Eliseo Baruffaldi
Eliseo Baruffaldi (Turano, 1581 circa – Gargnano, 11 novembre 1606) è stato un brigante italiano, suddito del Principato vescovile di Trento. Per vendicare l'onore della propria famiglia massacrata dalla famiglia madernese dei Sette, Baruffaldi diventò complice della banda di Giovanni Beatrice detto Zanzanù di Gargnano, soprannominata degli "Zannoni", che si macchiò, tra il 1602 e il 1617, di innumerevoli reati compiuti nell'Alto Garda bresciano.
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Eliseo Baruffaldi (o Baruffaldo), figlio del contadino Baruffaldo Baruffaldi e di una certa Marzadri, nacque attorno all'anno 1581 nel villaggio di Turano nella Val Vestino, territorio della Contea di Lodrone e del Principato vescovile di Trento.
Eliseo Baruffaldi compare per la prima volta nelle cronache nella primavera del 1603 quando, con il fratello Teodoro, uccise il 14 aprile, a Armo, Giacomo Sette detto il Chierico per vendicare la morte dei tre fratelli Antonio, Giovan Domenico e Orazio assassinati "in un giorno et in un hora sola, affidati a lui come amici e poi atrocissimamente trucidati per prezzo de danari" dallo stesso[1]. Il Chierico era nato a Vigole di Monte Maderno il 30 agosto del 1578 ed era un nemico giurato di Giovanni Beatrice in quanto figlio di Riccobono Sette, nipote di Bernardino Bardelli arciprete di Gargnano, noto fuorilegge colpito da ben cinque bandi della Serenissima e il Baruffaldi ne portò la testa per il rituale riconoscimento al fine di poterne incassare la taglia al provveditore veneto della Riviera di Salò.
Per l'uccisione del Chierico i due fratelli Baruffaldi ottennero la "voce liberar bandito", ossia la possibilità di togliere un bando ad un fuorilegge di pari grado, ma dovettero subire nei mesi successivi la spietata vendetta della potente parentela del Chierico organizzata dal noto Bernardino Bardelli, arciprete di Gargnano, difatti saranno aggrediti da "una moltitudine di giente armata"[2] nella stessa Venezia il 23 giugno dello stesso anno, ove si erano recati per ottenere i benefici richiesti: Teodoro fu colpito gravemente e spirò il 30 giugno "a San Paternian, in casa de madonna Isabeta Chiozotta" mentre Eliseo, anch'egli ferito gravemente, riuscì a salvarsi. Nel frattempo la loro casa a Turano fu bruciata il giorno 29 dello stesso mese e la loro madre, di settant'anni d'età, uccisa ad archibugiate, assieme ad una donna del paese che coraggiosamente era intervenuta per difenderla da Bernardo Manino[3], Giovan Battista Feltrinello detto Marano, Giovanni Antonio Tamagnino[4], tutti e tre di Gargnano, dal sacerdote Giovan Antonio Marzadri[5], parroco della stessa pieve di Turano e pure originario di Gargnano, ed altri complici.
Nel 1604, Eliseo Baruffaldi richiederà la possibilità di "liberar bandito" nella figura del conte vicentino Alvise Trissino ma gli fu negata dal Consiglio dei Dieci. Successivamente inoltrerà un'altra richiesta per liberare un bandito dal profilo criminale minore, un certo Bernardino Piacentino, ma fu respinta per la scadenza del termine previsto dalla legge.
Affiliandosi nel 1605 alla banda dei Beatrice, conosciuta con il soprannome degli “Zannoni”, Eliseo si inserì violentemente nella faida sorta tra la famiglia dei Beatrice contro quella dei Riccobono Sette detta dei Riccoboni di Vigole di Monte Maderno. Questo conflitto vedeva le due principali famiglie del luogo contrapposte per motivi non solo d'onore ma anche per lo sfruttamento delle risorse economiche al fine di ottenere la supremazia politica locale[6].
A seguito dell'assassino di Giovan Maria Beatrice, capostipite della famiglia e padre del Zanzanù, avvenuta il 4 maggio 1605, a Gargnano, ad opera di affiliati dei Sette, si riaccese violentissima la faida locale. Nelle cronache giudiziarie della Serenissima risalenti all'8 agosto 1605 e contenute in un proclama del provveditore veneto di Salò, Lunardo Valier, si formalizzavano le accuse contro i cinque banditi Giovanni Francesco Beatrice detto Lima, il nipote Giovanni Beatrice detto Zanzanù di Gargnano, Giovanni Pietro Sette detto Pellizzaro di Maderno, Ludovico Cacchiotti pure di Gargnano e lo stesso Eliseo Baruffaldi ritenuti colpevoli di una serie di atti criminali contro esponenti della famiglia avversa dei Riccobono Sette di Maderno[6].
Difatti il 26 giugno in un agguato teso nel cimitero di Gargnano nel tentativo di assassinare l'arciprete Bernardino Bardelli, cognato di Riccobono Sette e sospettato dal provveditore Leonardo Valier di essere il mandante dell'assassinio del padre del Zanzanù, fatto per il quale scontò sei mesi di carcere a Salò, i cinque complici ferirono i sacerdoti Samuele Donato parroco di Roina, Salustio Ortigello parroco di Muslone e Gioan Tonolo. Nella stessa sera proseguirono la loro vendetta uccidendo fra Gargnano e Villa nella contrada Gambarera, Giuseppe Manino della fazione dei Riccobono Sette e ferirono con una archibugiata nella piazza di Villa Girolamo Chiereghino. Il 2 di luglio i cinque banditi attentarono presso il porto di Gargnano alla vita dell'arciprete di Maderno Giovanni Battista Alchero che transitava in barca, il quale rimase solamente ferito, mentre nel mese di luglio uccisero con due archibugiate, a Gargnano, Piero Calliera detto Gavardo mentre giocava a palla. Il 2 agosto proseguirono imperterriti nell'esecuzione dei loro piani criminali con l'uccisione, in prossimità del confine di stato con il Trentino, di Antonio figlio del defunto Morgante Orlando, di Giuseppe Feltrinello e di Giulio Bonavia di dieci anni d'età intenti a caricare una barca di sabbia.
Il 4 ottobre 1605 il provveditore Lunardo Valier informava il Senato che la banda degli “Zannoni” avevano commesso altri delitti: il 29 settembre, travestiti da cappelletti, avevano ucciso a Toscolano Alvise Pilato e Agostino Laterza , ferito Giovan Maria Bressanin, e nonostante il bando contro di loro pronunciato, che pure prevedeva la loro uccisione o cattura in “terre aliene” con una ricompensa di 4.000 lire, i banditi avevano trovato rifugio sicuro a Riva del Garda, protetti dal signore locale Gaudenzio Madruzzo, fratello del principe vescovo di Trento.
Che l'attività criminale di Eliseo Baruffaldi fosse particolarmente attiva lo dimostra il fatto che, tra il 1605 e il 1606, anno della sua morte, fu colpito ripetutamente da alcuni bandi emanati da tribunali di stato della Serenissima. Il primo bando risale al 17 agosto 1605 e fu sentenziato dal Senato che gli imponeva il divieto di risiedere perpetuamente in tutte le terre e luoghi del Serenissimo Dominio di Venezia, compreso il Dogado, e relativa confiscazione dei beni appartenuti; il secondo al 26 novembre 1605; il terzo al 6 dicembre 1605; il quarto al 14 gennaio 1606 per mezzo del Consiglio dei Dieci a seguito dell'assassinio di Alessandro de Faustin a Piovere di Tignale avvenuto nella notte tra il 23 e 24 novembre 1605; il quinto e sesto al 10 febbraio e al 24 aprile 1606. Nel settembre sempre dello stesso anno, con la complicità di Giovan Pietro Sette detto Pellizzaro di Maderno, uccise Piero Giacomini di Gargnano.
La carriera criminale di Baruffaldi terminò nell'inverno del 1606 quando fu ucciso assieme al bandito Giovan Pietro Sette detto Pellizzaro da alcuni cacciatori di taglie, Orazio Balino, Giovan Battista Duse e Agostino de Andreis detto Giacomazzo, tre pericolosi banditi di Desenzano del Garda, Giuseppe Ton[7], altro sicario della Riviera di Salò, e da alcuni nemici del Beatrice di Toscolano, Gargnano e Tignale che conoscevano molto bene i luoghi ove si nascondevano, che il provveditore generale in Terraferma di Verona, Benedetto Moro, in tutta segretezza, aveva inviato sulle loro tracce fornendoli di salvacondotto, armi e denari.
Per il ricercatore Claudio Povolo dell'Università Ca' Foscari Venezia[8] la caccia all'uomo sembra pure essere finanziata da alcuni facoltosi mercanti di Desenzano del Garda e di Salò, tra cui il noto e spregiudicato Alberghino Alberghini[9], i cui traffici commerciali erano continuamente minacciati dalle imprese dei fuorilegge, e in questo modo intendevano chiudere definitivamente la partita contro la banda degli "Zannoni"[10].
I due banditi vennero sorpresi in un agguato notturno teso al Covolo del Martelletto[11], nel territorio di Droane, venerdì 10 novembre alle ore 2 in compagnia di Giacomino Sette, bandito e nipote di Giovan Pietro. Il Pellizzaro fu subito ucciso a colpi di archibugio mentre Eliseo e Giacomino, quest'ultimo ferito, riuscirono invece a fuggire seppure braccati da decine di persone.
Il giorno successivo, sabato 11 novembre, alle ore 22, Eliseo Baruffaldi non riuscì a rompere l'accerchiamento dei suoi inseguitori in quanto ogni via di fuga attraverso i passi che conducevano alla riviera del Garda e alla Val Vestino era preclusa, fu catturato a pochi chilometri di distanza nei pressi dei cascinali di Lignago. Dopo essere stato confessato dal parroco della Costa, fu ucciso sul posto da Orazio Balino e Giovan Battista Duse con tre colpi di archibugio sparati a distanza ravvicinata, uno al torace che lo trapassò da parte a parte e due alla schiena, mentre Giacomino riuscì a dileguarsi fra i monti e a salvarsi. Decapitati in presenza di numerosi testimoni, le loro teste vennero portate ed esposte sugli scalini della colonna di San Marco nella piazza di Salò per il rituale riconoscimento di legge[8][12].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Il fatto presuppone che in passato ci sia stata un'amicizia fra la famiglia Baruffaldi e il Chierico.
- ^ Archivio di Stato di Venezia, Consiglio dei dieci, Comuni, filza 248, 4 giugno 1604.
- ^ Bernardo Manino fu compagno di Giacomo Sette detto il Chierico quando fu ucciso a Armo il 14 aprile 1603 dandosi poi alla fuga. Bandito dalla magistratura veneta nell'agosto dello stesso anno. Il 4 maggio 1605 uccise, con altri complici, Giovan Maria Beatrice a Gargnano. Ccatturato a Ghedi, fu impiccato a Brescia, sulla pubblica piazza, il 13 agosto del 1605.
- ^ Giovanni Antonio Tamagnino era a servizio dell'arciprete di Gargnano Bernardino Bardelli.
- ^ Giovanni Antonio Marzadri (Gargnano, 1568 ca.-Salò, 4 luglio 1609), figlio di Tommaso di Turano. Ex rettore della Pieve di San Giovanni a Turano dal 1594 al 1603, fu bandito dai territori della Serenissima il 19 agosto 1603 dal provveditore veneto di Salò, Filippo Bon, per aver commesso omicidi e nefandezze varie. Rivale della banda di Giovanni Beatrici detto Zanzanù di Gargnano, fu da costui il 19 dicembre 1608 assediato nel campanile di Pieve di Tremosine e poi, grazie all'intervento della popolazione locale, consegnato alla giustizia. Interrogato dal provveditore ammetterà di essere un bandito e fu giustiziato sulla pubblica piazza di Salò nella mattina del 4 luglio 1609.
- ^ a b Claudio Povolo, Zanzanù. Il bandito del lago (1576-1617), 2011.
- ^ Giuseppe Ton era un sicario al soldo del mercante salodiano Alberghino Alberghini. Nell'ottobre-novembre del 1605 fu ferito gravemente da un colpo di archibugio a Salò, sulla porta del convento di Santa Maria dei Carmini, in quanto testimone dell'Alberghini nell'istruttoria giudiziaria dell'omicidio di Camillo Gnecco avvenuto a Salò, in piazza Fossa, il 21 luglio dello stesso anno. Il Ton, con la complicità di Giovan Battista Duse e Orazio Balino, fu l'esecutore materiale dell'omicidio del giurista salodiano Cesare Tracagni, assassinato alle porte di Brescia il 26 agosto 1606. Tutti e tre i sicari furono condannanti al bando dal territorio della Serenissima il 19 settembre 1606 dal tribunale pretorio di Brescia. Il Duse e il Balino si levarono il bando con l'uccisione del Baruffaldi e del Sette mentre il Ton, solamente l'anno dopo, con l'eliminazione a Sabbio Chiese del 12 luglio 1607 di Bartolomeo Rosa, un bandito di Brescia.
- ^ a b Claudio Povolo, Liturgie di violenza lungo il lago. Riviera del Garda tra il '500 e '600, Vobarno, 2010.
- ^ Alberghino Giuseppe Alberghini nacque a Salò il 9 luglio 1568 in una facoltosa famiglia mercantile. Uomo spregiudicato e arrivista con forti legami finanziari europei e con gli stati del nord Italia, fu il protagonista di una sanguinosa faida sorta a Salò fra alcune famiglie della ricca borghesia locale per motivi legati agli affari e al predominio politico rivierasco. Fu tra i fondatori della Pia Congregazione della Carità laicale, un'organizzazione di assistenza sociale, voluta dal conte Sebastiano Paride Lodron il 5 ottobre 1595. Informatore del Senato Veneto, in rapporti oscuri con la famiglia Riccobono Sette di Maderno, Alberghini fu un attivo e discreto promotore della repressione del banditismo locale a lui avverso, ossia quello rappresentato dalla banda degli Zanoni; così oltre la caccia al Baruffaldi e al Sette, nel febbraio del 1609 fu l'oscuro regista dell'agguato al porto di Riva del Garda a Giovanni Beatrice e complici, dal quale scampò solamente il Zanzanù e un suo infiltrato. Nel 1610 iniziò il suo declino economico e tra il marzo del 1611 e il marzo del 1612 fu carcerato a Venezia per ordine del Consiglio dei Dieci per aver indotto alcuni testimoni nella formazione dell'istruttoria in merito all'assassinio del podestà di Salò, Bernardino Ganassoni, avvenuto il 29 maggio 1610, ad aver deposto il falso. Nel 1618 fu bandito per venticinque anni dallo Stato veneto dal Consiglio dei Dieci per gli ingenti debiti contratti e per essere stato ritenuto il mandante dell'assassinio del suo socio d'affari Antonio Bertoloni. (Cfr. Claudio Povolo, Liturgie di violenza lungo il lago. Riviera del Garda tra il '500 e '600, Vobarno, 2010).
- ^ Informazione tratta dal sito websideofhistory.it.
- ^ Dal 1700 la località Martelletto appartiene al comune di Valvestino e da circa cinquant'anni è completamente abbandonata a sé stessa. Nel 1600 vi abitavano stagionalmente alcune famiglie in due casolari dedite all'allevamento del bestiame e il suo possesso era conteso da secoli dal comune di Turano a quello di Gargnano e Tignale che sfociò più volte in liti armate.
- ^ Archivio di Stato di Venezia, Consiglio dei dieci, Comuni, filza 261, 15 novembre 1606.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Claudio Povolo, Zanzanù. Il bandito del lago (1576-1617), 2011.
- Claudio Povolo, Liturgie di violenza lungo il lago. Riviera del Garda tra il '500 e '600, Vobarno, 2010.
- Guido Lonati, La pieve e il comune di Maderno. Venti secoli di storia religiosa, politica, economica, civile, Toscolano, 1933.
- A. Racheli, Il Comune di Tignale e la Madonna di Montecastello, Bergamo 1902.
- Silvia Fogliani, Il confine, i confini, a cura dell'Università Cà Foscari di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Anno Accademico 2008/2009.
- Sergio Zanca, Ecco la vera storia del famigerato bandito Zanzanù, articolo del quotidiano Bresciaoggi del 17 aprile 2009, pag. 31.
- Amelio Tagliaferri, Relazioni dei rettori veneti in terraferma : Provveditorato di Salò. Provveditorato di Peschiera, pubblicato da A. Giuffrè, 1973.
- Claudio Povolo, Storia di un uomo che divenne bandito, in “Banditismi. mediterranei secoli XVI-XVII” a cura di Francesco Manconi, Carocci editore, Roma 2003, pag. 202.
- Giuseppe di Giovine, Provveditori e banditi nella Magnifica Patria, Salò, 1980.
- Guido Lonati, Per la storia del Banditismo in Riviera, in Il Giornale del Garda, 1926.
- Federico Odorici, Notizie Bresciane, vol. IX, 1856.
- Silvino Gonzato, Briganti romantici, 2014.