Matinum
Matinum | |
---|---|
Localizzazione | |
Stato attuale | Italia |
Località | Mattinata |
Matinum o Matino era una città costiera della Daunia durante l'epoca romana, ricordata dai poeti latini Orazio e Lucano. La locazione dell'antica città è probabilmente nel territorio dell'odierna Mattinata in provincia di Foggia, in Contrada Agnuli.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Il toponimo Matinum, potrebbe essere, con ogni probabilità, la romanizzazione del toponimo Apeneste, la circostanza è provata dalla concomitanza di ritrovamenti e reperti sia di epoca greca che romana nello stesso luogo, della stessa localizzazione del sito che ne fanno i geografi, da Claudio Tolomeo fino ad autori alto-medioevali e dalla perfetta simmetria fra i significati del toponimo Apeneste e del toponimo Matinum.
Plinio il vecchio cita i matinesi come i "Matinates ex Gargani" (in NH III 105).
Il poeta latino Orazio ricorda Matinum per tre volte: per il naufragio e la morte di Archita, per le sue api e per i suoi monti.
Secondo le indicazioni di Orazio - Odi 1, 28 - ("...Te maris et terrae numeroque carentis harenae / mensorem cohibent, Archyta, / pulveris exigui prope litus parva Matinum / munera..." Traduzione: "...Tu misuratore del mare e della terra e delle immensurabili arene, ti coprono, o Archita, pochi pugni di polvere presso il lido Matino...") è nella baia di Matinum (Litus Matinum) che naufragò in seguito ad una tempesta il grande Archita di Taranto (filosofo, matematico, politico, scienziato, stratega, musicista, astronomo, uomo di stato nonché generale greco antico, ricordato da Cicerone come "Virum magnum in primis et praeclarum") e ivi sepolto.
Orazio nel Libro IV dei Carmina paragona se stesso all'apis Matinae dicendo: "Ego apis Matinae more modoque grata carpentis thyma per laborem plurimum cirva nemus uvidique Tiburis ripas operosa parvus carmina fingo." Traduzione: "Io, per tradizione di stile, sono l'ape matina, che sugge, nei boschi e lungo le rive umide di Tivoli, il dolce timo con la fatica di sempre e così nei miei limiti compongo un canto laborioso."
Infine il "poeta di Venosa" ricorda Matinum (nelle Epodi) nominandone il monte (riferendosi al "Mons matinus", ovvero l'attuale Monte Saraceno) "...quando Padus Matina laverit cacumina, in mare seu celsus procurrerit Appenninus" Traduzione: "...quando il Po lambirà le cime del Matino, e dall'alto l'Appennino strapiomberà nel mare...".
Anche il poeta Lucano (Pharsalia, IX, 182-185) ricorda Matinum sul Gargano: "sic, ubi depastis summittere gramina campis et renovare parans hibernas Apulus herbas igne fovet terras, simul et Garganus et arva Volturis et calidi lucent buceta Matini" Traduzione:"Nello stesso modo - allorché l'Àpulo si prepara a rinnovare il foraggio nei campi dove le greggi hanno già pascolato e a procurare erba fresca per l'inverno, e riscalda perciò il terreno con il fuoco - il Gargano, i campi del Vùlture ed i pascoli del caldo Matino risplendono di fuochi".
L'antica città probabilmente venne assalita più volte dai Saraceni nel periodo fra il 971 e il 980 d.C. e, dopo l'anno 1000, il toponimo di Matinum scompare dalle fonti e dalle carte geografiche. È ipotizzabile quindi una distruzione della città agli albori del nuovo millennio.
Nel 1103, in un documento di Monte Sant'Angelo del normanno Guglielmo, si legge il nome di Matinata, derivante appunto da Matinum. Verosimilmente trattasi di una reminiscenza toponomastica della città distrutta.
In una cartina nautica di Piri Reìs (cioè "Piri il comandante", nato Hadji Muhyieddin Piri Ibn Hajji Mehmed, ammiraglio e cartografo turco-ottomano) datata in un periodo compreso fra il 1520 e il 1554 circa (e presente nell'opera Kitab-i Bahriye "Il libro del mare"), segnala "Matinum" sulla costa circondata da mura ma le carte nautiche di Piri Reis si rifanno a portolani più vecchi di molti secoli e quindi non rappresentano prova che in quelle date vi fosse un porto nel sito indicato tant'è che la presenza di un disegno (presente sulla copertina del libro Mattinata frazione di Monte Sant'Angelo tra '800 e '900 Vol. I: l'Ottocento di Luigi Gatta, Clauio Grenzi editore) del territorio di Mattinata datato 1594, mostra la totale assenza di un porto od anche di qualsiasi forma di insediamento urbano nell'entroterra mattinatese fatta eccezione per poche torri d'avvistamento, "pagliai" e la Chiesa della Madonna della Luce.
Quindi dall'anno 1000 fino agli albori del diciannovesimo secolo, per circa 8 secoli, fino al momento in cui un nucleo di pagliai va a costituire l'embrione del borgo che diventerà poi l'odierna Mattinata, nessuna notizia, menzione o citazione dell'antica città.
Gli scavi archeologici
[modifica | modifica wikitesto]L'originaria Matinum romana, è visibile nelle ville risalenti al periodo fra I secolo a.C. e IV-V secolo d.C. I resti delle strutture evidenziano ancora gli ambienti di servizio, costruiti con il classico opus reticolum (Opera reticolata) e alcuni dolii destinati alla conservazione delle derrate alimentari.
Nel 1872 i ruderi della Matinum romana in località Agnuli (nei pressi del porto) vennero visitati dall'archeologo A.Angelucci il quale li descrisse così:
"Ad oriente di Mattinata a poco più di un chilometro, sulla riva del mare ed anche dentro l'acqua sono avanzi di edifici dell'antica Matino (Matinum)...Su una ripa che s'innalza di tre o quattro metri dalle acque sono questi avanzi di antichi edifici. Un grosso muro è a 30 o 40 metri dentro il mare che vi frange e lo corrode di continuo senza averlo potuto dopo tanti secoli abbattere. Le mura dentro la terra a mano a mano che l'urto delle onde ne scalza le fondamenta cadono in gran pezzi come se fossero composti di una sola pietra. Vi sono pavimenti che restano in gran parte sospesi senza appoggio alcuno al di sotto, tanta è la tenacità del cemento che sono costruiti. Le mura sono reticolate composte di pietre quadrate di 10 centimetri circa di lato (vedi immagine). I pavimenti sono formati di mattoncelli posti a spina (spicata testacea di Vitruvio), detti Tiburtini, o perché a Tivoli si usavano di questa fatta, o perché colà si fabbricavano i mattoni a tal uopo. Vi si vede posto esattamente in pratica il modo descritto da Vitruvio per una tale costruzione, cioè un primo strato di piccole pietre (statumen); poi un secondo con scaglie di pietra (rudus), ambedue della grossezza di 12 dita (o mm. 228); quindi un terzo strato di argilla cotta, o mattone pesto (nucleus) grosso 6 dita (o mm. 114), e sopra questo pavimento propriamente detto. Le mura occupano pochissimo spazio, ma tutto il campo fra la strada ed il mare è seminato di pezzi d'embrici e di vasi. Egli è indubbio che questi ruderi appartengono all'antica Matino, cui allude ripetutamente Orazio e ricordata da Lucano. E da questo ebbe il nome moderno Mattinata, costruito lungi di là meno di due chilometri ove la vallata si eleva un cotal poco."
"La villa, la cui attività principale consisteva nella produzione dell'olio, ebbe una lunga vita: costruita nella seconda metà del I secolo a.C. conobbe una fase di probabile abbandono o di ridimensionamento tra II e III secolo; ristrutturata e notevolmente potenziata nella seconda metà del III, fu occupata fino alla prima metà del VI secolo. La villa di Mattinata, la cui produzione olearia raggiungeva in età tardoantica un'entità molto considerevole, costituisce pertanto uno dei documenti più significativi della vitalità economica dell'Apulia", scrisse Giuliano Volpe.
Sono state inoltre raccolte e prelevate (grazie agli scavi archeologici condotti dalla Soprintendenza della Puglia in due riprese: nel 1975/76 dirette da Ettore De Juliis e nel 1987 da Giuliano Volpe) ceramiche, anfore, monete, utensili e strumenti vari oltre a povere sepolture, di epoca successiva (circa VII secolo d.C.):
"Sul sito non mancano tracce di occupazione abusiva e degradata, da mettere in rapporto forse con un piccolo villaggio (VI-VII secolo), documentato da alcune capanne e da povere sepolture, insediatosi sulle strutture della villa abbandonata." scrisse Giuliano Volpe
Ipotesi
[modifica | modifica wikitesto]Alcuni autori tra i quali il matinese Carlo Coppola, ritengono che la fondazione della Matino moderna, oggi in provincia di Lecce, sia dovuta ad alcuni profughi provenienti dalla Matino antica (Matinum sul Gargano). Il chiaro riferimento al sole che nasce adottato nello stemma di Matino nuova, adottato in epoca normanna, che mostra proprio un sole che sorge tra due colline potrebbe non essere casuale e rimandare effettivamente all'antica Matinum o Apeneste il cui nome significa appunto sole che sorge.
La fondazione dell'odierna Matino (Lecce) sarebbe quindi avvenuta in seguito alla scomparsa di Matinum avvenuta nel periodo fra il 971 e il 980 d.C. per un terremoto-maremoto oppure, molto probabilmente, per le continue incursioni saracene che, devastando il territorio garganico, resero invivibile la costa Sud del Promontorio dauno (Siponto fu occupata per alcuni anni), e di Matinum in particolare (accertato storicamente che Monte Saraceno - località che porta ancora il nome dell'invasore- fu per anni un avamposto inespugnabile dei Saraceni fino all'intervento dell'imperatore Ottone I, che li scacciò definitivamente).
In ogni caso la circostanza che la data di distruzione della "Matino antica" e quella della fondazione della "Matino nuova" coincidano rappresenta, insieme all'analisi linguistica del toponimo, un indizio di sicura rilevanza circa le origini della cittadina salentina.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Quinto Orazio Flacco, Epodi, XVI; Ode II, libro IV; Ode XXVIII, Libro I.
- Marco Anneo Lucano, Pharsalia, IX, 179-182.
- Salvatore Prencipe, Mattinata, la nuova 'Matinum', Marigliano (Napoli), Ist. Tip. "Anselmi", 1967.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- [1] Database dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
- [2][collegamento interrotto] "Mattinata frazione di Monte Sant'Angelo tra Ottocento e Novecento" di Luigi Gatta.
- [3][collegamento interrotto] "Mattinata frazione di Monte Sant'Angelo tra '800 e '900" di Luigi Gatta.