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In economia internazionale un'area valutaria ottimale o AVO (in inglese optimum currency area o optimum currency region, OCA o OCR) è una regione geografica in cui si ottiene una massimizzazione dell'efficienza economica condividendo una moneta unica. La teoria dell'area valutaria ottimale è stata sviluppata dall'economista Robert Mundell nel 1961[1] e gli valse il premio Nobel per l'economia nel 1999.[2] La paternità della teoria viene normalmente accreditata a Mundell, ma secondo altri studiosi si può far risalire la teoria agli studi precedenti sull'argomento svolti da Abba Lerner.[3]

La teoria dell'area valutaria ottimale descrive le caratteristiche ottimali per la unificazione di monete nazionali e la creazione di un nuova moneta unica. Viene spesso utilizzata come base di discussione per la valutazione dell'utilità per una data regione nrl diventare un'unione monetaria, una delle fasi finali dell'integrazione economica.

Un'area valutaria ottimale è spesso più grande di un paese. Ad esempio, uno dei motivi alla base della creazione dell'euro è che, secondo i fautori di questa integrazione, i paesi europei presi singolarmente non sono in genere un'area valutaria ottimale, ma l'Europa nel suo insieme lo è.(Baldwin, Richard 2004)[4] La creazione dell'euro è spesso citata come caso di studio, in quanto fornisce elementi per uno studio moderno e su grande scala sulla creazione di un'area valutaria ottimale e rende disponibili dati utili per un confronto tra il prima della introduzione e il dopo, con cui testare i principi della teoria.

Un'area valutaria ottimale può anche essere più piccola di un paese. Alcuni economisti sostengono che gli Stati Uniti d'America, per esempio, hanno alcune regioni che non sono idonee a costituire un area valutaria ottimale con il resto del paese.[5]

Modelli di studio

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Mundell teorizzò due modelli descrittivi dei fenomeni correlati con le aree valutarie ottimali.

Aree valutarie ottimali con aspettative stabili

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Pubblicato da Mundell nel 1961, è il modello più citato dagli economisti. In questa modellizzazione, gli shock asimmetrici sono considerati in grado di minare il funzionamento dell'economia reale. Nell'ipotesi siano di entità troppo importante e non possano essere controllati, è preferibile mantenere un regime di cambio libero, in quanto le politiche monetarie collettive dell'area che agiscono tramite i tassi di interesse, non sono in grado di gestire con precisione le singole situazioni particolari di ogni regione che costituisce l'area.

Solitamente vengono citati quattro criteri perchè una unione monetaria abbia successo:[6]

  • Mobilità del lavoro nella regione. Concetto che comprende la fisica possibilità per i lavoratori di spostarsi (permessi, diritti dei lavoratori, ecc.), mancanza di barriere culturali al libero movimento (come lingue differenti) e accordi tra istituzioni (quali la possibilità di trasferire le pensioni tra i differenti paesi) (Robert Mundell).
  • Apertura alla mobilità dei capitali e flessibilità dei prezzi e salari nella regione. Ciò consentirà ai mercati e alla legge della domanda e dell'offerta di distribuire automaticamente risorse finanziarie e beni la dove necessari. Nella pratica ciò non avviene in quanto non esiste una autentica flessibilità dei salari. (Ronald McKinnon). Per esempio, nel caso dell'Eurozona, i paesi membri commerciano tra di loro in modo sostenuto (il commercio intra-europeo è maggiore di quelo internazionale) e le più recenti analisi empiriche circa l'effetto dell'euro suggeriscono che la moneta unica abbiam portato a un incremento del commercio dal 5 al 15 percento nell'eurozona rispetto agli scambi commerciali tra nazioni che non adottano l'euro.[7]
  • Esistenza di un sistema di condivisione del rischio come una politica fiscale automatica che abbia un meccanismo di trasferimento per redistribuire risorse economiche tra le aree/settori che hanno subito svantaggi in modo differente a causa degli effetti delle prime due caratteristiche. Normalmente il sistema prende la forma di ridistribuzione delle entrate fiscali verso zone meno sviluppate del paese/regione. Questa politica economica, sebbene teoricamente accettata, è politicamente difficile da implementare in quanto le regioni dove sussitono condizioni economiche migliori, raramente rinunciano ai loro redditi facilmente. Teoricamente l'Europa ha nel Patto di stabilità e crescita del 1997 una clausola che vieta gli aiuti economici per il salvataggio dei paesi (no-bailout clause), il che vuol dire che i trasferimenti fiscali tra stati non sono consentiti. Durnate la crisi del debito sovrano europeo del 2010, però questo divieto venne nei fatti non applicato e nell'aprile di quell'anno vennero forniti aiuti al sistema bancario greco.[8]
  • Comunanza dei cicli economici tra le nazioni partecipanti. Quando un paese sperimenta un boom economico o una recessione, gli altri paesi dell'unione normalmente lo seguono. Ciò consente alla banca centrale comune di stimolare la crescita nei periodi di crisi e contenere l'inflazione in quelli di forte sviluppo. Se i paesi di una unione monetari sperimentano cicli economici differenti, la politica monetaria ottimale potrebbe peggiorare alcune condizioni a scapito di altre e i paesi costituenti non avere beneficio dall'esistenza di una banca centrale unica.

Negli anni successivi, altri economisti hanno ripreso la teoria, approfondendo le caratteristiche che rendono possibile il successo delle unioni monetarie, aggiungendo altri criteri. Tra i criteri aggiuntivi suggeriti necessari al buon funzionamento di una moneta unica vi sono:[9]

  • Diversificazione della produzione (Peter Kenen)
  • Preferenze omogenee tra i residenti nell'area
  • Comunione di intenti ("Solidarietà")

Unione Europea

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La teoria è stata applicata più frequentemente negli ultimi anni alle discussioni realtive all' euro e all'Unione europea. Molti economisti sostengono che l'Unione europea non soddisfaceva i criteri per un area valutaria ottimale all'atto dell'adozione dell'euro e attribuiscono le difficoltà economiche della zona euro, in parte alla decisione del continuare a utilizzare una moneta unica pur continuando a non esserci le condizioni per farlo.[10] Nel mentre l'Europa soddisfa correttamente alcuni dei requisiti che caratterizzano un'area valutaria ottimale, è caratterizzata da una minore mobilità del lavoro rispetto agli Stati Uniti d'America (probabilmente a causa delle differenze di lingue e culturali) e non può fare affidamento su di un federalismo fiscale per minimizzare gli effetti delle perturbazioni economiche regionali. La crisi europea, comunque, potrebbe spingere l'Unione Europea verso l'adozione di maggiori poteri federali in materia di politica fiscale.[11]

Stati Uniti d'America

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L'economista della Federal Reserve Bank of Chicago Michael Kouparitsas nel 2001 ha studiato le economie delle otto regioni in cui sono suddivise le statistiche raccolte dal Bureau of Economic Analysis.[12] In base alle sue ricerche ha determinato che cinque delle otto regioni soddisfano i criteri di Mundell per costituire un'area valutaria ottimale.[13] Tra queste cinque regioni, il sudest e sudovest rispettano i requisiti in modo opinabile. Nello stesso tempo, dalle sue analisi risulta che la regione delle grandi pianure ad est delle Montagne Rocciose non rispetta i criteri per essere considerata un area valutaria ottimale.

Aree valutarie ottimali con condivisione internazionale dei rischi

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In questo secondo modello pubblicato nel 1973, Mundell tentò di descrivere il modo con il quale l'incertezza del tasso di cambio tra valute interferisce con l'economia. Questa analisi è meno citata in letteratura.

Partendo dal presupposto che la moneta unica è gestita correttamente, più grande è l'area valutaria, migliori sono i risultati economici. A differenza di quanto studiato con il precedente modello, gli shock asimmetrici si ritiene non creino danni alla moneta unica adottata, poprio a causa della sua esistenza. In aree valutarie di questo tipo infatti, si teorizza che gli shock si distribuiscono equamente tra tutti i partecipanti, in quanto tutte i paesi possono rivalersi tra di loro nella stessa moneta e la possono utilizzare per attutire gli effetti dello shock, mentre in presenza di tassi variabili del cambio, i costi della crisi si accumulerebbero in specifiche regioni, poichè la svalutazione ne ridurrebbe il potere d'acquisto. In questo scenario, quindi, malgrado la politica monetaria unica non sia in grado di seguire con precisione tutte le singole esigenze regionali, l'economia reale ha migliori risultati rispetto alla presenza di cambi liberamente fluttuanti.

«Un fallimento del raccolto, scioperi, o la guerra in uno dei paesi provoca una perdita di reddito reale, ma l'uso di una valuta comune (o riserve di valuta estera) permette al paese di diminuire le proprie riserve valutari e attenuare l'impatto delle perdite, attingendo alle risorse degli altri paesi distribuendo i costi del superamento della crisi in modo efficiente negli anni successivi. Se invece due paesi utilizzano valute diverse regolate da cambi flessibili, tutte la perdite sono a carico di uno solo dei due; la moneta comune non può servire da ammortizzatore per la nazione nel suo complesso a meno che la vendita di valute inconvertibili sui mercati esteri attiri un afflusso di capitali speculativi a favore della moneta in crisi.»

Con questa seconda particolarizzazione, il lavoro di Mundell può essere citato da entrambi i lati protagonisti del dibattito sull'euro. La maggioranza degli economisti cita preferibilmente il primo modello (aspettative stazionarie) e conclude che l'euro non è ottimale. Ma nel 1973, lo stesso Mundell sostenne la creazione di una allora ipotetica valuta comune europea sulla base del secondo modello verso il quale si dichiarò più favorevole.

«Invece di muoversi verso una maggiore flessibilità dei tassi di cambio in Europa il dibattito economico suggerisce una minore flessibilità e una più stretta integrazione dei mercati dei capitali. Queste argomentazioni economiche sono supportate da argomentazioni sociali. In ogni occasione nella quale una perturbazione sociale ha portato alla minaccia di sciopero, e lo sciopero ad un aumento ingiustificato dei salari senza un corrispondente aumento della produttività e quindi alla svalutazione, viene minacciata la moneta nazionale. I costi di lungo periodo per la nazione nel suo complesso sono barattati dai governi con quelli che si presumono essere i vantaggi politici di breve periodo. Se invece, le valute europee fossero legate insieme, i disordini nei paesi sarebbero attenutati, e gli shock economici indeboliti grazie alla libertà di movimento di capitali.»

  1. ^ Mundell R. A., A Theory of Optimum Currency Areas, in American Economic Review, vol. 51, n. 4, 1961.
  2. ^ Coy Peter, Why Mundell Won the Nobel: For work that led to the euro, not for his supply-side theory, in BusinessWeek, 25 ottobre 1999.
  3. ^ Scitovsky, Tibor, Lerner's Contribution to Economics, in Journal of Economic Literature, vol. 22, n. 4, 1984.
  4. ^ Baldwin Richard, Wyplosz Charles, The Economics of European Integration, New York, McGraw Hill, 2004, ISBN 0-07-710394-7.
  5. ^ Federal Reserve Bank of Chicago, Is the United States an optimum currency area? (PDF), su chicagofed.org, dicembre 2001. URL consultato il 24 marzo 2015.
  6. ^ Frankel Jeffrey A., Rose Andrew K., The Endogenity of the Optimum Currency Area Criteria (PDF), in The Economic Journal, vol. 108, n. 449, 1997, DOI:10.1111/1468-0297.00327.
  7. ^ last=Baldwin, Richard, In or Out: Does it Matter? An Evidence-Based Analysis of the Euro's Trade Effects (PDF), London, Centre for Economic Policy Research, 2006, ISBN 1-898128-91-X.
  8. ^ Greece Takes Bailout, but Doubts for Region Persist, in New York Times, 3 maggio 2010.
  9. ^ van Marrewijk Charles, Ottens Daniël, Schueller Stephan, International economics: theory, application, and policy, Oxford, UK, Oxford University Press, 2006, ISBN 0-19-928098-3.
  10. ^ Ricci Luca A., A Model of an Optimum Currency Area, in Economics: the Open-Access, Open-Assessment E-Journal, vol. 2, n. 8, 2008, DOI:10.5018/economics-ejournal.ja.2008-8.
  11. ^ Caporaso James, Durrett Warren, Kim Min, Still a regulatory state? The European Union and the financial crisis, in Journal of European Public Policy, dicembre 2014, DOI:10.1080/13501763.2014.988638. URL consultato il gennaio 2015.
  12. ^ map of regions
  13. ^ Kouparitsas Michael A., Is the United States an optimum currency area? An empirical analysis of regional business cycles (PDF), in Federal Reserve Bank of Chicago Working Paper, vol. 2001-21, 2001.

Voci correlate

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