Tulumello

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Tulumello
Partito: il primo d'azzurro, al giglio d’oro; il secondo palato di rosso e d'oro [1]
Stato Regno di Napoli
Regno di Sicilia
Regno delle Due Sicilie
Regno d'Italia
Bandiera dell'Italia Italia
Titoli
Data di fondazioneXVIII secolo
Etniaitaliana

I Tulumello sono una famiglia nobile italiana.

«Di grande e vera nobiltà nel comportamento, negli intendimenti, nelle opere.»

Ritratto di Giuseppe Saverio Tulumello

La famiglia è da considerarsi di origine napoletana: secondo il Mango, di progenie quasi di casa reale di Napoli.

Tra i membri della famiglia si ebbero un Michele, barone della Manfredonia nel 1520, ed un Corrado, magistrato nel 1632.

Nel XVIII secolo, un Pietro Luigi si recò a Girgenti di cui fu valente magistrato; quel ramo si spostò dunque nella cittadina di Racalmuto.

In questo luogo, la famiglia si distinse nell’apertura delle miniere di zolfo: particolarmente munifiche furono la solfara Gibellini e la solfara Pietre Bianche; gran parte delle miniere furono date in gabella alla prestigiosa ditta Florio.

In Sicilia, la famiglia assunse la baronia di Gibellini, ceduta dal Principe di Ficarazzi, Giulio Giardina Grimaldi, al vicario foraneo Nicolò Tulumello, il quale investì a sua volta del titolo il nipote Giuseppe Saverio (1797 - 1858) in data 7 giugno 1809.

Questi era stato battezzato, nella cappella di famiglia, dal vescovo di Girgenti, don Saverio Granata, da cui trasse appunto il nome. Sposò Maria Grazia Licata di Baucina, zia del principe Biagio, il 29 dicembre 1819.

Costruì, a sue spese, il collegio di Maria del paese affinché vi fossero istruite le educande.

Alla morte di costui, la discendenza proseguì con il fratello Luigi (1781 - 1822), e quindi con il figlio di lui Giuseppe (1816 - 1869).

A sua volta, egli sposò[2] la ricca Mariangela Messana (1820 - 1898), la quale dopo la morte del marito fu filantropa, commissionando il restauro di molte chiese locali ed effettuando copiosa beneficenza.

Primogenito della coppia fu Luigi (1850 - 1909), detto appunto il "barone grande": sindaco di Racalmuto per diciannove anni quasi ininterrotti, dal 1889 al 1907, fu un giurista oltre che poeta[3] e coltivatore di interessi storiografici; inoltre, intrattenne rapporti di amicizia con molti intellettuali dell'epoca tra cui anche Giuseppe Pipitone-Federico.

«[Luigi Tulumello] ottave scrisse sulle prime imprese africane e, precursore di qualche vate dell’era fascista, scrisse anche un poema sulle quasi divine origini di Francesco Crispi: per cui la sua fama, oltre che di uomo saggio, di chiaro poeta, viva resta nei regalpetresi.»

Un Luigi ritratto attorno al 1885 da Giuseppe Incorpora, fotografo della Real Casa
Affreschi di palazzo Tulumello dipinti da Francesco Sozzi, con giglio d'oro su campo azzurro, richiamante lo stemma di famiglia

Costui ebbe fratello Nicolò Vincenzo (1855 - ?), il quale sposò la nobile messinese Caterina Stratigò di Galassi[4], di cui assunse i titoli maritali nomine. Tra gli altri figli Arcangelo, anch'egli sindaco di Racalmuto, e Salvatore, magistrato.

Essendosi estinta con questi la linea maschile, titoli ed onori passarono al ramo del cugino Luigi (1874 - 1944). Negli anni ‘30 del Novecento, questi donò al Museo civico agrigentino l’amigdala di Realmonte, un reperto preistorico di grande valore archeologico.[5]

Costui ebbe figlio Giuseppe (1919 - 2004), intimo amico dello scrittore Leonardo Sciascia, che successivamente ne tratteggiò un ritratto nelle sue “Parrocchie di Regalpetra”.

L’amicizia, consolidata dalla comune frequentazione del teatro “Regina Margherita”, allora adibito a cinematografo, proseguì con un nutrito scambio epistolare anche dopo il trasferimento dello scrittore a Caltanissetta, nel 1935.[6]

Tanto che fu lo stesso Sciascia a volerlo presente, nel 1979, nell’intervista che tenne a Marcelle Padovani e che fu poi pubblicata con il titolo “La Sicilia come metafora”.[7]

Giuseppe sposò Ida Matrona, famiglia che in precedenza fu rivale ai Tulumello. La coppia ebbe figli Luigi, Clotilde e Pietro.

Stemma della famiglia: Partito: il primo d'azzurro, al giglio d’oro; il secondo palato di rosso e d'oro.

Lo stemma accoglie un giglio d'oro su fondo azzurro, che la tradizione vuole revocare la discendenza dalla Casa di Borbone. I tre pali rossi su sfondo oro, propri della Casa d'Aragona, furono aggiunti all'arrivo in Napoli, il cui sovrano Alfonso ne concesse beneficio.

  1. ^ https://www.aagi.it/araldica/origine-degli-stemmi
  2. ^ Il 30 novembre 1842
  3. ^ Si ricorda, in particolare, il libello "Africa", edito a Palermo presso la Tipografia dei Fratelli Vena nel 1897.
  4. ^ il 14 gennaio 1878
  5. ^ L'amigdala di Realmonte
  6. ^ Ciò risulta testimoniato anche da una mostra fotografica, "Fammi sapere che film si proietta. Omaggio a Leonardo Sciascia", esposta presso lo "Spazio Temenos" di Agrigento in occasione del VIII Master di Scrittura "Le parole del cinema" 29 agosto – 6 settembre 2024.
  7. ^ Salvatore Picone, "Fammi sapere che film si proietta questa sera", su Malgradotuttoweb, 12 luglio 2023. URL consultato il 20 marzo 2024.
  8. ^ Come per la figura dell'Innominato nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
  9. ^ La famiglia è chiamata "Evaristo".
  10. ^ La famiglia è detta "Lascuda".
  11. ^ La famiglia "Alvarez".
  12. ^ La famiglia è presente nella descrizione dei lemmi che trattano della Sicilia e di Racalmuto in particolare.

Voci correlate

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