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Il declino della violenza.
Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l'epoca più pacifica della storia
Titolo originaleThe Better Angels of Our Nature: Why Violence has declined
1ª ed. originale2011
1ª ed. italiana2013
Generesaggio
Lingua originaleinglese

Il declino della violenza. Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l'epoca più pacifica della storia è un saggio storico dello psicologo canadese Steven Pinker.

La tesi centrale del libro è che tutte le forme di violenza si sono ridotte negli ultimi secoli e che il presente è l'età più pacifica della storia umana.

Un paese straniero

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Pinker sostiene che gran parte delle persone non creda all'idea che la violenza si sia ridotta con il procedere della storia. Le forme di violenza del passato vengono attenuate da celebrazioni strumentali delle età passate, mentre i media contemporanei hanno un bias verso le storie di violenza e gli avvenimenti negativi, tendendo a dipingere un quadro eccessivamente cupo della contemporaneità. Per dimostrare come la violenza fosse non solo più pervasiva ma anche più accettata nel mondo antico, Pinker tratta della fatalismo e della celebrazione con cui fenomeni come la guerra, i sacrifici animali o umani, il potere dispotico, la tortura e il martirio, il duello, la violenza domestica e in generale le varie forme di violenza sono affrontati nei poemi omerici, nella Bibbia ebraica, nella tradizione cristiana, nell'etica cavalleresca, nelle fiabe tradizionali per bambini, nell'etica dell'onore tradizionale e, ancora nel XX secolo, nella pubblicità degli anni '50. Pinker sostiene che eventi rivoluzionari avvenuti senza spargimento di sangue nell'ultima parte del XX secolo come la riunificazione della Germania, il crollo dell'Unione Sovietica, la fine della tensione nucleare tra superpotenze, la fine delle dittature fasciste dei colonnelli, la firma di un trattato di pace nel conflitto israelo-palestinese, lo smantellamento del regime dell'apartheid sarebbero state, ancora negli anni '70, del tutto impensabili. Pinker conclude che: "Nonostante tutti i pericoli che abbiamo di fronte oggi, quelli di ieri erano ancora peggiori. I lettori e le lettrici di questo libro [...] non devono più preoccuparsi di essere rapiti e diventare schiavi sessuali, di restare vittime di genocidi ordinati da Dio, di morire in arene e tornei, di essere puniti sulla croce, il cavalletto, la ruota, il palo o nel supplizio della corda per avere espresso convinzioni impopolari, di venire decapitate per non avere partorito un figlio maschio o sventrati per una relazione con una personalità regale, di dovere affrontare un duello alla pistola per difendere il proprio onore, che qualcuno li prenda a pugni per fare colpo sulle ragazze, e che una guerra mondiale nucleare ponga fine alla civiltà o alla stessa esistenza umana".

Il Processo di pacificazione

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Pinker ritiene che il Leviatano di Hobbes offra ancora una insuperata analisi delle ragioni della violenza competitiva tra gli uomini e che la sua opera possa essere tradotta in chiave evoluzionista

Pinker integra le teorie di Thomas Hobbes e Charles Darwin sulla violenza nel mondo animale e umano. La violenza è una conseguenza delle logiche evoluzioniste e gli individui sono portati a commettere violenza nella misura in cui essa è strategicamente utile. Le cause della violenza tra gli uomini sono essenzialmente tre, delineate nel Leviatano di Hobbes:

  • La competizione diretta per risorse scarse come cibo, terra e donne (lotta per il guadagno)
  • la cosiddetta trappola hobbesiana, ovvero la paura che gli altri possano attaccarci per eliminare avversari dalla competizione, il che costringe anche gli individui pacifici alla lotta e all'attacco preventivo (lotta per la sicurezza)
  • la necessità di sembrare abbastanza forti da non essere attaccati, ovvero la necessità di difendere la propria credibilità nella capacità di lanciare ritorsioni efficaci (lotta per la reputazione).

In tutte le società umane, queste tre ragioni di lotta portano rispettivamente a scorrerie/guerre predatorie, scorrerie/guerre preventive e scorrerie/guerre di rappresaglia. Hobbes propone come unica soluzione allo stato di violenza la presenza di un forte Stato centralizzato. Tale Stato dev'essere dotato del monopolio della violenza legittima su un territorio, deve disporre di una forza superiore di ciascun singolo cittadino e dev'essere interessato alla tutela della pace interna. In tal modo, esso può imporre leggi e punire i trasgressori, riducendo gli incentivi che inducono gli individui alla violenza.

Pinker cerca a quel punto di dimostrare se effettivamente le teorie di Hobbes sui vantaggi della vita civilizzata reggano o se siano migliori le teorie concorrenti di Rousseau sul "buon selvaggio". Il risultato dell'analisi dà ragione a Hobbes: alti tassi di violenza sono presenti nei nostri parenti più prossimi, gli scimpanzé; i tassi di mortalità dovuti a scorrerie e guerre nelle società raccoglitrici o agricole prestatali si aggirano intorno al 15% di media, con picchi fino al 30%, mentre per tutte le società statali si ha un valore inferiore al 5%, con una media intorno al 2-3%. La media di morti in guerra ogni 100.000 abitanti nelle società prestatali è di 524, mentre i tassi per le società statali è arrivato al massimo a metà di questa cifra in situazioni di grave crisi come i conflitti nell'impero atzeco nel XV secolo (mentre la Germania ha avuto nel XX secolo un tasso di "appena" 144 morti ogni 100.000 abitanti, nonostante la partecipazione e la sconfitta in entrambe le guerre mondiali e la conseguente distruzione del paese). Ovunque a una società tradizionale venga imposto un governo di tipo hobbesiano, i tassi di morte violenta crollano notevolmente. L'imposizione di un governo pone fine alle violente e prolungate guerre tribali e alle continue faide familiari. C'è da tenere in considerazione che i cacciatori-raccoglitori erano comunque meglio nutriti e lavoravano meno degli abitanti delle prime società agricole e che le prime società statali sono state teocrazie autoritarie, dominate da sovrani dispotici e in cui erano frequenti pratiche come il sacrificio umano o regolamentazioni arbitrarie della vita quotidiana, dovute a ideologie religiose, quindi Hobbes ha esagerato gli inconvenienti della vita nello "stato di natura". Ciononostante, Pinker sostiene che l'introduzione degli Stati-Leviatano abbia ridotto grandemente la violenza rispetto alle situazioni di anarchia pre-statale.

Il Processo di civilizzazione

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Norbert Elias

Pinker procede poi ad un analisi del saggio Il processo di civilizzazione di Norbert Elias. L'obiettivo è di spiegare la riduzione della frequenza di crimini violenti dal Medioevo a oggi. In Inghilterra, il tasso di omicidi cala tra un range da 4 a 100 persone ogni 100.000 abitanti nel Medioevo a 0,8 negli anni '50 del Novecento. In generale, l'Inghilterra è stata il 95% meno violenta nel XX secolo che nel XIV secolo. Valori simili si riscontrano in tutta Europa. Riduzioni forti nel numero di crimini violenti si spiegano con alcune caratteristiche che rendevano il Medioevo particolarmente violento: da un lato, l'assenza di un forte controllo statale faceva sì che i signorotti locali fossero impegnati in costanti guerricciole; dall'altro, in assenza di un sistema giudiziario affidabile, la predominava la giustizia fai-da-te. Più in generale, gli uomini del Medioevo sembravano mancare di sensibilità verso gli altri e di autocontrollo. Essi peccavano frequentemente d'impulsività e sembravano incapaci di prevedere le conseguenze delle proprie azioni. L'autocontrollo e il pudore sono oggi interiorizzati al punto da essere per noi una seconda natura, ma ciò è frutto di un processo di civilizzazione. Tale processo, che va dal XI al XVIII secolo, è un costante e graduale sviluppo della capacità di inibire i propri impulsi ed è stato responsabile della riduzione di crimini violenti.

Tale processo ha avuto due cause esogene. Da un lato, il rafforzarsi dello Stato-Leviatano rispetto al mosaico feudale di baronie e feudi. Il monopolio della violenza legittima da parte di autorità politiche centralizzate, che potevano imporre l'ordine mediante grandi eserciti disciplinati, ha fermato le guerre intestine e le faide familiari e costretto i signori della guerra a "civilizzarsi". Per affermarsi nell'aristocrazia non bisognava più combattere contro gli altri aristocratici, ma integrarsi nell'élite degli Stati-Leviatano. Ciò ha portato allo sviluppo di una cultura cortense, a cui chiunque avesse ambizioni politiche doveva uniformarsi. Dall'altro, lo sviluppo del libero commercio e della divisione del lavoro ha trasformato l'economia in un gioco a somma positiva, rendendo più vantaggioso entrare nei meccanismi di scambio piuttosto che appropriarsi con la forza delle risorse altrui.

Lo Stato-Leviatano e la diffusione del libero scambio sono andati di pari passo. Il Leviatano offriva al mercato una giustizia stabile, che tutelasse la proprietà e le transizioni, metteva in circolo valuta legale e costruiva le infrastrutture necessarie a un ampliamento del commercio. Dall'altro lato, l'arricchimento portato dal mercato e dallo sviluppo tecnico permetteva agli Stati di allargare la propria sfera di influenza e la propria capacità di controllo reale del territorio. Insieme questi processi hanno fatto sì che le élite smettessero di essere composte da guerrieri e diventassero élite di cortigiani e hanno creato quella cultura del pudore e del bon-ton che si è poi trasmessa alle classi inferiori, portando a una riduzione generale della violenza. La violenza oggi non è più praticata dalle élite, ma da persone in contesti socioeconomici svantaggiati trascurate dal sistema amministrativo e giudiziario e che tendono dunque a ricorrere maggiormente alla giustizia fai-da-te.

Pinker passa poi ad applicare il modello di Elias ai vari paesi del mondo, concentrandosi specialmente sugli Stati Uniti per mostrare come, laddove lo Stato non goda di fiducia da parte dei cittadini e laddove la cultura disconosca i valori del pudore e dell'autocontrollo, il tasso di criminalità tenda ad aumentare. In particolare vengono analizzati il divario culturale tra i più pacifici Stati del Nord rispetto al Sud degli USA, l'aumento della criminalità a seguito della crisi valoriale conseguente la controcultura degli anni '60 e il processo di "ricivilizzazione" avvenuto nel mondo occidentale dagli anni '90 in poi, quando una cultura più ironica e post-moderna ha fatto sì che le trasgressioni divenissero più simboliche che fattuali.

La Rivoluzione umanitaria

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In questo capitolo, Pinker analizza e celebra gli ideali dell'Illuminismo. Tali ideali predicano la riduzione della violenza istituzionale, pongono al centro valori come la vita e la felicità e si appellano ai principi della ragione e della scienza. Essi hanno avuto, tra i secoli XVII e XIX, un ruolo determinante nella riduzione di varie forme di violenza. L'emersione dell'ideale dei diritti umani e un allargamento dell'empatia nei confronti della sofferenza hanno portato alla fine, in un periodo di tempo relativamente breve, di un gran numero di forme di violenza, e soprattutto a considerare quelle forme di violenza immorali e ingiustificate. Pinker analizza:

  • la fine della caccia alle streghe
  • l'abolizione, imposta dal governo inglese, di rituali di sacrificio umano come la suttee
  • la messa al bando della tortura come tecnica di interrogatorio o come forma di punizione
  • una maggior tolleranza nei confronti del pensiero critico e del dibattito in campo politico e religioso, con la fine della persecuzione delle minoranze religiose, degli eretici e la conclusione, dopo la pace di Vestfalia, delle guerre di religione in Europa
  • la fine dei supplizi e di pene crudeli come lo squartamento, la gogna, la fustigazione, con l'insorgere dell'idea che la pena dovesse servire alla riabilitazione del condannato e non a infliggergli sofferenze
  • l'abolizione per legge o di fatto della pena capitale nella gran parte degli Stati del mondo e un suo uso meno frequente e meno violento nei restanti
  • l'abolizione della schiavitù, avvenuta, secondo Pinker, più per un cambiamento nella sensibilità morale delle persone che per motivi di ordine economico
  • la fine della servitù per debiti e, in generale, una gestione più dolce dei casi di insolvenza finanziaria
  • una riduzione generale del grado di violenza politica, con la creazione di strutture politiche in cui fosse possibile il passaggio di potere senza spargimento di sangue, e con la diffusione generale dell'idea secondo cui i governi esistono per il bene della popolazione che controllano e non hanno il diritto di applicare ad essa una violenza immotivata, da cui nacquero gli ideali dello Stato di diritto e della separazione dei poteri
  • la diffusione di ideali pacifisti e antimilitaristi, esemplificati dal saggio kantiano sulla pace perpetua.

Pinker esclude che alla base della rivoluzione umanitaria vi possa essere il processo di civilizzazione, che è stato in gran parte precedente, o la crescita economica, che è arrivata solo con la Rivoluzione Industriale, quando ormai la rivoluzione umanitaria era già ben avviata. La causa è per lui da identificarsi nel costante aumento della produzione libraria e del tasso di alfabetizzazione conseguente l'invenzione della stampa. La lettura permetteva di mettersi nei panni degli altri, empatizzando con i loro pensieri, e di capire che le proprie usanze e credenze non erano universali o assolute ma che esse derivavano da uno specifico contesto culturale. In particolare, il romanzo aumentava la facoltà di empatia e il libro in generale permise una sempre maggiore diffusione delle idee e un più aperto dibattito di quelle stesse idee, andando, nel XVIII secolo, a costituire una repubblica letteraria, in cui la discussione ha permesso a vecchie idee di venire confutate e a ideali più razionali di emergere. La combinazione di una maggiore diffusione libraria e di una crescente urbanizzazione hanno, secondo Pinker, contribuito al diffondersi della democrazia liberale. Il crollo della violenza si ebbe a seguito della diffusione di una linea coerente di pensiero emersa durante l'Illuminismo e che per Pinker ha come principali esponenti Hobbes, Spinoza, Cartesio, John Locke, David Hume, Mary Astell, Kant, Cesare Beccaria, Adam Smith, Mary Wollstonecraft, James Madison, Thomas Jefferson, Alexander Hamilton e John Stuart Mill. Secondo Pinker, tale visione del mondo, chiamata "umanesimo dei Lumi" o "liberalismo classico", nasce da uno scetticismo riguardo alla capacità di conoscenza della mente umana, e dunque dal riconoscimento della necessità di argomentare per raggiungere la verità. Il metodo della scienza, ovvero il ragionamento, l'affidarsi a dati ed esperimenti e il dibattito è l'unico considerato valido per arrivare a buone conclusioni sul mondo. La tendenza verso gli altri in questo genere di filosofia è essenzialmente empatica: tutti gli esseri umani hanno una natura comune, soffrono in modo simile e sono dotati di una razionalità che permette loro di concordare. Sulla base di questa ragione empatica, e sul riconoscimento dei bisogni degli altri e sul riconoscimento che essi sono simili a noi, viene fondata la morale illuminista.

Pinker poi passa poi all'analisi delle ideologie anti-illuministiche: il conservatorismo di Edmund Burke, secondo cui i cambiamenti sociali sono essenzialmente negativi, che secondo Pinker può avere un effetto regolatore sulla tendenza deleteria in cui può incorrere l'Illuminismo cercando di forzare la natura umana in vista di una società ideale; e il romanticismo, secondo cui i singoli soggetti umani possono essere compresi solo nel loro contesto culturale e non esiste una natura umana universale né una razionalità o un individuo disincarnati dal contesto del loro Volk. I romantici, secondo Pinker, tendono a vedere gli individui come espressioni della loro nazione, Chiesa, cultura o classe e a vedere il processo storico come guidato dallo svolgimento guidato da un particolare spirito della Storia piuttosto che come il prodotto del singolo agire di individui indipendenti. Un'altra caratteristica del romanticismo antilluminista è la celebrazione della violenza e della lotta. Questo romanticismo da un lato ha portato alla fioritura dell'arte ma dall'altro a una serie di ideologie che hanno contrastato la tendenza alla riduzione della violenza: il nazionalismo, il militarismo, il socialismo marxista e il nazionalsocialismo.

La Lunga Pace

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Pinker sostiene che l'idea che il XX secolo sia stato il più violento della Storia umana sia il frutto di una serie di distorsioni prospettiche. Se si tiene conto della crescita della popolazione avvenuta negli ultimi due secoli e se si corregge la miopia storica, che ci fa dimenticare degli eventi antichi, si nota come i fenomeni della guerra totale e degli stermini di massa non siano esclusive degli Stati moderni. Dopodiché Pinker tratta del tentativo di Lewis Fry Richardson di analizzare la Storia da un punto di vista non narrativo, come nella storiografia tradizionale, ma statistico. Nel saggio Statistics of Deadly Quarrels, Richardson analizza 315 contrasti mortali avvenuti tra il 1820 e il 1952 assegnando a ciascuno una magnitudine logaritmica sulla base del numero dei morti. Le due scoperte maggiori di Richardson sono le seguenti:

  • Le guerre accadono secondo un processo di Poisson non stazionario, ovvero iniziano e si fermano a caso. Non è rilevabile, nella distribuzione delle grandezze, alcuna tendenza statisticamente significativa. Questo implica che le teorie dialettiche della Storia siano sbagliate, ma non che ricercare tendenze storiche sia sbagliato. Tendenze storiche, descrivibili narrativamente, possono portare la probabilità che la guerra accada e perduri più in alto o più in basso. Se la probabilità che ogni anno una guerra finisca si mantiene costante, è più probabile che essa sia breve piuttosto che lunga. A parte questa tendenza statistica, Richardson non trovò alcuna tendenza ciclica nel campione da lui elaborato, neppure considerando solo le grandi guerre. La conclusione di Pinker è che: "[...] Il pensiero statistico, [...], suggerisce che noi siamo portati a esagerare la coerenza narrativa della storia, pensando che ciò che è accaduto non poteva non accadere a causa di forze storiche come cicli, escalation e rotte di collisione." Pinker vede nell'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando dell'Austria-Ungheria e nell'ascesa al potere di Hitler due eventi imprevedibili che hanno avuto conseguenze disastrose sulla Storia. Un'altra tendenza statistica nei conflitti degli ultimi duecento anni è il ridursi della frequenza delle guerre, ma il loro diventare più letali.
  • Le guerre accadono secondo una distribuzione a legge di potenza: il logaritmo della loro frequenza è proporzionale al logaritmo della loro distribuzione. La potenza, nel caso specifico, è di -1,5. Questo implica che le guerre hanno una distribuzione senza scala: nel grafico che rappresenta la relazione tra i logaritmi della dimensione e della frequenza, tale relazione è una retta. Passare da una guerra con 1000 vittime a una con 10.000 ha la stessa probabilità che passare da una con 10.000 a una con 100.000. Questo dato è tuttavia alterato dal fatto che le dimensioni gli Stati, i principali responsabili della guerra nel mondo moderno, seguano una distribuzione lognormale e non a legge di potenza. Tenendo conto di questo si possono fare delle simulazioni in cui la distruttività di una guerra dipende dalle dimensioni del territorio dei combattenti. Tenendo ulteriormente conto degli effetti psicologici della guerra di logoramento come la fallacia dei costi sommersi e la legge di Weber-Fechner, si arriva alla conclusione che due belligeranti combattono più a lungo tanto più una guerra è letale, il che contribuisce a far sì che le guerre abbiano una distribuzione paretiana estremizzata in cui il 2% dei conflitti causa l'80% delle morti. La combinazione di escalation e logoramento è una buona spiegazione, secondo Pinker, della distribuzione a legge di potenza dei conflitti. Questa distribuzione fa sì che possano esistere un buon numero di eventi estremi, altamente improbabili ma non impossibili, né inevitabili. Tali sono state per Pinker le due guerre mondiali, che ci hanno dato l'illusione di un peggioramento sistemico della violenza e dell'animo dell'uomo, quando complessivamente, si è trattato di eccezioni statistiche in un trend di conflitti più sanguinosi ma anche più rari.

Pinker nota una serie di trend statistici: la percentuale di anni di guerra tra Grandi Potenze e la frequenza e durata di tali guerre sono in calo dalla metà del XVII secolo, mentre la guerra è divenuta sempre più letale fino all'"emoclisma" della prima metà del XX secolo. Tutte le variabili si sono però praticamente azzerata dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il tasso di morti in conflitti in Europa segna tre punte generali, così riassunte da Pinker: "La carriera della violenza organizzata in Europa, insomma, assume più o meno questo aspetto: una linea base bassa