Coordinate: 45°53′34.98″N 11°02′36.61″E

Teatro comunale Riccardo Zandonai

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Teatro comunale "Riccardo Zandonai"
Teatro comunale Zandonai in corso Bettini
Ubicazione
StatoItalia (bandiera) Italia
LocalitàRovereto
Dati tecnici
TipoSala a ferro di cavallo con tre ordini di palchi e un loggione
Realizzazione
Costruzione1782-1784 (progetto originario)
1919 (1ª ricostruzione)
2002-2014 (2ª ricostruzione)
Inaugurazione1784
ArchitettoFilippo Macari
Sito ufficiale

Il teatro comunale Riccardo Zandonai è un teatro di Rovereto ed è stato il primo teatro del Trentino. Venne inaugurato nel 1784 col nome di Teatro Sociale.[1]

Sala del teatro vista dal palcoscenico.

La storia del teatro, a partire dal Settecento, si intreccia con quella della città di Rovereto. Nel 1750 prese vita l'Accademia Roveretana degli Agiati, nel 1764 venne fondata la Biblioteca civica, l'allora Teatro Sociale nel 1784, e già dal 1672, esisteva il Ginnasio.[2]

In anni precedenti a Rovereto, come riferisce Fortunato Zeni nel suo Note per una cronaca del Teatro di Rovereto dal Seicento al Novecento fu messa in scena l'opera Il Giasone, anche se non è certo il locale che ospitò tale rappresentazione. Sembra molto probabile una dimora patrizia.[3]

Quello non fu un caso isolato, e in diverse altre occasioni a Rovereto si ebbero rappresentazioni teatrali e concerti, aperti ad un pubblico vario. Lo stesso Ginnasio fu quasi certamente sede di alcuni di tali spettacoli.

Nel 1743 nell'allora comunità indipendente di Borgo Sacco vennero raccolti fondi per la costruzione di un teatro pubblico adatto alla recita di opere e commedie, e l'edificio dovette risultare di buona fattura perché Giuseppe Valeriano Vannetti lo citò con ammirazione nel 1755. Le Monache carmelitane scalze di Sacco tuttavia poco dopo comprarono l'edificio, smontarono il palco per utilizzare in modo diverso il legname ed infine rivendettero il casone ormai vuoto a privati.[3]

La vicenda del teatro di Sacco comprato e smantellato ha la sua motivazione nell'insofferenza che parte del clero trentino manifestava per quell'ambiente, ed i commenti di diversi suoi esponenti spesso erano pieni di livore e sottintesi allusivi. Padre Giangrisostomo Tovazzi descrisse il teatro come fonte di male e fucina di peccato. Tuttavia nell'aristocrazia roveretana crebbe, contemporaneamente, un atteggiamento ben diverso nei confronti dell'arte teatrale, e due esponenti di spicco di questo mondo come Eleonora Piomarta e Carolina Winklhof si fecero promotrici, con i loro mariti ed altri personalità di spicco dell'iniziativa volta alla costruzione di un teatro a Rovereto. Il conte Francesco Alberti Poja, il cavaliere Luigi Carpentari di Mittenberg e il barone Valeriano Malfatti (amico di Girolamo Tartarotti e membro dell'Accademia Roveretana degli Agiati) cominciarono a pensare seriamente a questa nuova iniziativa.[3]

Nascita del Teatro Sociale

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Lastra tombale della famiglia Carpentari nella Chiesa di Loreto, a Rovereto

Il già ricordato padre Tovazzi riferì nel suo diario, nel 1782, che a Rovereto ormai la costruzione di un teatro era imminente. Il terreno venne acquistato dal conte Alberti Poja e dal cavaliere Luigi Carpentari sull'allora Corso Nuovo (ora Corso Bettini). Su quella via erano già state costruite dimore patrizie di grande importanza e solennità, come Palazzo Piomarta. Vi era sorto il Palazzo del grano, voluto da Maria Teresa d'Austria, e si stava ultimando Palazzo Alberti Poja.[4]

Il teatro prese così avvio, come progetto, partendo dalla spinta del conte Alberti Poja e della moglie, la baronessa Eleonora Piomarta, sostenuti economicamente dal cavaliere Luigi Carpentari, proprietario di grandi filatoi per la seta. Un'importante fonte di finanziamenti venne anche dall'idea di vendere anticipatamente i palchetti ai nobili e ricchi roveretani, che in tal modo poterono dimostrare il loro status sociale. L'operazione di vendita dei palchetti, compresi i due di proscenio nel primo ordine, ebbe successo, e si poté iniziare a pensare al progetto del teatro.[4]

Si discusse sul tipo di teatro, e si decise che di fatto il teatro all'antica, con gradonate e spazi aperti, era superato, e la scelta cadde sul teatro all'italiana. In quegli anni in Italia il dibattito su questo tema era molto sentito, e un teorico dell'architettura ed esperto teatrale come Francesco Milizia si dichiarò molto contrario all'uso dei palchetti, per svariate ragioni, ma il suo parere, come quello di altri che criticavano l'uso troppo personale di tali spazi, non ebbe seguito. Nel 1782 venne stipulato un contratto con gli importanti costruttori locali Clemente Colomba e Giovanni Battista Tacchi (già impegnato alcuni anni prima nella costruzione in città del Monastero di Santa Croce). Nel contratto non ci sono tracce riguardanti il progettista dell'opera, e i due costruttori ricevettero solo un disegno nel quale non si legge il nome dell'autore.

Il progetto riguardava la struttura esterna e le scale laterali in muratura mentre il resto si doveva costruire in legno. Qualche anno dopo, grazie ad Adamo Chiusole, si conobbe il nome dell'autore del progetto, Filippo Macari Bolognese, allievo di Carlo Galli da Bibbiena. La struttura iniziale del teatro di Rovereto probabilmente imitò il già esistente Teatro Filarmonico di Verona, opera del Bibbiena. I lavori iniziarono rispettando i tempi previsti e quando, alla fine del 1783, passò per Rovereto l'imperatore Giuseppe II questi si congratulò per l'opera che era ormai quasi completata.[4]

Pianta della prima sala del Teatro Filarmonico di Verona, modello del teatro di Rovereto

Primi anni del teatro

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Avvicinandosi la fine dei lavori Rovereto era in fermento, si prendevano accordi per le recite e le polemiche legate ai costi (che sembravano lievitati rispetto a quanto preventivato) o alla presenza di attori di provenienza extracittadina divennero più evidenti. Secondo quanto riferito da Fortunano Zeni l'inaugurazione del teatro, che prese il nome di Teatro Sociale, avvenne con tre opere: Giannina e Bernardone e Il convito di Domenico Cimarosa, e La Moda, di Antonio Salieri.

All'inizio si registrano difficoltà legate alla realizzazione non perfetta delle strutture interne, ed alle perdite in denaro da parte dei costruttori e dello stesso conte Francesco Alberti Poja. Un anno dopo l'inaugurazione si dovettero sistemare scenografie e macchine di scena che si erano troppo usurate, forse per una costruzione difettosa.

Nel 1786 si ha notizia della costruzione, accanto al teatro, di un palazzo (detto Pasquali), di proprietà dello stesso Alberti Poja ed adibito a osteria. Tale locale sembra che producesse buoni guadagni per il conte, durante la stagione teatrale. Johann Wolfgang von Goethe, che passò in quell'anno per Rovereto, non fece cenno nei suoi scritti del teatro. Alla fine dello stesso anno anche Elisabetta d'Austria fu in città, e per lei il teatro venne illuminato a giorno, sia in occasione del concerto offerto dai Filarmonici di Rovereto sia del ballo che lo seguì, pochi giorni dopo.

Nel 1790 si sciolse la società tra il conte Alberti Poja e il cavaliere Carpentari di Mittenberg, e il conte rimase l'unico proprietario del teatro mentre il cavaliere manteneva i due palchetti di proprietà e il diritto, a vita, di due biglietti per ogni spettacolo futuro.

Negli anni seguenti la vita del teatro non riportò particolari fatti degni di nota, se non una crescente attenzione delle autorità cittadine nei confronti della sicurezza contro gli incendi e sulla necessità di provvedere ad adeguate uscite in caso d'emergenza.[4]

Seguì il periodo della dominazione francese e della successiva restaurazione da parte austriaca. Il 14 ottobre 1822 l'imperatore Francesco I e l'imperatrice Carolina Augusta di Baviera assistettero, durante la loro visita a Rovereto, all'opera seria Il Saule. In quell'anno scomparve il conte Francesco Alberti Poja, che sino allora aveva sostenuto l'istituzione, e al suo posto subentrò il figlio Antonio, meno interessato al teatro, tanto che si cominciò a pensare ad un passaggio di proprietà.[5]

Si pensò di poter far comprare l'immobile dall'amministrazione comunale, e poi dai proprietari dei palchetti, infine si fecero avanti quattro privati, e l'atto di compravendita venne realizzato il 18 febbraio 1823. Iniziarono subito lavori di restauro che si conclusero solo nel 1828, quando il teatro venne riaperto al pubblico. Durante il rifacimento andarono perdute alcune decorazioni importanti del soffitto, ma nell'insieme il risultato fu giudicato molto buono per quanto riguarda la grande sala interna. Diverso fu il discorso per gli esterni, rimasto senza una facciata e con una tettoia per ingresso (F. De Probizer).

Lapide commemorativa dell'abate barone Giovanni a Prato nella sala di ingresso di Palazzo Piomarta

Si riorganizzarono gli incarichi e il personale ebbe compiti precisi. In particolare si curò ulteriormente l'aspetto della sicurezza, si stabilirono regole e compensi per i componenti dell'orchestra, e si parlò del comportamento che gli artisti dovevano rispettare nei camerini e nel teatro stesso. L'illuminazione fu per lungo tempo ancora mista, affidata a candele e lumi a gas.

Nel 1848 a Rovereto si visse il clima difficile legato agli avvenimenti italiani e alle spinte indipendentiste, ma la gestione del Teatro Sociale ne fu solo in parte coinvolta. L'abate barone Giovanni a Prato ad esempio chiese il distacco dei circoli culturali trentini dal circuito germanico, ma non si spinse a chiedere di allontanarsi dalla sfera di influenza e controllo austriaca. Per il teatro la situazione ebbe quindi poche conseguenze pratiche, e si continuarono a dare rappresentazioni e spettacoli, e proseguirono pure i periodici lavori di manutenzione ed abbellimento, anche se tra difficoltà crescenti e dure prese di posizione tra i proprietari ed il comune. Il teatro aveva bisogno di interventi, ma questi erano giudicati troppo onerosi, da questo diverse ispezioni e relative lettere per spiegare le reciproche posizioni.

Seguirono anni di normale attività ed altri di sospensione della programmazione teatrale, e si arrivò al 1858 con la visita a Rovereto della coppia reale formata da Carlo Ludovico d'Asburgo-Lorena e Margherita di Sassonia. Per l'occasione il teatro fu solo parzialmente restaurato, e agli illustri ospiti vennero proposte il Poliuto di Gaetano Donizetti e La traviata di Giuseppe Verdi.

Il degrado della struttura intanto divenne sempre più evidente, ed una relazione del 1865 parlò esplicitamente di problemi legati al tetto, all'igiene di alcune parti ed ai pericoli di incendio.[5]

Una rara immagine degli anni 20 di Palazzo Piomarta e, in secondo piano, della facciata del teatro, dopo circa 50 anni dalla sua costruzione

Tra il 1871 ed il 1872 il teatro venne sottoposto a importanti lavori di restauro. Ciò che fu subito evidente riguardò l'erezione di una facciata in muratura in sostituzione del vecchio atrio in legno, ormai cadente, e questo finalmente, dopo quasi 90 anni dalla sua inaugurazione, donò una nuova dignità all'intero edificio.[6] Tra i più celebri direttori d'orchestra dell'Ottocento che diressero al Teatro Sociale di Rovereto vi fu il maestro Antonino Palminteri che nella primavera del 1891 portò in scena l'opera Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti.[7]

Il modello architettonico per il teatro di Rovereto, come già ricordato, è quello del Teatro Filarmonico veronese.

  1. ^ Riaperto il primo teatro del Trentino, su visitrovereto.it, VisitRovereto. URL consultato l'11 settembre 2016.
  2. ^ M. Lupo, p.11.
  3. ^ a b c M. Lupo, pp.19-24.
  4. ^ a b c d M. Lupo, pp.29-72.
  5. ^ a b M. Lupo, pp.91-120.
  6. ^ M. Lupo, pp.121-146.
  7. ^ F.Locatelli, p.153.
  • Aldo Gorfer, Le valli del Trentino-Trentino orientale, Calliano (Trento), Manfrini, 1975, ISBN 978-88-7024-286-7.
  • Michelangelo Lupo, Il Teatro Zandonai a Rovereto, Rovereto, Emanuela Zandonai Editore, 2014, ISBN 88-98255-40-3.
  • Angela Balistreri, Antonino Palminteri : un artista-gentiluomo nel panorama operistico dell'800, Partanna, Produzioni Edivideo, 2010, SBN IT\ICCU\LUA\0241918.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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