Caso Candiani

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caso Candiani
omicidio
TipoOmicidio
Data20 ottobre 1951
LuogoBusto Arsizio (VA)
StatoBandiera dell'Italia Italia
ArmaNessuna, la vittima è morta di inedia
ObiettivoSilvia Da Pont
ResponsabiliCarlo Candiani
MotivazioneInfatuazione per la vittima
Conseguenze
Morti1
Feriti0

Il caso Candiani, conosciuto anche come il caso del mostro di Busto Arsizio, coinvolse la cameriera Silvia Da Pont (n.1930) che venne rapita e sequestrata fino a morire d'inedia nella casa del cavalier Carlo Candiani (n.1879) a Busto Arsizio nell'ottobre del 1951.

Silvia Da Pont era nata nel 1930 a Cesiomaggiore in provincia di Belluno ed era figlia di Antonio Da Pont, boscaiolo di Cesiomaggiore, e della domestica e poi casalinga Adelina Bortolas. Dopo aver lavorato a Biella e Feltre, si trasferì a Busto Arsizio e lavorò come domestica della famiglia di Adelchi Nimmo, dipendente della compagnia aerea TWA all'aeroporto di Malpensa nella sua villetta in via Galilei, 8. Nimmo venne promosso nella sede di Roma Fiumicino della compagnia aerea quindi la famiglia Nimmo decide di trasferirsi a Roma. Silvia la mattina del 7 settembre 1951 uscì a comprare il latte ma non tornò più a casa[1].

Le ricerche e le indagini

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Alle 17 la famiglia Nimmo denunciò la scomparsa ai carabinieri, i carabinieri perquisirono la sua stanza e la casa senza trovare nulla e chiamarono anche la famiglia a Cesiomaggiore ma Silvia non era tornata al suo paese e pensarono anche ad una fuga con un fidanzato e le ricerche continuarono senza esito. Il 28 ottobre mentre la famiglia Nimmo si stava disfando di alcuni documenti inutili prima del trasloco a Roma e decisero di bruciarli assieme ad un vecchio albero di Natale che c'era in cantina, Adele Nimmo spostò l'albero di Natale e scoprì il cadavere scheletrico di Silvia a 51 giorni dalla scomparsa.

Inizialmente si pensò che fosse morta per avvelenamento da monossido di carbonio e dopo l'autopsia che chiarì che era morta per malnutrizione si pensò si fosse lasciata morire in cantina ma queste ipotesi non risultarono plausibili. Le indagini furono affidate al capitano Angelo Mongelli che perquisì la casa dell'inquilino del piano di sopra e proprietario della villa al numero 3 di Via Galilei, il cavalier Carlo Candiani. Candiani era un industriale in pensione vedovo per due volte e era una persona insospettabile, in casa sua uno stampo metallico per dolci sporco di feci umane e una delle pantofole di Silvia e nel solaio una chiazza rettangolare senza polvere dove probabilmente c'era una cassa e questa cassa era stata spostata. Candiani venne portato in caserma e interrogato.

Il processo e la condanna

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Candiani confessò l'11 novembre. Disse, inizialmente, che Silvia era svenuta in sua presenza e rimase svenuta per due giorni; tentò di farla rinvenire portandola nel solaio, dove la nutrì di cibo liquido per tenerla in vita, poi la chiuse in una cassa il 20 settembre, mentre era ancora viva. Con l'aiuto dell'amico e socio in affari Vittorio Tosi, la trasportò in cantina dove la ragazza spirò dopo un mese; spaventato, tirò fuori il cadavere dalla cassa e lo nascose nel locale caldaia, sotto una catasta di legna, dove la ragazza morta venne ritrovata otto giorni dopo[2]. Tuttavia, il 19 dicembre, l'uomo confessò di aver inventato tutto e di aver confessato per paura[3].

Le indagini giunsero alla conclusione che Candiani, per gioco, stordì Silvia Da Pont con un batuffolo imbevuto d'etere. Lei svenne, così la distese su un divano per farla rivenire, nutrendola per quindici giorni con latte e vino; temendo venisse scoperta, la mise in una cassa facendosi aiutare dal suo amico per spostarla in cantina. Dopodichè, estrasse il cadavere dalla cassa, ma venne scoperto dopo solo qualche giorno[4]. Durante il primo processo a suo carico, la casa venne perquisita e vennero trovati flaconcini contenenti degli alcaloidi usati per tenere prigioniera e in stato di torpore, consapevolmente, Silvia Da Pont. Il Candiani li chiamava:"farmachi".

Candiani, nel 1953, venne condannato per omicidio volontario, ratto e occultamento di cadavere dalla Corte d’Assise di Milano a 25 anni, poi ridotti dalla Corte d'Assise d'Appello di Milano a 14 anni per omicidio preterintenzionale, derubricando l'omicidio volontario. Cassazione annullò per amnistia l'occultamento di cadavere, riducendo quindi la condanna a 13 anni. Candiani morì mentre scontava la pena l'8 agosto 1957, all'età di 76 anni, nel carcere San Francesco di Parma. Venne sepolto nel cimitero di Busto Arsizio[5][6].

Influenza culturale

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  • Dino Buzzati si ispirò al caso e scrisse Il delitto del cavaliere Imbriani, pubblicato nella raccolta postuma La «nera» di Dino Buzzati.
  • Roberto De Nart ha scritto il libro Il delitto di Busto Arsizio, la tragica vicenda della giovane Silvia Da Pont di Cesiomaggiore riguardante la vicenda.
  • Il caso della morte di Silvia Da Pont è nella seconda stagione del programma Delitti[7].

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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