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Biblioteca dei ragazzi ai Giardini Margherita

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COSE CHE NON ABBIAMO PUBBLICATO O DOBBIAMO CAMBIARE:

La biblioteca, inaugurata il 16 giugno 1954[1], è stata una delle prime esperienze di biblioteca interamente dedicata ai bambini e ai ragazzi in Italia, assieme alla Biblioteca dei ragazzi Maria Pezzè Pascolato di Venezia, attiva dal 1926 al 1938[2], e alla Biblioteca Giardino per Ragazzi di Imola, fondata nel 1961 e diventata poi Biblioteca Casa Piani[3]. ((( Già esistevano molte sezioni ragazzi di biblioteche comunali... )))

La biblioteca venne chiusa nel 1977NO per lasciare spazio ad una scuola materna.[1] ((( su progetto dell'architetto Riccardo Merlo, coordinatore dell’edilizia scolastica del Comune di Bologna dal 1967 al 1984.[4] ))) nel 1981 (v. Donatella Campagnoni).

La collezione della biblioteca comprendeva all'inaugurazione 2.348 volumi

(((Archiginnasio, Sez. Manoscritti e rari, Fondo Biblioteca Popolare Comunale, 54/3, 54/4))) che già nell'anno successivo i volumi diventavano 3.300[1][5][6].


- 28/10/1980: proposta di trasferimento in via degli Orti 44 - quando trasloco in via degli Orti? - 03/03/1981: inutile trasloco - trasloco da via degli Orti a via Murri entro il 31/07/1981

Nel 1988 il Comune di Bologna aprì la Biblioteca centrale bambini e ragazzi di Villa Mazzacorati[7] in via Toscana nella quale confluirono i materiali della biblioteca dei Giardini Margherita. La Biblioteca di Villa Mazzacorati resterà attiva fino all'apertura della Biblioteca Salaborsa e alla riorganizzazione delle biblioteche comunali bolognesi.[8]

Dal 2000, in seguito alla riorganizzazione del sistema bibliotecario e alla progettazione di Biblioteca Salaborsa, la collezione della Biblioteca dei ragazzi confluisce nella raccolta storica della Biblioteca Salaborsa Ragazzi e in piccola parte in altre sedi del Settore Biblioteche e Welfare Culturale del Comune di Bologna. Il fondo della biblioteca dei Giardini Margherita, denominato GiM, conta attualmente XXXX unità che documentano la produzione editoriale bolognese e italiana dell'editoria per ragazzi tra l'inizio del Novecento e gli anni Settanta, con autori come...

  1. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore salaborsa
  2. ^ Fondo Biblioteca dei ragazzi Maria Pezzè Pascolato, su comune.venezia.it. URL consultato il 16/05/2024.
  3. ^ Biblioteca Giardino, su bim.comune.imola.bo.it. URL consultato il 16/05/2024.
  4. ^ [Scuola materna Giardini Margherita 16/05/2024].
  5. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore archi
  6. ^ Luigi Arnaud, La biblioteca dei ragazzi bolognesi, in Bologna. Rivista del comune, n. 14, 1955, pp. 32-34.
  7. ^ Anagrafe delle biblioteche italiane, su anagrafe.iccu.sbn.it. URL consultato il 16/05/2024.
  8. ^ Piani del Comune di Bologna per le biblioteche contemporanee, su aib.it. URL consultato il 16/05/2024.
  • Maria Nobili, Le biblioteche specializzate per l'infanzia, in Accademie e biblioteche d'Italia, n. 6, 1934, pp. 609-618.
  • Luigi Arnaud, La biblioteca dei ragazzi bolognesi, in Bologna. Rivista del comune, n. 14, 1955, pp. 32-34.
  • Luciano Valente e Mauro Mencaroni, Il centro ricreativo Giardini Margherita, Bologna, 1980.

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Villa Aldrovandi Mazzacorati

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Villa Aldrovandi Mazzacorati, nell'Ottocento chiamata casino Mazzacorati[1] si trova in via Toscana a Bologna, in località detta "Camaldoli" per la presenza dell'eremo di S. Maria di Camaldoli[1][2][3][4], in fondo alla strada oggi intitolata ad Amilcare Ponchielli.

PARTE su Aldrovandi-Marescotti-Mazzacorati già in WIKI

Agli inizi dell’Ottocento la tenuta passa alla famiglia Mazzacorati, che fa inserire il proprio stemma, visibile ancora oggi, nella parte alta centrale della facciata[3][5].

Il primo maggio 1860, proveniente dalla Toscana, arriva in visita a Bologna il re Vittorio Emanuele II, che passa davanti alla villa, accolto da Giuseppe Mazzacorati che, sulla sua carrozza scoperta, lo accompagna fino a San Petronio[3][6]. Alla fine del secolo si registra un nuovo passaggio di proprietà: il cavalier Angelo Sarti vince al gioco la villa, che successivamente, nel 1935, passa di proprietà dalla famiglia Sarti alla federazione dei Fasci italiani di Combattimento, che la fa diventare sede di una colonia infantile[3][7]. Nel 1937 l'edificio diventa proprietà dell'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale e la villa viene adibita a convalescenziario antitubercolare, sanatorio dell'Opera nazionale Balilla, e centro di chirurgia pneumo-toracica[8][9][10]. Viene ampliata l'ala est e solo l'intervento della Soprintendenza all'Arte impedisce la demolizione del teatrino. Nel 1941 la villa diventa sede di un ospedale da guerra, che viene bombardato il 14 febbraio 1945. L'edificio viene danneggiato, mentre i ricoverati erano stati già evacuati. Nel dopoguerra la villa viene restaurata dall'INPS e fino al 1970 ospiterà la Scuola di Specializzazione in Tisiologia. Nel 1981 una parte dell'edificio diventa sede del Centro civico del Quartiere San Ruffillo.[10]

Nel 1988 il Comune di Bologna apre, in alcune stanze della villa, la Biblioteca centrale bambini e ragazzi di Villa Mazzacorati[11], che raccoglie i materiali della soppressa Biblioteca dei ragazzi ai Giardini Margherita. La Biblioteca di Villa Mazzacorati chiuderà in seguito alla riorganizzazione delle biblioteche comunali di Bologna, avvenuta in concomitanza dell'apertura della Biblioteca Salaborsa nel 2001[12].

TEATRINO https://spettacolo.emiliaromagnacultura.it/it/luogo/teatro-1763-villa-aldrovandi-mazzacorati/

  1. ^ a b Francesco Majani - curatore Angelo Varni 2003, pag. 279
  2. ^ Giulio Gentili 1964
  3. ^ a b c d Villa Aldrovandi Mazzacorati, su storiaememoriadibologna.it. URL consultato il 23/07/2024.
  4. ^ Villa Aldrovandi Marescotti poi Mazzacorati, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 18/07/2024.
  5. ^ Francesco Majani - curatore Angelo Varni 2003, p. 279
  6. ^ Francesco Majani - curatore Angelo Varni 2003, pp. 279-280
  7. ^ Francesco Majani - curatore Angelo Varni 2003, p. 279
  8. ^ Cuppini-Matteucci 1969
  9. ^ Frabetti-Lenzi 1987
  10. ^ a b Un sanatorio a Villa Mazzacorati, su spettacolo.emiliaromagnacultura.it. URL consultato il 18/07/2024.
  11. ^ Anagrafe delle biblioteche italiane, su anagrafe.iccu.sbn.it. URL consultato il 18/07/2024.
  12. ^ Piani del Comune di Bologna per le biblioteche contemporanee, su aib.it. URL consultato il 18/07/2024.
  • Giampiero Cuppini e Anna Maria Matteucci, Ville del Bolognese, Bologna, 1969.
  • Alessandra Frabetti e Deanna Lenzi, Villa Aldrovandi Mazzacorati: momenti del neoclassico tra Camaldoli e Belpoggio, Bologna, 1987.
  • Giulio Gentili, L'antico scomparso eremo di S. Maria di Camaldoli presso Bologna, in Strenna Storica Bolognese, XIV, 1964.
  • Francesco Majani, Cose accadute nel tempo di mia vita, a cura di Angelo Varni, Venezia, 2003.
  • Riccardo Vlahov, Il teatro di Villa Aldrovandi Mazzacorati, Bologna, 2009.

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Alfredo Pitta

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Alfredo Pitta (Lucera, 27 febbraio 1875Roma, 24 novembre 1952) è stato un traduttore e scrittore italiano.

Alfredo Pitta, noto anche con lo pseudonimo di Norman Charger [1][2], è stato uno scrittore che ha pubblicato con molte case editrici, tra cui Sonzogno, Mondadori e Nerbini, e anche traduttore di libri dall'inglese, dal francese, dall'inglese e dal russo[3][2]. Era figlio di un sarto, Agostino, e di una casalinga, Raffaela Loiacono, mentre suo fratello maggiore Gaetano fu il fondatore e direttore de “Il Foglietto”, giornale locale ad indirizzo socialista e libertario, ed il fratello Giovanni disegnatore e pittore[2]. Pitta fu massone del Grande Oriente d’Italia e della Serenissima Gran Loggia del Rito Simbolico fino al 19125, quando il Fascismo chiuse le logge[4][2].


Alfredo Pitta cominciò nel 1904 la sua carriera di giornalista e narratore, scrivendo racconti e novelle sul giornale diretto dal fratello Gaetano, su cui curava, con lo pseudonimo di Madonna Ginevrina, anche la rubrica Tratti di penna. Scrisse alcuni articoli anche per Critica Sociale. Trasferitosi a Roma, dove abitava anche il fratello, fu collaboratore e redattore per vari giornali tra cui Il Messaggero.[2]

Scrisse 33 romanzi[4]: L’anello di Vior e L’idolo di Rankanava nel filone della letteratura fantastica italiana; nel 1930 pubblicò L’asilo d’amore, La lampada d’amore, Una notte orrenda, La rosa rossa; nel 1931 Castelmalo, nel 1932 Ruhama, nel 1933 Le tredici colonne, nel 1934 La favorita del giustiziere, nel 1935 Goccia d’oro e I cinque falchi , nel 1936 L’albero della paura, La dama verde e Santajusta, nel 1937 La Scala Vermiglia e Il Liberatore, nel 1938 Il Cavaliere della chimera e Il triangolo dell’ABC, tra il 1939 ed il 1940 la trilogia del commissario Enderton, nel 1942 L’ultimo giullare, tra il 1940 e il 1945 La predizione, La figlia del sole, Fior di Sogno, La fontana malata, Mastro ventura, Tutte le stelle, La canzone del fiume, Tre luci nella notte, La Cattedrale di Sant’Io, Le tre fortune di Numeno[2].

Il suo romanzo più conosciuto è Santajusta, ambientato tra il 1267 e il 1269 a Lucera, il suo paese natale, e ristampata nel 1954 e successivamente nel 2017[2][5][6][7][8].

Nel 1942 progettò un’enciclopedia popolare per l’editore Salani, in cui trattare gli argomenti "con molta sobrietà, in modo da dare un’idea precisa ma elementare della disciplina cui si riferiscono"[2].

Molto fiorente fu anche la sua attività di traduttore di romanzi di autori francesi, inglesi, tedeschi e russi, come Joseph Conrad, Arthur Conan Doyle, Alessandro Dumas, August Maquet, Henryk Sienkiewicz, Pelhany Grenville Wodehouse, Edgar Wallace, Zane Grey. Ebbe anche il merito di tradurre autrici e autori meno conosciuti in Italia, come Emma Orczy, James Oliver Curwood, sir Henry Rider Haggard, Alfred Sabatini, Dennis Wheatley.[2]

Pitta è noto per essere stato nel 1935 il primo traduttore dall’inglese all’italiano di Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie, per la collana I Libri Gialli Mondadori[2].

DA CONSULTARE: https://it.wikipedia.org/wiki/Assassinio_sull%27Orient_Express https://it.wikipedia.org/wiki/I_Libri_Gialli_dal_101_al_200


Nel 1944 ha tradotto anche Quo vadis? di Henryk Sienkiewicz[4][9][10], trasposto nel 1951 nel celeberrimo colossal omonimo.

  1. ^ Letteratura tradotta in Italia, su ltit.it. URL consultato il 25/06/2024.
  2. ^ a b c d e f g h i j Liber Liber, su liberliber.it. URL consultato il 25/06/2024.
  3. ^ Centro Studi Diomede, su diomede.it. URL consultato il 25/06/2024.
  4. ^ a b c Grande Oriente d'Italia, su grandeoriente.it. URL consultato il 25/06/2024.
  5. ^ Lucera Memoria e Cultura, su luceramemoriaecultura.it. URL consultato il 25/06/2024.
  6. ^ [Claudio Grenzi editore 25/06/2024].
  7. ^ La grande quercia di Santa Justa, su quotidianodifoggia.it. URL consultato il 25/06/2024.
  8. ^ Gazzetta del Mezzogiorno, su lagazzettadelmezzogiorno.it. URL consultato il 25/06/2024.
  9. ^ La Feltrinelli, su lafeltrinelli.it. URL consultato il 25/06/2024.
  10. ^ AbeBooks, su abebooks.com. URL consultato il 25/06/2024.

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INTEGRAZIONE da inserire dopo la frase: Decise, pertanto, di portarne testimonianza attraverso un diario e fotografie che riporterà su tela.

Si dedicò anche all'attività di illustratore di libri per ragazzi: in particolare curò le illustrazioni dei libri di Emilio Salgari, profondendo "nei libri dello scrittore una particolare e aggraziata atmosfera di sogno orientale"[1]. Illustrò anche i libri di Louisa May Alcott: prima Piccoli uomini, tra il 1910 ed il 1911, e vsuccessivamente Piccole donne nel 1916[2].

IN CHIUSURA: Fabio Fabbi, definito “l'ultimo degli Orientalisti”, può essere annoverato fra gli artisti più documentati e studiati, fra quelli del "lungo Ottocento bolognese"[3][4]. L'Archivio Fabio Fabbi ne conserva e tutela la documentazione ed esegue perizie e ricerche storico-artistiche[5].

  1. ^ Antonio Faeti 2011, p. 164
  2. ^ Fabio Fabbi in Dizionario Biografico degli Italiani, su treccani.it. URL consultato il 26/06/2024.
  3. ^ La pittura a Bologna nel lungo Ottocento, su museibologna.it. URL consultato il 26/06/2024.
  4. ^ Titolazione "Giardino Fabio Fabbi", su museibologna.it. URL consultato il 26/06/2024.
  5. ^ Archivio Fabio Fabbi, su archiviofabiofabbi.it. URL consultato il 26/06/2024.


AGGIUNGERE IN BIBLIOGRAFIA

  • A. Faeti. Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l'infanzia, Nuova edizione con un'introduzione, Donzelli editore, Roma 2011, pag. 164


AGGIUNGERE IN COLLEGAMENTI ESTERNI

Alberto Cioci

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Alberto Cioci (Pistoia, 23 aprile 1867Roma, 27 marzo 1925) è stato un insegnante e scrittore italiano.

Alberto Cioci si sposò con Ida Caioli e dalla loro unione nacque nel 1900 Vilma. Maestro elementare, è noto per essere stato uno scrittore continuatore di Carlo Collodi. Scrisse una trilogia di racconti per ragazzi: nel 1896 Lucignolo. L'amico di Pinocchio, nel 1897 Moccolo. L'amico di Lucignolo e nel 1898 Fioretto. L'amico di Lucignolo e Moccolo[1]. Collodiani furono anche l'illustratore dei suoi libri Carlo Chiostri[1][2] e l'editore Bemporad[1].

Sulla scia di Collodi, Cioci tratta i temi legati all'infanzia e ai monelli, puntando sull'ironia che mette a nudo le convenzioni dell'età adulta[1][3], toccando figure "inviolabili" come la madre, il curato ed il maestro[4]. Con Cioci, Lucignolo diventa il protagonista di una serie di libri scolastici, come Lucignolo agricoltore. Libro di lettura del 1903; Complemento al Sillabario di Lucignolo e Lucignolo a Selvapiana. Il Sillabario di Lucignolodel 1906; Il Taccuino di Lucignolo. Libretto complementare (senza data)[1]. La figura di Lucignolo, che rappresenta l'amico dispettoso e ozioso, diventa così un personaggio utile per esplorare temi cari alla scuola dei prima metà del Novecento, come l’amicizia, la responsabilità, la crescita personale e il confronto tra l’innocenza dell’infanzia e la realtà adulta, facendo riflettere gli studenti[1].

ATTENZIONE: http://www.alettieditore.it/emersi/2019/cioci.html

  1. ^ a b c d e f Editrice Bibliografica, su dbe.editricebibliografica.it. URL consultato il 25/06/2024.
  2. ^ [Portale Cultura 25/06/2024].
  3. ^ Area Museale Giulio Cesare, su museogiuliocesare.it. URL consultato il 25/06/2024.
  4. ^ Genna Blog - Letteratura per ragazzi #26 25/06/2024, su antoniogenna.com.


  • R. Biaggioni, Pinocchio: cent'anni d'avventure illustrate, Giunti Marzocco, Firenze 1984
  • P. Boero, C. De Luca, Letteratura per l'infanzia, Laterza, Roma-Bari 2009, pagg. 130-131
  • A. Faeti. Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l'infanzia, Nuova edizione con un'introduzione, Donzelli editore, Roma 2011, pagg. 71, 83
  • L. Santucci, Letteratura per l'infanzia, Barbèra, Firenze 1950, pagg. 93-95

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Adele Cremonini Ongaro

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Adele Cremonini Ongaro (Fidenza, 1908Bologna, 1969) è stata un'insegnante e scrittrice italiana.

Adele Cremonini Ongaro passò gran parte della sua vita a Bologna, città in cui esercitava la professione di maestra elementare e fu insignita postuma dalla Presidenza della Repubblica italiana con la Medaglia d’oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte[1]. Rimasta vedova, crebbe da sola cinque figli. Nel 1946 inizia a pubblicare libri per bambini e dal 1948 collabora con il “Giornalino della Domenica”, con lo pseudonimo di Cenerentola. Si dedicò anche alla traduzione di testi classici per l’infanzia per varie case editrici. Scrisse anche un volume di liriche in dialetto bolognese dedicate alla Madonna. Compilò il corso di lettura “Cartelle Nuove” per il primo ciclo della Scuola Elementare. Nel 1966 fu nominata Presidente dell’Istituzione Bolognese per la Protezione dell’Infanzia Abbandonata. Morì a sessantuno anni nel 1969. Tre anni dopo la sua morte, il 2 giugno 1972, le fu conferita la Medaglia d’oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. A Bologna esiste una scuola primaria a lei dedicata.[2]

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Carolina Isolani

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Carolina Isolani (Bologna, 4 settembre 1875Bologna, 24 febbraio 1945) è stata una scrittrice e filantropa italiana.

Carolina Isolani, appartenente alla famiglia dei conti Isolani, molto influenti a Bologna fin dal Trecento[3], era una dei cinque figli di Francesco Isolani Lupari e di Letizia Tattini[4]. Trascorse la sua vita da nubile a Bologna, nel Palazzo Isolani di via Santo Stefano 16, da non confondere con casa Isolana in Strada Maggiore. Carolina viveva insieme alla famiglia del fratello Gualtiero, con il quale fu uccisa la sera di sabato 24 febbraio 1945[5][6] da una squadra di partigiani della Settima Gap Garibaldi[7]. Nell'attentato rimase gravemente ferita Letizia, l'unica figlia di Gualtiero[8] e furono uccisi anche il fattore Andrea Montebugnoli e la maestra Ines Benfenati Antonelli di Budrio.[9]. Secondo il rapporto della Brigata, l'uccisione dei conti fu quasi accidentale, in quanto il vero obiettivo era la maestra Ines Benfenati, ritenuta una spia[7], e che aveva tradito un partigiano per un quantitativo di sale[10]. La notizia dell'attentato fu riportata su il Resto del Carlino in articoli diversi (27 febbraio 1945, 28 febbraio 1945, 3 marzo 1945, 11 marzo 1945)[9]. Carolina e Gualtiero Isolani furono seppelliti nel Monumento Isolani Lupari al Cimitero monumentale della Certosa di Bologna, come testimonia l'epigrafe in marmo, collocata nell'arco 77 del Chiostro Terzo[11].

Il nome di Carolina Isolani è legato non solo alla storia della sua famiglia, ma anche all'editoria per l'infanzia: tra le diverse pubblicazioni, si ricordano "Fiabe" per la casa editrice Gherardi e la seconda edizione con la Zanichelli, "Nuove favole" per la Zanichelli e "Le avventure di Biribi", pubblicato in due volumi, per Cappelli. Il primo volume, edito nel 1913, è una raccolta di storie di genere fantastico, illustrate da Leonella Nasi; il secondo narra le disavventure di Biribì, la cagnolina di una famiglia nobile bolognese, che abita nella campagna di Castel San Pietro. Le illustrazioni, complete di didascalia e alcune corredate di un'elegante cornice liberty, seguono in modo pedissequo il racconto e lo stile signorile della Isolani[12]. Per Zanichelli ha pubblicato anche "Donne di virtù nella baraonda bolognese del Settecento", un saggio storico biografico su alcune donne della famiglia Isolani[5]. Carolina Isolani è stata anche Ispettrice del Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa italiana di Bologna, la cui sede, dal 1915 al 1930, fu proprio presso palazzo Isolani[13]. Nel 1916, con l'ausilio del pediatra Carlo Francioni, fondò l’Istituto Aiuto Materno, di cui fu anche presidentessa[5][14][15].

  • Gli Ospedali Territoriali della Croce Rossa Italiana nella Grande Guerra / AA. VV. FrancoAngeli
  • La Grande Guerra delle italiane: Mobilitazioni, diritti, trasformazioni / AA. VV. Viella Libreria Editrice
  • Il torchio e le torri: editoria e cultura a Bologna dall'Unità al secondo dopoguerra / Gianfranco Tortorelli. Edizioni Pendragon, 2006
  • Enciclopedia storico-nobiliare italiana / Vittorio Spreti. Milano 1931
  • Bologna, città aperta, settembre 1943 - aprile 1945 / Mario Agnoli. Bologna Tamari, 1975, pp. 101-103
  • Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese, 1919-1945, Bologna, Comune-ISREBO, vol. I, Nazario Sauro Onofri, Bologna dall'antifascismo alla Resistenza, 2005, p. 385
  • Bologna 1937-1987. Cinquant'anni di vita economica, a cura di Fabio Gobbo, Bologna, Cassa Di Risparmio in Bologna, 1987, p. 135
  • Carlo Degli Esposti, Dal ricordo alla storia. Vite da telefonici bolognesi, p. 15, parte seconda pubbl. in: "La Torre della Magione", 1 (2014)
  • Giacomo e Giuseppe Savini, Cinni di guerra. Memorie e fantasie dei bimbi che videro passare il fronte, Argelato, Minerva, 2020, pp. 133-134
  1. ^ Presidenza della Repubblica, su quirinale.it. URL consultato il 28/05/2024.
  2. ^ Storia e memoria di Bologna, su storiaememoriadibologna.it. URL consultato il 28/05/2024.
  3. ^ [Gli Archivi dell'Emilia Romagna 18 giugno 2024].
  4. ^ Francesco Isolani, su storiaememoriadibologna.it. URL consultato il 18 giugno 2024.
  5. ^ a b c Carolina Isolani, su storiaememoriadibologna.it. URL consultato il 18 giugno 2024.
  6. ^ Uccisione dei conti Isolani, su storiaememoriadibologna.it. URL consultato il 19 giugno 2024.
  7. ^ a b 24 febbraio 1945, su storiedimenticate.wordpress.com. URL consultato il 19 giugno 2024.
  8. ^ Letizia Isolani, su storiaememoriadibologna.it. URL consultato il 19 giugno 2024.
  9. ^ a b Gualtiero Isolani, su storiaememoriadibologna.it. URL consultato il 19 giugno 2024.
  10. ^ Salaborsa - Uccisione dei conti Isolani, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 19 giugno 2024.
  11. ^ Epigrafi della famiglia Isolani Lupari, su storiaememoriadibologna.it. URL consultato il 19 giugno 2024.
  12. ^ Storia e memoria di Bologna, su storiaememoriadibologna.it. URL consultato il 26 giugno 2024.
  13. ^ Croce Rossa Italiana, su dati.san.beniculturali.it. URL consultato il 18 giugno 2024.
  14. ^ Associazione Aiuto Materno Carlo Francioni, su aosp.bo.it. URL consultato il 18 giugno 2024.
  15. ^ Carlo Francioni (PDF), su archiviostorico.unibo.it. URL consultato il 18 giugno 2024.

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Giuseppe Guidicini

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Giuseppe Guidicini (Bologna, 29 agosto 1763Bologna, 25 gennaio 1837) è stato un ingegnere e storico italiano. È ricordato per la sua opera Cose notabili della città di Bologna ossia storia cronologica dei suoi stabili pubblici e privati, pubblicata dal figlio Ferdinando tra il 1868 ed il 1873[1].

Giuseppe Guidicini nacque a Bologna in via Santo Stefano il 29 agosto 1763 da Giovanni Battista Guidicini e da Cattarina Solaroli, primo di 13 figli[2]. Guidicini fin da piccolo eccelle in aritmetica, matematica e disegno, fino a diventare Ingegnere Architetto nel 1791 e Ingegnere Agricoltore e Agrimensore nel 1793. Nel 1799 Guidicini si trasferisce a Parigi, dove stringe amicizia con il conte Ferdinando Marescalchi.[3]

Nel 1800 Guidicini torna in Italia, per incarichi affidatigli dal conte Marescalchi, prima a Milano e poi a Bologna, dove viene nominato Amministratore del Dipartimento del Reno[4] e, sempre nello stesso anno, Ispettore Generale dell’illuminazione pubblica di Bologna, incarico che conserva fino al 1816, “con ragguardevole stipendio”[3]. Durante i suoi soggiorni a Parigi, conosce Maria Fanfard che diventa sua moglie[5] e con cui avrà un figlio, di nome Ferdinando (Bologna, 6 aprile 1815-Bologna, 2 dicembre 1895)[6].

Parallelamente alla sua carriera pubblica, Guidicini si dedica anche ad una serie di ricerche archivistiche sulla storia di Bologna. Il frutto di queste ricerche in oltre 350 archivi pubblici e privati, lo porta alla stesura della sua opera più conosciuta Cose notabili della città di Bologna ossia storia cronologica dei suoi stabili pubblici e privati, un lavoro molto dettagliato di ricerca storica sull’urbanistica bolognese sacra e profana e sulle trasformazioni subite dalla città nel tempo. Composta tra il 1817 ed il 1829 e pubblicata postuma in cinque volumi, l'opera era una delle poche indagini di questo genere in quel periodo e gli vale ancora oggi il riconoscimento di storico.[1]

Guidicini muore la mattina del 25 gennaio 1837 all’età di 77 anni[7] e viene sepolto nel Cimitero monumentale della Certosa di Bologna[8]. Dopo la sua morte, tra il 1868 ed il 1873 il figlio Ferdinando pubblicherà le opere del padre, benché con rimaneggiamenti e omissioni, come in parte aveva fatto lo stesso Guidicini in vita, quando per esempio aveva venduto una raccolta di documenti storici al conte Giovanni Gozzadini, lo scopritore della cultura villanoviana.[1]

  1. ^ a b c Marina Sindaco, Giuseppe Guidicini possidente e storiografo bolognese, in Il Carrobbio. Tradizioni, problemi, immagini dell'Emilia Romagna, XXIX, Bologna, Pàtron editore, 2003, pp. 211-224.
  2. ^ Archivio Arcivescovile di Bologna, Parrocchie di Bologna soppresse, S. Biagio, Stati delle anime, 1763-1786.
  3. ^ a b Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna, manoscritti di Salvatore Muzzi, cartone III, 1, 8, Notizie intorno alla vita di Giuseppe Guidicini.
  4. ^ Storia e memoria di Bologna, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 29/05/2024.
  5. ^ Archivio di Stato di Bologna, Archivio notarile, notaio Paolo Guidetti, 4/2, Generale procura della Signora Maria Fanfard Guidicini nel Signor Giuseppe Guidicini di Lei marito, 24 maggio 1817.
  6. ^ Mario Fanti, Introduzione in Gli schizzi topografici originali di Giuseppe Guidicini per le Cose notabili della città di Bologna, Bologna, 2000, p. 8.
  7. ^ Archivio Storico Comunale di Bologna, Archivio della Certosa, Permessi di seppellimento, 1837, permesso n. 5723.
  8. ^ Archivio Storico Comunale di Bologna, Archivio della Certosa, Registro dei Tumuli in particolari Sepolcri dalla lettera D alla lettera M (1801-1848).
  • Mario Fanti, Introduzione in Gli schizzi topografici originali di Giuseppe Guidicini per le Cose notabili della città di Bologna, Bologna, 2000, pp. 5-17.
  • Marina Sindaco, Giuseppe Guidicini possidente e storiografo bolognese, in Il Carrobbio. Tradizioni, problemi, immagini dell'Emilia Romagna, XXIX, Bologna, Pàtron editore, 2003, pp. 211-224.

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