Utente:Luca Midena/provadiesame

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Le microtransazioni (videogiochi) sono un sistema di marketing utilizzato nell'industria videoludica al fine di incrementare i guadagni di un titolo. Si trattano di operazioni che consentono il trasferimento di somme predefinite di denaro per acquisire valuta virtuale del gioco. Nella maggior parte dei casi il pagamento viene effettuato tramite carta di credito o carta prepagata.

Microtransazioni nei videogiochi

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I micropagamenti sono una realtà affermata nel mondo videoludico contemporaneo. Il termine indica la totalità degli acquisti effettuati con moneta reale all'interno del gioco, ovvero in-game[1].

Le microtransazioni sono divise in due gruppi principali: quelle in titoli pay-to-play e quelle in titoli freemium. Nel primo caso, sono delle spese aggiuntive alla spesa iniziale, sostenuta per l'acquisto del videogioco, come nel caso di Fifa. Invece se il titolo è gratuito, le microtransazioni sono la fonte di guadagno principale e unica del gioco, come nel caso di League of Legends [2].

Di norma l'utente paga una certa somma di valuta reale per ottenere una determinata cifra di valuta virtuale, con la quale in seguito acquisterà degli oggetti[1]. Nel caso dei titoli fremium, l’acquisto è di tipo puramente estetico, quindi privo di qualsiasi impatto sul gameplay.

Invece, nei titoli pay-to-play il tipo di acquisto non è solamente estetico. In questo genere di titoli vengono inserite microtransazioni che vanno ad impattare sulle stesse meccaniche del gioco. In questi casi gli acquisti permettono al giocatore di ottenere un potenziamento reale nei confronti del gioco, e in caso che vi sia presente una componente multigiocatore, anche su tutti coloro che non hanno effettuato tali spese. Parliamo quindi di statistiche migliorate, armi maggiormente potenti o altri tipi di vantaggi. É immediato come ,soprattutto in un circuito multigiocatore, questi vantaggi possano essere appetibili ai giocatori. Ciò può portare ad esperienze online squilibrate, dove accade che il vincitore non corrisponda necessariamente a colui che maggiormente si è allenato, ma semplicemente a colui che ha speso di più[1].

L’industria videoludica è cresciuta in modo esponenziale, e di pari passo sono cresciuti anche i budget necessari alla creazione di nuovi titoli, che contano produzioni addirittura milionarie, al pari di quelle cinematografiche. Per ovviare a tale spesa, sempre più publisher rivolgono la propria attenzione alle microtransazioni, che permettono di continuare ad avere delle entrate anche successivamente alla pubblicazione di un gioco. Questo avviene nel caso dei titoli pay-to-play, come i tripla A, ma con i titoli gratuiti, i free-to-play, le microtransazioni rappresentano a volte l’unica fonte di guadagno per gli sviluppatori[1].

Origini del fenomeno

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Pur restando un modello di marketing abbastanza recente, anche le microtransazioni hanno una loro storia. Alla fine degli anni Novanta, con la crescita della popolarità di internet, le persone cominciarono a scaricare contenuti videoludici online. Gli sviluppatori e gli hobbisti vendevano o condividevano espansioni di giochi per PC come contenuto scaricabile, i DLC. Nel 2002, Microsoft rilasciò Xbox Live, una piattaforma online per la propria console, Xbox, che permetteva ai giocatori di comprare direttamente i DLC.

Nel 2006 ci fu la prima microtransazione fatta da uno dei grandi publisher. Bethesda implementò un'armatura da cavallo in The Elder Scrolls IV: Oblivion per 2.50$[3][4]. Molti giocatori reagirono negativamente, ritenendo eccessivo il prezzo. Bethesda, come altri publisher, cominciarono ad usare le microtransazioni come un'entrata di denaro extra. Nel 2008, lo store iOS lanciato sui primi iPhone, e i giochi presenti al suo interno usavano le microtransazioni come fonte primaria di guadagno. Nei primi tre anni successivi al lancio, le app di iOS fecero 3.6 miliardi di dollari, con oltre 15 miliardi di download, e l'80% dei guadagni veniva dai giochi mobile[5].

Tale modello si è rapidamente spostato anche al settore dei videogiochi per PC e console, integrando acquisti opzionali in titoli con componente multiplayer, principalmente sportivi e sparatutto, ma non solo. Spesso le microtransazioni in giochi già venduti a prezzo pieno riguardano miglioramenti che poco influiscono sulle prestazioni di gioco e che servono a personalizzare personaggi e armi per distinguersi, per crearsi uno stile proprio. Non è sempre questo il caso. Perché la nuova fonte di introiti per sviluppatori e publisher, che grazie a DLC a pagamento e acquisti in-game possono prolungare nel tempo la remuneratività del proprio videogioco, ha spinto il comparto microtransazioni ad esercitare un’influenza maggiore sul gioco. Di conseguenza si sono verificati casi in cui gli acquisti si sono trasformati in veri e propri vantaggi che mettevano i giocatori disposti a spendere in condizione di superiorità rispetto ai più parsimoniosi, invogliandoli a mettere mano al portafogli per non restare indietro o portandoli ad abbandonare il gioco per frustrazione[6].

Alcuni esempi

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Per poter inquadrare in modo completo la situazione è necessario esaminare altri esempi di applicazione del metodo di guadagno fornito dalle microtransazioni. Prendiamo in esempio i differenti approcci adottati da diverse case di produzione su quattro giochi importanti del mondo videoludico: GTA 5 (2013), Tom Clancy's Rainbow Six: Siege (2015), Overwatch (2015) e League of Legends (2009)[7].

  • in GTA V ad esempio, è possibile acquistare con moneta reale della valuta di gioco, sotto forma di carte di credito chiamate "Shark Card" da spendere poi per acquistare armi, proprietà, veicoli a propria scelta. Tale valuta può essere anche ottenuta con le normali attività di gioco, senza acquisti in-game. Solamente che quest'ultimo metodo necessita di una quantità enorme di ore di gioco per poter essere messo in pratica. Con le tempistiche del processo estremamente lunghe, diventa quasi impossibile per la maggior parte dei giocatori ottenere tutti gli elementi acquistabili con quella valuta. L’esasperazione del tempo necessario ad ottenere gli "item" spinge quindi i giocatori ad usare le microtransazioni.
  • In Tom Clancy’s Rainbow Six Siege, vi è la possibilità di acquistare personalizzazioni per il proprio operatore e nuove mimetiche per le armi, ma contemporaneamente esistono dei pacchetti speciali di tipo estetico, specifici per i singoli operatori, che non è possibile acquistare senza spendere moneta reale. Seppure si tratta di personalizzazioni estetiche, gli utenti non possono acquisirle solamente giocando.
  • in Overwatch, questo sfrutta il sistema delle loot box. Ad ogni aumento di livello ed in altre occasioni speciali otterremo dei “pacchetti”, all’interno dei quali, in maniera casuale, avremo la possibilità di trovare personalizzazioni estetiche per i nostri eroi. È possibile ottenere questi pacchetti semplicemente giocando, ma anche acquistandoli direttamente dal negozio virtuale presente nel gioco.
  • in League of Legends, gioco interamente free-to-play, l'utente ha la possibilità di acquistare "skin" o nuovi eroi spendendo soldi reali, ma anche completando alcuni requisiti di gioco[7].

In GTA V è possibile scegliere cosa acquistare, escludendo così qualsiasi fattore di casualità, e si ha la possibilità di ottenere gli stessi oggetti gratuitamente, per quanto in tempistiche lunghe. Anche in Tom Clancy’s Rainbow Six Siege è possibile scegliere cosa acquistare, ma viene esclusa la possibilità di ottenere determinati articoli giocando. In Overwatch è impossibile scegliere cosa acquistare, poiché i pacchetti contengono oggetti casuali, ma si garantisce la possibilità di ottenere i pacchetti e gli oggetti in essi contenuti giocando. Nonostante si possa affermare che il fattore casualità presente nel caso di Overwatch possa causare la necessità di un elevato numero di ore di gioco per ottenere gli oggetti desiderati, questi ultimi si limitano ad un fattore estetico, che seppur importante all’interno di un titolo risulta meno decisivo rispetto, ad esempio, agli oggetti di GTA V, il cui mancato ottenimento impedisce al giocatore di sperimentare nuove forme di gameplay[7].

Una delle tipologie che hanno avuto più successo, sempre più popolare e usata negli ultimi anni, sono le loot box. Letteralmente "scatole di bottino", esse si presentano come "pacchetti", all’interno dei quali sono presenti un determinato numero di oggetti, di valore sconosciuto. La particolarità sta nel fatto che la spesa effettuata non corrisponde all’acquisto dell’oggetto desiderato, ma semplicemente alla possibilità che tale oggetto venga ottenuto[7]. In modo da chiarire ancor di più la questione adotto un esempio: scegliendo di acquistare, ipotizziamo a 0.99 euro, uno di questi pacchetti, il giocatore starà acquistando la possibilità di ottenere qualcosa che ritiene interessante all’interno dello stesso. Le loot box si possono paragonare ai gratta e vinci, avendo molte caratteristiche simili. Alcuni governi, USA, Belgio e Australia in primis, hanno trasformato la questione in una politica avviando un’indagine per valutare o meno come effettivi giochi d'azzardo i titoli che ne fanno uso[7].

Caratteristiche

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Dietro a questo modello economico è presente un'intera concezione del videogioco, completamente diversa da quella cui eravamo abituati in passato. Nel business classico, il videogioco è un prodotto finito che si esaurisce, la cui economicità gira attorno al prezzo da pagare per averlo. In quest'ultimo sono comprese tutte le spese sostenute per produrlo, distribuirlo e garantirgli un periodo di assistenza tecnica, ma la sua natura non prevede ulteriori esborsi da parte dell'acquirente e non garantisce quindi altre forme di ricavo al produttore[8].

Il modello economico dietro alle microtransazioni è completamente differente ed è stato affinato nel corso degli anni, influendo sui titoli di moltissimi generi. In un titolo con microtransazioni ciò che conta non è la vendita iniziale, ma l'economicità del ciclo che si viene a creare. Il valore di un videogioco non è dato dalla singola microtransazione, ma dalla capacità di creare un ciclo che tenga più giocatori possibili nel tuo gioco, che viene chiamato il Retention Rate. Il calcolo del valore di un titolo free-to-play non si basa sulle vendite, che nemmeno esistono, ma su una serie di fattori. Quest’ultimi sono i DAU, Daily Active Users (utenti attivi in un giorno), i MAU Monthly Active Users (utenti attivi in un mese), l'ARPU, Average Revenue Per User (ricavi medi per singolo utente), l'ARPPU, Average Revenue Per Paying User (ricavi medi per utente pagante), l'ARPDAU, Average Revenue per Daily Active User (ricavi medi per utenti attivi in un giorno) e l'ARPMAU, Average Revenue Per Monthly Active User (ricavi medi per utenti attivi in un mese). Ad esempio, i ricavi giornalieri si calcolano moltiplicando i DAU x ARPDAU, mentre i ricavi mensili moltiplicando i MAU x ARPMAU[8].

Tutta questa serie di fattori non basta per comprendere il valore economico di un singolo videogioco. C'è bisogno di tenere in considerazione anche altri quattro valori: il Lifetime Value, LTV, ossia il profitto medio per giocatore, il Churn Rate, ossia il tasso di abbandono del gioco calcolato su base giornaliera o mensile, il CPA, Cost Per Acquisition, ossia il costo di marketing per singolo giocatore acquisito, che solitamente aumenta con il passare del tempo ed infine il Lifetime Overheads, ossia tutti quei costi necessari per mantenere vivo il gioco. Sostanzialmente quando i profitti medi per giocatore calano al punto da non riuscire più a compensare i costi di acquisizione e quelli di mantenimento, il gioco finisce in perdita e viene chiuso.

Per far arrivare un titolo basato su microtransazioni al successo bisogna quindi lavorare sui KPI, ossia tutti quei valori che permettono di misurarne la diffusione, come l'Engagement, che valuta la regolarità con cui i giocatori tornano in gioco e i già citati tassi di Retention e Churn. Solo infine arrivano i valori per cui tutti gli altri assumono un senso, ossia la spesa media dei paganti e il tasso di conversione dei giocatori in paganti, che nel caso di giochi dal prezzo Premium non hanno avuto accesso gratuito, ma hanno già pagato una certa cifra per entrare in gioco. Secondo una ricerca del 2018[9], le microtransazioni porteranno il mercato digitale dei videogiochi a valere 160 miliardi di dollari. E che nonostante l’attenzione negativa attirata negli ultimi anni, continueranno a giocare un ruolo importante nel mercato digitale.

  1. ^ a b c d Lorenzo Arduino, “Microtransazioni: cosa sono e cosa significano nel mercato videoludico di oggi”, su uagna.it. URL consultato il 21 giugno 2021.
  2. ^ (EN) Manel González-Piñero, Redefining The Value Chain Of The Video Games Industry, Elverum, Kunnskapsverket, 2017, ISBN 978-82-93482-15-4.
  3. ^ (EN) Mike Williams, The Harsh History of Gaming Microtransaction: from Horse Armor to Loot Boxes, su usgamer.net. URL consultato il 21 giugno 2021.
  4. ^ (EN) James Ransom-Wiley, Bethesda responds to Oblivion backlash, su engadget.com. URL consultato il 21 giugno 2021.
  5. ^ (EN) Simon Pope e Trudy Muller, Apple’s App Store Downloads Top 15 Billion, su apple.com. URL consultato il 21 giugno 2021.
  6. ^ Jury Livorati, Lo scandalo microtransizioni nei videogiochi: cosa c’è da sapere, su lenius.it. URL consultato il 21 giugno 2021.
  7. ^ a b c d e Lorenzo Arduino, Le Microtransazioni sono positive o negative nei videogiochi? Tipologie e differenze per capirlo, su uagna.it. URL consultato il 21 giugno 2021.
  8. ^ a b Simone Tagliaferri, La psicologia perversa delle casse premio. Cerchiamo di capire perché le casse premio sono assimilabili al gioco d’azzardo, su multiplayer.it. URL consultato il 21 giugno 2021.
  9. ^ (EN) James Batchelor, Loot boxes expected to drive games market to $160 billion by 2022, su gamesindustry.biz. URL consultato il 21 giugno 2021.
  • (EN) Manel González-Piñero, Redefining The Value Chain Of The Video Games Industry, Elverum, Kunnskapsverket, 2017, ISBN 978-82-93482-15-4.

Collegamenti esterni

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