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La prima conquista italiana del Corno di Cavento

Prima battaglia del Corno di Cavento
Vista attuale del Corno di Cavento e della Vedretta di Lares da Cima Presena
Data15 giugno 1917
LuogoCorno di Cavento
Schieramenti
Comandanti
Quintino RonchiFelix Hecht Von Eleda
Effettivi
1300 alpini65 Kaiserjäger
Perdite
8 morti, 111 feriti, 1 disperso9 morti, 26 feriti, 12 dispersi
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La situazione del fronte dell'Adamello, precedente alla conquista italiana del Corno di Cavento,

risulta essere molto complessa poiché il 12 aprile 1916 il Regio Esercito diede il via ad un grandissimo attacco che prevedeva di conquistare la linea delle Lobbie-Cresta Croce-Dosson di Genova-Monte Fumo. L'azione organizzata e gestita dal Colonnello Carlo Giordana nonostante alcune iniziali difficoltà riuscì ad ottenere i risultati sperati, grazie anche al primo vero utilizzo di alcune truppe speciali ovvero i cosiddetti Alpini Skiatori, ovvero truppe addestrate a combattere mediante l'utilizzo di sci. Dopo queste prime conquiste si decise di proseguire l'avanzata studiando un nuovo attacco che avrebbe dovuto portare alla conquista delle linee Passo di Cavento-Menecigolo e Passo Maroccaro-Passo di Cercen, per poi arrivare ad impadronirsi del Mandrone e dei Monticelli. Questo secondo scontro ebbe inizio nella notte tra il 28 e il 19 aprile 1916 e a differenza della prima, si ebbero molte più difficoltà a conquistare gli obbiettivi prefissati. Infatti, nonostante le veloci conquiste del Passo di Cavento e del Crozzon di Fargorida, gli attaccanti si arenarono completamente nel cercare di conquistare il Passo di Fargorida. Dopo l'iniziale ritirata il Colonnello Giordana ordinò per il giorno seguente un altro attacco che avrebbe dovuto far cadere la linea Passo Fargorrida-Passo Topette il quale però si rivelò a sua volta essere infruttuoso e sanguinoso. Venne a crearsi una situazione di stallo che fu interrotta solo il 10 maggio con la conquista del Passo del Diavolo effettuata dal Tenente Arturo Galletti. Questa inaspettata conquista fece ritirare le truppe austriache permettendo così raggiungere tutti gli obbiettivi prefissati riuscendo a dilagare nella Val di Genova.[1]

Quello che risulta lampante è la mancata conquista italiana del Corno di Cavento, come mai non venne conquistato nonostante la presa del Passo omonimo? Sono molte le versioni e tutte entrano in contrasto tra di loro: c'è chi sostiene che la conquista fu impedita dal comando, o chi sostiene che il Capitano Nino Calvi arrivò in vetta e poi fu obbligato a scendere. Il generale Cavaciocchi sostenne infatti che era parte dei piani la presa del Corno di Cavento, ed era da eseguire non appena il passo fosse stato conquistato. La mancata conquista deriva dalla stanchezza delle truppa che non sarebbe stata in grado di sostenere un'ulteriore scalata di oltre due ore e per questo l'ascesa venne rimandata al giorno dopo dando così il tempo alle truppe austroungariche di poter giungere indisturbate alla vetta. Un'ulteriore testimonianza fornita dal Capitano Aldo Varenna evidenzia appunto come oltre alla stanchezza fisica, non si disponeva del numero di uomini necessari per conquistare e dare una prima struttura difensiva al Corno di Cavento. Solo gli eventi successivi dimostreranno l'importanza di questa mancata conquista.[2]

La conquista austriaca

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Dopo la perdita del Passo di Cavento gli austriaci non persero tempo decidendo così di occupare il Corno di Cavento. La loro speranza era quella che le truppe italiane non si fossero già avviata verso la cima e di conseguenza, una volta giunti lì, trovare già un piccolo presidio italiano. Di conseguenza la sera del 29 aprile 1916 venne incaricato il Tenente Feichtner e il suo reparto della 2^ compagnia del 170° Battaglione Landsturm, di avviarsi verso il Corno. La marcia partì da Vigo Rendena (627 m), per giungere poi al Rifugio Carè Alto (2450 m), proseguendo senza sosta fino ai Pozzoni (2915 m), dove vengono lasciati gli uomini più esausti a rinforzare il già esistente presidio. Con i pochi uomini rimasti, 25 per essere precisi, dopo aver attraversato la Vedretta di Lares giungono finalmente sulla vetta, alle due di notte del 30 aprile, a 3406 metri di altitudine. Vengono coperti 2779 metri di dislivello con una marcia ininterrotta di 30 ore, marcia effettuata completamente affardellati e con tutto il materiale necessario per creare un primo vero presidio, inclusa una mitragliatrice da 40 kg. Fortunatamente per loro non trovarono nessuna a presidiare la vetta e perciò non persero tempo e iniziarono ad improntare i primi e rudimentali sistemi di difesa: vennero infatti create due piccole caverne a 200 m a sud del Corno, potendosi così riparare, piazzandoci davanti l'unica loro mitragliatrice, puntandola in direzione Passo di Cavento, luogo da poco conquistato dalle truppe italiane. Per cercare di dare ulteriore forza alla zona appena conquistata, il 2 maggio arrivò da Trento il Capitano Theodor Bernatz con il suo 59° Rainer.[3]

Le postazioni di difesa austriache

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Dopo essere giunti sulla cima del Corno di Cavento le truppe austriache si rendono subito conto delle innumerevoli difficoltà che tale conquista comporta, ci troviamo infatti a 3406 metri d'altitudine e le condizioni di vita sono molto proibitive: dal diario del Tenente Felix Hecht Von Eleda, colui che comanderà il presidio militare dal 7 febbraio 1917, emerge come i turni di sentinella non potessero durare più 30 minuti in quanto la temperatura, sfiorando i -20°, con picchi anche a -30°, rendeva praticamente impossibile la permanenza a tali condizioni climatiche per più di quel tempo[4]. Visto le condizioni impossibili, gli uomini del Capitano Theodor Bernatz ricevettero il cambio dal 161° Landstrum comandato a sua volta comandato dal Capitano Felix Fahrner[5]. La situazione difensiva austriaca al suo arrivo era la seguente: alcune piccole caverne di ghiaccio con solo delle coperte. Nel tardo pomeriggio dell'11 maggio le truppe italiane conquistano la linea di cresta di cui facevano parte il Crozzon di Lares, le Topette, il Passo Fargorida e il Passo del Diavolo, alle richieste di rinforzi del Capitano Fahrner il comando austriaco rispose ordinandogli di abbandonare il Corno di Cavento per attestarsi sulla linea Carè Alto-Pozzoni. Di sua spontanea iniziativa però, il capitano, decise di non ritirarsi, decidendo così un piano di lavoro che avrebbe dovuto rendere difendibile l'intera nuova linea: sulla cima del Cavento vennero lasciati a presidiare 20 soldati, alle dipendenze dell'Alfiere Mittersackschmöller, con una mitragliatrice e due cannoncini da fanteria mentre il giorno seguente, ovvero il 12, venne tracciata una nuova linea di trinceramenti che dai Pozzoni arrivava fino al Folletto. I lavori vennero realizzati nella notte tra il 12 e il 13 maggio scavando la trincea a mani nude visto la completa mancanza di pale e picconi, persi durante la marcia d'avvicinamento alla prima linea. Alle ore 3 del mattino vennero terminati i lavori e all'interno di questa nuova trincea di neve vennero subito posizionati 60 uomini con due mitragliatrici, così come vennero installati anche due piccoli caposaldi: uno su una roccia rivolto verso il Crozzon di Lares e l'altro, sempre su una roccia, ma con fronte sulla Ragada[6]. Sorge però un problema: la neve continua rende praticamente inservibile per giorni questi primi trinceramenti poiché pieni di neve, di conseguenza venne apportato un primo grande lavoro che permise di tramutare questo grande trinceramento in una lunghissima galleria. Il Comando austriaco rendendosi conto dell'importanza che avrebbero potuto avere tali opere, e disponendo a sua volta di ottimi ingenieri, servendosi della traccia realizzata dal Capitano Fahrner, decise di improntare un piano che in sole sette settimane portò alla realizzazione di ben 6780 metri di gallerie invisibili al Regio Esercito. Il lavoro venne realizzato completamente a mano da un gruppo di genieri, tre gruppi di zappatori e 40 uomini del reparto lavori[7]

Caratteristiche della galleria

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Nonostante il brevissimo tempo in cui fu realizzata la galleria fu pensata con delle caratteristiche ben specifiche, utili per evitare ingorghi e per velocizzare il più possibile il transito di uomini provenienti dalla prima linea o che dai Pozzoni si dirigevano verso il Corno di Cavento. Nei tratti in cui la galleria prevedeva la marcia a senso unico la sua larghezza era di 1 metro, approntando però ogni 30-40 metri una piccola piazzola dove poter cedere il passo. Dove la circolazione prevedeva il doppio senso si era pensato ad una larghezza maggiore arrivando a 1.30 metri di larghezza, in entrambi i casi però l'altezza massimo era stata impostata a 2 metri con una pendenza massima del 10%. Trovandosi all'interno del ghiacciaio la possibilità di imbattersi in alcuni crepacci è molto elevata, per questa ragione si attuarono due strategie: evitare quelli più larghi mentre quelli più piccoli, se aggirarli era impossibile. realizzare dei solidi ponti di legno. Per mantenere la ventilazione vennero creati dei camini di legno e delle piccole aperture laterali ad S, munite di porte di disimpegno. La luce dove possibile doveva essere naturale, così come vennero previsti dei telefoni a muro, eventuali cartelli di segnalazione e le latrine ogni 500 metri. La pavimentazione era composta da assi in legno e in caso la pendenza superasse determinate percentuali era prevista la realizzazione di scale, sempre in legno. Oltre per scopi di collegamento la galleria era stata predisposta anche come utile strumento difensivo in caso di perdita della cima del Corno di Cavento: all'interno dei camminamenti erano infatti presenti reticolati e porte blindate così da poter isolare in zone specifiche il nemico.[8]

I capisaldi difensivi

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I due capisaldi precedentemente realizzati dal Capitano Fahrner, utili per una iniziale prima difesa, vennero aumentati arrivando ad essere un totale di 8, disposti ad una distanza compresa tra i 200 e i 350 metri, mettendo così a disposizione per la difesa all'incirca 140 uomini.

Settore Pozzoni

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Nel settore dei Pozzoni erano stati predisposti 4 capisaldi: il primo formato da 1 postazione, un riflettore e un ricovero predisposto ad ospitare 7 uomini; il secondo con una postazione più grande e una baracca da 5 uomini; il terzo con 3 postazioni e una baracca da 20 uomini; il quarto, posto al centro del ghiacciaio, formato da 2 postazioni, un riflettore, un piccolo ricovero per quattro uomini, una baracca adibita a dormitorio per 40 uomini, 5 magazzini e una cucina per gli ufficiali.

Settore Folletto - Cavento

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Anche in questo settore erano stati predisposti 4 caposaldi: il primo e il secondo erano stati predisposti in maniera uguale con 1 postazione, 1 riflettore, una baracca da 12 uomini; il terzo con 2 postazioni, 2 riflettori, una baracca predisposta per 12 uomini ed una più piccolina per 2; il quarto, molto più grande e vicino al Folletto, composto 3 riflettori (due verso il Caré Alto e uno vicino al Cavento), una baracca per 35 uomini, due baracche da 12 uomini ciascuna, una grande baracca per gli ufficiali, il magazzino, la cucina e il telefono.[9]

Il piano d'attacco

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Le motivazioni dell'attacco

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Il piano di battaglia

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L'obbiettivo della conquista era quello di sfondare le difese nemiche sulla Vedretta di Lares, per poi aggirarla e distruggere le difese austriache, e attaccare frontalmente e ai fianchi il Corno di Cavento cercando di mantenerne il possesso una volta conquistato.

Per cercare di raggiungere tutti gli obbiettivi prefissati e facilitare l'assalto si diede disposizione all'artiglieria compiere, in due fasi prestabilite, il supporto alle truppe attaccanti: la prima fase il tiro delle artiglierie avrebbe dovuto cominciare alle 4.30 del mattino, rinunciando al tiro di controbatteria, per focalizzarsi principalmente il Corno di Cavento utilizzando il maggior numero possibile dei mortai da 149A, dei due 70 M posti al Crozzon di Lares, i due 75/906 a Cresta Croce e dei cannone dal 75/906 a Passo della Porta. le restanti bocche da fuoco disponibile avrebbero dovuto colpire la zona tra Vedretta di Lares - Monte Covel e la zona sul del Corno di Cavento, concentrandosi maggiormente sulle ridottine 3, 4, 5, 6, occupandosi anche del fuoco di interdizione alle spalle dello stesso Cavento. Venne stabilito che, al fine di trarre in inganno il nemico, di intervallare, in questa prima fase, le pause di tiro, riprendendole in maniera molto violenta dopo pochi minuti. La seconda fase invece prevedeva, scattato ufficialmente l'attacco, di aumentare il tiro di interdizione nella zona delle Vedretta di Niscli, sulla cresta Carè alto - Folletto, al fine di prevenire l'avvicinamento, dalle retrovie, di ulteriori plotoni nemici. in questo caso il fuoco di controbatteria si disponeva solo ed esclusivamente a conquista avvenuta e solo se le truppe si fossero trovati in una situazione di reale pericolo.

Le truppe a disposizione per l'attacco dovevano svolgere tutte un ruolo specifico:

-il Battaglione Monte Mandrone avrebbe dovuto mantenere le posizioni mandando dei drappelli comandati da Ufficiali esperti, con l'obbiettivo di rifornire le varie truppe. Ottenne inoltre l'ulteriore compito di mantenere contatto con le truppe skiatori attaccanti inviando poi anche due drappelli, composti da 30 uomini ciascuno, che uniti al Battaglione Val Baltea avrebbero scalato il Corno ci Cavento.

-la 1^, la 9^ e la 10^ compagnia skiatori, comandata dal Maggiore Locci, avrebbero dovuto marciare nella notte per raggiungere le postazioni italiane del Crozzon del Diavolo, a quota 3015 e 2973, con orario di arrivo alle ore 3, e da li cominciare l'attacco verso la Vedretta di Lares, puntando verso il centro. Punto focale del loro attacco erano le ridottine 3, 4, 5, 6 le quali andavano aggirate e distrutte.

-la 2^ compagnia skiatori alle dipendenze del Capitano Locci partendo dal Venerocolo avrebbero dovuto raggiungere, alle 3.30 del mattino, le postazioni italiane ad ovest del Passo del Diavolo. all'avvio dell'attacco il suo compito era quello di seguire le altre truppe skiatori verso la Vedretta di Lares, fornendogli una iniziale protezione, per poi dirigersi verso il versante est del Corno di Cavento. Parte degli uomini avrebbero però dovuto staccarsi e giungere al Monte Folletto per fare in modo di tagliare una possibile ritirata e l'arrivo di ulteriori truppe austriache dal Carè Alto.

-il Battaglione Val Baltea dopo aver marciato e raggiunto le postazioni tra il Crozzon di Lares e il Passo di Cavento alle ore 3.20 del mattino, al segnale d'attacco, avrebbe dovuto iniziare l'attacco da nord a sud e, una volta raggiunta e conquistata la cima, farla presidiare da una sezione mitragliatrice favorendo così l'arrivo di tutti i materiali utili a preparare la difesa del Cavento.

-la compagnia del 3^ Volontari Alpini, distaccatasi dal Battaglione Val Baltea e raggiunto il Passo della Lobbia, unita a quattro compagnie di marcia dispiegate al Passo Garibaldi, avrebbero formato la riserva e alle dipendenze del Capitano Bresciani avrebbero dovuto vigilare il fronte nord tramite l'utilizzo di alcune pattuglie.

-il comandante del sottozona Lagoscuro - Mandrone avrebbe dovuto controllare e vigilare la zona della Val di Genova, dislocando metà compagnia del Battaglione Edolo al Passo di Lagoscuro, e metà a Prà dell'Orto come riserva per la sottozona.

-il comandante della sottozona Val di Fumo avrebbe dovuto mantenere attiva vigilanza sul fondo della Val di Chiese.

Oltre a tutte queste precise disposizioni di decise di aumentare le difese e l'occupazione del Passo della Porta, di Forcel Rosso ed Ignaga.

Per quanto riguarda i collegamenti telefonici, importanti per mantenere la comunicazione attiva durante tutta la battaglia, la 4^ Compagnia Telegrafisti, un giorno prima della battaglia, avrebbe dovuto ispezionare tutta la linea, riformato il personale e distribuito tutto il materiale necessario per intervenire e riparare il più velocemente possibile le linee rotte, così come, a conquista avvenuta, devo adoperarsi per allacciare la comunicazione in cima al Corno di Cavento. la Sezione telefonica Divisionale durante l'attacco provvederà a collegare le Compagnia Skiatori 1^, 9^ e 10^ col Passo del Diavolo e la 2^ con il Passo di Lares. Si dispone ulteriormente che ai posti telefonici dei rispettivi due passi vengano posti due ufficiali subalterni dei Battaglioni Monte Mandrone e Val Baltea per mantenere il contatto costante con Generale Quintino Ronchi. Per l'azione si vede necessario installare delle stazioni eliografiche in punti strategici: a Punta dell'Orco a disposizione del Battaglione Monte Mandrone, a, Passo del Diavolo a disposizione dell'artiglieria, al Crozzon di Lares con il Battaglione Val Baltea e l'artiglieria e a Punta Lobbia Alta con il comando del 4° Alpini.

Si dispone inoltre che al Passo della Lobbia Alta vengano fatti partire i vari razzi di segnalazione per scandire il procedere della battaglia: un razzo a fumata per la sospensione del fuoco di artiglieria, due razzi a fumata contemporanei per la ripresa del fuoco di artiglieria, tre razzi a fumata contemporanei per l'allungamento del tiro, due razzi sibilanti contemporanei per l'inizio dell'attacco di fanteria.

Vengono disposte poi alcune prescrizioni: la marcia di avvicinamento deve procedere in maniera lenta, ordinata e silenziosa, cercando, una volta raggiunte le postazioni di partenza, di mantenersi il più nascosti possibile; eliminare il materiale superfluo per alleggerire il più possibile la manovra disponendo però in maniera obbligatoria di bombe a mano, pinze tagliafili, racchette, occhiali, passamontagna e unguento; spingere l'azione a fondo e con il massimo vigore raggiungendo gli obbiettivi a qualunque costo; portare senza esitazioni in prima linea le mitragliatrici; l'azione delle compagnie skiatori deve procedere per nuclei intervallati ma comunque deve essere rapida e violenta, portando il più velocemente possibile sui fianchi le mitragliatrici e le pistole mitragliatrici; si viete l'utilizzo delle parole difficile e impossibile all'interno delle comunicazioni di servizio; tutte le truppe attaccanti devono disporre delle uniformi bianche; è obbligatorio l'utilizzo della maschera antigas; le notizie urgenti devono essere trasmesse subito, le restanti, anche se negative, ogni mezz'ora; ai comandanti delle sottozone verrà comunicato il giorno dell'operazione tramite un fonogramma cifrato con la seguente frase: "domani inaugurazione del nuovo rifugio".[10]

Alle 4.30 del mattino inizia un bombardamento che vede scaricare sulle linee austriache più di 5600 granate di artiglieria, sparando a momenti alternati per trarre in inganno il nemico, come previsto dal piano d'attacco. alle ore 9.30 del mattino vengono lanciato i due razzi sibilanti che sanciscono l'inizio dell'attacco delle fanterie.[11]

Le Compagnie Skiatori

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Le Compagnie Skiatori furono le prime ad uscire: dal Passo del Diavolo uscì per prima la 1^ Compagnia Skiatori (comandata dal Capitano Guido Bertarelli), la 9^ Compagnia (comandata dal Capitano Natale "Nino" Calvi) che punta in direzione Monte Coel, la 10^ Compagnia (comandata dal Capitano Marco Elter e dal Tenente Mangili); di seguito, sempre alla stessa ora, dal Passo Lares esce la 2^ Compagnia (comandata dal Capitano Zamboni) in direzione delle ridottine 2 e 3.[12] L'avviciniamento agli obbiettivi prefissati procede in maniera molto rapida, con gli sci in discesa si procede molto più velocemente e il rischio di essere colpiti è molto più limitato. Nonostante questo le truppe vennero avvistate in maniera molto celere e su di loro iniziarono a concentrarsi le mitragliatrici poste sulle ridottine e le artiglierie. Le prime vere difficoltà iniziarono quando, finita la discesa, si dovette iniziare la parte in salita, con sempre gli sci attaccati ai piedi. Visto le non poche difficoltà le Compagnie Skiatori furono costrette ad avanzare in posizione eretta, diventando molto presto un facile bersaglio e questo, unito alla mancanza di ripari sulla Vedretta di Lares, il continuo fuoco avversario vede, dopo solo mezz'ora dall'inizio dell'attacco, l'inevitabile rallentare dell'avanzata. Con l'arrivo delle mitragliatrici poste sulle slitte si potè finalmente rispondere al fuoco, iniziando un lento ma costante avvicinamento che li porta a meno di 500 metri dalle linee nemiche.[13]

Battaglione Val Baltea e Battaglione Mandrone

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Dal passo di Cavento il plotone Arditi del Battaglione Monte "Mandrone" (comandato dal Tenente Degli Albizzi), seguito da tre plotoni della 249^ compagnia del Battaglione "Val Baltea" (comandato dal Tenente Battanta), si dirigono in direzione della presa nord del Corno di Cavento; il S.Tenente Talese con un altro plotone di quest'ultimo, partendo sempre dal passo di Cavento, aggira la posizione così detta della "Bottiglia". L'avanzata avviene in maniera rapida, in poco tempo il Tenente Degli Albizzi, seguito dal Tenente Battanta riescono a conquistare la posizione della "Bottiglia", ricongiungendosi con il S. Tenente Talese, il quale avanza verso una ridottina sulla sinistra. Nonostante questa rapidità nell'avanzare, verso le ore 11 venne a crearsi una situazione di stallo dovuta al fatto che una mitragliatrice inizia a puntare in maniera costante le posizioni del S. Tenete Talese e il Ten. Degli Albizzi, trovatosi di fronte ad un roccione dritto, nei pressi della vetta, è costretto a fermarsi visto il continuo lancio di bombe a mano austriache dall'alto. Per cercare di sbloccare la situazione gli alpini iniziarono a lanciare una serie di granate verso la postazione nemica la quale, unita alla mitragliatrice italiana posizionata sulla Punta Attilio Calvi, li costringe alla fuga. Superate queste difficoltà dopo più di un'ora, utilizzando dei fucili, venne spinto sopra al roccione liscio il Sergente Baldissarutti che lanciando una corda, fece salire il resto dei soldati che ormai si erano fra di loro mischiati. Degli Albizzi proseguì così verso la vetta, mentre Battanta con i suoi uomini si dirise verso la galleria del Cavento nella quale si erano nascosti gli ultimi difensori.[14]

La scalata della parete ovest

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Oltre a tutte queste azioni era prevista anche una scalate in cordata della parete ovest del Corno di Cavento. Alla scalata parteciparono due colonne ben distinte di soldati: quella di destra formata da una pattuglia di guide alle dipendenze del Sergente Ernesto Fioretta, quella di sinistra formata dalla Compagnia Allievi Ufficiali comandata dal Capitano Alfredo Patroni e il Tenente Auguadri. Anche in questo caso, dopo un inizio non difficoltoso, dovuto dalla scarsa rapidità del pendio, le cose iniziarono a complicarsi quando dalla sommità iniziarono a piovere continuamente massi di granito e ghiaccio dovuti dai continui colpi d'artiglieria che colpivano ininterrottamente la vetta, iniziarono così ad accumularsi i primi feriti, aumentando sempre di più la difficoltà della scalata. il continuo aumento della rapidità rendeva sempre più difficoltosa la creazione dei vari scalini di ghiaccio e questo, unito all'incredibile peso portato sulle spalle (fucile, duecento cartucce, due bombe a mano, vivrei per la giornata, e scatola in lamiera porta maschera antigas) blocca momentaneamente la salita. Per poter procedere si decise di far avanzare i soldati più abili i quali, dopo il superamento di un particolare tratto, avrebbero calato una fune con la quale unire insieme tutti i fucili e portarsi così su, per poi far salire tutti i soldati. La scalata del Capitano Patroni, ormai prossimo alla cima, viene ostacolata da alcuni austriaci in cresta, per evitare quello che sarebbe potuto essere un massacro il Tenente Auguadri decise in solitaria di aggirare questa piccola pattuglia permettendo così il raggiungimento definitivo della vetta per poter così presidiare la zona e fare colazione.[15]

Alle ore 12.40 il Corno di Cavento venne ufficialmente conquistato dalle truppe del Regio Esercito[16] che iniziarono già nel pomeriggio a sistemare tutte le varie posizioni di difesa. Vicenda esemplare è quella del comandate del presidio austriaco ovvero il Tenente Felix Hecht Von Eleda poiché durante la battaglia perse la vita colpito da una scheggia che quasi lo decapitò. La morte dell'ufficiale fu il colpo definitivo per i soldati austriaci che decisero così di ritirarsi e abbandonare la vetta. Le vicende legate al corpo di Von Eleda sono molto discordanti, negli anni si sono succedute molte testimonianze che parlano di cosa successe in quei frangenti. Quello che è sicuro è che, visto il terreno roccioso e l'arrivo dell'estate che avrebbero reso precaria qualsiasi tipo di sepoltura sulla neve, si decise di far cadere all'interno del crepaccio terminale della parte ovest del Corno di Cavento tutti i caduti austroungarici, compreso il loro ufficiale. Le poche cose rimaste di lui furono il suo diario stenografato, che verrà poi tradotto e pubblicato da Dante Ongari e qualche piccolo oggetto personale come il suo anello, il suo cannocchiale e 2 macchine fotografiche.[17] Le perdite del Regio Esercito furono molto eseguite, dalla relazione finale del Colonello Quintino Ronchi si evince come 8 furono le vittime totali, 103 feriti, 1 disperso (tra gli uominio di truppa) e 8 ufficiali feriti. Gli unici a subire perdite furono le Compagnie Skiatori durante il momento di stallo dovuto alla mancanza di ripari sulle Vedretta di Lares.[18] Gli austriaci invece in questo attacco persero 9 uomini ed ebbero 26 feriti e 12 dispersi, la maggior parte di questi risulterà poi deceduta.[19]

La situazione post attacco

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Nonostante l'inevitabile perdita del Corno di Cavento i soldati austriaci, alla morte del loro ufficiale considerandosi senza speranza, si danno alla fuga precipitandosi all'interno della galleria che li porta fino al Folletto. L'ultimo a lasciare la vetta fu Heinrich Fraschio che insieme ai suoi commilitoni, per evitare di essere inseguito, fece crollare un ponticello di legno con un grosso sasso, lasciando dall'altra parte gli ultimi soldati ritardatari[20]. Non fu la perdita in se a preoccupare gli alti comandi austroungarici, poiché alle spalle del monte disponevano di un saldo sistema difensivo, il problema fu più a livello morale che portò al blocco delle successive offensive previste. Considerata la situazione, ritenuti di scarso in pegno e di essere scappati davanti al nemico, la I Compagnia Esploratori dei Kaiserjäger venne spedita per punizione in Albania anche se i principali artefici di questa sconfitta furono lo scarso aiuto fornito dall'artiglieria, la scarsa prontezza nell'inviare rinforzi da parte del Comando di Zona e il Servizio Informazioni per no essersi reso conto in maniera prematura di tutti i vari movimenti di preparazione che il Regio Esercito attuava da mesi.[21]

Dall'altra parte della medaglia invece gli alpini non persero tempo a rafforzare e rendere praticamente inespugnabile il Corno di Cavento. Come prima cosa a presidiare la vetta fu mandata la III Compagnia Volontari Alpini e metà della 241^ Compagnia del Battaglione "Val Baltea" che per primi si adoperarono per fortificare tutta la zona, visto e considerato che la maggior parte delle postazioni austriache devono considerarsi praticamente inutilizzabili visto l'esposizione alle artiglierie avversarie. Nel Marzo del 1918 la situazione che si presenta è la seguente: a presidiare la vetta e le ridottine circostanti troviamo all'incirca 190-220 soldati disposti tra la vetta, la postazione della "Bottiglia" (con una baracca composta da 10 uomini), le cosiddette "Ridottine", ovvero cinque piccole postazioni di resistenza munite ciascuna da 7-8 uomini, il "Trincerone" difensivo. Per mantenere il collegamento tra tutti queste postazioni vennero realizzati dei camminamenti che durante l'inverno si trasformano in una galleria, sono previste inoltre due linee telefoniche per mantenere i vari collegamenti ed un filo a sbalzo per smistare i vari rifornimenti che arrivavano dalla vetta. In tutto il sistema difensivo inoltre era prevista la presenza di una sezione autonoma di mitraglieri ( un ufficiale e una decina di uomini), un nucleo di genieri (Composto da fotoelettrici, eliografisti, telefonisti, teleferisti) e una sezione di artiglieria da montagna con due pezzi da 65mm.[22]

La situazione rimaste stabile e tranquilla fino a quando gli austriaci non lo riconquistarono il 15 giugno 1918, un anno dopo, nella seconda battaglia per il Corno di Cavento

  1. ^ Luciano Viazzi, I diavoli dell'Adamello: la guerra a quota tremila 1915-1918, Milano, Mursia, 2019, pp. 151-215.
  2. ^ Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, 2000, pp. 25-26.
  3. ^ Vittorio Marinelli, Corno di Cavento: Alpini, Kaiserjäger e Kaiserschützen, Brescia, Edizioni del Moretto, 1980, p. 21.
  4. ^ Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, maggio 2000, p. 87.
  5. ^ Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, maggio 2000, p. 32.
  6. ^ Felix Fahrner, La leva di massa salisburghese nella guerra di alta montagna, a cura di Armida Antolini e Rudy Cozzini, Strembo, Parco Naturale Adamello Brenta, 2015, pp. 63 - 66.
  7. ^ Vittorio Martinelli, Guerra Alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, maggio 2000, p. 41.
  8. ^ Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, 2000, pp. 42-45.
  9. ^ Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, 2000, pp. 45 - 47.
  10. ^ Maurizio Ruffo, Lo sci nell'esercito italiano dal 1896 ad oggi, Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore dell'Esercito, 1995, pp. 140-145.
  11. ^ Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, 2000, p. 131.
  12. ^ Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, 2000, p. 133.
  13. ^ Vittorio Martinelli, Adamello ieri-oggi: 3° volume, la Grande Guerra: gli anni 1917-1918, Brescia, Edizioni Vannini, 1074, pp. 58-67.
  14. ^ Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D.& C. Povinelli, 2000, pp. 133-139.
  15. ^ Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, 2000, pp. 134-139.
  16. ^ Luciano Viazzi, I diavoli dell'Adamello: la guerra a quota tremila 1915-1918, Milano, Mursia, 2019, p. 317.
  17. ^ Vittorio Martinelli, Guerra Alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, 2000, pp. 139-143.
  18. ^ Luciano Viazzi, I diavoli dell'Adamello: la guerra a quota tremila 1915-1918, Milano, Mursia, 2019, p. 322.
  19. ^ Tommaso Mariotti e Rudy Cozzini, Abschnitt Adamello 1915-1918: cronache di guerra dei reparti austro-ungarici dalla Presenella alla Valle S. Valentino, Strembo, Parco Naturale Adamello Brenta, 2018, p. 211.
  20. ^ Vittorio Martinelli, Corno di Cavento: Alpini Kaiserjäger e Kaiserschützen, Brescia, Edizione del Moretto, 1980, p. 97.
  21. ^ Vittorio Martinelli, Corno di Cavento: Alpini Kaiserjäger e Kaiserschützen, Brescia, 1980, pp. 155-156.
  22. ^ Vittorio Martinelli, Corno di Cavento: Alpini Kaiserjäger e Kaiserschützen, Brescia, Edizione del Moretto, 1980, p. 99.

Voci Correlate

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