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Genocidio circasso
Il genocidio circasso (in adighè Адыгэ лъэпкъгъэкӏод, Adıgə tləpqğək'od; in cabardino Адыгэ лъэпкъгъэкIуэд, Adıgə tləpqğək'wəd; in russo Черкесское мухаджирство?, Čerkesskoe muchadžirstvo, "Migrazione dei circassi") indica la pulizia etnica[1][2][3], uccisione[1][4][5][6], migrazione forzata[2][5][7][8] ed espulsione[2][5][7] attuata dall'Impero russo, tra il 1830 e il 1870, nei confronti della maggioranza dei Circassi dalla loro terra storica, la Circassia, che corrisponde alla grande parte del Caucaso settentrionale e alla costa nord-est del Mar Nero. Alcune stime contano tra gli 800.000[5][7] e i 1.500.000[2][8] circassi uccisi o deportati durante l'invasione russa. A causa della fede musulmana della maggior parte dei popoli che hanno sofferto il genocidio circasso, molte volte l'evento di migrazione scaturito si conosce con il termine "muhayir", parola derivante dall'arabo "Mujayir" e che significa letteralmente "colui che è partito".
Il genocidio avvenne dopo la conclusione della guerra caucasica nell'ultimo quarto del XIX secolo[9]. Gli sfollati si trasferirono principalmente nell'Impero ottomano, specialmente nei territori dell'odierno Kosovo, nella valle del Danubio e in Anatolia. La deportazione per la precisione partì nel 1864 e fu completata nel 1867[2][10]. Tra i popoli cacciati vi furono oltre ai Circassi (adighè) anche gli ubykh e gli abazi, ma anche ingusci, arshtin, ceceni, ossezi e abcazi ne furono colpiti. Lo storico e ricercatore finlandese Antero Leitzinger lo ha definito come il più grande genocidio del XIX secolo[11].
La deportazione coinvolse un numero sconosciuto di persone, nell'ordine delle centinaia di migliaia[5][12]: la maggior parte di queste fu deportata dai loro villaggi natali verso i porti del Mar Nero in attesa di navi dirette verso l'Impero ottomano con l'obiettivo esplicito di cacciarle dalla loro terra[6][13][14]. Solamente una piccola percentuale si ristabilì all'interno dell'Impero. Le popolazioni furono così disperse, deportate e in alcuni casi uccise in massa[15]. Un numero non definito di deportati morì durante questa operazione: alcuni per epidemie generatesi in attesa di partire, altre nei porti ottomani di arrivo del Mar Nero, mentre altre ancora per l'affondamento delle navi a causa di tempeste[16]. I calcoli, inclusi quelli che tengono conto delle cifre di archivio del governo russo, hanno stimato una perdita del 90%-94%[17][18][19] o 95%–97%[20] del popolo circasso durante le operazioni[7][21].
Durante lo stesso periodo altre persone di fede musulmana del Caucaso furono trasferite nell'Impero ottomano e in Persia[22].
Nel 2021 la Georgia era l'unico stato al mondo ad aver riconosciuto il genocidio del popolo circasso, mentre la Russia nega tale evento e lo considera come un semplice evento di migrazione. I nazionalisti russi della zona continuano a celebrare il giorno della deportazione circassa, il 21 maggio, come il giorno della "Sacra Conquista".
Contesto storico
[modifica | modifica wikitesto]Verso la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX secolo, l'Impero russo cominciò una politica d'espansione territoriale attiva verso i territori del sud, cercando di strappare dall'influenza ottomana i territori del Caucaso: alcune aree si rivelarono più semplici di altre da incorporare all'interno dei domini russi presentando queste una struttura sociale molto più simile a quella già conosciuta da essi. Un esempio furono i territori armeni e azeri che, già sotto l'influenza iraniana prima ed ottomana poi, avevano sviluppato una struttura sociale molto simile a quella conosciuta dall'impero zarista e furono facilmente integrate all'interno dei domini russi attraverso il trattato di Golestan del 1813. D'altro lato l'impero sperimentò una forte resistenza contro l'incorporazione dei territori del Dagestan e della Georgia: la maggior parte dei territori circassi e imeriti non aveva una struttura sociale basata nella presenza di un potere unico, ma si basava su un modello le cui fondamenta erano i clan familiari. Dovuto a ciò, la resistenza che i russi sperimentarono per incorporare questi territori dentro il loro impero fu molto più dura e tenace.
I circassi infatti combatterono i russi più a lungo di qualsiasi altro popolo del Caucaso, in una guerra che durò a fasi alterne dal 1763 al 1864.
Il conflitto tra Russia e Circassia
[modifica | modifica wikitesto]I territori circassi furono cristianizzati attraverso l'influenza bizantina tra il V ed il VI secolo e, da allora, erano soliti essere alleati con la Georgia e mantenere una buona relazione diplomatica con i vicini russi[23]. A partire dal 1717, sotto il dominio del sultano Murad IV, cominciò un processo di islamizzazione dei territori del Caucaso da parte degli ottomani e, specialmente, dei tatari di Crimea: la nuova religione crebbe sempre più di popolarità, specialmente tra le caste aristocratiche dagestane e circasse abdzakh, diventando in futuro, uno dei pilastri delle difese circasse contro l'invasione russa. L'islam riscontrò particolare successo specialmente tra gli Abdzakh, all'epoca governati da Muhammad Amin e che adottarono rapidamente la Shari'a[24].
In Circassia, i russi affrontarono una resistenza disorganizzata ma continua. L'Impero russo considerava che i territori della Circassia fossero di loro autorità perché si basavano sul trattato di Adrianopoli del 1829 in cui gli ottomani cedevano il controllo della regione. D'altro canto, i Circassi consideravano questo trattato invalido: secondo loro il Caucaso circasso non era mai stato sotto il dominio ottomano e pertanto Istanbul e la Sublime porta non avevano nessun diritto di cedere l'autorità al governo russo.
Ad aggravare le tese relazioni tra circassi e russi, già a partire dal 1792, c'era la situazione dei cosacchi, popoli semi-nomadi con cui i Circassi anteriormente mantenevano buone relazioni commerciali ma che, in quegli anni, avevano cominciato ad invadere i territori storici d'allevamento circasso attorno al fiume Kuban. Ciò era dovuto a un processo di ricollocazione della popolazione cosacca per fare spazio a infrastrutture russe[25][26]. In contrapposizione a questa situazione, le popolazioni circasse e del Caucaso cominciarono ad attuare frequenti raid armati contro le basi militari russe della zona che, a loro volta, attaccavano sempre più frequentemente i villaggi circassi, creando in questo modo un circolo di violenza che si autoalimentava tra violenze. I russi cercarono di ristabilire la propria autorità attraverso la costruzioni di nuovi forti, ma questi furono immediatamente presi di mira delle incursioni circasse.
Nel 1816 lo scontro con i circassi fece pensare al generale Aleksey Yermolov che l'utilizzo delle tattiche di terrore potesse essere efficace contro i popoli del Caucaso: sotto la guida del generale, l'esercito russo cominciò una serie di risposte sproporzionate ai raid circassi, attaccando e distruggendo ogni villaggio dove si pensava potessero nascondersi guerriglieri circassi, dagestani o di qualsiasi altra etnia caucasica. Inoltre l'esercito cominciò a utilizzare tattiche d'assassinio, rapimento ed esecuzione su intere famiglie circasse per ridurre la presenza delle stesse nel territorio e, in questo modo, scoraggiare eventuali attacchi alle forze russe[27]. L'esercito russo inoltre cominciò anche a bruciare i campi coltivati e le riserve di cibo dei villaggi circassi[12][28].
La risposta dei circassi all'uso di queste tecniche di violenza spropositata da parte dei russi fu la creazione di una federazione tribale dei clan che vivevano nelle zone colpite.
La resistenza
[modifica | modifica wikitesto]Le tattiche usate dai russi per cercare di vincere i circassi ebbero il risultato di rafforzare ancor più la risposta circassa nei loro confronti: l'esercito russo si vide quindi obbligato a combattere contro una forza armata ad alta mobilità (molti circassi e dagestani erano montati a cavallo), esperta in tecniche di guerriglia e con una conoscenza del territorio di molto superiore a quella dell'invasore esercito russo[29][12][29].
I russi risposero alla resistenza incontrata in Caucaso modificando il terreno circostante: cominciarono a costruire strade e a tagliare foreste, distruggendo i villaggi natii della zona e colonizzando con nuove comunità russe o filo-russe di agricoltori e allevatori[30].
Nel 1837, i leader degli Natukhai, Abzak e Shapsugs offrirono di sottomettersi e di incorporarsi nell'Impero russo a condizione della ritirata delle forze russe e cosacche dai territori attorno al fiume Kuban; malgrado ciò la loro offerta fu ignorata e l'esercito russo stanziò nuove forze cosacche in terra circassa nel 1840[31][32]. I generali dell'esercito russo come Yermolov e Bulgakov attuavano per raggiungere la gloria e le ricchezze che le terre del Caucaso offrivano che, nel caso le popolazioni circasse fossero rimaste, sarebbero state molto più difficili da controllare.
Nei negoziati formulati nel 1856 dal trattato di Parigi per porre fine alla guerra di Crimea, i rappresentanti britannici insistettero sul fatto che i territori del fiume Kuban dovevano essere considerati come la frontiera tra Impero ottomano ed Impero russo, situazione che avrebbe considerato la Circassia come territorio esterno ai domini russi, ma questa soluzione ricevette la negativa di francesi e turchi, che consideravano la Circassia come russa. Il trattato, infine, non impediva ai russi di costruire forti in territorio caucasico e meno obbligava l'Impero Russo a riconoscere i Circassi come minoranza da rispettare e a cui garantire gli stessi diritti di altri cittadini, come, ad esempio, succedeva con gli armeni[33][34][35].
L'espulsione
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1857, Dmitry Milyutin pubblicò per primo l'idea di un'espulsione massiva delle popolazioni circasse dai loro territori natii[36]. Milyuti sosteneva come l'obbiettivo non fosse semplicemente rimuovere i circassi dalla terra per fare in modo che questa potesse essere resa produttiva, ma difendeva come "l'eliminazione dei Circassi dovesse essere il vero fine in se stesso - per fare in modo di pulire il territorio dagli elementi ostili".[36][37][38].
Lo Zar Alessandro II appoggiò il piano e Milyutin proclamandolo, nel 1861, ministro della guerra, dando inizio nel decennio del 1860 all'espulsione massiva dei circassi[36]. Nel 1862 la proposta della deportazione dei Circassi fu ratificata dal governo russo e un'ondata di rifugiati cominciò a scappare dai territori recentemente annessi per sfuggire dalle truppe russe. Il generale Yevdokimov fu indicato dal governo russo come responsabile di portare a fine le politiche di migrazione forzata dei circassi verso altre parti dell'Impero russo o verso l'Impero ottomano. Con l'aiuto della cavalleria cosacca e altre unità dell'esercito russo, Yevdokimov penetrò nelle aree del nord della Circassia, dove le popolazioni si sottomettevano alle forze armate senza opporre resistenza: 4.000 famiglie abbandonarono le loro case nella valle del fiume Kuban per partire verso i territori dell'Impero ottomano[39][40][12].
Nel sud della Circassia, i clan della zona si organizzarono per portare avanti un'altra resistenza armata a difesa della loro terra, risultando nel massacro di svariate famiglie della zona da parte delle forze russe dopo che queste conquistarono i villaggi circassi[41][42]. Nel 1864, nella valle di Khodz, vicino a Maikop, le popolazioni Ubykh cominciarono un atto di resistenza nei confronti delle truppe russe: durante la battaglia, gli uomini vennero affiancati dalle donne che, imbracciati i fucili, decisero di optare per una morte onorevole. Le truppe russe distrussero il villaggio e uccisero tutti i suoi abitanti, in quello che le cronache storiche descrivono come "un mare di sangue"[41].
In un canyon vicino a Soči, chiamato Qbaada, le forze circasse e i loro alleati abkhazi resistettero per l'ultima volta contro le forze russe nel maggio del 1864. La località venne rinominata in russo Krasnaya Polyana, letteralmente "Prato rosso" per via del sangue che aveva macchiato la zona durante la zona. Posteriormente, questo territorio venne ricolonizzato da russi nel 1869. I circassi vinti in questa battaglia furono trasportati a Soči, dove molti di loro morirono aspettando la deportazione[43].
Anche se molti circassi emigrarono verso l'Impero ottomano via terra, attraversando le montagne, la maggior parte di loro furono deportati via mare: le tribù e i clan che avevano optato per la resistenza e, di conseguenza, per la deportazione forzata, vennero trasportate dalle truppe russe verso i porti del Mar Nero dove li aspettavano barche che li avrebbero espatriati verso le coste dei Balcani, della Crimea e dell'Anatolia[44][45].
Le violenze
[modifica | modifica wikitesto]Malgrado lo Zar Alessandro II avesse dato l'ordine ai suoi generali di deportare i circassi e le altre popolazioni del Caucaso senza particolare uso di violenza, i generali dell'esercito russo videro nel massacro della popolazione la soluzione perfetta per mettere fine al conflitto: il generale Fadeyev scrisse in una lettera al comando russo: "sterminare metà della popolazione circassa per fare in modo che l'altra metà deponga le armi"[46][47].
Nell'aprile del 1862, un gruppo di soldati russi massacrò centinaia di guerriglieri circassi che erano rimasti senza munizioni "lasciando la montagna coperta da cadaveri dai nemici infilzati dalle baionette", come riportato da Ivan Drozdov[48]. Altre volte i militari russi preferivano bombardate indiscriminatamente le aree intorno alle zone abitate dai circassi: nel giugno del 1862, dopo aver distrutto i villaggi circassi vicino al Kuban, il generale Tikhotsky diede l'ordine di procedere al bombardamento delle foreste sulle colline circostanti[48].
Nel settembre del 1862, dopo aver attaccato un villaggio e aver visto che alcuni civili erano fuggiti nei boschi vicini, il generale Yevdokimov bombardò la zona per sei ore di fila per poi ordinare ai suoi uomini di cercare ed uccidere qualsiasi essere vivente nei paraggi e poi bruciare la foresta, assicurandosi che nessuno fosse rimasto vivo[49].
Già a partire dal 1863, le operazioni russe cominciarono ad essere portate a termine in forma metodica, seguendo un processo secondo il quale, dopo che un villaggio circasso fosse stato attaccato e distrutto e i superstiti fossero scappati nei boschi, tutto ciò che poteva essere rinvenuto ancora integro (abitazioni, cibo, superstiti) doveva essere bruciato[50]. Poi, dopo una o due settimane, le truppe avrebbero dovuto tornare nello stesso luogo, uccidere chi incontravano e distruggere i rifugi che i superstiti avevano costruito. Per finire, le truppe russe avrebbero dovuto dare fuoco ai boschi circostanti. Questo processo doveva essere ripetuto fino a quando nessun circasso fosse ritornato nella zona e il generale Yevdokimov si fosse considerato soddisfatto[51].
Nel maggio del 1864, come detto, l'ultima resistenza di tribù circasse, alleate con le popolazioni costiere Pskhu, Akhtsipsou, Aibgo e Jigit, furono sconfitte nella battaglia di Qbaada. Le donne, gli uomini e i bambini superstiti ancora presenti nella zona furono uccisi e la guerra ai circassi fu dichiarata terminata[52].
Oltre alle uccisioni, sono molti i casi riportati di stupri[53][54] e violenze[55][56] sofferte dalle donne circasse da parte delle truppe russe e cosacche[57][58][59][60][61][62][63][64][65][66][67][68]. Oltre a questo, molte giovani circasse vennero rapite e rivendute come schiave sessuali negli harem ottomani[69][70][71][72].
Gli abusi durante il trasporto dei rifugiati da parte delle truppe russe verso le coste furono la norma: le pene corporali per chi non rispettava le regole erano normalmente inflitte con grande violenza e le condizioni di vita erano pessime: sotto le forze del generale Yevdokimov, un gruppo di rifugiati Ubykh fu lasciato tutto un inverno a dormire all'aperto, provocando la morte di 20.000 persone[73][74].
I risultati
[modifica | modifica wikitesto]La maggior parte delle popolazioni della Circassia (tra cui le popolazioni Adighè, Ubichi e i musulmani Abcazi) furono espatriati verso i territori dell'Impero Ottomano[75]. Gli Sciapsughi, che comprendevano all'incirca 300.000 abitanti, furono ridotti a solo 3.000 persone che scapparono rifugiandosi nei boschi, i 140 Sciapsughi rimanenti, furono mandati in Siberia. Si calcola che il totale dei circassi uccisi o deportati dai territori russi è stato tra il 90% e il 97% della popolazione originaria totale[17][18][19][20].
La seguente tabella riporta le perdite delle popolazioni circasse durante il genocidio:
Tribù | Prima | Dopo | Percentuale Rimasta | Percentuale morta o deportata |
---|---|---|---|---|
Cabardi | 500.000 | 35.000 | 7% | 93% |
Sciapsughi | 300.000 | 1.983 | 0,662% | 99,339% |
Abcasi | 260.000 | 14.660 | 5,648% | 94,362% |
Natukhaj | 240.000 | 175 | 0,073% | 99,927% |
Temirgoy | 80.000 | 3.140 | 3,925% | 96,075% |
Bzhedug | 60.000 | 15.263 | 25,438% | 74,561% |
Mamkhegh | 8.000 | 1.204 | 15,05% | 84,95% |
Ademeys | 3.000 | 230 | 7,667% | 92,333% |
Ubichi | 74.000 | 0 | 0% | 100% |
Zhaney e Hatuqwais | 100.000 | 0 | 0% | 100% |
Malgrado i Circassi fossero la popolazione maggiormente colpita dallo sterminio e dalla deportazione di massa, anche altre popolazioni del Caucaso soffrirono una sorte similare: si stima che l'80% degli Ingush lasciò il suo territorio d'origine per emigrare in Medio Oriente (specialmente in Iraq e Siria)[76][77], molti Ceceni furono deportati in Siberia e le popolazioni Ashtin furono completamente cancellate dal territorio recentemente annesso dalla Russia (si stimano un totale di 1.366 famiglie uccise dall'esercito russo e solo 75 famiglie rimanenti)[78][79]. Inoltre, oltre 10.000 cabardi e 22.000 ceceni furono obbligati a lasciare il territorio per emigrare in Turchia negli anni successivi al genocidio[80]. Un simile destino fu anche la sorte degli osseti di fede musulmana[78][79][81][82] e ai Nogai[80][83][84].
Il ricollocamento
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1864, l'Impero ottomano insistette all'Impero russo di smettere la deportazione massiva delle popolazioni del Caucaso verso i loro confini preoccupati del disastro umanitario a cui stavano assistendo, ma queste richieste furono ripetutamente ignorate da Yevdokimov che, al contrario, difendeva l'urgenza di continuare la deportazione e di riuscire a concluderla il più presto possibile.[85][86][87][88] Durante questo processo, molti rifugiati furono anche venduti come schiavi sul mercato nero. Nel 1867, Mikhail Nikolaevich concluse le deportazioni per paura di una possibile ripercussione europea[89].
Le autorità ottomane fallirono nel gestire tale quantità di rifugiati arrivati dentro i loro confini: i circassi furono ricollocati in zone inospitali e montagnose dell'entroterra, principalmente dell'Anatolia, dove erano usati come impiegati per lavori manuali molto faticosi[90][91], o dei territori desertici periferici dell'Impero, come in Iraq, Transgiordania e Siria. Molto spesso, i circassi di origine musulmana, venivano ricollocati anche nelle zone a maggioranza cristiana che stavano cominciando a richiedere l'indipendenza, come nei Balcani, e che recentemente avevano anche ricevuto molti rifugiati tatari di Crimea[92]. Si stima che nella sola città di Sofia fossero state ricollocate più di 12.000 famiglie e, in Tracia, 6.000.
Numero di rifugiati
[modifica | modifica wikitesto]- 1852-1858: la popolazione degli Abcazi scende da 98.000 a 89.866.
- 1858-1860: 30.000 Nogaisi lasciano il Caucaso.
- 1860-1861: 10.000 Cabardi lasciano il Caucaso.
- 1861-1863: 4.300 Abcazi, 4.000 Natukhais, 2.000 Temirgoi, 600 Beslenei e 300 famiglie Bzhedugs vengono esiliate.
- 1864: 600.000 circassi abbandonano il Caucaso per emigrare verso l'Impero Ottomano.
- 1865: 5.000 famiglie cecene vengono esiliate in Turchia.
- Novembre 1863 - agosto 1864: più di 300.000 circassi cercano rifugio in Turchia: due terzi di questi moriranno.
- 1858-1864: tre le 398.000 e le 418.000 persone lasciano la vallata del fiume Kuban.
Classificazione del genocidio e riconoscimento
[modifica | modifica wikitesto]In tempi più recenti, studiosi e attivisti Circassi hanno suggerito che la deportazione attuata dai russi a danno delle popolazioni del Caucaso possa essere considerata come una vera e propria manifestazione della moderna idea di pulizia etnica malgrado questo termine non sia stato utilizzato durante il XIX secolo per indicare il massacro sistematico che le truppe russe stavano portando avanti[93].
Il presidente russo Boris Yeltsin, nel maggio del 1994, riconobbe a livello statale come la resistenza dei popoli circassi all'invasione russa fosse legittima, ma si rifiutò categoricamente di riconoscere "qualsiasi colpa del governo zarista per un eventuale genocidio"[94]. Nel 1997 e nel 1998, i leader Cabardi, Balkari e Adighè inviarono una richiesta alla Duma di considerare la situazione come un evento di somma importanza e di porgere scuse formali ma, malgrado ciò, non si è ricevuta nessuna risposta da Mosca.
Il 5 luglio del 2005, il Congresso Circasso, un'organizzazione che rappresenta le varie popolazioni che abitavano il Caucaso prima dell'occupazione russa, chiese formalmente a Mosca scuse formali per gli atti perpetuati durante gli anni del genocidio, ma il governo russo si rifiutò di scusarsi e difese le scelte del governo zarista[95].
Nell'ottobre 2006, l'organizzazione pubblica degli adighè di Russia, Israele, Giordania, Siria, Stati Uniti d'America, Canada e Germania ha inviato una lettera al presidente del Parlamento Europeo per richiedere il riconoscimento del genocidio circasso[96][97].
Il 21 maggio 2011, il parlamento georgiano fu il primo (e fino ad ora unico) organo statale a riconoscere come "genocidio" l'atto di espulsione e sterminio sofferto dalle popolazioni del Caucaso durante gli anni della conquista russa, erigendo anche un monumento in ricordo dei martiri ad Anakalia[98][99][100][101]. D'altro lato, il governo russo ha ripetutamente rinnegato qualsiasi connotazione che possa far pensare che le politiche messe in atto durante il regno di Alessandro II siano state dirette a compiere un genocidio, considerando il tutto come propaganda anti-russa fomentata dall'occidente e dal governo georgiano dopo la seconda guerra in Ossezia del Sud del 2008[43]. I nazionalisti russi della zona continuano a celebrare il giorno della deportazione circassa, il 21 maggio, come il giorno della "Sacra Conquista[senza fonte].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b Coverage of The tragedy public Thought (later half of the 19th century), Niko Javakhishvili, Tbilisi State University, 20 December 2012, retrieved 1 June 2015
- ^ a b c d e (TR) Tarihte Kafkasya - ismail berkok | Nadir Kitap, su NadirKitap. URL consultato il 26 settembre 2020.
- ^ (TR) HDP Genel Komite, The Circassian Genocide, su hdp.org.tr, 2014. URL consultato il 26 settembre 2020.
- ^ UNPO: The Circassian Genocide, su unpo.org. URL consultato il 26 settembre 2020.
- ^ a b c d e Walter Richmond, The Circassian Genocide, Rutgers University Press, 9 aprile 2013, ISBN 978-0-8135-6069-4.
- ^ a b Walter Richmond, The Circassian Genocide, Rutgers University Press, 2013, p. back cover, ISBN 978-0-8135-6069-4.
- ^ a b c d (TR) Geçmişten günümüze Kafkasların trajedisi: uluslararası konferans, 21 Mayıs 2005, Kafkas Vakfı Yayınları, 2006, ISBN 978-975-00909-0-5.
- ^ a b Charles King, The Ghost of Freedom: A History of the Caucasus, New York, Oxford University Press, 2008, ISBN 978-0-19-517775-6.
- ^ Yemelianova, Galina, Islam nationalism and state in the Muslim Caucasus. April 2014, p. 3.
- ^ The Circassian exile: 9 facts about the tragedy, su The Circassian exile: 9 facts about the tragedy. URL consultato il 26 settembre 2020.
- ^ Antero Leitzinger, The Circassian Genocide, su globalpolitician.com, Global Politician, 14 dicembre 2004 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2013).
- ^ a b c d Ahmed, 2013, p. 161.
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- ^ Aziz ÜSTEL, Star Gazetesi, Soykırım mı; işte Çerkes soykırımı - Yazarlar - Aziz ÜSTEL | STAR, su Star.com.tr. URL consultato il 26 settembre 2020.
- ^ Charles King, The Ghost of Freedom: A History of the Caucasus, p. 95.«One after another, entire Circassian tribal groups were dispersed, resettled, or killed en masse.»
- ^ King, 2007.
- ^ a b Ellen Barry, Georgia Says Russia Committed Genocide in 19th Century, in The New York Times, 20 maggio 2011.
- ^ a b 145th Anniversary of the Circassian Genocide and the Sochi Olympics Issue, Reuters, 22 maggio 2009. URL consultato il 28 novembre 2009 (archiviato dall'url originale il 2 luglio 2012).
- ^ a b Sarah A.S. Isla Rosser-Owen, MA Near and Middle Eastern Studies (thesis). The First 'Circassian Exodus' to the Ottoman Empire (1858–1867), and the Ottoman Response, Based on the Accounts of Contemporary British Observers, page 16: «… with one estimate showing that the indigenous population of the entire north-western Caucasus was reduced by a massive 94 per cent». Text of citation: "The estimates of Russian historian Narochnitskii, in Richmond, ch. 4, p. 5. Stephen Shenfield notes a similar rate of reduction with less than 10 per cent of the Circassians (including the Abkhazians) remaining. (Stephen Shenfield, "The Circassians: A Forgotten Genocide?", in The Massacre in History, p. 154.)"
- ^ a b Richmond, Walter. The Circassian Genocide. Page 132: ". If we assume that Berzhe’s middle figure of 50,000 was close to the number who survived to settle in the lowlands, then between 95 percent and 97 percent of all Circassians were killed outright, died during Evdokimov’s campaign, or were deported."
- ^ Galina Yemelianova, Islam, nationalism and state in the Muslim Caucasus, in Caucasus Survey, vol. 1, n. 2, aprile 2014, p. 3, DOI:10.1080/23761199.2014.11417291.
- ^ Caucasus Survey, su caucasus-survey.org. URL consultato il 23 aprile 2015 (archiviato dall'url originale il 15 aprile 2015).
- ^ Natho, Kadir I, Circassian History, pp. 123–124.
- ^ Richmond, Walter, The Circassian Genocide, page 59: «Shamil's third naib, Muhammad Amin, arrived during the Adagum Zafes and gained the allegiance of most Circassian tribes in less than a year. He frequently resorted to military force to ensure the loyalty of 'peaceful' tribes such as the Egerukay, Mahosh, and Temirgoy, and to coerce Shapsugs and Natuhays who had not adopted Islam into abandoning paganism and Christianity.».
- ^ Shcherbina, Fyodor and Felitsyn, Yevgeniy (2007). Kubanskoye Kazachestvo i ego Atamany. Moscow: Veche, 2007. p. 77
- ^ Potto, Vasiliy (1993). Kavkazskaya Voina v 5i Tomax. Stavropol: Kavkazskiy Krai 1993–1994. Second Volume: p. 204
- ^ King, Ghost of Freedom, pp. 47-49. Quote on p. 48: "This, in turn, demanded...above all the stomach to carry the war to the highlanders themselves, including putting aside any scruples about destroying, forests, and any other place where raiding parties might seek refuge... Targeted assassinations, kidnappings, the killing of entire families and the disproportionate use of force became central to Russian operations..."
- ^ King, The Ghost of Freedom, 74
- ^ a b King, Ghost of Freedom, p93-94
- ^ King, The Ghost of Freedom, p73-76. p74:"The hills, forests and uptown villages where highland horsemen were most at home were cleared, rearranged or destroyed... to shift the advantage to the regular army of the empire."... p75:"Into these spaces, Russian settlers could be moved or "pacified" highlanders resettled."
- ^ Natho, Kadir I. Circassian History. Page 357.
- ^ Richmond, Walter. Circassian Genocide. Page 17: "The mentality of the Caucasus military command was shaped by people who behaved as if they were in charge of their own country, which outsiders couldn’t understand. Contemptuous of their superiors in St. Petersburg, they fabricated whatever story suited their needs. Furthermore, they adopted Tsitsianov’s view that conquest was the only viable option for control of the region. As we’ll see, when civilian administrators used peaceful methods, the military commanders undermined them both by petitioning St. Petersburg and by launching raids into Circassia to sow animosity. This continued all the way up to the 1860s, when Field Commander Nikolai Evdokimov sabotaged St. Petersburg’s final attempt to reach a settlement with the Circassians."; Page 18: "The troubles Atazhukin faced were also typical of Circassians who understood the magnitude of the threat posed by Russia and who sought a peaceful solution. The Russian military command disliked all such peacemakers and did all they could to thwart their efforts. Many Circassians likewise distrusted their compatriots who sought peace with Russia, and they worked to undermine their credibility in Circassia. This would be the fate of all so-called peaceful Circassians— threats from the Russian side and attacks from the Circassian side. More importantly, all proposals from figures such as Atazhukin that cut to the heart of the Circassian position— that they wanted to be good neighbors with the Russians, not subjects of the tsar— were dismissed out of hand by both the Caucasus command and St. Petersburg." ; Page 20-21: " “For the generals,” Vladimir Lapin writes, “the activity of diplomats, who were creating post- Napoleonic Europe, essentially meant farewell to their hopes of receiving further rewards.”43 There was more to it, though. Even if war in Europe were to break out again, the campaign of 1812 made it clear that Russia would suffer enormous losses even if victorious. On the other hand, Asia’s military backwardness would make victory and glory easy. Even before he arrived in the Caucasus, Yermolov wrote, “We can’t take a step in Europe without a fight, but in Asia entire kingdoms are at our service.”44 Yermolov reveled in his overwhelming firepower against which his opponents—particularly the mountaineers of Chechnya, Dagestan, and Circassia—were powerless to combat: “It is very interesting to see the first effect of this innocent means [cannons!] on the heart of man, and I learned how useful it was to be possessed of the one when unable all at once to conquer the other.”45 In his quest for personal glory, Yermolov chose adversaries (victims might be a more appropriate term) who stood no chance against his superior weaponry, and he employed levels of brutality and inhumanity as yet unseen in the Caucasus. It worked, too: Yermolov’s officers were decorated and promoted as their tactics became more devastating. Subsequent generations would emulate Yermolov’s form of success."
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