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Giosuè Carducci (cacciatorpediniere)
Giosuè Carducci | |
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Una foto del cacciatorpediniere Carducci | |
Descrizione generale | |
Tipo | cacciatorpediniere |
Classe | Oriani |
In servizio con | Regia Marina |
Identificazione | CD |
Costruttori | OTO, Livorno |
Impostazione | 1936 |
Varo | 28 ottobre 1936 |
Entrata in servizio | 1º novembre 1937 |
Intitolazione | Giosuè Carducci, poeta italiano |
Destino finale | affondato in combattimento il 28 marzo 1941 |
Caratteristiche generali | |
Dislocamento | standard 1750 t pieno carico 2450 t |
Lunghezza | 106,7 m |
Larghezza | 10,25 m |
Pescaggio | 4,3 m |
Propulsione | 3 caldaie 2 gruppi turboriduttori su 2 assi potenza 48.000 hp |
Velocità | 39 (in realtà 33-34) nodi |
Autonomia | 2.190 mn a 18 nodi |
Equipaggio | 7 ufficiali, 176 sottufficiali e marinai |
Armamento | |
Armamento |
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Note | |
dati riferiti al 1940 | |
dati presi da [2] e [3] | |
voci di cacciatorpediniere presenti su Teknopedia |
Il Giosuè Carducci è stato un cacciatorpediniere della Regia Marina.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]All'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale si trovava inquadrato nella IX Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme ai gemelli Alfieri, Oriani e Gioberti.
Alle due di notte del 12 giugno 1940 salpò da Taranto, insieme ai gemelli, alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi) ed alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (da Recco, Pessagno, Usodimare) per pattugliare il Mar Ionio[1].
Il 2 luglio fu inviato, insieme ai gemelli, alla I Divisione (Zara, Fiume, Gorizia), agli incrociatori leggeri Bande Nere e Colleoni ed alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) a fornire scorta indiretta ad un convoglio che stava rientrando dalla Libia (convoglio composto dai trasporti truppe Esperia e Victoria, con la scorta delle torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso, in navigazione da Tripoli a Napoli)[2].
Nel pomeriggio del 7 luglio uscì in mare insieme ai gemelli ed al resto della II Squadra Navale – incrociatore pesante Pola, Divisioni incrociatori I, II, III e VII per un totale di 11 unità e squadriglie cacciatorpediniere X, XI, XII e XIII – che poi si unì alla I Squadra e partecipò alla battaglia di Punta Stilo del 9 luglio: durante il ripiegamento della flotta italiana in tale scontro, la IX Squadriglia fu la prima formazione di cacciatorpediniere, tra quelle inviate all'attacco, a lanciare i propri siluri – cinque in tutto, da 13.500 metri –, senza però metterli a segno[3][4].
Tra il 30 luglio ed il 1º agosto fornì scorta indiretta – insieme ai gemelli, agli incrociatori Pola, Zara, Fiume, Gorizia, Trento, Da Barbiano, Alberto di Giussano, Eugenio di Savoia, Duca degli Abruzzi, Attendolo, Montecuccoli ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere XII, XIII e XV per un totale di 11 unità – a due convogli per la Libia, che videro in mare complessivamente 10 mercantili, 4 cacciatorpediniere e 12 torpediniere[5].
Intorno a mezzogiorno del 27 novembre salpò da Napoli insieme al Pola, alla I Divisione (Fiume e Gorizia) ed alle altre unità della IX Squadriglia, prendendo poi parte all'inconclusiva battaglia di Capo Teulada[4][6].
Nel dicembre 1940 bombardò, unitamente all’Alfieri ed al Gioberti, le posizioni costiere dell'Albania e della Grecia in appoggio alle operazioni del Regio Esercito in quei territori[4].
Il 6 gennaio 1941 bombardò, insieme all’Alfieri, al Gioberti, al cacciatorpediniere Fulmine (temporaneamente aggregato alla IX Squadriglia) ed alla XIV Squadriglia Torpediniere (Partenope, Pallade, Altair, Andromeda), le installazioni militari greche a Porto Palermo, in Albania[4][7].
Alle undici del 26 marzo salpò da Taranto (al comando del capitano di fregata Alberto Ginocchio) con i gemelli e con la I Divisione (Zara, Pola, Fiume), aggregandosi poi alla squadra navale – corazzata Vittorio Veneto, Divisioni incrociatori III (Trento, Trieste, Bolzano) e VIII (Garibaldi e Duca degli Abruzzi), Squadriglie cacciatorpediniere XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), XVI (Da Recco, Pessagno), XII (Corazziere, Carabiniere, Ascari) – destinata a partecipare all'operazione «Gaudo», poi sfociata nella battaglia di Capo Matapan[8].
Nel corso di tale battaglia il Pola, nella serata del 28 marzo, fu immobilizzato da un aerosilurante[8]. Su ordine dell'ammiraglio Angelo Iachino, comandante della formazione, l'intera I Divisione e la IX Squadriglia furono inviate in soccorso alla nave immobilizzata, ma quando, alle 22.27, le navi giunsero nei pressi del Pola, furono sorprese dalle corazzate britanniche Barham, Valiant e Warspite, che le cannoneggiarono con le loro artiglierie: furono affondati lo Zara, il Fiume, l’Alfieri ed, in un secondo, tempo, anche il Pola (silurato da cacciatorpediniere britannici)[8][9]. Nel combattimento il Carducci – che era la penultima unità della fila, preceduto dal Gioberti e seguito dall’Oriani – si lanciò contro le navi britanniche, emettendo cortine fumogene nell'inutile tentativo di coprire gli incrociatori, permettendo però così all’Oriani ed al Gioberti di ripiegare e scampare al massacro[8][9]. Poco dopo – alle 23.45[10] – il Carducci, centrato e devastato dalle salve delle corazzate britanniche, fu abbandonato dai superstiti; il cacciatorpediniere britannico Havock ne avvistò il relitto in fiamme e alla deriva e lo finì lanciandogli un siluro, che lo fece saltare in aria[8][9].
I sopravvissuti all'affondamento, parte in acqua e parte a bordo di zatterini, rimasero in mare per diversi giorni e in gran parte morirono; contribuì a limitare le perdite l'operato del comandante Ginocchio (Medaglia d'oro al valore), che tenne insieme i superstiti e cercò di evitare che la follia e lo sconforto potessero coglierli, facendo cantare e recitare la preghiera del marinaio[9].
Alle 14.12 del 2 aprile la nave ospedale Gradisca, mandata a soccorrere i naufraghi delle navi affondate nella battaglia, avvistò in posizione 35°56' N e 21°14' E due zattere, recuperando da esse in tutto 21 superstiti del Carducci[11]. Tra le 12.38 e le 14.06 del 3 aprile la Gradisca individuò e soccorse altre quattro zattere del Carducci, traendo in salvo in tutto 14 uomini[11].
Complessivamente, dei i 204 uomini che formavano l'equipaggio del Carducci, 169 morirono o risultarono dispersi e 35 (incluso il comandante Ginocchio) furono tratti in salvo[9][11][12][13].
Il Carducci aveva svolto in tutto 38 missioni di guerra (7 con le forze navali, 3 di bombardamento controcosta, 4 di scorta convogli, 7 addestrative e 17 di altro tipo), percorrendo complessivamente 14.856 miglia e trascorrendo un solo giorno ai lavori[14].
Comandanti
[modifica | modifica wikitesto]Capitano di fregata Vincenzo Novari (nato il 30 ottobre 1898) (10 giugno 1940 - 28 ottobre 1940)
Capitano di fregata Alberto Ginocchio (nato a La Spezia il 29 novembre 1901) (29 ottobre 1940 - 28 marzo 1941)
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ 1 June, Saturday
- ^ Naval Events, 1-14 July 1940
- ^ Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La marina tra vittoria e sconfitta 1940-1943, p. 172
- ^ a b c d Trentoincina
- ^ Naval Events 15-31 July 1940
- ^ Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La marina tra vittoria e sconfitta 1940-1943, pp. 231 e ss.
- ^ 1941
- ^ a b c d e Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La marina tra vittoria e sconfitta 1940-1943, pp. da 286 a 313
- ^ a b c d e Gianni Rocca, Fucilate gli ammiragli. La tragedia della Marina italiana nella seconda guerra mondiale, pp. da 126 a 137
- ^ Le Operazioni Navali nel Mediterraneo Archiviato il 18 luglio 2003 in Internet Archive.
- ^ a b c In soccorso dei naufraghi di Matapan
- ^ Vittime
- ^ per altra fonte ([1] Archiviato il 5 marzo 2014 in Internet Archive.) i morti furono 171, ferma restando la cifra dei 35 superstiti
- ^ Ct classe Poeti Archiviato il 17 maggio 2008 in Internet Archive.
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