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Traumi infantili

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Il trauma della prima infanzia, di solito, si riferisce a esperienze di natura traumatica che implicano i primi 6 anni di vita dei bambini. Siccome le reazioni dei più piccoli possono essere diverse da quelle dei bambini più grandi, in quanto, a causa di minacce o di eventi pericolosi, non sono in grado di spiegare le proprie reazioni, molti adulti ritengono che la tenera età li protegga dalle esperienze traumatiche. Sempre più ricerche mostrano che i bambini molto piccoli, anche i neonati, possono essere influenzati da eventi che minacciano la loro sicurezza e/o quella dei loro genitori o tutori e i loro sintomi sono stati ben documentati. Un trauma nel bambino può essere causato da atti di violenza intenzionale come abuso sessuale o fisico, violenza domestica oppure calamità naturali, incidenti, o guerre. Anche i bambini piccoli possono sperimentare uno stress traumatico di fronte a procedure mediche dolorose o perdita improvvisa di un genitore. [1]

Gli eventi di natura traumatica hanno un profondo impatto sui sensi dei bambini piccoli. Il loro senso di sicurezza può essere disturbato da stimoli visivi spaventosi, suoni forti, movimenti violenti e altre sensazioni legate a un evento imprevedibile e spaventoso. Le immagini inquietanti tornano sotto forma di incubi, nuove paure e giochi che ricreano l'evento. In mancanza di una conoscenza approfondita della relazione tra causa ed effetto, i bambini credono che i loro pensieri, desideri e paure abbiano il potere di influenzare la realtà e di provocare gli eventi. I bambini piccoli hanno una capacità limitata di anticipare situazioni pericolose o di garantirsi la sicurezza e per questo motivo sono particolarmente vulnerabili agli effetti del trauma. Ad esempio, un bambino di 2 anni malmenato dalla madre, reagisce e rivive il trauma in una maniera totalmente diversa da un bambino di 5 o 11 anni e alcune idee distorte sulla realtà (come i bambini che tendono a incolpare i propri genitori o se stessi per non aver cambiato l'esito di un evento spaventoso) peggiorano l'impatto negativo degli effetti traumatici sullo sviluppo. [2]

I bambini esposti a eventi traumatici sono particolarmente a rischio di vulnerabilità derivante dal rapido sviluppo del cervello. Il trauma nella prima infanzia è associato alla dimensione ridotta della corteccia cerebrale. Quest'area è responsabile di molte funzioni complicate che include memoria, coscienza, consapevolezza percettiva, pensiero, il linguaggio e l'attenzione. Questi cambiamenti possono influenzare e cambiare il loro quoziente intellettivo e la capacità di moderare le emozioni. Uno studio recente condotto su bambini di età compresa tra i 2 e i 5 anni, mostra che più della metà (52.5%) aveva vissuto un grave evento stressante (abuso, trascuratezza, traumi fisici, incidenti, esposizione a violenza domestica e di comunità). I bambini con sintomi di stress traumatico spesso hanno difficoltà a regolare il loro comportamento e le loro emozioni. Possono mostrare paura o presentarsi "appiccicosi" in nuove situazioni, si spaventano facilmente, sono difficili da consolare e/o sono aggressivi e impulsivi. Possono anche avere problemi per addormentarsi e perdere le abilità che hanno acquisto recentemente durante lo sviluppo mostrando anche un declino della funzione mentale nel funzionamento psichico e nel comportamento.

Altri studi hanno dimostrato che queste esperienze traumatiche possono portare ad una vulnerabilità nello sviluppo di sintomi dissociativi, ansia e depressione. La relazione di attaccamento tra madre e figlio è essenziale nelle prime fasi della vita per regolare l'arousal, cioè lo stato di attivazione del sistema neurovegetativo correlato ai cambiamenti nel corpo o nella struttura mentale dell'individuo. A livello fisico, coinvolge diversi sistemi biologici, come il sistema endocrino e il sistema nervoso autonomo, con risposte fisiologiche (sudore, frequenza cardiaca, pressione sanguigna, concentrazione di cortisolo, detto anche ormone dello stress), mentre dal punto di vista psicologico cambia l'espressione delle emozioni e dei comportamenti. Alcune esperienze traumatiche, come ad esempio nell'ambito di una relazione d'attaccamento, invece, possono portare danni nella formazione dei neuroni a specchio, che avranno un impatto negativo sulle abilità introspettive e sulle capacità interpersonali del bambino e del futuro adulto. [3] Per evitare ciò, molte risorse tra cui programmi di intervento precoce, sistemi sanitari, programmi di assistenza e di educazione dell'infanzia e servizi sociali per minori, si stanno muovendo per imparare a riconoscere il prima possibile i soggetti più vulnerabili. Alcuni di questi sistemi stanno provando a identificare alcune domande chiavi su eventuali esperienze traumatiche nei loro protocolli di valutazione (come ad esempio domande specifiche sugli infortuni o la perdita dei familiari). [4]


La guerra può dare origine a disturbi mentali e alla follia. Ciò può accadere immediatamente, durante il suo svolgimento, oppure successivamente, dopo giorni e anni. Nella prima guerra mondiale si è parlato di "psicosi traumatica da bombardamento", la psichiatria l'ha denominata "nevrosi da combattimento". In età contemporanea si parla di "sindrome da stress post-traumatico" che viene associato non solamente alla guerra, ma anche ad esperienze che possono suscitare traumi (come lo stupro o assistere alla morte improvvisa di una persona). [5]

La guerra causa sofferenza, i problemi sono molteplici (fame, sete, paura) e alcuni soldati arrivavano alla follia. Essi avevano costantemente paura della morte (provavano anche molta ansia) e ciò portava a incubi terrificanti a ripetizione. Tutto ciò durava anni ed era come una sorta di loop mentale, il trauma veniva rivissuto da svegli ma soprattutto da dormienti, non avendo così un momento di pace. Nella prima guerra mondiale, a causa di tutto ciò, iniziò anche il fenomeno dell'automutilazione. I soldati, piuttosto di continuare a vivere l'orrore della guerra, si sparavano in posti non vitali (come ad esempio mani o piedi) per uscire dalle trincee ed essere portati a farsi curare. Divenne una pratica così comune che i generali applicarono la legge marziale: qualora ci fosse stato il sospetto di una persona che si fosse provocata una ferita da sola e non in guerra, veniva fucilata. [6]

Gli psichiatri, successivamente, introdussero il termine "febbre da trincea", gli inglesi iniziarono a parlare di "shellshock", gli italiani parlarono di "vento degli obici" facendo riferimento all'esplosione di ordigni bellici. I soldati venivano colpiti da una misteriosa sindrome caratterizzata da paralisi, palpitazioni o tremori in ogni parte del corpo e spesso rimanevano in silenzio perdendo la capacità di parlare per qualche ora. Altri sembravano quasi "perdere la testa" per sempre, alcuni invece, dopo un periodo di riposo, riuscivano a tornare in sé. I medici cominciarono a pensare che si trattasse di un disturbo organico, causato da traumi cerebrali conseguenti all'esposizione alle esplosioni. Tuttavia, in un tempo molto breve, dimostrarono che non si trattava di ciò e cominciarono a prendere in considerazione ipotesi basate possibilità psicologiche. Prevaleva l'idea che nei soldati affetti dalla sindrome ci fosse una vulnerabilità fondamentale, che l'asprezza della guerra e le condizioni al fronte erano in grado di far rilevare. Tuttavia, gli esperti furono presto costretti ad ammettere che l'esperienza del logoramento e la tattica "delle spallate" aveva un effetto dannoso anche su coloro che non registravano particolari predisposizioni o difetti ereditari. La guerra stessa sembrava essere la causa della malattia. Nelle vicinanze del fronte furono istituiti ospedali per accogliere non solo chi aveva subito lesioni fisiche, ma anche chi mostrava segni di disagio psichico (si stima siano 40 mila le persone in Italia). Queste persone venivano talvolta curate e rimandate sul fronte, a volte, invece, venivano trattenute in un ospedale psichiatrico se i sintomi sembravano troppo strani o troppo gravi per essere trattati in un ospedale da campo. [7]

Durante la guerra del Vietnam, invece, nei soldati aumentò fortemente l'apatia e il senso di inutilità, per non esser stati in grado di aiutare i compagni in difficoltà. Oltre a ciò, si fecero più ricorrenti ricordi e incubi che facevano rivivere le esperienze più traumatiche del passato, influendo gravemente sulla memoria e la concentrazione dei sopravvissuti. I soldati, spesso, a fine guerra, decidevano di abbandonare le proprie famiglie per paura di compiere atti violenti nei loro confronti, concludendo la propria vita in isolamento, con i propri pensieri. Molti veterani vietnamiti furono intervistati sulle loro esperienze di guerra in quanto gli psichiatri desideravano sapere perché alcuni furono in grado di superare tale trauma mentre altri si ritrovarono incatenati dai ricordi. Si notò che molti di essi riuscirono a guarire perché durante la loro esperienza furono accumunati dal pericolo condiviso scambiandosi fotografie e lettere, instaurando rapporti di amicizia. Questi legami affettivi, però, venivano spesso stroncati dalla morte immediata sul campo, creando così nei sopravvissuti un senso di inutilità per non essere stati in grado di proteggere i compagni caduti. Infatti, secondo molte esperienze riportate nel testo "The Traumatic Nevrosis of War" di Abram Kardiner, psicanalista statunitense, i veterani rispondevano a tali avvenimenti con atti di vendetta, in quanto accecati dalla frustrazione. Molti di essi si recavano di notte nei villaggi nemici uccidendo così bambini innocenti, stuprando le donne e sfogando la loro rabbia su di essi e questi soggetti, al rientro in patria, avevano grosse difficoltà nelle relazioni interpersonali in quanto sommersi dalla vergogna per gli atti commessi. [8]

Per permettere ai soldati di superare il trauma, un gruppo di esperti inventò una "pillola contro i brutti ricordi" spiegando che dopo un evento traumatico, troppa adrenalina può produrre ricordi troppo forti, eccessivamente emotivi e radicati. Il loro obiettivo non è far dimenticare alle persone, ma trasformare questo ricordo "speciale" in un ricordo "normale". Per ridurre l'adrenalina causata dal trauma, i medici dell'Università di Harvard hanno fornito a 40 pazienti un farmaco contro l'ipertensione chiamato propranololo nei 19 giorni successivi alla lesione, che interferisce con gli effetti degli ormoni dello stress nel cervello. L'ipotesi valida ha funzionato: una settimana dopo il trattamento, le persone che assumevano contraccettivi sono state in grado di segnalare gli eventi traumatici che avevano vissuto senza sintomi di stress e tre mesi dopo, il loro livello di ansia è stato ridotto. Ciò nonostante questo metodo farmacologico ha prodotto gravi reazioni. Il Comitato per la bioetica della Casa Bianca ha avvertito che cambiando le emozioni per cambiare il contenuto della memoria, potrebbe cambiare la nostra identità. Sostiene che cancellare i ricordi di esperienze terribili può renderci insensibili alla sofferenza e all'ingiustizia subite dagli altri. [9]

Altri invece si affidavano agli ambulatori psichiatrici che furono invasi dai veterani che desideravano risolvere i propri traumi per poter ritornare alle proprie vite. Ciò però non ebbe gli esiti sperati in quanto i medici, non qualificati, provocavano un vero e proprio flashback senza portare una reale guarigione. Inoltre, i farmaci prescritti funzionavano a malapena e anche per questo motivo furono costretti ad abbandonare il trattamento rifugiandosi nell'alcolismo, in abuso di sostanze, depressione e persino schizofrenia.

Oggi però è stato ipotizzato, secondo uno studio pubblicato su Lancet Neurology, che questi traumi sono in realtà causati da lesioni fisiche al cervello derivate dal rumore incessante delle esplosioni (aumentò di conseguenza l'insonnia; vivere costantemente con i rumori delle mitragliatrici, bombardamenti aerei, bombe esplosive, ha completamente alterato la fase dormiente). Per effettuare la ricerca è stato esaminato il cervello di 8 ex soldati deceduti, dopo qualche anno dalle esplosioni, dimostrando così lesioni, non visibili alla risonanza magnetica e alla TAC, nelle zone del cervello che interessano la memoria, le abilità cognitive e il sonno. [10] Inoltre il Dr. Michele Giannantonio spiega che esiste una vasta letteratura che conferma che ci possono essere alterazioni neurologiche e biochimiche in alcune situazioni traumatiche (soprattutto quelle con un effetto duraturo nel tempo). Ad esempio, alcuni testi mostrano alterazioni nel volume dell'ippocampo destro per quanto riguarda gli ex-veterani ma anche nelle donne che hanno subito abusi sessuali (infatti alcuni psicologi sostengono che i reduci del Vietnam hanno subito traumi simili alle vittime di uno stupro).


  1. ^ https://www.ausl.bologna.it/asl-bologna/dipartimenti-territoriali-1/dipartimento-di-cure-primarie/il-faro/centro-doc/centro-di-documentazione/per-genitori-e-famiglie-1/per-i-genitori/files/fileinnercontentproxy.2012-04-04.6203136543, Mariagnese Cheli, Il trauma psichico nella prima infanzia, 11 febbraio 2021
  2. ^ https://www.ausl.bologna.it/asl-bologna/dipartimenti-territoriali-1/dipartimento-di-cure-primarie/il-faro/centro-doc/centro-di-documentazione/per-genitori-e-famiglie-1/per-i-genitori/files/fileinnercontentproxy.2012-04-04.6203136543, Mariagnese Cheli, Il trauma psichico nella prima infanzia, 11 febbraio 2021
  3. ^ https://www.jessicazecchini.it/articoli/trauma-psicologico-infantile-conseguenze/, Jessica Zecchini, Trauma psicologico infantile: rischi ed interventi, 12 ottobre 2019, 11 febbraio 2021
  4. ^ https://www.ausl.bologna.it/asl-bologna/dipartimenti-territoriali-1/dipartimento-di-cure-primarie/il-faro/centro-doc/centro-di-documentazione/per-genitori-e-famiglie-1/per-i-genitori/files/fileinnercontentproxy.2012-04-04.6203136543, Mariagnese Cheli, Il trauma psichico nella prima infanzia, 11 febbraio 2021
  5. ^ Giovanni Caruselli, ABC della mente umana, Milano, Selezione Reader's Digest, 1991, p. 30-31.
  6. ^ Valerio Castronovo, Nel segno dei tempi, MilleDuemila, Firenze, La Nuova Italia, 2015, p. 102-103.
  7. ^ https://www.reportdifesa.it/disturbo-post-traumatico-da-stress-dalla-grande-guerra-ad-oggi-quello-che-sapevamo-e-quello-che-abbiamo-imparato/, Sara Palermo, Disturbo post-traumatico da stress: dalla Grande Guerra ad oggi quello che sapevamo e quello che abbiamo imparato, 18 novembre 2020, 10 febbraio 2021
  8. ^ Bessel Van der Kolk, Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014, p. 13-21.
  9. ^ https://www.peacelink.it/storia/a/6525.html, Alessandro Marescotti, Gli effetti psicologici della guerra? Soldati stuprati a ripetizione, 23 agosto 2004, 10 febbraio 2021
  10. ^ https://www.focus.it/cultura/storia/i-traumi-di-guerra-nel-cervello-non-nella-mente, Chiara Palmerini, I traumi di guerra nel cervello, non nella mente, 15 giugno 2016, 29 dicembre 2020

1. https://www.stateofmind.it/2018/12/trauma-conseguenze-bambini/, Giovanni Belmonte, L’effetto del trauma sulla crescita dei bambini, 18 dicembre 2018, 28 dicembre 2020

2. Giovanni Caruselli, traduttore: Rita Baldassarre Parks, ABC della mente umana, Milano, Settimio Paolo Cavalli, 1991

3. Valerio Castronovo, Nel segno dei tempi, MilleDuemila, ISBN:978-88-221-8544-0, La Nuova Italia, Firenze, Elda Bossi, Giuseppe Maranini, 2015

4. https://www.focus.it/cultura/storia/i-traumi-di-guerra-nel-cervello-non-nella-mente, Chiara Palmerini, I traumi di guerra nel cervello, non nella mente, 15 giugno 2016, 29 dicembre 2020

5. Bessel Van der Kolk, Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014

6. https://www.peacelink.it/storia/a/6525.html, Alessandro Marescotti, Gli effetti psicologici della guerra? Soldati stuprati a ripetizione, 23 agosto 2004, 10 febbraio 2021

7. https://www.reportdifesa.it/disturbo-post-traumatico-da-stress-dalla-grande-guerra-ad-oggi-quello-che-sapevamo-e-quello-che-abbiamo-imparato/, Sara Palermo, Disturbo post-traumatico da stress: dalla Grande Guerra ad oggi quello che sapevamo e quello che abbiamo imparato, 18 novembre 2020, 10 febbraio 2021

8. https://www.ausl.bologna.it/asl-bologna/dipartimenti-territoriali-1/dipartimento-di-cure-primarie/il-faro/centro-doc/centro-di-documentazione/per-genitori-e-famiglie-1/per-i-genitori/files/fileinnercontentproxy.2012-04-04.6203136543, Mariagnese Cheli, Il trauma psichico nella prima infanzia, 11 febbraio 2021

9. https://www.jessicazecchini.it/articoli/trauma-psicologico-infantile-conseguenze/, Jessica Zecchini, Trauma psicologico infantile: rischi ed interventi, 12 ottobre 2019, 11 febbraio 2021