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Tirtha
Tirtha (IAST: Tīrtha) è un termine della lingua sanscrita che significa "attraversamento, guado", e si riferisce ad ogni posto, testo o persona santa.[1][2] In particolare si riferisce al pellegrinaggio, a siti e luoghi sacri nell'induismo e nel giainismo.[1][2][3]
Il viaggio associato al Tirtha si chiama Tirtha-yatra,[4] mentre termini alternativi come Kshetra, Gopitha e Mahalaya vengono usati in alcune tradizioni dell'induismo per riferirsi al "luogo del pellegrinaggio".[5][6]
Tirtha
[modifica | modifica wikitesto]Tīrtha (in lingua sanscrita तीर्थ) letteralmente significa "guado, "incrocio" nel senso di "transizione o raccordo".[1][2] Tirtha è un concetto spirituale dell'induismo, particolarmente riferito al "sito di un pellegrinaggio" e Axel Michaels dice che è una congiunzione tra "mondi che si toccano e non si toccano l'un l'altro".[9][10] Il termine appare anche in testi indù antichi e medievali per riferirsi a una persona santa o ad un testo sacro con qualcosa che può essere un catalizzatore per una transizione da uno stato di esistenza ad un altro.[2] Si tratta, afferma Knut A. Jacobsen, di tutto ciò che ha un valore salvifico per un indù e comprende luoghi di pellegrinaggio, come montagne o foreste o mare o fiumi o stagni, così come virtù, azioni, studi o stati d'animo.[2][3] Tirtha può essere un luogo reale, fisico e sacro nella tradizione indù, o un termine metaforico che fa riferimento alla meditazione, in cui la persona si reca in uno stato mentale sacro e intellettuale come di "verità, perdono, gentilezza e semplicità".[4][11][12] Tirtha in testi indù, afferma Bhardwaj, è "uno dei molti modi verso l'auto-realizzazione e la beatitudine".[13] La parola Tirtha si trova nei testi più antichi come il Saṃhitā del Rigveda e in altri Veda.[14] Negli inni del Rigveda, come 1.169.6 e 4.29.3, il contesto suggerisce che il termine significhi "una via, una strada".[14] In altri inni del Rigveda come nel 8.47.11, afferma Kane, il contesto fa emergere il significato di "guado di un fiume".[14] Tuttavia, in altri casi, Tirtha si riferisce a qualsiasi luogo sacro, come il mare, o un luogo che collega un terreno sacrificale (Yajña) con l'esterno.[10][15] Testi successivi usano la parola Tirtha per riferirsi a qualsiasi punto, località o distesa d'acqua in cui le circostanze o la presenza di grandi saggi o guru hanno reso speciale.[16][17]
Nell'Upanishad, sostiene Diana L. Eck, il "passaggio" si riferisce a "transizione spirituale e alla trasformazione da questo mondo al mondo del Brahman, il Supremo, il mondo illuminato dalla luce della conoscenza".[18] L'enfasi dell'Upanishad, nel contesto Tirtha, è sulla conoscenza spirituale, invece che sui rituali, e questo tema appare pure nei poemi epici indù.[18]
Luoghi sacri
[modifica | modifica wikitesto]Il Dharmaśāstra e i Purāṇa, dice Kane, dicono ciò che è santo, comprese tutte le montagne, l'Himalaya, tutti i fiumi, i laghi, le dimore dei Rishi (saggi), i templi, le mucche, le grandi foreste e tutti i mari.[19] Questa tradizione risale al Rigveda, dove Aranyani (una grande foresta) viene definita una divinità.[19] La riverenza per i fiumi e le masse d'acqua è rilevabile dal Nadi Stuti, o inno del fiume, nell'inno 10.75 del Rigveda.[20]
I luoghi di pellegrinaggio non sono in primo piano nel Dharmasastra come nel Manusmriti e nel Yajnavalkya Smriti, ma si trovano nel poema epico Mahābhārata e nei Purāṇa.[21] La maggior parte dei Purāṇa hanno grandi sezioni su Tirtha Mahatmya assieme a guide turistiche,[22] che descrivono i siti sacri da visitare, particolarmente nel Padma Purana, Skanda Purāṇa, Vāyu Purāṇa, Kūrma Purāṇa, Bhāgavata Purāṇa, Narada Purana, Devi Bhagavata Purana, Vamana Purana, Liṅga Purāṇa, Brahma Purana, Brahmanda Purana e Bhavishya Purana.Kane, 1953 pp. 559-560[23][24]
Nei testi antichi, Varanasi (Benares, Kashi), Rameshwaram, Kanchipuram, Dwarka, Puri e Haridwar sono stati particolarmente menzionati come luoghi sacri, assieme ai luoghi geografici dove si uniscono i fiumi (sangam) o giungono al mare.[25][26] Il Kumbh Mela, pellegrinaggio a cadenza triennale a rotazione, tra Prayaga (rinominata Allahabad nel tardo medioevo), Haridwar, Ujjain e Nasik, rimane popolare anche in tempi moderni, con la partecipazione di decine di milioni di indù.[27]
Ragioni
[modifica | modifica wikitesto]Alcuni pellegrinaggi sono un Vrata (voto), che un indù può fare per un diverso numero di ragioni.[28][29] Può essere un'occasione speciale, come ad esempio la nascita di un bambino, o come parte di un samskara (rito di passaggio) come il primo taglio di capelli di un bambino, o dopo la guarigione da una malattia.[30][31] Può essere, afferma Eck, anche il risultato di preghiere esaudite o conseguente ad un voto fatto nel caso la sua preghiera fosse stata esaudita, come ad esempio il benessere di un membro della famiglia, o il superamento della povertà o dello stato di indigenza o di una situazione difficile.[30]
Un motivo alternativo per il Tirtha, per alcuni indù, è quello di rispettare i desideri o la memoria di una persona cara dopo la sua morte.[30] Questo può includere il disperdere le ceneri della cremazione in una regione Tirtha, come una foresta, una montagna, un fiume o il mare per onorare i desideri dei morti. Il viaggio di un Tirtha, affermano alcuni testi indù, aiuta a superare il dolore della perdita.[30]
Un altro motivo per un Tirtha è la credenza indù che i viaggi hanno un potenziale di ringiovanimento, per purificare lo stato interiore dell'uomo e c'è merito spirituale in un viaggio, un tema affermato dai testi vedici.[32][33] Questo viaggio in testi indù successivi, afferma Bhardwaj, ha spaziato dal viaggio interiore di meditazione al viaggiare fisicamente ai templi famosi o fare il bagno in fiumi come il Gange.[12][34]
Il Tirtha è stato uno dei mezzi suggeriti per affrontare un rimorso e per eseguire una penitenza, per errori non intenzionali e per i peccati intenzionali, nella tradizione indù.[20][35] Lo sforzo e l'austerità durante il Tirtha sono una parte del concetto di Prāyaścitta , che significa "espiazione, penitenza di espiazione" per "qualcosa che uno ha fatto, ma che non avrebbe dovuto" o "qualcosa che non ha fatto, ma che avrebbe dovuto".[36][37][38] Vishnu Dharmasastra afferma che il tipo di peccato che può essere espiato attraverso i pellegrinaggi si riferisce al anupātakas (peccato veniale), a differenza del mahapātakas (peccato grave) che richiede altre penitenze[39] Secondo Kane, molti testi affermato che il "Tirtha yatra" (viaggio verso un luogo sacro) è stato un modo popolare per la redenzione dei peccati per gli uomini e le donne di tutte le caste.[40]
Metodo
[modifica | modifica wikitesto]La procedura corretta per un pellegrinaggio è dibattuta all'interno dello (IAST smṛtis) con domande come se ci si deve tagliare i capelli prima di un pellegrinaggio o quanto veloce deve essere il viaggio.[41]
Anche la modalità del viaggio è ampiamente discussa, in particolare quando il Tirtha viene effettuato come parte di una penitenza. La visione più accettata sembra quella della maggiore severità (prāyaścitta) proveniente dal viaggiare a piedi, o fare parte del viaggio a piedi, e che l'uso di un mezzo di trasporto è accettabile solo se il pellegrinaggio è altrimenti impossibile.[42]
I testi indù affermano che l'uomo dovrebbe portare con sé la moglie, quando fa un pellegrinaggio.[43] Tuttavia, alcuni smṛtis richiamano l'attenzione sul fatto che fare il proprio dovere come padrone di casa è più importante che andare in pellegrinaggio, e solo in casi particolari o una volta che abbia pagato i suoi tre debiti (ai suoi genitori, al suo insegnante e ai Veda), dovrebbe ricorrere ai pellegrinaggi.[44]
Il Prāyaścitta-tattva afferma che la persona in cerca di penitenza deve rinunciare a 16 cose quando raggiunge il fiume Gange, compreso il lodare un altro tirtha, colpire qualcuno, i piaceri sessuali, accettare regali e regalare i propri indumenti usati.[45]
Kshetra
[modifica | modifica wikitesto]Un luogo di pellegrinaggio o la sua posizione, in alcuni testi indù, è indicato anche come Kshetra (IAST kṣētra e in lingua sanscrita क्षेत्र), letteralmente qualsiasi "campo, zona o pezzo di terra".[46] Un Kshetra indica una zona sacra o un temenos. Kshetra è anche un etimo del termine avestico Xšaθra "autorità [desiderabile]", che detiene il "potere" ed è anche un nome proprio di una divinità o immortale che comprende uno degli Amesha Spenta dello Zoroastrismo. Xšaθra o Shahrevar conquistò ciò che è male e annesse il territorio così conquistato, dandolo all'onesto, al pacifico e all'umile.
Un kshetra a volte si riferisce ad un insieme di luoghi tirtha (templi, rive di fiumi) in una certa località, come Varanasi, Haridwar, Somnath, Mathura-Vrindavan, Ayodhya, Puri e Kanchipuram che sono considerate kshetra.[47] Un Kshetra può indicare un luogo dove c'è un tempio o in cui c'è stata una persona o un evento sacro, religioso o di dharmatica importanza. Kurukshetra è il "campo" o "recinto", dove Pandava e Kaurava combatterono una guerra di religione come detto nel Bhagavad Gita sezione del Mahābhārata.
Un Kshetra non deve essere lontano da luoghi di viaggi sviluppati in modo permanente, e si riferisce a qualsiasi spazio temporaneo, come ad esempio una zona di nozze o un mandala istituito per un culto, che è sacro.[48] Sia yantra che maṇḍala sono talvolta considerati come kshetra.[49][50]
Il Buddhismo ha due cose analoghe al kshetra, il Pure Land o buddhakṣetra e l'albero del rifugio.
Il Vaishnava Purāṇa enumera sette siti come porta di Moksha: Ayodhya, Mathura, Māyā, Kāsi, Kāñchī, Avantikā (Ujjain), Purī e Dvārāvatī.[12]
Altra definizione di Tirtha
[modifica | modifica wikitesto]Adi Shankaracharya fondò dieci ordini monastici in India, e Tirtha è uno di questi: 1) Tirtha, 2) Ashrama, 3) Vana, 4) Aranya, 5) Giri, 6) Parvata, 7) Sagara, 8) Saraswati, 9) Bharati, 10) Puri.[51]
Il moderno lignaggio Tirtha degli ordini monastici include Tirtha-Siddhayoga e quello dei monaci Tirtha: Swami Shankar Purushottam Tirtha, Swami Narayan Tirtha e Jagadguru Swami Sri Bharati Krishna Tirthaji Maharaja.
Note
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- ^ a b c d e Axel Michaels e Barbara Harshav, 2004 pp. 288-289.
- ^ a b Knut A. Jacobsen, 2013 pp. 157-158.
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- ^ a b Diana L. Eck, 2012 p. 7.
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