Spedizione Seymour

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Spedizione Seymour
parte della ribellione dei Boxer
L'ammiraglio Seymour ritorna da Tientsin con i suoi uomini feriti il 26 giugno.
Data10 - 28 giugno 1900
LuogoTientsin, Cina
EsitoVittoria cinese,[1] fallimento del tentativo di salvataggio.
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
Regno Unito (bandiera) 916
Germania (bandiera) 540
Russia (bandiera) 312
Francia (bandiera) 158
Stati Uniti (bandiera) 112
Giappone (bandiera) 54
Italia (bandiera) 40
Austria-Ungheria (bandiera) 25
2.157 uomini in totale
Migliaia di soldati cinesi Han
5.000 Boxer dei Kansu Braves
Perdite
62 morti
232 feriti[2][3]
Sconosciute
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La Spedizione Seymour fu il tentativo di una forza militare multinazionale di marciare verso Pechino e proteggere le legazioni diplomatiche e i civili stranieri della città dagli attacchi dei ribellione dei Boxer nel 1900. La forza internazionale fu sconfitta dall'esercito cinese e dai boxer, vedendosi costretta a ritirarsi a Tianjin.

La rivolta dei boxer ed i disordini

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Il viceammiraglio Sir Edward Hobart Seymour





L'Associazione pugilistica di giustizia e concordia, conosciuta anche come Boxer (denominazione tratta dall'inglese), era una società segreta fondata nella provincia dello Shandong da persone che erano state portate alla rovina dall'imperialismo e da disastri naturali. Essa assume un ruolo di rilievo nella Storia Mondiale quando viene coinvolto nella cosiddetta "Rivolta dei Boxer".[4] Anti-cristiani e anti-stranieri, i Boxer avevano come obiettivo quello di liberare la Cina dall'influenza straniera (occidentale). Nel maggio e nei primi di giugno del 1900, un esercito di Boxer marciò verso Pechino. Il governo cinese Qing fu equivoco nei confronti dei Boxer, temendo inizialmente che essi potessero divenire ostili anche nei confronti della stessa dinastia Qing. I Boxer divennero una serie minaccia per i cittadini stranieri e giapponesi e per i cristiani cinesi che vivevano a Pechino, a Tientsin e nelle altre aree della Cina settentrionale.

Le Legazioni diplomatiche (Ambasciate) a Pechino richiesero l'invio di marinai per essere protette e il 31 maggio ne arrivarono a Pechino oltre 400 da otto paesi diversi (Austria-Ungheria, Francia, Germania, Italia, Giappone, Russia, Regno Unito, e Stati Uniti). Ad ogni modo, visto che la minaccia Boxer divenne maggiore, apparve necessario l'invio di ulteriori truppe. Il 9 giugno il Ministro britannico Sir Claude Maxwell MacDonald cablò al Vice-Ammiraglio Edward Hobart Seymour, comandante della flotta britannica in Cina, che la situazione a Pechino "è diventate in queste ore più seria" e che "delle truppe dovrebbero sbarcare e tutti i preparativi essere fatti per un'avanzata verso Pechino [Beijing]."[5]

Una volta ricevuto il messaggio di MacDonald, Seymour reclutò in 24 ore una forza di oltre 2.000 marinai e Marines dalle navi da battaglia occidentali e giapponesi e preparò l'imbarco da Tianjin a Pechino, 75 miglia lontano, per treno.[6] Questa forza consisteva in 916 britannici, 455 tedeschi, 326 russi, 158 francesi, 112 americani, 54 giapponesi, 41 italiani e 26 austriaci.[7] Il Capo di Stato Maggiore di Seymour era il capitano John Jellicoe; il comandante degli americani nella spedizione era il capitano della marina Bowman H. McCalla.

I diplomatici a Pechino erano convinti che Seymour sarebbe arrivato entro l'11 giugno, a così non fu. Poco dopo tutte le comunicazioni vennero tagliate e la Spedizione Seymour scomparve all'interno della Cina. Agendo senza il permesso ufficiale della corte imperiale cinese, essi avevano, in effetti, iniziato una vera e propria invasione della Cina. La risposta cinese non si fece attendere e fu risoluta.

L'avanzata verso Pechino

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Il percorso della Spedizione Seymour.

Seymour requisì cinque treni a Tientsin (Tianjin) e partì per Pechino (Beijing) con la sua intera forza la mattina del 10 giugno. Il primo giorno i soldati viaggiarono per 25 miglia senza incidenti, attraversando un ponte a Yancun sul fiume Hai He incontrastati, e, sebbene il generale cinese Nie Shicheng con migliaia di suoi soldati erano accampati lì, i soldati di Nie furono "amichevoli" e non attaccarono.[8] I giorni successivi passarono lentamente, visto che Seymour dovette riparare i binari della ferrovia e respingere gli attacchi dei Boxer all'avanzata del suo treno. Il 14 giugno diverse centinaia di Boxer armati con spade, lance e pistole Jingal attaccarono Seymour due volte e uccisero 5 soldati italiani. Gli americani contarono 102 cadaveri di Boxer sul campo alla fine della battaglia.[9] Seymour continuò a riparare i binari e avanzò molto lentamente. Il generale cinese Nie permise all'esercito di Seymour di ritornare sui treni, in quanto Ronglu aveva deliberatamente emesso ordini contraddittori che lasciarono Nie confuso.[10] Comunque, le forze musulmane non erano "confuse" e attaccarono subito gli stranieri.

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia dei forti di Taku (1900) e Kansu Braves.

Il governo cinese aveva intanto modificato le sue precedenti posizioni dopo essere venuto a conoscenza dell'invasione, decidendo di assorbire le forze dei Boxer ed ordinando all'esercito regolare di difendersi dall'avanzata di Seymour verso la capitale.[11]

Il generale Dong Fuxiang, insieme ai suoi cinesi musulmani, preparò un'imboscata per l'esercito occidentale invasore. I generali Ma Fuxiang e Ma Fulu organizzarono e guidarono personalmente l'attacco, con una manovra a tenaglia intorno alle forze europee.[12] Il 18 giugno le truppe di Dong Fuxiang, stanziate a Parco Hunting nella parte meridionale di Pechino, lanciarono un attacco in più punti della città compreso LangFang. Le forze impiegate nell'attacco includevano 5.000 cavalieri armati con fucili moderni.[13][14] Le truppe straniere, specialmente i tedeschi, respinsero l'attacco, uccidendo centinaia di cinesi e con la perdita di soli 7 morti e 57 feriti. Di contro, i Kansu Braves persero circa 200 uomini e i Boxer altri 200. I Boxer caricarono direttamente e senza sosta gli alleati, cosa che fece snervare questi ultimi. Il bisogno di cure mediche per i feriti, la mancanza di rifornimenti e la probabilità di nuovi attacchi cinesi fecero decidere a Seymour e ai suoi ufficiali di ritirarsi verso Tientsin.[15][16] L'attacco inaspettato dell'esercito regolare cinese fu spinto da un attacco alleato, europeo e giapponese, ai forti di Taku due gironi prima. Come risultato dell'attacco di Taku (o Dagu), il governo cinese decise di resistere all'invasione dell'esercito di Seymour e di uccidere od espellere tutti gli stranieri nel nord della Cina.[17]

Durante uno degli scontri a Langfang, alcuni Boxer armati con spade e lance caricarono i britannici e gli americani, che erano invece armati con armi da fuoco. Un soldato britannico dovette sparare quattro colpi a bruciapelo prima di fermare un Boxer, e il capitano statunitense Bowman McCalla asserì che un singolo colpo di fucile non era sufficiente: bisognava sparare più colpi di fucile per uccidere un Boxer.[18]

  1. ^ Paul A. Cohen, History in three keys: the boxers as event, experience, and myth, Columbia University Press, 1997, p. 428, ISBN 0-231-10651-3. URL consultato il 28 giugno 2010.
  2. ^ Fleming, p. 89
  3. ^ Henry Woldmar Ruoff, The standard dictionary of facts: history, language, literature, biography, geography, travel, art, government, politics, industry, invention, commerce, science, education, natural history, statistics and miscellany, The Frontier Press, 1908, p. 31. URL consultato il 28 giugno 2010.
  4. ^ «Le carestie e le inondazioni che infieriscono nello Shandong dal 1898 vi fanno rifiorire uno dei rami del Loto Bianco. Si tratta del movimento degli Yihequan, che praticano la boxe cinese come metodo di formazione fisica e morale e che per tale motivo, hanno ricevuto dagli Occidentali il nome di Boxer», in Gernet 1978
  5. ^ Fleming, Peter. The Siege of Peking. New York: Harper, 1959, p. 72
  6. ^ Robert Leonhard, The China Relief Expedition (PDF), JHUAPL, pp. 11. URL consultato il 18 ottobre 2010 (archiviato dall'url originale il 2 novembre 2013)..
  7. ^ Davids, Jules, ed. American Diplomatic and State Papers: The United States and China: Boxer Uprising, Series 3, Vol. 5. Wilmington, DE: Scholarly Resources, 1981, p. 102. Other accounts give slightly different numbers.
  8. ^ Marina Warner, The dragon empress: life and times of Tz'u-hsi, 1835-1908, Empress dowager of China, illustrated, reprint, Cardinal, 1974, pp. 227, ISBN 0-351-18657-3. URL consultato il 1º settembre 2011.
    «Although they had passed unmolested through the lines of imperial troops under General Nieh, whom they had found even friendly, Seymour's»
  9. ^ Thompson, Larry Clinton. William Scott Ament and the Boxer Rebellion: Heroism, Hubris, and the Ideal Missionary. Jefferson, NC: McFarland, 2009, p. 61
  10. ^ Robert R Leonhard, The China Relief Expedition Joint Coalition Warfare in China Summer 1900 (PDF), su jhuapl.edu, The Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory, p. 12. URL consultato il 31 ottobre 2010 (archiviato dall'url originale il 6 dicembre 2016).
  11. ^ Jonathan R. Adelman, Zhiyu Shi, Symbolic war: the Chinese use of force, 1840-1980, Volume 43 of Institute of International Relations English monograph series, Institute of International Relations, National Chengchi University, 1993, pp. 132, ISBN 957-9368-23-6. URL consultato il 1º settembre 2011.
    «Council issued a decree recruiting Boxers to the army, attacking the advance of Seymour, pacifying the Boxers and ordering local troops to march northward to protect the capital. The next day the Empress Dowager declared that, "Now they have started the aggression and the extinction of our nation is imminent. If we just fold our arms and yield to them, I would have no face to see our ancestors after death."44 In the words of the imperial decree»
  12. ^ (ZH) 马福祥, China LX Net (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2016)..
  13. ^ Arthur Henderson Smith, China in Convulsion, vol. 2, FH Revell, 1901, pp. 441. URL consultato il 28 giugno 2010.
  14. ^ (RU) Сергей Леонидович Тихвинский, Модерн хисторий оф Чина, Progress Publishers, 1983, pp. 397. URL consultato il 28 giugno 2010.
  15. ^ Davids, p. 107.
  16. ^ Bacon, Admiral RH The Life of John Rushworth, Lord Jellicoe. London: Cassell, 1936, p. 108
  17. ^ Davids, p. 83; Fleming p. 103
  18. ^ Robert B. Edgerton, Warriors of the Rising Sun: A History of the Japanese Military, WW Norton & Co, 1997, pp. 72, ISBN 0-393-04085-2. URL consultato il 28 novembre 2010.

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