Discussione:Dialetto romanesco

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 Roma
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Perché somiglia tanto al toscano

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Leggendo la voce mi è tornato in mente un testo studiato all'università, il Tagliavini, un tomo di linguistica romanza che discuteva anche i dialetti italiani. In quel saggio la motivazione della somiglianza tra romano e parlate toscane veniva spiegata in modo parzialmente diverso. A causa del Sacco di Roma nel 1527 si era avuta una strage tra gli abitanti della città (che parlavano il vecchio romano simile agli altri dialetti del Lazio, attestato anche in scritti medievali); i Papi, che avevano bisogno di artigiani qualificati per la loro corte, persuasero molti toscani a stabilirsi a Roma, fatto sancito tra l'altro dalla forte presenza di famiglie di origine toscana p.es. tra i pasticceri romani. A quel punto fu inevitabile che la parlata della città subisse una brusca sterzata verso le parlate toscane. Forse sarebbe da cambiare l'inizio della voce.--93.40.117.252 (msg) 19:04, 8 lug 2010 (CEST)[rispondi]

Se non sbaglio anche Tullio De Mauro pone al centro del cambiamento linguistico gli avvenimenti susseguiti al Sacco di Roma.--Bizarria (msg) 18:51, 17 dic 2010 (CET)[rispondi]

Manifesto della metro

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Chi ha ideato il manifesto della metropolitana ha toppato la grafia!! Io avrei scritto so' nove, so' bone!! --Bizarria 10:38, 5 apr 2006 (CEST)[rispondi]

No, la grafia è esatta, si rifà a quella del Belli. ciao --GAÚCHO (Dimme tutto!) 16:42, 5 apr 2006 (CEST)[rispondi]

Segnalazione

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La correzione del link riportata in: 00:44, 25 ago 2006 85.20.107.202 (Discussione) (→Collegamenti esterni - link precedente nullo)

e' stata fatta da me Jipre. Segnalo ciò solo per chiarezza, avendo fatto la correzione senza identita'.

ma popò non è la "cacchina" dei bimbi?

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Ho corretto pòpo in pròpio, confortato da almeno due vocabolari del dialetto ROMANO (non voglio usare Romanesco, io non parlo er carcifolaro!) Il Vaccaro e il Ravaro, mentre il Chiappini (meno documentato dei primi due) ignora la parola italiana PROPRIO. Ma, anche ad orecchio il pòpo suona male. Innovare la lingua ed anche il dialetto è buona cosa, ma con un minimo di buonsenso e di sale al posto giusto.--Spartacusquirinus 16:49, 9 set 2006 (CEST)[rispondi]

Ciao Spartacusquirinus. Pur non essendo l'autore del passaggio da te modificato, ti assicuro che nei più accorati slanci di erotismo sia io che i miei amici abbiamo sempre apostrofato le portatrici di proporzionate rotondità dicendo loro: sei pòpo bbòna. Sono disposto a riconoscere una certa mancanza di galanteria durante la mia adolescenza, ma non chiedermi una revisione storica del mio passato di piacione. Per questo, e per molti altri meno nobili motivi, mi sono permesso di tornare al pòpo. Amux 20:53, 9 set 2006 (CEST)[rispondi]

È proprio propio!

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Sono tornato al propio, maggiormente documentato, vedi anche [1]. Anche se popo esiste, penso che sia una buffa storpiatura... metterla nella sezione "normativa" sulla fonetica è discutibile. La frase in questione "sei popo bbona" in tale forma, si potrebbe al più inserire tra i modi di dire. --Luca P 18:58, 11 set 2006 (CEST)[rispondi]

vabbé cche so' vvecchio ma a mene sto "popo" propio nun m'arisurta.
Carlo Morino (ditelo pure a zi' Carlo) Anno 2759 a.U.c. (CMT)
È possibile che da adolescente sia vissuto in un ghetto linguistico. E proprio sia! (Poi si j'arisurta a zi' Carlo...) Amux 13:02, 12 set 2006 (CEST)[rispondi]


none, nun zò cressciuto ar ghetto. Sò dde Ponte da parte de tata e de Trevi da parte de mamane, anche si mmo' semo iti a 'bbita' in campagna operta, a li Prati de Castello.

zi' Carlo.

Il vocabolario lo puoi usare per spiegarmi l'italiano che magari non conosco benissimo ma il romano lo conosco, lo parlo e sono circondato da gente che lo parla e tutti dicono pòpo. Il dialetto non si studia, i libri contano poco.

Direi che "pòpo" è una storpiatura linguistica (anche abbastanza recente, credo) di un dialetto che spesso glissa sugli accostamenti di consonanti. In fondo i dialetti, forse più delle lingue, subiscono continue evoluzioni. A parte dotte documentazioni, se si trattasse di un sondaggio voterei semza dubbio per "propio". --Galzu 15:32, 12 set 2007 (CEST)[rispondi]
E se il romanesco non fosse monolitico, ma mutasse nel tempo (e nello spazio: cfr. periferia e centro storico) e popo appartenesse a una determinata varietà di romanesco, mentre propio ad un'altra? V'ha ppiasciato? Io, pe'mme, nell'intimo mio che sto cco' mme stesso, dico propio!
P.S. A zzi' Cà', tu cche ssei mezzo pontisciano, mezzo de Trevi, me la leveressi 'sta curiosità? Solo te mme poi ajjutà: de Trastevere (come mme), tresteverino, de Bborgo bborghiciano, de Monti monticiano, de Colonna colonnese, der Popolo popolante...
Ma vvojjantri de Trevi, ma ccome ve chiamate?? L'ho cchiesto a uno che ddisceva d'esse nato llì ddietro a la Madonna der Canneto, ahò! Nu' mm'ha 'risposto: "N'ce lo so!!"Romanesco (msg) 13:21, 18 set 2009 (CEST)[rispondi]

Pe mme dipenne pure dâ posizzione nâ frase: prima de n'aggettivo popo ce pò pure stà (soprattutto 'n linguaggio scherzoso), ma â fine de na frase 'un direi propio. (FWIW, 'un sò dde Roma.) La S dopo la N diventa Z anche nella scrittura e anche se c'è uno spazio in mezzo? Cioè, in quella parentesi dovrei scrivere "'un zò"? --A. di M. (msg) 12:23, 12 dic 2009 (CET)[rispondi]

nun scherzamo

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er "Romanaccio" nun esiste.

ar massimo c'è er romanesco moderno.

evitamo d'offenne sinnò ve vengo a acchiappa' a casa uno pe' uno.

zi' Carlo, in arte Carlo Morino


A zzi' Cà', come! Mo' er Romanaccio nun esiste!? Che mme dichi! Varda 'n po' cqua cche bbocconcino m'aritrovo tra le mano:

«...i Romaneschi chiaman talvolta un po' enfaticamente sé stessi: romanacci, grevacci e fin anche boiacci, ecc»

Romanesco (msg) 13:13, 18 set 2009 (CEST)[rispondi]

Esiste (un progetto per creare) un correttore ortografico per la nostra Lingua?

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Solo una curiosità: qualcuno sa se esistono progetti per compilare dei correttori in Romano (o romanesco, che dir si voglia) tipo Aspell del progetto GNU (per capirci http://aspell.net/)? Guardando su http://www.linux.it/tp/progetti_traduzione.html#rassegna non ho trovato nulla, e la cosa mi sembra grave... sarebbe necessario porvi rimedio quanto prima...

F.

Chiedi all'Oracolo wikipediano. --Elitre (ma il copyviol è emergenza sempre) 01:59, 4 dic 2006 (CET)[rispondi]

Ma dobbiamo proprio (anzi, popo) tenerci la pubblicità grautita della EasyJet? Non abbiamo qualcosa di meglio -e di più pittoresco? Una statua di Gioacchino Belli, che so... --Sogeking un, deux, trois... 22:17, 15 apr 2007 (CEST)[rispondi]

Uno di questi giorni vado iin giro per Roma, faccio qualche foto (naturalmente per caricarle su Wiki. Se passo davanti ad una statua di G.Belli faccio una foto, ok?--Loroli 11:27, 19 giu 2007 (CEST)[rispondi]

Romanaccio

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Zi' Carlo, che ci vuoi fare se il dialetto di Roma è riferito storicamente, spesso e volentieri, soprattutto da i suoi locutori, come "romanaccio" e non romano o romanesco? Non è affatto un dispregiativo, -accio è un suffisso usato spesso in corso per creare gli aggettivi di luogo, ad es: Bastìa -> bastiàcciu. Forse è un termine importato dal linguaggio dei corsi che costituivano la "Guardia Corsa" papale ed il gruppo di immigrati più numeroso a Roma durante il medioevo ed il rinascimeneto. Solo nel 1664, infatti, la "Guardia Corsa" è stata sostituita da quella svizzera. Per quanto riguarda il "pòpo", è un termine molto usato; forse è recente, nato come contrazione di "propio".

Dai mei ricordi di un esame di Archeologia Medioevale vi faccio presente che i suffissi -accio; -one, nei termini topografici stanno ad indicare una struttura diruta, per esempio castellone, castellaccio, muracce, ecc. --Bizarria 10:41, 1 mar 2008 (CET)[rispondi]

Dialetto mediano o dialetto toscano

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Ho visto la nota di Lussin: le fonti enciclopediche più affermate concordano nel classificare il "Dialetto romanesco" entro il gruppo dei dialetti mediani e non dei toscani; si considera appartenente al toscano una variante dell'italiano ampiamente diffusa nella capitale che non va confusa con il dialetto romanesco propriamente detto. Il dialetto romanesco è inserito tra i mediani, ma non c'è alcun dubbio sulla toscanizzazione del dialetto di Roma, operatasi in epoca rinascimentale e postrinascimentale. Si può dire che è mediano, ma che dal periodo rinascimentale si è trasformato moltissimo ed ora si discosta, esso solo, dal resto dei mediani. La variante che indica Lussin mi è sconosciuta e gradirei di esserne edotto. Direi quindi che si dovrebbe dire qualcosa tipo "Il dialetto romano (o romanesco) è un dialetto mediano con forti influenze toscane. Si fa risalire l'influenza toscana al rinascimento eccetera"

Aspetto commenti! --theDRaKKaR 03:51, 16 dic 2007 (CET)[rispondi]

Osservazione più che pertinente. La faccio mia e vado alla modifica.--Vandergraaf (msg) 18:11, 12 mag 2008 (CEST)[rispondi]

Tra l'altro, secondo gli ultimi studi, l'italiano è molto più antico di quanto si creda. Infatti ci sono ricerche che dimostrano che già all'epoca di Cicerone il popolo NON parlava latino classico ma una versione popolare che già usava ille come "articolo" e che quindi aveva già molto dell'italiano. Molte lingue parlate in Italia, nascono già all'epoca dell'impero romano e la stessa parlata romanesca probabilmente si poteva sentire, quale accento, nel latino parlato a Roma.--Dario de Judicibus (Scrivimi) 18:52, 24 lug 2010 (CEST)[rispondi]

ciài - c'hai

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Nella sezione Grammatica, alla voce Verbi irregolari, vengono definite "forme in disuso" le unioni della "c" alle voci verbali del verbo "avere" a formare le coniugazioni "ciò" "ciài" "cià" "ciavemo" "ciavete" "cianno". L'affermazione non solo non è vera, ma denota l'assoluta mancanza di conoscenza degli scritti dei poeti e scrittori dialettali (antichi e, soprattutto, moderni) che MAI riportano la versione "c'hai", indicata come usata "per consuetudine". Quest'ultima (scorretta) forma è stata introdotta proprio da chi evidentemente non conosce approfonditamente la grammatica romanesca attraverso le letture dei classici (e, ripeto, dei moderni). A questi signori chiederei come scriverebbero nel "loro" (pseudo)romanesco la voce "che hai". E' vero che nella stessa sezione della voce, viene riportata nel "notare" a fondo pagina l'inesattezza della versione "c'hai" e che quindi si preferisce utilizzare la versione "classica" (per cui non c'è bisogno di alcun grafema particolare...), ma nella sezione "Il rapporto con la religione" viene scritto : "...'na Santa che c'ha du' cojoni così", contraddicendo quanto sopra affermato. Prego vivamente adeguare il testo alla luce di quanto evidenziato. Rugante L'acca è muta sia in italiano che in dialetto romano, dunque non si può scrivere c'ha e pronunciare cià, o come scrive qualcuno c'azzecca e pensare ad ciazzecca, è un vezzo che deriva da altre lingue, per esempio il Che Guevara ma mica semo spagnoli no? Spartacusquirinus (msg) 16:31, 30 ago 2009 (CEST)Spartacus QuirinusSpartacusquirinus (msg) 16:31, 30 ago 2009 (CEST)[rispondi]

a roma si dice ( x fare un esempio) la parola brucio si pronuncia: bruscio...mettete voi sta regola

Immagine: Senatus PopulusQue Romanus nella voce Dialetto romanesco

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Inserendo l'immagine, è stato scritto:

«L'immagine riguarda il popolo romano e l'origine della sua lingua»

E ha perfettamente ragione quanto alla lingua: il dialetto romanesco è un dialetto neolatino e quindi deriva dal latino, lingua dell'antico popolo di Roma; non c'è dubbio. Ma il latino non è all'origine del romanesco soltanto, ma di tutte le lingue e i dialetti romanzi, compresi il napoletano o il milanese, per non parlare del parigino o del barcellonese. Ma sicuramente Gierre non intendeva riferirsi a questo, credo (se mi sbaglio lo prego di scusarmi) che intendesse dire che tra il romanesco e il latino ci sia come un filo diretto, un rapporto più stretto che non è possibile rilevare altrove, per altri dialetti neolatini. Perché il latino ha origine in Roma, e il romanesco (che pure è di Roma) ne sarebbe il più legittimo discendente. Forse le cose non stanno proprio così. Per cercare di dimostrarlo partirò allora dalla continuità "etnica" del popolo romano. Prendiamo il Sacco di Roma del 1527. Ebbene, dei 54.000 abitanti che attesta la Descriptio Urbis (il primo censimento di Roma che ci sia stato tramandato) per l’anno 1526, ne rimangono, a conclusione del Sacco, 30.000; non solo:

«tra il 1527 ed il 1551 la città passò dai 30.000 abitanti o poco più scampati al Sacco a 80-85.000 abitanti, con un incremento in larga parte allogeno di circa 50.000 persone. Visto che fra quei 30.000 abitanti superstiti del 1527 i non romani saranno stati più della metà, si può ipotizzare – con un calcolo necessariamente approssimativo, ma sufficientemente attendibile – che intorno al 1550 la popolazione di Roma doveva essere formata per un 75-80 % da immigrati o figli di immigrati»

La citazione è da TRIFONE Pietro, Roma e il Lazio, UTET, 1992, p. 43 (è un importante libro sulla storia del dialetto romanesco, scritto dal rettore dell'università di Siena, linguista). Nel 1581 Montaigne scriveva di Roma:

«è la città dal carattere più cosmopolitico del mondo, e quella dove meno si bada se uno è straniero e di nazione diversa»

In effetti nel corso del secondo Cinquecento Roma passò dai 50.000 abitanti del 1550 a 100.000 alla fine del secolo; difficile credere a un così repentino incremento indigeno. E infatti...

«dalle fonti emerge con assoluta chiarezza che la lievitazione della popolazione debba essere attribuita in larghissima misura non tanto all'incremento della natalità dei residenti, romani o forestieri che fossero, quanto piuttosto al contributo degli immigrati e al loro continuo sopraggiungere dentro le mura della città»

.

Non che i romani non ci siano proprio più, ma come dice il romano Marcello Alberini, essi in città non contano ormai nulla

«perché in Roma la minor parte del popolo sono i Romani; l'altri come sono de diverse nationi et patrie»

o ancora:

«la minor parte in questo popolo sono i Romani, poiché quivi hanno refuggio [sic] tutte le nationi come commune domicilio del mondo»

Ora, pur limitandomi a prendere in considerazione solo il Rinascimento (e tralasciando gli effetti delle invasioni barbariche, o della dinamica demografica di Roma dopo essere diventata capitale d'Italia: da 212.432 abitanti nel 1871 a ben 422.411 solo trent'anni dopo, certo in gran parte immigrati da altre regioni), vorrei sottolineare che questa immigrazione assolutamente abnorme e sconosciuta a qualsiasi altro centro italiano ha prodotto importanti mutamenti a livello dialettale:

«Rispetto al romanesco medievale per questi e per moltissimi altri aspetti il romanesco di oggi presenta una netta discontinuità [...]. Ciò ha portato a distinguere fra un romanesco di prima e uno di seconda fase, soluzione terminologica che si deve a Francesco Ugolini e che non è adottata, et pour cause, per nessuno degli altri dialetti della penisola. La cesura [...] si deve alla storia politica e demografica della capitale dello Stato della Chiesa, dotato di una classe dirigente sovraregionale, in stretto rapporto (in particolare fra Quattro e Cinquecento) con la Toscana, e mèta a più riprese di un'immigrazione (dalla Toscana e dal resto d'Italia), che ha toccato tutte le fasce sociali. In questa situazione il dialetto originario - ancora capace di un'espressione alta, a metà Trecento, con la Cronica d'Anonimo Romano - viene progressivamente relegato ai piani bassi del repertorio fino a cedere il campo, entro fine Cinquecento, a una nuova varietà dialettale toscanizzata. Si può dire dunque che caratteristico di Roma è il fatto che la toscanizzazione abbia ridisegnato l'intero repertorio, sino al dialetto degli stati popolari, mentre nel Quattocento altrove in Italia essa toccava soltanto la lingua scritta, cancelleresca e letteraria»

Molti degli stranieri della Roma rinascimentale provenivano dalla Toscana o dall’Italia settentrionale (secondo i calcoli di Trifone l’80,6 % del totale); la la lingua tosco-fiorentina si impose e in gran parte sostituì il dialetto romano vero, originario, che oggi noi stessi, parlanti romanesco di seconda fase, stentiamo a riconoscere come tale. Ecco una battuta di Perna, personaggio di una commedia cinquecentesca del romano Cristoforo Castelletti:

«PERNA - Missere, sìne, me lo faraio imparàne... Uh, che si' scontiento moito! te si' ntertenuto tanto?! Che va' fecenno quanno va pe li servizii, che non reviei ma' più?»

Nell'elenco delle "Persone della comedia" Castelletti classifica Perna come "vecchia romanesca" (Castelletti, op. cit., p. 41). Per chi ne voglia sapere di più, nello stesso volume, il curatore Pasuale Stoppelli, alle pp. 29-32 fornisce una interessante "Nota sul dialetto romanesco" (quello vero, quello originale, quello che veramente deriva dal latino di Roma) che consiglio di leggere. Concludendo: 1) per quanto detto sopra la stragrande maggioranza dei romani attuali non ha origini romane; 2) il romanesco odierno deriva sì dal latino, ma per il tramite del dialetto toscano. Era il romanesco pre-rinascimentale il vero discendente del latino, non il romanesco attuale. Pertanto propongo la rimozione dell'immagine, in quanto non pertinente alla voce.

P.S. Lo scrivente è romanesco. Romanesco - msg 22:58, 17 settembre 2009 (CEST)


  • Quell'immagine vuole evidenziare non solo l'eredità linguistica con il latino originale ma quella morale, culturale e storica e quindi anche di linguaggio, dove quei valori s'incarnano, con l'antico popolo romano.

Senza bisogno di arrivare al Rinascimento, persino la lingua latina espressa nella scritta S.P.Q.R. era quella della classe dirigente che diceva "equus" e che non coincideva con quel latino volgare parlato dalla plebe che diceva "caballus".

E chiaro che la lingua del popolo romano degli inizi era diversa da quello del tempo dell'Impero e questa da quella del Medioevo e così via ma è sempre stata sentita, almeno dai membri più acculturati del popolo romano, come diretta erede di quelle origini antiche.

Se ancora oggi ad esempio un calciatore come Totti, espressione spontanea e ingenua della romanità del popolino dei tifosi romanisti, porta tatuata la scritta S.P.Q.R. non è un caso. Quanti oggi possono vantare l'antica discendenza con i progenitori antichi ? certamente ben pochi o forse nessuno ma ciò non toglie che i figli degli abruzzesi o calabresi o senegalesi immigrati in Roma si sentano romani e parlino il dialetto romano con un senso di appartenenza a quelle antiche origini.

Per concludere non si mette in dubbio l'analisi di una lingua latina che si è modificata ad esempio per influenze toscane arrivate all'attuale dialetto ma ciò non toglie che ad esempio in quelle citate espressioni romanesche toscanizzate si trovi in alcune parole (Che va' fecenno quanno ...) la quasi esatta corrispondenza con il dialetto romano di oggi.--Gierre (msg) 07:23, 18 set 2009 (CEST)[rispondi]


Complimenti a Romanesco per il suo intervento! tuttavia al di là delle argomentazioni da lui portate – che pure condivido ampiamente, vista la sostanziale estraneità del romanesco attuale da una parte con quello medievale, che aveva caratteristiche che a noi oggi parrebbero napoletane, e dall'altra con i dialetti di buona parte del Lazio – credo che l'immagine della celebre sigla SPQR non sia opportuna in quella sede, e per un motivo molto semplice, e cioè che così messa dà l'idea di una bandiera, di un'identità esibita che può starci nella voce sulla città, o nel portale: Roma ma non, a mio avviso, in una voce linguistica, nella quale fatico a trovarle una giustificazione. --LUCA p - dimmi pure... 08:36, 18 set 2009 (CEST)[rispondi]

Aggiungo la citazione di un sonetto caudato in romanesco del 1522:

«Dialogo - Vannozza e Jacovella

Va. - Lo buonnì, sore meia, chinto stai?
E lo signore tio e quessi gitielli?
Ja. - Bene, che aiate unne chivielli
Sarvo che Rienzo figliamo u quanti guai!
Perfì a tre hore no lo reveio mai:
Va alla Minerva con quest'aitri cielli
A confettione, e sa li poverielli
N'averaco lo malanno e bederai.
Va. - Ascoita: vuoco 'n mano lo Castiello
E remetter 'n libertate Roma.
Ja. - Quant'aco remmerzato lo cerviello!
Dice maritomo che l'asini doma
Quessa terra, e per ciò lo baroncello
Li metterà 'n Castiello co la soma.
Va. - E buoco Roma e Toma...
Esso le bufale! sore, fuij [sic] via!
Madonna de lo puopolo, urcine Maria»
Sono in tutto d'accordo con --LUCA p: l'immagine starebbe meglio nella voce sulla città, o nel portale: Roma. Invece non mi sentirei di sottoscrivere in pieno la risposta di Gierre: singole (e tutto sommato, sporadiche) corrispondenze lessicali non sono una sufficiente prova di parentela diretta: la controprova sta nel fatto che il Che va' fecenno quanno... lo si può sentir dire ancora oggi in Umbria (ma non a Roma, perché la forma mediana fecenno con la e qui è stata sostituita da quella con la a, proprio per la toscanizzazione). E si tenga presente che l'assimilazione progressiva di ND > nn non è affatto tipica di Roma: quanno si dice in quasi tutta l'Italia centro-meridionale a partire dai lembi meridionali della Toscana. Quello che il romanesco ha subito nel Rinascimento non è stato un semplice influsso toscano, ma un vero e proprio cambio di lingua, che ha pervaso non solo il lessico, ma anche la fonetica, la morfologia e la sintassi, cioè tutta la grammatica! L'attuale romanesco di seconda fase è una lingua nuova rispetto al romanesco medievale, che è, oggi, una lingua morta.
P.S. Il termine caballus è di probabile origine gallica: cfr. Alfred Ernout, Antoine Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Klincksieck, 1985, p. 80 ad vocem.
Romanesco - msg 12:17, 18 settembre 2009 (CEST)

Non metto in discussione le dotte disquisizioni dell'utente Romanesco ma forse io non mi sono spiegato bene. La epigrafe S.P.Q.R. in una voce che tratta del dialetto romano vuole significare che anche se questo conserva o meno lontane tracce dell'antico latino, quel linguaggio, fosse pure ormai più vicino al toscano o al gallico, rappresenta l'oggettivazione di quegli antichi valori della romanità: vuole essere proprio "l'idea di una bandiera, di un'identità esibita", perduta magari nella lingua ma conservata nello spirito. La scritta S.P.Q.R. non vuol più dire "Il senato e il popolo romano" ma significa che anche se sono un cinese naturalizzato parlando il dialetto romano sento di appartenere a quell'antica storia. Se si riconosce infine che quell'immagine andrebbe bene per una voce che riguardi la città di Roma non capisco perché sarebbe incongruente con una voce che tratti della lingua degli abitanti di quella città che la realizzano, per quella che è, con il loro modo di essere, anche con il dialetto: se va bene per Roma perché sarebbe inopportuna per i romani? --Gierre (msg) 06:48, 19 set 2009 (CEST)[rispondi]

Al di là delle motivazioni portate da Romanesco, mi sembra che se ci deve essere un'immagine in apertura deve essere specificatamente legata al soggetto della voce: ci starebbe bene il frontespizio originale dei sonetti o qualcosa del genere, o una stampa der sor Meo. L'SPQR a mio avviso nun c'entra propio gnente. --Carlo Morino (dillo a zi' Carlo) 17:44, 19 set 2009 (CEST)[rispondi]

Condivido le proposte di Carlo Morino. Ma anche il ritratto del Belli, o Trilussa... --LUCA p - dimmi pure... 19:50, 19 set 2009 (CEST)[rispondi]

Perché i Romani e il dialetto romanesco non sono la stessa cosa. Hai ragione, Gierre: bando a inutili sfoggi d'erudizione. Prometto che ci farò attenzione, e andiamo al cuore del problema. Devo riconoscerlo: avevo impostato male la questione.

Anche se i Romani attuali non discendono dai Romani antichi, e anche se il dialetto romanesco attuale non discende direttamente dalla lingua dei Romani antichi (ma solo indirettamente, attraverso la mediazione toscana), ciononostante, molti Romani lo credono, senza preoccuparsi di sapere se sia vero o no. Al punto da essersi scelti come icona che rappresenti la loro identità etnica, tra gli altri simboli, proprio la sigla SPQR. Se non se ne curano loro, perché dovresti incaricartene tu, Romanesco? La loro scelta va registrata come un dato di fatto, e non messa in discussione.

Giusto. Fino a un certo punto; che ci vorrebbe a scrivere due righe per contestualizzare e dire: molti la pensano in questo modo, ma storicamente le cose stanno così e così? Teknopedia non deve abbandonarsi a riportare acriticamente l'opinione di un solo gruppo di persone, per quanto numeroso possa essere. Non solo: se quella stessa opinione, dopo un valido accertamento, si rivela essere falsa, non è giusto proporla (sbandierarla ecc.) come vera, e attribuirle un posto d'onore nella voce.

Questi sono i primi due argomenti, gli altri sono più banali, ma forse non inconsistenti: perché identificare Romani e dialetto romanesco? Sono due concetti disparati: non tutti i Romani parlano romanesco, non tutti i parlanti romanesco sono Romani. La voce dialetto romanesco dice che i parlanti sono circa 2.000.000; la voce Roma dice che i romani sono 2.700.000 circa. Perché noi dobbiamo decidere anche per loro e sovrapporre identità etnica ed identità linguistica?

Infine, come rilevato da LUCA p e Carlo Morino, dal momento che esistono voci distinte (Portale: Roma, Roma città, Dialetto romanesco) perché mettere una cosa che va bene per una, in un'altra? perché mettere le stesse cose in tutte e tre? perché non approfittarne per far risaltare le specificità di ognuna?

Ultimissimo: i "valori della romanità" non sono un concetto univoco: recentemente Benedetto XVI, invitato ad esprimersi in dialetto romanesco, ha risposto che lui il romanesco non lo parla, né lo ha mai imparato, perché per essere romani basta essere cattolici. E non sono pochi coloro che si conformano alle sue posizioni e si ritengono "romani" perché condividono i valori del cattolicesimo.

P.S. Quanto alla ricerca di alternative possibili, sì: Belli, Trilussa, Pascarella ecc.: si anche potrebbe pensare a un trittico con Belli al centro e gli altri ai lati, ma si tenga conto dell'esistenza dell'altra voce intitolata Letteratura in dialetto romanesco, forse ancora un po' trascurata. Certo, questi autori non hanno avuto una rilevanza meramente letteraria, ma anche linguistica; soprattutto (c'è bisogno di dirlo?) Belli. Comunque non escluderei di cercare qualcosa di più attuale: forse uno striscione da stadio in dialetto, o comunque qualcosa che attesti, fin dal principio della voce, come un biglietto da visita, della vitalità del romanesco. -- Romanesco (msg) 20:39, 22 set 2009 (CEST)[rispondi]

Per finire

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Contrariamente a chi in modo irriflesso trancia giudizi, forse senza aver neppure capito, apprezzo molto il tuo modo cortese di condurre questa discussione e in quest'ambito ti faccio notare come in effetti un altro papa, Giovanni Paolo II, che da quel momento divenne "quasi" romano, si sforzò, lui polacco, di parlare il dialetto romano ("volemose bene", "damose da fà") proprio per far risaltare un senso di identità con il popolo romano.

Ci saranno pure romani d'adozione che non sanno o non vogliono parlare in dialetto perché si sentono ancora legati alle loro radici (ma già per i loro figli non sarà più così) ma sono duramente contestati dai romani e trattati con sufficienza, quasi con spirito razzista: in una fucina del dialetto romano, quale era il mercato di Piazza Vittorio, mi capitò di sentire più volte i "piazzaroli" dire in scontri verbali con parlanti con accento meridionale  : "a barese arivattene a lu paese!". Probabilmente chi si esprimeva così non era affatto di origini romane, magari era anche lui di origini "baresi", ma dal momento che la sua vita si svolgeva in Roma, tra romani, ne aveva assorbito la romanità attraverso quel dialetto, ormai toscanizzato, ma che per lui è romano.

Secondo me la "romanità", con i suoi valori o disvalori che l'hanno caratterizzata, come la sufficienza nei confronti dei potenti, lo spirito di sopportazione, l'espressione caustica ecc., è una categoria presente da sempre in questo popolo, rintracciabile sin dai tempi del S.P.Q.R., sin dall'epoca della Roma dello spagnolo Marziale, che ancora oggi colora di sé chi vive in questa città dove i resti di quell'originaria civiltà gli sono ogni giorno sotto gli occhi .

Mi dici dello spirito scientifico di WP ma credo che anche queste mie considerazioni siano oggettivamente riscontrabili tali da giustificare l'immagine preposta alla voce.

Ma non voglio farla troppo lunga, vorrà dire che tolta l'immagine che genera sospetti fastidi in chi vede in Roma la fonte di ogni corruzione, troverò, come anche tu suggerisci, il modo di trasferirla all'interno della voce accompagnata da queste semplici riflessioni.--Gierre (msg) 07:03, 23 set 2009 (CEST)[rispondi]


Se ho capito bene, non ti va di continuare la dicussione sull’opportunità dell’immagine nella voce. Non voglio forzarti, anche se, purtroppo, se dovessi dire di aver compreso al cento per cento perché per te l’immagine dell’S.P.Q.R. stia bene proprio in una voce sul dialetto, non direi la verità. C’è qualcosa che mi sfugge in quello che dici: qual è il collegamento tra chi sospetta pregiudizialmente di Roma, e questa discussione? Dei partecipanti sono proprio convinto che nessuno condivida una simile posizione: certo non tu, ma nemmeno io (che sono Trasteverino sai? e la amo sinceramente Roma), Carlo Morino, beh, il suo sito parla da solo: guarda che bellezza di sito è riuscito a costruire zi’ Carlo su tanti Romani, su Roma e sul romanesco![2] Luca p non lo conosco bene, ma anche lui, a giudicare dalla sua pagina utente, mi sembrerebbe molto strano che condividesse una simile bassezza.

Fai bene a ricordarmi Wojtyła; buonanima! Era curioso davvero del dialetto romanesco: già negli anni Settanta, quando era sindaco G. C. Argan, la prima domanda che gli rivolse in un incontro al Campidoglio fu: «Perché si dice romanesco e non romano?». Peccato che Argan non abbia saputo rispondergli. E papa Luciani? Quel sant’uomo non si mise una volta a spiegare il messaggio di Cristo leggendo e commentando delle poesie di Trilussa? Anche Pacelli, ultimo papa nativo di Roma, diede due udienze private a Trilussa e lo incoraggiò a scrivere in romanesco. Ma prima ancora: non fu un prete, il vescovo Vincenzo Tizzani, a salvare dal rogo tanti manoscritti di G. G. Belli? Sono episodi davvero belli, ed è giusto ricordarli… però restano, appunto, episodi: credimi Gierre, se si studia a fondo la storia dei rapporti tra Roma e la Chiesa (e io un po’ mi ci sono provato), si resta colpiti dalla freddezza con cui troppe volte le gerarchie ecclesiastiche a Roma si sono fattivamente adoperate per smontare, conculcare, disarticolare, purtroppo non senza un certo successo, tanti tentativi di costruirsi autonomamente una coscienza identitaria civica dei Romani antichi, medievali, moderni e contemporanei.

È vero, chi potrebbe negarlo? Ci sono un gran numero di parlanti romanesco che, quando rilevano delle carenze linguistiche nei loro interlocutori, li prendono in giro, dimostrando un sincero attaccamento verso il proprio dialetto. A P.zza Vittorio poi, dei tanti immigrati che ci sono, alcuni hanno figli che parlano romanesco come meglio non si potrebbe; e così come loro tanti figli di immigrati dalle più diverse regioni italiane. Ma c’è solo il lato buono della medaglia? Davvero non ti è mai capitato di essere stato preso in giro proprio perché parlavi in dialetto? Allora sei più fortunato di me. Io parlo abitualmente in dialetto, specie se sono in compagnia di amici sinceri (anche se magari loro non lo parlano), ma, per esempio, sono stato diffidato dall’usarlo ancora in un certo bar vicino casa mia perché altrimenti “le caccio i clienti” ha detto la padrona. Io ho ribattuto che non facevo altro che usare in pubblico la medesima lingua che doveva usare in famiglia lei stessa, dal momento che è romana e da più generazioni (mia madre ha conosciuto sua nonna, trasteverina pure lei). Sai qual è stata la risposta? Che lei il dialetto in famiglia non lo parla perché non vuole trasmetterlo ai propri figli. Che il dialetto è roba da poveri e che lei spera per i suoi figli un futuro migliore di quello di impararsi il dialetto.

Magari tu negli ambienti che frequenti ne conoscerai poche di persone così; io, purtroppo, ne trovo intorno a me una certa quantità. Romani che si vergognano del dialetto, che disprezzano il dialetto, che odiano (talvolta proprio di questo si tratta) il dialetto al punto da riuscire a far forza sulla loro natura e riuscire a disimparare il romanesco. D’altro canto conosco anche un certo numero di persone a cui il dialetto non fa né caldo, né freddo; parlano italiano, ma non perché non siano Romani o perché ce l’abbiano con Roma: solo perché sono cresciuti in ambienti in cui il dialetto non si usa. Perché il romanesco non si usa dappertutto a Roma, e a volerlo usare comunque, in certi ambienti, si corre il rischio non tanto di fare una brutta figura (spesso sono persone colte e intelligenti), ma direttamente di non essere capiti o, peggio ancora, di essere fraintesi.

I valori della Romanità: la sufficienza verso i potenti, la satira, lo spirito di sopportazione. Sei sicuro che la sigla S.P.Q.R. sia l’immagine migliore per comunicare questi valori? A me, personalmente, l’S.P.Q.R. non fa venire in mente questi valori: mi fa pensare a una colonna in marcia, sferragliante, di uomini in pieno assetto di guerra, che vanno a uccidere altri uomini e a farsene uccidere. Ma questa è un’opinione soggettiva. Invece, prendiamo un’altra immagine: quella scolpita in bassorilievo sul retro del basamento marmoreo del monumento a G. G. Belli a Trastevere: [3] o [4]. Rappresenta un angolo ben noto di Roma: piazza Pasquino. La statua parlante, a destra, porta appeso un foglio manoscritto, una pasquinata, alcuni popolani accovacciati si avvicinano per leggere, altri, uomini e donne, sorridono e si lanciano sguardi d’intesa: hanno appena letto, altri ancora commentano. Nulla di speciale, quindi. Eppure c’è tutto: c’è la sufficienza nei confronti dei potenti: com’è noto le pasquinate si rivolgevano proprio contro di loro; c’è l'espressione caustica: non solo la pasquinata, ma anche l’atteggiamento dei personaggi, coi loro ammiccamenti e i loro sorrisi indica la natura satirica della comunicazione in atto; c’è persino lo spirito di sopportazione: in un regime censorio e oppressivo come quello del tradizionale stato pontificio, il fatto di ribellarsi solo a parole è per me indice di un altissimo spirito di sopportazione; ma soprattutto c’è il dialetto romanesco, il titolare della voce, rappresentato non solo nel pepato scritto appeso alla statua parlante, ma nelle parole che i popolani si scambiano: parole caustiche, c’è da crederlo!

Non voglio dire che questa sia la migliore immagine possibile (anzi: sicuramente non lo è, se non altro, perché non è stata ancora caricata su Teknopedia), ma non trovi anche tu che sia più facile ricavare i valori della Romanità da un’immagine come questa, che non dalla sigla S.P.Q.R.? E poi: nella sigla, il dialetto romanesco, l’intestatario della voce, dov’è? Al tempo degli antichi romani il romanesco ancora non esisteva! Nello spirito epigrammatico di Marziale, d’accordo, che istituirebbe un ponte ideale tra la satira dei romani antichi e quella dei contemporanei; ma come? Solo perché entrambi hanno l’espressione caustica? E ce l’hanno solo loro? Quanti Romani attuali non solo non lo hanno letto, ma nemmeno sanno chi era Marziale? Ma, a parte questo, quanti satirici inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi, nelle loro opere, incarnano genuinamente lo spirito di Marziale? Inoltre lo stesso tentativo di individuare nei Romani antichi «l’originaria civiltà», come dici, è relativo: i Romani antichi non sono sbucati dal nulla; le loro origini, indoeuropee, vanno cercate non a Roma, né nel Lazio, ma nel Caucaso! E, scusa se mi permetto, ma io non credo proprio che basti avere continuativamente sotto gli occhi il Foro o il Colosseo per ridiventare come i Romani antichi…

Insomma, non sono pienamente convinto; d’altronde, se queste mie parole non ti hanno persuaso dell’inopportunità della presenza dell’immagine S.P.Q.R. nella voce sul dialetto, «per finire», ti propongo questa soluzione compromissoria:

Senatus PopulusQue Romanus - Simbolo dell'identità culturale dei Romani, antichi quanto moderni, anche se, storicamente, i Romani moderni non derivano dagli antichi, né il romanesco moderno deriva direttamente dal latino, ma indirettamente, attraverso una mediazione toscana [1]

Romanesco - msg 17:17, 27 set 2009 (CEST)[rispondi]


Non sono l'autore di questo sito. Lo seguirò ma non è farina del mio sacco.

de coeteris: il bisnonno del mio bisnonno stava a Roma dalla fine del '700 e pubblicava pure le incisioni del sor Meo

--Carlo Morino (dillo a zi' Carlo) 18:44, 27 set 2009 (CEST)[rispondi]

Chiedo scusa al vero autore del sito e ai partecipanti alla discussione di questo mio brutto errore. Romanesco (msg) 10:45, 28 set 2009 (CEST)[rispondi]

I partecipanti ti scusano (solo dietro pagamento di un congruo indennizzo ovviamente). L'autore non sappiamo.

  1. ^ Vedi la relativa pagina di discussione, dove si trova materiale scientifico comprovante queste asserzioni

Romanesco (msg) 17:17, 27 set 2009 (CEST)[rispondi]

Xè pezo el tacòn del buso

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Chi mi conosce sa che preferisco non addentrarmi in discussioni senza sbocco come questa, nel senso che capisco ed apprezzo le tue ragioni che si basano su una visione "oggettiva" e " "scientifica" del problema ma mi sembrano valide anche le mie che fanno riferimento a valori simbolici e matastorici.

La scarsa considerazione del dialetto romano che si ha oggi, tanto addirittura da proibirlo, non ho avuto modo di riscontrarlo: forse dipende dalle zone della città a cui si fa riferimento. Alla fine credo si tratti di un confronto senza soluzione tra una visione pessimista, la tua, con una ottimista, la mia, sull'amore per il dialetto da parte dei romani.

La scritta S.P.Q.R., che fra l'altro campeggia ,non senza motivo, nello stemma del comune di Roma, modificata così come proponi mi pare realizzi il detto che la toppa è peggiore del buco per cui preferisco togliere del tutto l'immagine di cui si discute.

Ti ringrazio delle interessanti notazioni che mi hai offerto in questa discussione e ti faccio auguri di buon lavoro estesi al concittadino zì Carlo. --Gierre (msg) 08:24, 29 set 2009 (CEST)[rispondi]

DUBBI SULLA CORRETTEZZA DELLA PAROLA ROMANESCO.

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"Gentilissimi ed preziosi wikipediani, ritengo giunto ormai il tempo di abbandonare l'abuso della parola «romanesco» riferita al dialetto o all'accento di Roma. Credo che ormai più correttamente ci si debba riferire al dialetto e all'inflessione propria dell'Urbe con l'aggettivo romano/a, come d'altra parte avviene in qualsiasi altra città con i suoi idiomi, dialetti o lingue. Ricordo infine che romanesco si connota già di per sé con un che di caricaturale e in quanto tale sarebbe giusto riferirla ad un filone - ahimè diffusissimo in tv - di parlata che fa forzatamente il verso all'inflessione, al dialetto e alla (presunta) indole romana. Grazie dell'attenzione, Fabio - Roma"

--Yanez1971 (msg) 02:45, 7 gen 2010 (CET)[rispondi]

Veramente l'aspetto "caricaturale" mi sfugge. Peraltro GG Belli così lo chiama. E molti altri poeti e studiosi prima e dopo di lui. --Carlo Morino (dillo a zi' Carlo) 11:42, 7 gen 2010 (CET)[rispondi]

Sfugge tanto anche a me: non mi pare che il carciofo romanesco del Lazio sia la caricatura di un ortaggio!--84.221.251.7 (msg) 19:52, 4 set 2015 (CEST)[rispondi]

Diffusione nelle regioni limitrofe

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Sempre per i motivi accennati nella voce legati al pendolarismo e alla cinematografia, segnalo che in alcune zone della Marsica, oltre che a perdere il dialetto locale, le nuove generazioni tendono ad acquisire anche la cadenza linguistica romana o romanesca.--Bizarria (msg) 18:14, 5 mag 2010 (CEST)[rispondi]

Lingua e dialetto

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In realtà non mi sembra corretto usare come criterio di distinzione fra lingua e dialetto uno standard che nulla ha a che vedere con la linguistica ma che è solo di carattere pratico, ovvero serve a identificare alcuni idiomi più comuni nelle pagine web.

Un dialetto si differenzia da una lingua in quanto mantiene di quella sostanzialmente la struttura grammaticale e la maggior parte delle parole sono le stesse. Ad esempio, il milanese è un dialetto della lingua lombarda, l'istriano della lingua veneta, il genovese del ligure e così via. Per quanto riguarda la lingua italiana, suoi dialetti sono il pugliese o il toscano, mentre il romanesco non è considerato un dialetto, ma una parlata, perché è in realtà un modo di "pronunciare" una lingua che mantiene struttura e vocabolario italiani.

Altre informazioni le potete trovare qui.--Dario de Judicibus (Scrivimi) 18:48, 24 lug 2010 (CEST)[rispondi]

si dà poco peso ai termini differenti dai corrispettivi italiani

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vengono continuamente citate le assonanze con la lingua italiana ma si trascurano molte differenze che rendono il romanesco un dialetto e non una parlata. Ad esempio, di tanto sento usare l'espressione "sortimosene fòra sinò schiattamo" o anche "imo a sbracasse sur prato" che utilizza comunque termini di ceppo diverso dall'italiano. Vi sono poi altri termini tipici (cito, dindarolo, piotta, tranva, cerasa, sellero...) che comunque non sono familiari agli "italofoni" e che in alcuni casi risultano più vicini al latino che all'italiano. Fil 4-1-2011

Infatti i dialetti si stanno italianizzando parecchio, e questo è un problema. Forse è per questo che tali termini sono messi in ombra.--93.40.188.169 (msg) 19:42, 25 set 2011 (CEST)[rispondi]

toscanizzazione

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A me il romanesco sembra napoletano edulcorato. --U Neva Cn Tll (msg) 00:39, 25 lug 2015 (CEST)[rispondi]

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Titolo voce

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Perché il titolo è "dialetto romanesco" se proprio nell'incipit è scritto che non è un dialetto secondo l'accezione italiana?--151.61.155.4 (msg) 20:27, 6 nov 2018 (CET)[rispondi]

Perché in questa pagina hanno le idee molto ma molto confuse... --93.41.113.94 (msg) 10:07, 8 ott 2022 (CEST)[rispondi]

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Litografia?

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Sotto alla prima illustrazione è indicato come genere di stampa litografia. Nel 1400? Acquaforte o xilografia. --2.44.15.26 (msg) 18:17, 4 gen 2021 (CET)[rispondi]

Fosse solo questo l'errore di questa vera e propria galleria degli orrori... --93.41.115.218 (msg) 22:20, 14 mag 2023 (CEST)[rispondi]

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