Utente:Michelangela Agnolin/Sandbox
VILLA PIOVENE - LORA
“Luminosa più delle altre s’allunga la villa dei Piovene a mezza costa”, così viene definita da Renato Cevese la villa di Brendola appartenuta alla famiglia Piovene. Il fabbricato ha subito numerosi passaggi di proprietà, tutti rintracciabili presso l’Archivio di Stato di Vicenza, in particolar modo nel Catasto di Brendola e nel Registro del catasto austriaco; sono infatti preziose le notizie che si ricavano da questi documenti: già nel 1804, nella Mappa d’avviso del comune di Brendola, appare un fabbricato nello stesso luogo dove poi si troverà villa Piovene, ed è indicato come una grande casa abitata con annessa barchessa e di proprietà di Cappellari Ignazio del fu Antonio.
fino al 1814 – il proprietario fu Felice Piovene, di cui si ricavano notizie nei Memorabili di Giovanni da Schio e nelle Memorie genealogiche delle famiglia vicentine di Gonzati, manoscritti conservati presso la Biblioteca Bertoliana. Felice apparteneva al ramo Piovene di san Faustino di Vicenza e per lungo tempo fu cancelliere per il Tribunale di Vicenza; possedeva diversi beni a Brendola ed era sposato con Elisabetta Cappellari, dalla quale ebbe Antonio, l’unico figlio. Piovene Antonio fu Felice si attesta proprietario dei lotti sopra citati, ricevuti in eredità da Elisabetta Cappellari, moglie e poi vedova di Felice Piovene.
Sarà proprio questi ad ampliare la villa e a portarla all’aspetto che appare oggi; il suo intervento è confermato dall’iscrizione presente nella facciata della villa, affiancata dallo stemma e motto della famiglia Piovene1. Antonio Piovene venne confermato nobile con Sovrana Risoluzione il 22 settembre 1820; da tempo remoto la famiglia Piovene era anche fregiata del titolo di Conte di cui non si conosce concessione, che, però, era riconosciuto anche dalla Repubblica Veneta con Ducale del marzo 17972. Le Petizioni di Brendola (b.375) tramandano che Antonio Piovene morì il 26 febbraio 1872 e che i fabbricati n. 342-343 – ovvero quelli che indicano il luogo della Villa – passano per successione ai figli Felice e Elisabetta (petizione n.61 del 18 novembre 1873). Ma, secondo il Registro del catasto austriaco – pochi anni dopo, precisamente il 29 aprile 1880, la partizione 67,60 (cioè i numeri 342-343) passano al solo figlio Felice. Felice Piovene nacque a Vicenza il 29 gennaio 1833, da Antonio Piovene e Carlotta Hamilton. Si laureò in legge a Padova e fu per molti anni sindaco di Brendola3, dove fece costruire un acquedotto in modo tale da rendere sempre accessibile l’acqua nella villa in cui si era trasferito a vivere con la moglie Adele Sartori. L’acquedotto venne solennemente inaugurato il 22 giugno 1892 e nel libretto celebrativo del secondo anniversario dall’inaugurazione venne esaltato il grande ingegno di Felice Piovene. A Brendola fondò anche una banda musicale che diresse lui stesso, in quanto musicista; morì improvvisamente il 24 aprile 1903. E dunque nel 1904 i fogli catastali n.342-342 passano alla vedova Sartori. I successivi passaggi di proprietà sono rintracciabili nelle Partite dei fabbricati che ci informano che: (2364) da Sartori vedova Piovene (1 ottobre 1915 d’ufficio per passaggio dal Rustico scheda 1-6-1914 n.8) a Zanuso (554) da Zanuso a Tassoni (8 maggio 1918; registrata a Padova il 20 settembre 1917; testamento in atti Orsolato il 23 maggio 1903 a Padova) (575) nel 1930 i proprietari sono ancora i Tassoni. 1 “Antonio de Pluvenis/Felicis filius /ampliavit et restauravit – Anno Domini MDCCCXXVI” 2 Schroder 1830, pp. 142-143 3 Cfr. Rumor S., Gli scrittori vicentini dei secoli decimottavo e decimonono, Vol II, Venezia, 1907 4 Numero di riferimento nel registro della Partite dei fabbricati Il 26 settembre 1955 è presente un atto di successione – non indicato da Cevese – per testamento olografo in favore di Papagni Rosa. 1.2 Notizie artistiche “Pupilla […] delle ville di Brendola è la villa un tempo dei Cappellari ed ora de Piovene. […] il buon gusto artistico del Conte Antonio Piovene, secondato dal valore architettonico di Giovanni Miglioranza, non ha lasciato d’introdurvi tutte quelle amputazioni e tutti quei miglioramenti che soddisfacessero a un tempo e agli agi della vita e alle esigenze del bello. Modesta da prima divenne per cura di lui una villa veramente signorile. ” Così Bernardo Morsolin 5 descrive la villa Piovene, fornendoci informazioni importanti dal punto di vista artistico: dobbiamo infatti allo studioso vicentino la prima attribuzione del progetto di ampliamento all’architetto Giovanni Miglioranza; ma ancora, continua nell’esaltante descrizione: “rigoglioso il boschetto di cipressi, di sofore, di magnolie e di pini è il boschetto condotto su disegno di Jacopo Cabianca”. Dunque se la progettazione della villa è certamente da attribuire al Miglioranza grazie al ritrovamento di un’epistola inviata da Antonio Piovene all’architetto, per quanto riguarda il nome dell’ideatore del parco non sono state rintracciate notizie. Sulla scia del Morsolin, Renato Cevese ci informa che l’aspetto della villa nel Settecento non è conosciuto, mentre per quello attuale deriva riconferma che l’ampliamento avvenne nel 1826 per merito di Antonio Piovene che affidò all’architetto Giovanni Miglioranza. Renato Cevese tuttavia si limita alla descrizione dell’esterno della villa, descrivendola come un’architettura provinciale e come una “stanca pagina del tardo neoclassicismo vicentino”. La villa si articola su tre livelli scanditi sulla facciata e messi in risalto da uno zoccolo a finto bugnato che crea effetti di chiaroscurismo; l’entrata principale è caratterizzata da un risalto centrale a timpano e da una scala esterna che conduce al primo piano, dove si colloca il portale d’ingresso decorato da un’elaborata cornice. La villa è collegata da un corpo allungato ad una barchessa e, se l’impostazione è settecentesca, la facciata testimonia i cambiamenti, effettuati nell’Ottocento, come ad esempio la modifica delle finestre; è evidente un disegno unitario elaborato da un architetto interessato alle innovazioni europee sommate alla conoscenza dei canoni classici. Il contorno della villa è decorato da quattro statue rappresentati probabilmente delle dee classiche, come lasciano intendere i resti dei nomi 5 Morsolin 1879, p.78 incisi alla base di ogni scultura; per la particolare scelta iconografica e la bellezza artistica vengono attribuite alla bottega di Orazio Marinali. Se la facciata rivolta a meridione testimonia i cambiamenti avvenuti nell’Ottocento, quella rivolta a mattina conserva l’impostazione settecentesca: al piano terra due portali ad arco costituivano l’ingresso, mentre al secondo piano tre archi a tutto sesto si aprivano su un loggiato. Anche l’articolazione interna rende evidente l’impianto settecentesco con il susseguirsi di stanza; scarse sono le informazioni riguardo la decorazione interna della villa, tuttavia secondo la studiosa Angela Stefani , l’apparato decorativo venne commissionato da Felice Piovene 6 in occasione delle nozze con Adele Sartori avvenute nel 1854; la contessa Adele “giovane ereditiera, di eletto ingegno e coltura” è stata identificata da Poli7 in quanto autrice della decorazione della sala di mezzo al piano terra, dove il soffitto presenta tele dipinte a comporre un fregio come elementi decorativi stilizzati. Tuttavia la restante decorazione ad affresco non può essere attribuita alla contessa, poiché la sua attività artistica si circoscrive alla realizzazione di miniature e ritratti dei familiari, anche se è probabile che sia stata realizzata nello stesso periodo: infatti gli elementi floreali di rose e fiori campestri entro riquadri rimanda al preciso gusto ottocentesco, confermato anche dalla data “1885” presente nella barchessa a est del corpo padronale. “In mezzo a un recinto, piantato a vigne, a frutteti ed a ulivi si aprono i giardini8” e il grande parco della villa - ora ridotto - costituito da un part-terre con aiuole delimitate da corporature in pietra; doveva apparire molto curato e ricco di specie botaniche particolari, la cui progettazione, come già accennato, è stata attribuita al letterato vicentino Jacopo Cabianca. Il letterato infatti era un appassionato di botanica, tant’è vero che nel 1855 pubblicò Dei giardini e dell’orticultura nella Provincia di Vicenza, non è quindi da escludere un suo coinvolgimento nella scelta delle piante ornamentali del parco, ma anche nella sua disposizione poiché fu un appassionato di arte e architettura, come testimoniano dalle descrizioni di opere artistiche presenti nei suoi versi. È necessario ricordare inoltre che Giovanni Miglioranza e Jacopo Cabianca erano legati da una stretta amicizia come ci conferma la stesura della biografia dell’architetto da parte del letterato vicentino, onde per cui è possibile ipotizzare che da un rapporto di amicizia sia nata anche una collaborazione lavorativa. Per quanto riguarda la vita culturale della villa, meritano attenzione gli 6 Stefani 2015 7 Poli 1999, pp. 220-222 8 Morsolin 1879, p.79 anni in cui fu abitata da Felice Piovene e dalla moglie Adele Sartori, 9 quest’ultima infatti fu una donna molto emancipata per i suoi tempi. La contessa negli anni di Brendola aveva stretto una profonda amicizia con Bernardo Morsolin che, nel suo volume “Brendola, ricordi storici”, ne ricorda la squisita cultura e la gentilezza nei modi. All’interno della villa, Adele aveva dato vita a un salotto intellettuale ove si riunivano i personaggi di spicco della sua epoca. 2. ADELE SARTORI Per ricostruire la biografia di Adele è necessario fare riferimento all’ottimo lavoro redatto da Valeria Maggiolo sollecitato dal diario personale e da un copialettera lasciato alla biblioteca civica di Padova, dalla contessa stessa. La famiglia Sartori apparteneva all’alta borghesia padovana e abitava in un palazzo sito in Prato della Valle; il padre Domenico partecipò attivamente alle vicende dalla Padova risorgimentale: nel 1848 prese parte al movimento antigovernativo e venne arrestato e portato a Venezia con altri dissidenti. Due anni dopo venne nuovamente accusato di aver fatto parte di un gruppo di cospiratori soliti riunirsi nel Caffè Gaggian in Prato della Valle. L’infanzia trascorsa nel palazzo di Prato della Valle e le frequentazioni di personaggi autorevoli hanno certamente influito nella sua formazione, tant’è che anche dopo il matrimonio con Felice Piovene proseguiranno gli incontri colti, presso la villa di Brendola. Come anticipato, il diario e il copialettere sono fonti preziose per definire la personalità di Adele Sartori: ad esempio veniamo a conoscenza che studiò inglese e francese, lingue che adoperava indifferentemente nei suoi scritti; si interessava anche di pittura, sia nel collezionismo che nella pratica come testimoniato da due autoritratti donati al museo civico di Padova. Risalgono agli anni del matrimonio con Felice Piovene, i legami con le personalità vicentine come ad esempio l’abate Giacomo Zanella, Fedele Lampertico e Jacopo Cabianca; questi avevano anche curato delle pubblicazioni in occasione del matrimonio, indirizzate agli sposi e alle loro famiglie. 9 Felice Piovene, sindaco di Brendola, nel 1890 fece costruire a proprie spese l’acquedotto in Brendola, risolvendo così l’unico difetto esistente nella villa Piovene a dire del Morsolin, che nel 1879 affermava che “l’unica cosa di cui manchi la villa de Piovene […] è l’acqua perenne”. Felice Piovene la mise in contatto con altri esponenti importanti dell’epoca, come Paolo Lioy, Federico Frizzerin e Michele Leich, protagonista degli scontri dell’8 febbraio 1848. Nel copialettera troviamo indizi di un’amicizia tra la Sartori e Antonio Fogazzaro che si rivolge a lei con toni quasi familiari, e in un’altra lettera Adele nomina Andrea Maffei, poeta risorgimentale. Non è quindi ozioso ritenere che tutti questi personaggi si ritrovassero, in varie occasioni, nel palazzo dei Piovene a Vicenza e nella villa di Brendola che diventavano dunque il fulcro di scambio di idee politiche e intellettuali. Nelle pagine del diario di Adele si alternano riflessioni sul particolare momento storico, annota infatti come manchi un carattere nazionale negli italiani e attribuisce alle donne un compito educativo, non più solo da svolgere all’interno della famiglia, ma volto ad assumere una responsabilità in ambito civico; ma sono presenti anche pagine in cui la Sartori si lascia andare a riflessioni a carattere più intimo, come il dolore della mancata maternità e il fallimento del suo matrimonio. Adele Sartori visse per la gran parte della sua vita a Padova, dove nacque l’11 settembre 1834 e vi morì il 25 febbraio 1917 . Proprio ai musei civici di Padova , Adele 10 11 destinò un lascito di vari oggetti d’arte e di cultura, tra cui un copialettere e il suo diario personale. Il diario e l’epistolario erano pratiche femminili diffuse nell’Ottocento e nel caso della Sartori fungono come mezzo per la definizione di sé, ma anche come riflessione sugli avvenimenti politici dell’epoca; onde per cui sono strumenti preziosissimi per comprendere la sua personalità, i suoi interessi e le sue relazioni. Certamente l’ambiente familiare ha contribuito alla formazione di Adele, sia dal punto di vista culturale che civile. Infatti, la madre, Angelina Cristina, si distinse per iniziative spinte da uno spirito patriottico: ad esempio organizzò una colletta per i feriti dei moti dell’8 febbraio 1848 a Milano; nell’aprile dello stesso anno aderì al proclama delle donne lombarde – “I nostri Prodi hanno cacciato lo straniero dall’Italia: siamo Madri e Spose di Eroi” – e si propose come infermiera volontaria. Ma ancora, nel 1866 Angelina Cristina si adoperò per raccogliere una colletta per 10 Maggioni 2003, pp. 55-70 11 Nel 1917, Adele Sartori legò al museo Civico di Padova un prezioso nucleo di gioielli di gusto parigino. Grazie alla contessa, il museo i arricchì anche delle sue collezioni d’arte, già appartenute all’abate Antonio Meneghelli [Cfr. Un viaggetto nelle mie stanze, 1839] (che poi lasciò alla famiglia Sartori), tra cui vi erano numerose sculture di gesso, visibili nella sala al piano terra del museo. Il legato Adele Sartori Piovene del 1917 rappresenta il lascito più sostanzioso per quanto riguarda i dipinti. Cfr. Banzato, Pellegrini, Pietrogiovanna, 1999. l’acquisto di quattrocento camicie rosse per i garibaldini che avrebbero dovuto combattere nel Trentino. Dunque il salotto di Angelina Cristina era diventato un importante luogo di incontro e di scambio di idee e al suo interno possiamo individuare la nascita di una coscienza femminile civile e politica. Tuttavia per la causa veneta la famiglia dovette pagare un caro prezzo: il 16 agosto 1849 morì di colera l’unico figlio maschio, Francesco, mentre si trovava a Chioggia per combattere come volontario . Del triste avvenimento troviamo ricordo in una pagina del diario, in 12 cui Adele si lascia andare ad una riflessione in ricordo della morte del fratello, a cui era molto affezionata: “16 agosto 1849 fatale giornata per la mia famiglia!!! Fulmineo morbo mi rapì l’unico ed amato fratello…. Con lui svanì ogni gioia, ogni conforto nella vita. Francesco, Francesco perché hai abbandonato in questa terra la tua povera Adele!!! Io sola ora resto di conforto ai miei genitori, io sola devo, posso porgere consolazione ai quei afflitti cuori. Fratello, ti giuro che li renderò felici. Io li amerò anche per te io sarò figlia ubbidiente ed affettuosa. Tu eri buono e leale, mio Francesco, …. Mio dio, mio dio! Perché mi rapisti il mio amico, il mio fratello? Francesco Prole unica maschile Di Domenico e di Angela Cristina Padovano Non ancor diciottenne Nell’acume dell’ingegno congiunse la bontà dell’animo Ardente d’amor patrio Preferì alle agiatezze familiari I patimenti del soldato Morto il 16 agosto 1849 […] Lo sparire di un angelo mi aprì all’anima una sorgente di perpetua malinconia…quante speranze quante gioie ??? e per sempre da un freddo marmo. Francesco, Francesco dal cielo veglia su di me!!!” 12 https://www.cislveneto.it/Approfondimenti/Diario-veneto-del-Risorgimento-1848-1866, consultato il 04/04/2019 ! ! Il Diario in questione prende avvio il primo settembre 1852 e termina il 2 maggio 1873; le annotazioni di Adele sono in italiano, inglese e francese e questo dato ci consente di apprendere come la giovane oltre ad avere studiato il francese – come era consuetudine per le classi dell’alta società – aveva potuto dedicarsi allo studio dell’inglese. Sappiamo inoltre che Adele fu una collezionista di opere d’arte e che lei stessa si dilettò nella pittura, con notevoli risultati, tant’è che una scheda a suo nome appare nel repertorio sulla pittura veneta edito da Giuseppe Pavanello. Il suo amore per l’arte viene anche testimoniato da alcune pagine del Diario in cui ci mette a conoscenza delle lettura de Le Vite de più eccellenti pittori, scultori e architetti del Vasari; proprio per questo interesse artistico, possiamo ritenere che fu probabilmente la contessa a commissionare le tele sul soffitto della villa a Brendola dove appare anche la sua firma. Le prime pagine del Diario sono dense di citazioni sulla vita e sull’amore riprese da diversi autori, ad esempio Laurence Sterne, Giuseppina Turrisi Colonna, Francois de La Rochenfoucauld e tanti altri. Dalla scelta delle letture e delle citazioni traspare la figura di una donna acculturata, attenta agli ultimi sviluppi della poesia dell’epoca, ma anche una donna dal temperamento malinconico e romantico. A partire dal 1854 – anno del matrimonio con Felice Piovene – Adele Sartori abiterà tra la villa a Brendola e il palazzo a Vicenza e a questi anni risalgono le amicizie con i personaggi illustri vicentini. Il copialettere rappresenta la fonte primaria per ricostruire la rete delle sue conoscenze e della sua attività di patronage, infatti nell’epistolario ricorrono alcuni nomi: l’abate Giacomo Zanella, l’economista Fedele Lampertico e lo scrittore Jacopo Cabianca. Quest’ultimi, in occasione delle nozze tra il Piovene e la Sartori, curarono la pubblicazione di una raccolta di lettere di illustri scrittori vicentini13. Tuttavia già a partire dal 1858, nelle pagine del Diario, si cominciano a cogliere gli aspetti più privati di Adele, la quale si lascia andare a riflessioni tristi e malinconiche; ciò che traspare è la figura di una donna infelice a causa della solitudine – “Altro non desidero che la fedele compagnia d’un amico, il quale fiuta nel suo cuore la pienezza del mio…” – e insoddisfatta del suo matrimonio, probabilmente a causa della mancata maternità, come lei stessa ci confida sia attraverso la citazione di un passo della De Stael (“Non vi è felicità nella vita che in quel vincolo coniugale, in quell’affetto dei figli…”), ma anche con una sua personale riflessione: “La mia preghiera non sarà mai esaudità? Se avessi un figlio?” (6/12 1858). Tuttavia nelle annotazioni del Diario – in particolare nel periodo che va dal 1860 al 1866 – vi è posto anche per un’attenzione agli aspetti politici dell’epoca, come confermato dalle riflessioni tratte da Guerrazzi, Cesare Balbo e Cesare Cantù (“Nulla v'ha di sì grave come l'interno d'un'officina: tutti questi uomini attenti al lavoro, ch'adoperano lo strumento con un ingegno così preciso, che non s'interrompono mai senza un perchè, col corpo chino sul banco, nudi le braccia e il petto, il volto pensieroso, la bocca serrata, e continuano per ore intiere, quanto è ammirabile! Nell'operajo l'emulazione opera per tutti i versi. Scegliete un terreno vergine, seminatevi del buon grano, e vedrete tosto le spighe rigogliose ondeggiar il capo dorato ai raggi del sole; ma se, invece del buon grano, la vostra mano inesperta vi getta del loglio, anche la pianta parassita s'alzerà vigorosa. L'operajo è terreno vergine, giacchè, uscito dalla turba popolare, educato fra le privazioni e i travagli di una vita, spesso afflitta dalla miseria, il suo cuore, non corrotto dai diletti del lusso, si abbandona a tutte le impressioni, presta fede al bene, e capisce a stento il male”). 13 BCP, H15612, Lettere di XII illustri scrittori Ma a partire dal 1868 le riflessioni sulla politica non appaiono più entusiastiche come nelle pagine precedenti, è il momento della disillusione dopo l’Unità. Sono le pagine in cui Adele riflette sulla mancanza di un carattere unitario dell’Italia affermando che “Bisogna occuparsi del carattere regionale, bisogna fare gli italiani se si vuole avere l’Italia e che una volta fatti allora l’Italia farà da sé!”; rivolge poi un monito “O voi che site giovani in questi tempi, se v’annoiaste commettereste un delitto! Non v’annoiate, fate sempre, pensate sempre, adoperatevi sempre”. E proprio a fronte di questi pensieri è necessario sottolineare come Adele sia in linea con ciò che alcune esponenti dell’ambito emancipazionista stavano elaborando di quegli anni. La Sartori si interroga e riflette anche sull’ordine sociale e sull’importanza del lavoro per il raggiungimento dell’indipendenza: “Perché il sentirsi capace di far scaturire dal proprio lavoro di che vivere agiatamente lusinga l’amor proprio e quel bisogno d’indipendenza ch’è la base del mio carattere. […] il lavoro ci rende forti e indipendenti, questi buoni affetti non sono già i soli. L’abitudine al lavoro modera ogni eccesso, induce il bisogno […] quindi può considerarsi il lavoro come uno dei migliori ausiliari dell’educazione”. Si giunge infine al 1873, con un’ultima annotazione di carattere personale, in cui sembra rinunciare alla propria felicità e da qui la scelta di chiudersi nel silenzio. In conclusione, ciò che traspare dagli scritti di Adelina è il ritratto di una donna forte e acculturata, alla ricerca di una propria indipendenza e anche per questo stimata dai personaggi illustri dell’epoca. Tuttavia nella sfera privata appare come una donna bisognosa di affetto ed estremamente sensibile, come lei stessa afferma: “sempre fui sensibile, ma adesso poi quasi un eccesso” (30/9 1860). 3. ALTRI PROTAGONISTI DELLA VILLA 3.1 Jacopo Cabianca Jacopo Cabianca nacque il 10 febbraio del 1809 a Vicenza, da una famiglia originaria di Padova; frequentò il collegio dove, grazie alla guida dell’abate Benatello, venne indirizzato verso gli studi classici, tuttavia nel 1831 si laureò in legge, secondo i desideri di suo padre. Nonostante ciò, continuò ad interessarsi alla letteratura e, intorno ai venticinque anni, strinse amicizia con il letterato Andrea Maffei che lo aiutò nelle correzioni del poema Maria di Wurttemberg, pubblicato nel 1840. Nel 1843 sposò la baronessa Sofia Fioravanti Onesti e dal quale matrimonio nacquero tre figlie che vennero educate al gusto della letteratura e delle arti. Fu amico di pittori, come Francesco Hayez, e di critici d’arte come il Pietro Selvatico e, in quanto socio del Caffè Pedrocchi, scrisse alcuni articoli illustrativi di opere d’arte e spesso nei suoi versi di soffermò a descrivere monumenti e affreschi. Durante la prima guerra d’indipendenza, prese posizioni liberali moderate e quindi aperto all’ideale patriottico e unitario, così come gli altri letterati che frequentavano la casa di Mariano Fogazzaro. Visse per lo più a Vicenza e, a partire dal 1866 al 1870, fece parte del Consiglio comunale della città e frequentò l’Accademia Olimpica, dove fu chiamato a pronunciare diversi discorsi. Oltre che con Andrea Maffei, era in relazione con altri letterati e uomini di cultura dell’epoca, come ad esempio Arnaldo Fusinato, Zanella e via dicendo. Su richiesta di Cesare Cantù collaborò all’Illustrazione del Lombardo Veneto (1861) compilando insieme al Fedele Lampertico, un sommario della storia di Vicenza. È interessante notare come tutti i personaggi citati compaiano anche nell’epistolario di Adele Sartori, a conferma del fatto che la villa di Brendola era divenuta un importante circolo culturale. Cabianca scrisse anche per il teatro diversi drammi in versi di argomento storico patriottico, commedie sentimentali e lasciò incompiuto un canto in versi sciolti ad argomento di vita borghese sullo sfondo di passioni risorgimentali. Morì nella notte tra il 27 e 28 gennaio 1878. 3.2 Giovanni Miglioranza Nacque il 22 giugno 1798 a Vicenza, da una famiglia molto umile e lui stesso svolse diversi mestieri, dimostrando da subito doti artistiche non indifferenti. Ad un certo punto della sua giovinezza decise di dedicarsi agli studi architettonici e partì alla volta di Venezia per entrare a far parte dell’Accademia di belle arti; non sempre la vita veneziana fu facile e dovette adattarsi a lavori di fortuna. Grazie ai lunghi viaggi, soggiorni all’estero e rapporti con numerosi artisti e architetti, il suo pensiero artistico dimostra un’apertura alle esperienze europee, ma con grandissima ammirazione per l’architettura classica: numerosi sono gli schizzi dei templi classici di Agrigento e della Magna Grecia, conservati in un album di disegni presso la biblioteca Bertoliana di Vicenza. In ogni caso, le sue opere architettoniche testimoniano il distacco dagli schemi della composta architettura vicentina ponendosi in antitesi con gli architetti dell’epoca, come Antonio Piovene e Bartolomeo Malacarne, vicini al regime austriaco conservatore. Per avere un’idea dell’anticonformismo del Miglioranza si può prendere ad esempio il Caffè Moresco, realizzato nel 1839, ma anche il palazzo Gualdo e l’edificio in prossimità di ponte Furo. Di notevole importanza furono le tre campagne di scavo archeologico del teatro Berga di Vicenza, infatti, secondo il suo pensiero, l’archeologia era il primo strumento di conoscenza per un architetto. Le campagne in questione durarono trent’anni e ci consentono oggi di conoscere l’antica struttura del teatro romano del I secolo a. C. nella forma delle rovine che hanno lasciato intuire a Giovanni Miglioranza. L’architetto, nel corso delle campagne di scavo e studio, trascrisse in puntuali disegni gli spaccati e prospetti dell’antico teatro, affiancati dal proprio commento grafico e interpretativo. Gli eleganti disegni del Miglioranza restituiscono la sua personalità nella morbidezza del disegno e del chiaroscuro; questi rilevava con spaghi e fili a piombo camminando sui tetti. Dunque il ritrovamento di questi disegni ci fornisce informazioni importanti sulla modus operandi di Miglioranza. Inoltre presso la biblioteca Bertoliana di Vicenza sono conservati due album di bozzetti contenenti scene campestri, ville e ambienti bucolici; il tratto del disegno è leggero e delicato, proprio come nei disegni del teatro Berga. 3.3 Orazio Marinali Orazio Marinali nacque ad Angarano il 24 febbraio 1643 e con ogni probabilità ricevette i primi insegnamenti artistici dal padre Francesco, scultore e intagliatore in legno. A partire dal 1666-1667 si trasferì a Vicenza, città in cui si trovava la bottega familiare, formata dal padre, da Orazio e dai due fratelli minori, Francesco e Angelo; l’iscrizione alla fraglia dei muratori e tagliapietre si colloca tra il 1671 e il 1674. Le opere di Orazio rivelano il legame con il repertorio iconografico e stilistico degli Albanese e, per questo motivo, si ipotizza un suo allunato presso la loro bottega, dove è possibile che abbia anche assimilato le nozioni di architettura. Intorno agli anni settanta del Seicento si attesta l’attività lavorativa dei Marinali a Venezia, in particolare le undici figure marmoree sulla facciata della chiesa degli Scalzi e le tre statue che ornano la facciata della basilica della Salute. Dunque tra gli anni settanta e ottanta del Seicento, Orazio Marinali aveva acquisito notevole fama personale, soprattutto grazie agli incarichi autorevoli e prestigiosi ottenuti nella Serenissima e ciò è testimoniato anche da una missiva del settembre 1679 redatta dall’abate Giovanni Parenti in cui compare il nome di Orazio, annoverato tra gli artisti più in vista di Venezia. Giovanni Miglioranza, bozzetti dal suo quaderno presso la Biblioteca Bertoliana Alla fine del Seicento, il Marinali si occupò delle prime imprese vicentine: a partire dal ciclo decoravo per il distrutto palazzo dei Caldogno a “Pozzo Rosso”; allo scenografico altare maggiore della chiesa vicentina dell’Aracoeli e alla decorazione scultorea della basilica di Monte Berico, massimo esempio del barocco vicentino. Tra il 1679 e 1681, la bottega Marinali partecipò all’impresa decorativa della basilica di Santa Giustina a Padova, mentre, contemporaneamente, lavorava per la creazione delle statue dei santi Faustino e Giovita per l’omonima chiesa a Vicenza. Intorno al 1685 sarebbero da collocare l’intervento a palazzo Leone Montanari e le quattro statue per palazzo Thiene. Nel 1702, a causa della morte improvvisa del fratello Angelo, Orazio dovette rilevare la bottega e, visti i numerosi incarichi assunti anche contemporaneamente, si rese necessario adottare una rigorosa organizzazione del lavoro all’interno della bottega, avvalendosi anche dell’aiuto di collaboratori esterni. Una testimonianza della metodologia di lavoro è rappresentata dalla collezione di disegni e modelli di creta conservati presso le raccolte civiche di Vicenza e Bassano del Grappa. Numerosissime sono le sculture attribuite a Orazio Marinali e destinate alla decorazione di parchi e giardini: tra i meglio conservati sono i complessi scultorei di villa Cornaro a Castelfranco Veneto costituiti da cinquantadue statue; Villa Trissino a Trissino e la villa di Pierro Conti a Montegaldella, in cui si trovano i soggetti più particolari: le maschere della commedia dell’arte e la macchina della quattro parti del mondo. E proprio per la delicatezza e l’eleganza - qualità che distinguevano le opere di Orazio - delle sculture disposte nel contorno della villa Piovene, i critici sono concordi nell’attribuirle alla scuola del Marinali. Orazio Marinali morì a Vicenza il 6 aprile del 1720 e fu sepolto nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo. BIBLIOGRAFIA Abbreviazioni ASVi: Archivio di stato di Vicenza BBVI: Biblioteca Bertoliana di Vicenza BCP: Biblioteca Civica di Padova Fonti archivistiche ASVi, Catasto di Brendola, b.364 ASVi, Rubrica dei possessori del comune di Brendola, b.366 ASVi, Petizioni di Brendola, b.375 ASVi, Registro del catasto austriaco ASVi, Partite dei fabbricati BBVi, Giovanni da Schio, Memorabili BBVi, Gonzati L., Memorie genealogiche delle famiglia vicentine BCP, Sartori A., Diario BCP, Sartori A., Copialettere