Abito (filosofia)

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Abito, dal latino habitus, che traduce il termine greco aristotelico héxis, può significare un modo di essere, comportamento, disposizione. Il termine abito implica quello derivato e connesso di abitudine a sua volta collegato a carattere.

Etimologia e significati

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La derivazione primitiva del termine è échein che vuol dire possedere: in relazione a questo significato si ha un

  • senso transitivo come il possedere qualcosa coincide con la categoria dell'avere aristotelica[1].

Inteso come avere una forma è il contrario di stéresis, privazione[2]

  • in senso intransitivo, riflessivo, l'abito è un modo di essere (in greco antico houtòs échein, possedersi, stare, comportarsi in un certo modo).

In questo secondo senso assume il significato di comportamento che dura nel tempo, una reazione costante di fronte a qualcosa: per esempio reagire bene o male di fronte all'insorgere di passioni[3]

In questo secondo caso il termine più specifico è quello di

  • disposizione (diàthesis)[4]

intendendo l'abito come una caratteristica costante che resiste ai cambiamenti come ad esempio il sapere o la virtù al contrario ad esempio della malattia o del piacere che invece sono comportamenti discontinui e passeggeri[5][6]

Mentre

gli abiti che riguardano la ragione, ad esempio le scienze, si acquisiscono con il tempo tramite l'insegnamento e l'esperienza
gli abiti che si riferiscono alla pratica, alle azioni concrete, si determinano tramite l'abitudine.

Abitudine e carattere

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L'abitudine (ἔθος, èthos) è dunque l'attività pratica di un individuo con un determinato abito. Vale a dire il modo di comportarsi di un individuo a seconda del suo

carattere (ἔθος, èthos)

In questo senso l'individuo agisce secondo un'abitudine, sostiene Aristotele, che non vuol dire conformarsi alla natura, come accade con la sensazione, né contro la natura, come avviene con la violenza ma il carattere

«è cosa simile alla natura»[7]

poiché tramite la ripetizione continua di comportamenti porta in noi alla luce delle caratteristiche naturali che possediamo in potenza, trasformandole in attuali abiti costanti, quasi in una «seconda natura», una natura acquisita.[8]

Abitudine è anche sinonimo di consuetudine (ἔθος, èthos) o familiarità (synetheia) intesa come dimestichezza formatasi dopo ripetute abituali esperienze.

La condotta consuetudinaria e abituale di un individuo, secondo il suo carattere, genera quindi l'etica, un comportamento morale individuale ripetuto e costante.[9]

  1. ^ Aristotele, Categorie, 4
  2. ^ Aristotele, Metafisica, X, 4, 1055b, 12-13
  3. ^ Aristotele, Etica Nichomachea, II, 5, 1105b 26-27
  4. ^ Platone, Filebo, 11d 4
  5. ^ Aristotele, Categorie, 8, 8b 25 - 9a 15
  6. ^ Aristotele, Metafisica, V 20, 1022b 10-12
  7. ^ Aristotele, Retorica I 11, 1370a 7-8
  8. ^ Aristotele, Etica Nicomachea II 1, 1103a 20 - 1103b 25
  9. ^ Aristotele, Ibidem, II 1, 1103a 17-19
  • AA.VV., Enciclopedia Garzanti di Filosofia, a cura di Redazioni Garzanti, Milano, Garzanti Editore, 1994, ISBN 88-11-50460-0.
  • N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, UTET, Torino 1971 (seconda edizione).
  • F. Brezzi, Dizionario dei termini e dei concetti filosofici, Newton Compton, Roma 1995.
  • Centro Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei filosofi, Sansoni, Firenze 1976.
  • Centro Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario delle idee, Sansoni, Firenze 1976.
  • E.P. Lamanna / F. Adorno, Dizionario dei termini filosofici, Le Monnier, Firenze (rist. 1982).
  • L. Maiorca, Dizionario di filosofia, Loffredo, Napoli 1999.
  • D.D. Runes, Dizionario di filosofia, 2 voll., Mondadori, Milano 1972.
  • Servais Pinckaers, "Habitude et habitus" in Dictionnaire de Spiritualité, VII-1, Parigi, Beauchesne 1969, 2-11 (fondamentale).

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