosi dei Santi Rocco e Domenico (1827), in quanto opera di Giovanni De Min, l'artista che poi dipingerà gli interni di Villa Gera.

La chiesa di Sant'Orsola

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Chiesa di Sant'Orsola

Posta sulla cima del colle, l'attuale chiesa di Sant'Orsola fa ancora parte del complesso del Castelvecchio: essa infatti, antichissima (XII secolo), è ciò che resta di quello che fu, fino al 1757, il Duomo di San Leonardo. Il vecchio Duomo doveva essere una chiesa molto più grande e fastosa di ciò che oggi si vede: Sant'Orsola altro non è che la parte terminale di San Leonardo, coro e abside, mentre nulla è rimasto del corpo principale del vecchio edificio.
Sul lato sinistro, sporgenti verso la piazza del Castello, sopravvivono il campanile romanico con bifore a tutto sesto contenenti ciascuna una colonnina tuscanica, e una piccola cappella laterale.

Attualmente la facciata, a capanna, guarda sulla piazza del Castello, dalla quale la dividono un intimo sagrato erboso e un cancello. Essa, essendo il riempimento dell'arcone che conduceva al coro, si presenta con le due principali aperture inscritte in esso: il portale rettangolare e, sopra una finestra a mezza luna. In alto, al di fuori del perimetro dell'arcone, la terza apertura è un minuscolo rosone.

Gli interni dovevano essere ricchi di affreschi presumibilmente cinquecenteschi, dei quali qualche traccia è emersa nella parte absidale dai restauri effettuati negli anni Duemila dal Comune (attuale proprietario della struttura), ma quasi tutto è andato cancellato dagli anni e dal lungo degrado.

Le chiese fuori dal centro storico

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Fuori dal centro storico sono molte le parrocchie che si sono sviluppate soprattutto nel corso del XX secolo: è a quest'epoca che si devono la maggior parte delle chiese di quest'area, testimonianze di archituttura religiosa moderna e contemporanea.

Le chiese di Santa Maria delle Grazie

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Chiesa vecchia della Madonna delle Grazie

Il complesso antico della Madonna delle Grazie iniziò a raccogliersi nel Quattrocento intorno a una comunità di monaci giunti a Conegliano da Venezia, che edificarono la prima chiesa (1471) e il convento dalla Madonna delle Grazie; nel 1530 vi si insediarono i Padri Minori Riformati, che vi rimarranno fino al secondo Settecento, quando il convento viene soppresso, la grande chiesa abbattuta e il patrimonio artistico (circa nove pale d'altare, tra le quali una del Beccaruzzi, nonché degli affreschi) disperso.

Chiesa vecchia

In seguito a ciò, nel 1774 ebbero inizio i lavori di costruzione di un luogo sacro che sostituisse quello appena demolito, ossia l'attuale Chiesa vecchia di Santa Maria delle Grazie. Edificio sacro di dimensioni medio-piccole, la chiesa si trova incastonata tra un moderno edificio e un vecchio borgo all'imbocco di via Carpenè.
La facciata dell'edificio è a capanna e neoclassica: si mostra con in alto un frontone nel quale è inscritto un rosone; da qui quattro lesene partono, tripartendo la facciata. Le due sezioni laterali sono aperte da due monofore timpanate, la parte centrale dal portale, anch'esso timpanato, sopra al quale è posta, all'interno di una nicchia, la statua della Madonna, patrona della chiesa.

Chiesa nuova della Madonna delle Grazie

All'interno, a una navata, si ammira la pala del Beccaruzzi (attribuita) che era conservata nella chiesa precedente: Madonna con Bambino in trono tra i Santi Giovanni Battista e Francesco. La raffigurazione presenta centralmente la Madonna in tradizionali drappi blu e rossi, mentre, seduta in trono, regge con la mano sinistra il Bambin Gesù, in piedi sulle sue ginocchia e rivolto verso San Francesco, in contemplazione sulla destra del quadro; a sinistra trova spazio Giovanni Battista, indicante con la mano destra Gesù; ai piedi del trono sta seduto un angelo con liuto; il tutto nel contesto di architetture classiche dietro le quali si apre uno squarcio di cielo azzurro.
Altre due tele della chiesa preesistente hanno ritrovato luogo in quella settecentesca, dove sono disposte nei due altari laterali. Si tratta di un'opera di anonimo rappresentante Tiziano che riceve alcuni personaggi e di un'opera di Bernardino di Asola (attribuita) con San Bernardino da Siena tra Angelo Raffaele con Tobia e San Gerolamo (XVI secolo).

Chiesa nuova

La Chiesa nuova di Santa Maria delle Grazie è un edificio novecentesco situato in via XIV maggio, a poca distanza dalla chiesa settecenesca. Una lunga gradinata conduce a una struttura grigia di grandi dimensioni, edificata nel 1965 su progetto di Nerino Meneghello e consacrata nel 1971. Questo edificio sacro è l'attuale sede della parrocchia omonima, che occupa tutto il territorio di Monticella, laddove fino al Trecento era l'antichissima parrocchia di Santo Stefano in Monticella (della quale non resta traccia se non documentaria) ad avere il dominio.

La chiesa dell'Immacolata di Lourdes

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Chiesa dell'Immacolata di Lourdes, vista dal Castello

La parrocchia di Lourdes nasce nel 1950, nella pianura a nord est del colle del Castello, lungo il fiume Monticano, con sede in una piccola cappella.
Quattro anni dopo, nel 1954 viene edificata l'attuale chiesa, progetto di Riccardo Bertoja: la facciata bianca ha un portico aperto da tre archi ogivali (a cui corrispondono tre portali), sopra i quali quattro monofore sviluppate in altezza contornano un'alta nicchia con la statua della Madonna di Lourdes.
L'interno, spoglio di opere d'arte, va ricordato per un'opera di Pino Casarini, composta di undici tavole, di cui una centrale grande con Immacolata Concezione e dieci minori con Vita della Vergine; tutte le immagini sono dipinte su sfondo dorato, avendo grande risalto nel candore dell'intonaco interno.

La chiesa di Sant'Antonio da Padova

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Edificio del 1944, è la chiesa annessa al monastero dei Capuccini di Conegliano. Fu progettata da Giovanni Morassutti per ospitare i frati, dopo che il vecchio convento era stato abbattuto.
L'edificio, incastonato nel convento, si mostra con la sua facciata a capanna aperta centralmente dal portale e dal rosone.
Dentro l'unica navata, di gran semplicità, ospita alcune opere reclutate dal patrimonio dell'antico convento, andate perlopiù disperse dopo la repressione degli ordini nel primo Ottocento. Tra di esse resta una tela del tardo Cinquecento, opera di Pietro Bernardi, rappresentante Ultima Cena.

La chiesa di San Pio X

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Cenni storici

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Questa chiesa fu costruita nel 1955 su progetto dell'architetto Vecchi di Venezia e dell'ingegner Serravallo di Vittorio Veneto e il 3 ottobre dello stesso anno fu benedetta dall'allora vescovo Giuseppe Zaffonato; tuttavia la parrocchia esisteva già dal 29 settembre 1952. Presso la nuova struttura, sorta in un'area in quegli anni in forte sviluppo abitativo, si svilupparono un centro parrocchiale (inizialmente gestito dai salesiani) e un asilo.

Nel 1990 la chiesa fu dotata di organo[1][2].

La chiesa di San Pio X ha una facciata a capanna in laterizio, ornata da tre strette arcate cieche per lato e aperta da un grande rosone centrale e dal portale, nella cui lunetta è inscritta un'immagine del papa a cui il tempio è consacrato.

Ai lati dell'edificio si allungano due porticati con archi a tutto sesto[3].

L'interno è ad una sola alta navata tutta intonacata di bianco, interrotta solamente dai due arconi d'accesso alle cappelle laterali (in quella destra è ospitato un sacrario a Santa Barbara), oltre che dalle numerose monofore che danno luce all'ambiente. Il presbiterio ha la parete di fondo interamente coperta da una pittura rappresentante San Pio X con Cristo e gli angeli[4].

Di seguito si descrivono alcuni degli oratori della città, quelli di più rilevante valore storico-artistico.

Oratorio dell'Annunziata

L'oratorio dell'annunziata è un edificio di piccole dimensioni con facciata di forma quadrata, ubicato in Contrada Granda, poco dietro Porta Monticano. Esso, oggi sconsacrato e chiuso da anni, si trova in posizione rialzata, all'imbocco della Calle degli Asini, antico e impervio vicolo che conduce al Castello. Tale oratorio nasceva nel XV secolo come cappella privata dell'annesso Palazzo Graziani, per volontà della famiglia.
Le condizioni attuali non sono buone, tuttavia l'edificio mostra ancora con una certa eleganza di forme, con la sua facciata tripartita da quattro lesene ioniche terminanti sull'architrave, sopra la quale campeggia una scritta oramai indecifrabile.
La forometria del prospetto principale consta di quattro aperture: il portale rettangolare con timpano al centro, sovrastato da un rosone; ai lati due ampie monofore rettangolari e timpanate.
Dietro l'edificio si innalza una piccola cella campanaria dalla caratteristica terminazione a punta, con monofore a tutto sesto sui quattro lati.

Beata Vergine della Salute

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Facciata della Madonna della Salute in Contrada

Quello della Vergine della Salute è un oratorio di grandi dimensioni, incastonato tra le facciate della Contrada Granda, attualmente vicino a Palazzo Montalban nuovo; ed è proprio a questo nome che la costruzione votiva si lega, in quanto fu il nobile Rinaldo Montalban, causa la stessa peste per la quale fu costruita San Rocco, che ne volle l'erezione.

Esternamente l'oratorio si presenta con un frontone arcuato con cornice barocca, all'interno del quale è dipinto un rosone. Sotto, una monofora occupa il centro della facciata, mentre la parte bassa è aperta da un portico di tre archi a tutto sesto, dal quale si vede il portale rettangolare, con cornice lapidea.
Dentro, l'oratorio conserva una tela del Seicento con Madonna incoronata dagli angeli, posta sopra un altare coevo.

Madonna della Neve

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Oratorio della Madonna della Neve

L'oratorio della Madonna della Neve è un piccolo tempio situato sulla parte alta della Salita della Castagnera, ossia all'interno della cinta muraria trecentesca e a ridosso di essa. Edificio del Cinquecento, si trova a metà strada nel percorso pedonale che ancora oggi collega la Contrada Granda col Castello: per questa posizione strategica, la chiesetta è stata, almeno fino all'Ottocento, un luogo di culto molto frequentato dalla comunità e dai pellegrini che vi passavano. Nel Novecento però cadde in una profonda decadenza, dalla quale si risollevò solamente nell'ultimo decennio del secolo, quando, adottata degli Alpini di Conegliano, fu restaurata completamente.

Esternamente, l'edificio si mostra incorporato nelle mura, con la piccola facciata che guarda verso la città; ha due ingressi, di cui uno laterale. Sulla sommità, centralmente, spicca un esile campanile romanico con quattro monofore.

All'interno sono riaffiorati, proprio nell'ultimo restauro, alcuni affreschi rinascimentali. Uno più antico e posto al centro della piccola navata, databile XV secolo e attribuito a Giovanni Antonio da Meschio, rappresenta Madonna del Latte: al centro la Vergine porge il seno al Bambin Gesù, mentre sopra e ai lati angeli e putti (alcuni suonanti), si muovono in un contesto celeste.
Gli altri affreschi, databili nel primo Cinquecento, nei quali si è vista la mano di Francesco Beccaruzzi, sono in condizioni non ottimali.

Santa Caterina d'Alessandria e Ca' di Dio

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Situato in via Garibaldi, l'Oratorio di Santa Caterina è un edificio sacro molto antico: le sue origini vanno ricercate nel XIII secolo, quando iniziò a fungere da ospizio per i poveri e i pellegrini, ossia la Ca' di Dio. La cappella attuale risale però al Quattrocento, secolo in cui era sotto la tutela dei Battuti, che la dirigeranno, assieme all'ospizio (convertito in ospedale nel 1782) fino alle repressioni napoleoniche. Successivamente il complesso fu ampliato, per essere adibito all'inglorioso ruolo di caserma. Molti edifici furono abbattuti nel Novecento, dei quali sopravvivono la chiesetta e parte dell'antico ospizio.

Oggi la chiesa, con facciata a capanna, conserva il portale originale con una bianca cornice lavorata, mentre dentro è stato vittima di decadenza e rimaneggiamenti. L'oratorio è dotato di un minuscolo campanile a vela.
All'abside della chiesa è legata la struttura a due piani della Ca' Di Dio, con archi a tutto sesto.

Chiostro del convento di San Francesco

Numerosi e vitali sono stati, a partire dal medioevo, i monasteri della città di Conegliano, dove nei secoli tra XIII e XVIII erano attivi circa venti ordini. La loro sorte tra XVIII e XIX secolo è legata alle repressioni napoleoniche, come nei casi sopra citati dei frati di San Martino e delle monache di San Rocco.
Tuttavia le strutture conventuali non sempre vennero abbattute, ma in alcuni casi, più o meno integre, sono giunte ai giorni nostri, dopo rimaneggiamenti, riutilizzi e anni di decadenza.

Ex Convento di San Francesco

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Arroccato al di sopra della Contrada Granda, tra l'antica cinta muraria est (Mura della Castagnera) e il sentiero della Madonna della Neve, il Convento di San Francesco è un importante centro culturale, un tempo religioso, oggi civile.
Il complesso francescano risale al 1411, quando i frati, già presenti nel territorio di Conegliano dal Duecento, decisero di spostarsi in un luogo protetto entro le mura, per sfuggire alle continue razie e alle distruzioni cui erano vittima Annessa al monastero era stata costruita una grande chiesa dedicata al santo protettore con relativo chiostro, edifici che furono abbattuti nel primo Ottocento dagli uomini di Napoleone, dopo essere stati da loro sfruttati come ospedale durante l'invasione del Veneto.
Oggi è sede di congressi e dell'Università delle Scienze Enologiche.

Ex Convento di Sant'Antonio

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Il Convento di Sant'Antonio Abate era il grande complesso conventuale cinquecentesco di Parco Rocca, dotato di una grande chiesa dedicata al santo protettore. Questa era di tre ampie navate in stile gotico, con dentro affreschi del 1514 nella parte absidale, opera del Pordenone.
Nel XVIII secolo il convento fu soppresso per volontà della Repubblica di Venezia e nell'Ottocento, dopo lungo abbandono, il complesso fu vittima di crolli, dopo i quali rimase ben poco dell'originaria struttura.

Oggi sono visibili, in buone condizioni, i pochi resti, situati lungo la strada che si diparte da Piazza Duca d'Aosta verso Parco Rocca: si tratta di un piccolo braccio del monastero, del quale si è salvata la relativa parte di chiostro con archi a tutto sesto e volte a crociera, un tempo coperte di affreschi.
L'edificio si nota per l'intonaco rosso dei due piani, con la forometria del primo piano costituita da monofore, sulla destra uscendo dalla piazza.

Poco oltre, sulla sinistra, passa quasi inosservata una casa privata denominata Villa La Grassa: eppure essa è il segno che la chiesa non è del tutto scomparsa. La parte posteriore di tale edificio, infatti, altro non è che l'abside della Chiesa di Sant'Antonio Abate: è qui che è stato rinvenuto l'unico importante affresco superstite del Pordenone, Madonna con Bambino tra i Quattro Santi (rispettivamente Santa Maddalena, Sant'Ubaldo, Sant'Agostino, Santa Caterina), che oggi è conservato nel Museo Civico con sede nel Castello.

Convento dei Frati Cappuccini

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Proseguendo oltre l'ex Convento di Sant'Antonio, si incontra il convento oggi attivo dei Frati Cappuccini.
Originariamente, il convento dei Cappuccini occupava la vasta area dell'odierno Ospedale Civile, con un edificio costruito tra 1589 e 1593, luogo ricordato anche per il fatto che Marco d'Aviano nel 1648 vi trascorse il noviziato. Da qui i frati furono cacciati più volte, a partire dal 1810.
Il loro definitivo rientro a Conegliano si ebbe nel 1929, quando trovarono sede a Sant'Orsola; ma nel 1944, presso il sito dove sorgeva il vecchio monastero, abbattuto per far spazio all'ospedale, i frati fecero edificare la Chiesa di Sant'Antonio da Padova e il convento.

Internamente il complesso, disposto in tutte le sue componenti su due o tre livelli, ospita un chiostro con archi a tutto sesto, adiacente alla parete sinistra della navata della chiesa. Altri edifici trovano posto nell'area retrostante la cappella e a destra di essa.

Il cimitero ebraico

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Sul Colle Cabalan, a est del colle del Castello, sorge il cimitero ebraico, fondato nel 1545 come luogo di sepoltura per gli ebrei coneglianesi (e, per un certo periodo, anche per gli ebrei di Vittorio Veneto). Tale cimitero rimase in uso fino a tutta la prima metà dell'Ottocento, ma per decreto fu chiuso e abbandonato a partire dal 1886.
Il cimitero ebraico, importante testimonianza della storia della comunità ebraica coneglianese, risulta interessante, oltre che per la posizione panoramica in cui è posto, per le oltre cento antiche sepolture, poste in direzione della città di Gerusalemme, città dove è ancora oggi conservato l'arredo della sinagoga di Conegliano, edificio esistente fin dal Settecento, oggi andato distrutto.
Le numerose lapidi riportano epitafi in ebraico e stemmi famigliari.

  • Conegliano. La città di Giambattista Cima - Capitale dell'enologia italiana, Anno 1, N°2 de L'illustrazione veneta (rivista monografica), Editori Associati, 2000.
  • Luciano Caniato, Giovanna Baldissin Molli, Conegliano: storia e itinerari, Canova, 1987.

Voci correlate

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