Victor Lebow

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Victor Lebow (26 dicembre 1902New York, 26 agosto 1980[1]) è stato un dirigente d'azienda, saggista e attivista statunitense. È noto soprattutto per la sua formulazione delle dinamiche del capitalismo consumistico americano, espressa nel 1955 con un articolo pubblicato sul Journal of Retailing intitolato Price competition in 1955. L'articolo ricevette una certa attenzione già poco dopo la sua comparsa, venendo menzionato dal sociologo Vance Packard nel suo lavoro The waste makers del 1960.[2] Parti dell'articolo, ampiamente citate e commentate, sono state interpretate da diversi autori e attivisti (tra cui Annie Leonard[3], Alan Durning[4], Jonathon Porritt[5], David Suzuki[6]) in maniera fuorviante e decontestualizzata come prova dell'esistenza di un "piano" ideato e attuato coscientemente dal mondo dell'imprenditoria e della politica nel secondo dopoguerra. Secondo tale interpretazione, poste dinanzi all'enorme surplus di capacità produttiva lascito dello sforzo bellico, queste componenti avrebbero coscientemente ideato e promosso un'idea di consumismo esasperato e basato sulla rapida sostituzione dei beni di consumo. Più plausibilmente l'articolo, letto nella sua interezza e senza estrapolazioni è semmai interpretabile quale una disamina contenente elementi di critica e spunti di riflessione relativamente a determinati aspetti delle dinamiche di mercato e del comportamento del consumatore statunitense, non quindi come un insieme di prescrizioni o linee guida aventi le finalità di definire le modalità di attuazione di un meccanismo calato dall'alto.

Dopo aver ricoperto le posizioni di vice presidente della Kayser-Roth Corporation e di direttore della Fabergé si ritirò dall'attività professionale sul finire degli anni cinquanta. In seguito collaborò con il movimento per i diritti civili. È stato autore di un libro intitolato Free Enterprise, the Opium of the American People, pubblicando inoltre vari articoli su periodici quali The Nation, Challenge, e The Progressive.[1]

La competizione dei prezzi del 1955

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Le parole di Lebow divenute più celebri furono espresse in un articolo del 1955 intitolato Price competition in 1955, apparso nell'edizione primaverile del Journal of Retailing, una rivista specializzata in vendita al dettaglio. Nel suo articolo discuteva il costo del mantenimento dello stile di vita americano nel 1955, e l'effetto che questo costo aveva sui profitti di vendita al dettaglio. Così scrisse Lebow:

«La nostra economia incredibilmente produttiva ci richiede di elevare il consumismo a nostro stile di vita, di trasformare l'acquisto e l'uso di merci in rituali, di far sì che la nostra realizzazione personale e spirituale venga ricercata nel consumismo. [...] Abbiamo bisogno che sempre più beni vengano consumati, distrutti e rimpiazzati ad un ritmo sempre maggiore. Abbiamo bisogno di gente che mangi, beva, vesta, cavalchi, viva, in un consumismo sempre più complicato e, di conseguenza, sempre più costoso. Gli utensili elettrici domestici e l'intera linea del fai-da-te sono ottimi esempi di consumo costoso.[7]»

Nella cultura di massa

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Le idee enunciate da Lebow sono state citate in una serie di articoli, documentari e ricerche negli anni a seguire la loro pubblicazione, anche in tempi recenti.[8] È citato nel libro Quanto basta: la società dei consumi e il futuro della Terra di Alan Durning del Worldwatch Institute.

Più recentemente le sue parole sono state citate in La storia delle cose, un documentario prodotto nel 2007 e basato sul ciclo vitale dei beni e dei servizi sul nostro pianeta e sul loro impatto ambientale.

L'articolo di Lebow è citato e commentato in due opere dell'economista e filosofo francese Serge Latouche: il libro del 2007 Petit traité de la décroissance sereine (nota in italiano come Breve trattato sulla decrescita serena) e quello del 2012 Bon pour la casse : Les déraisons de l'obsolescence programmée (tradotto in italiano con il titolo Usa e getta: Le follie dell’obsolescenza programmata).

  1. ^ a b Victor Lebow, Marketing Official And Activist in Civil Rights Here - New York Times, 27 agosto 1980
  2. ^ Vance Packard, The waste makers, New York, David McKay, 1960, p. 24
  3. ^ The Story of Stuff: How Our Obsession with Stuff Is Trashing the Planet, Our Communities, and Our Health-and a Vision for Change, Free Press, 2010, p. 160
  4. ^ How Much Is Enough?: The Consumer Society and the Future of the Earth, W. W. Norton & Co Inc., 1992
  5. ^ Capitalism: As If the World Matters, Routledge, 2007, p. xx
  6. ^ The Legacy: An Elder's Vision for Our Sustainable Future, Greystone Books, 2010, pp. 44-45
  7. ^ Our enormously productive economy demands that we make consumption our way of life, that we convert the buying and use of goods into rituals, that we seek our spiritual satisfactions, our ego satisfactions, in consumption. [The measure of social status, of social acceptance, of prestige, is now to be found in our consumptive patterns. The very meaning and significance of our lives today expressed in consumptive terms. The greater the pressures upon the individual to conform to safe and accepted social standards, the more does he tend to express his aspirations and his individuality in terms of what he wears, drives, eats- his home, his car, his pattern of food serving, his hobbies. These commodities and services must be offered to the consumer with a special urgency. We require not only “forced draft” consumption, but “expensive” consumption as well.] We need things consumed, burned up, worn out, replaced, and discarded at an ever increasing pace. We need to have people eat, drink, dress, ride, live, with ever more complicated and, therefore, constantly more expensive consumption. The home power tools and the whole “do-it-yourself” movement are excellent examples of “expensive” consumption.
  8. ^ Andy Coghlan, Consumerism is 'eating the future', su newscientist.com. URL consultato il 7 agosto 2009.

Voci correlate

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