Discussione:Quantità vocalica

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Questa voce non mi convince per niente: all'inizio si dice "la quantità indica la durata di emissione di un fonema ed è determinata dall'altezza, cioè dalla frequenza delle vibrazioni" ma durata e frequenza sono quantità indipendenti in un suono.

Poi si dice: "Nelle lingue ad accento intensivo (o "dinamico" o "espiratorio") come l'italiano, tale distinzione di quantità non ha rilevanza fonologica, come invece ne ha nelle lingue ad accento melodico, come si presume che fossero il latino e il greco di età classica." invece le lingue slave e l'ungherese hanno accento intensivo come l'italiano e vocali di diversa lunghezza (le lunghe vengono usualmente indicate con l'accento acuto), mentre inglese e tedesco hanno la differenza tra vocali lunghe e corte, ma solo per le vocali accentate: ship/sheep.

Infine - visti gli esempi sopra - è fuorviante far credere, come fa l'articolo, che la quantità vocalica sia una caratteristica delle lingue classiche: infatti la maggior parte delle lingue europee di oggi ha una distinzione tra vocali vrevio e lunghe e ironicamente, sono proprio le lingue neolatine e (credo) il greco moderno ad averla persa.

Non mi sento abbastanza esperto per modificare questa voce, na sarebbe bene che un esperto la controllasse.

Guardate la pagina in Inglese per vedere come dovrebbe essere questa voce: [Vowel length]

Nel tuo intervento parli di quantità vocalica nella maggior parte delle lingue europee, quindi capisco che tu concepisci la quantità in accezione fonetica, come durata detrminata ad esempio dalla posizione finale nella sillaba (come nel caso dell'italiano). Nel riscrivere la voce io invece ho adottato una concezione fonologica della quantità, perché nella maggior parte dei manuali di fonetica/fonologia che ho consultato si usa maggiormente il termine quantità per le lingue in cui essa è distintiva, mentre quando è predicibile dal contesto più spesso ho trovato il termine lunghezza. Ho quindi pensato di usare un punto di vista fonologico nella voce sulla quantità, ed eventualmente creare una voce lunghezza dove partire dal punto di vista fonetico, e lì eventualmente parlare anche della lunghezza vocalica nell'italiano e in altre lingue. Se questa mia scelta terminologica sembrasse soggettiva, posso citare le singole opere da cui la ho estrapolata per confrontarle con altre, quindi discutere una scelta diversa.
Andrebbero anche citate le teorie di quei linguisti che hanno attribuito valore distintivo alla lunghezza vocalica in italiano, come ad esempio Temistocle Franceschi. So che ha sostenuto tale tesi in un'opera del 1973, ma non so se successivamente l'ha portata avanti. Nel 2004 ha pubblicato anche La struttura fonologica dell’italiano e le sue radici latine, quindi per citare la sua tesi bisognerebbe aggiornarla con la sua posizione odierna. StefanoMab (msg) 16:29, 6 apr 2011 (CEST)[rispondi]
Riflettendo su quest'aspetto nella lingua italiana, mi è venuto in mente il caso di corte/coorte. Consultando il DiPI noto che Canepari le indica entrambe con /o/, ma nel caso di coorte, accanto a questa pronuncia ritenuta quella moderna e più consigliabile, ne indica anche una tradizionale ("la più consigliata un tempo") e intenzionale ("per dar sfoggio") con /ɔ/. Se davvero nella pronuncia moderna entrambe le parole si pronunciano con /o/, avremmo l'opposizione /corte/ - /coorte/, da cui ne seguirebbe che la quantità ha rilevanza fonologica anche in italiano. Tuttavia ciò potrebbe essere un caso eccezionale, un po' come il bassissimo rendimento funzionale dell'opposizione /ʤ/- /ʦ/ (rimasto forse solo in /raʤʤa/, pesce - /raʦʦa/, es. quella supposta ariana). --Zurillion (msg) 18:18, 13 mar 2012 (CET)[rispondi]
Non vi è alcuna opposizione fonologica corte/coorte quanto a durata/lunghezza vocalica, semplicemente perché in "coorte" si ha uno iato mono-timbrico e non una vocale lunga non modulata. Sarebbe poi un caso ancor piú unico che raro se si considera che la presenza di una vocale lunga si avrebbe in una sillaba chiusa - contrariamente a tutti i casi in cui questo accade davvero in italiano, sempre in sillaba aperta, e solo dal punto di vista fonetico senza mai alcuna implicazione fonologica. Senza contare che in caso contrario, nell'inno di Mameli non ci sarebbe stato bisogno di operare la nota - e un po' goffa... - contrazione di "stringiamoci" in "stringiamci" che si è resa necessaria per poter far quadrare il numero delle sillabe. Se "coorte" fosse davvero il "côrte" di cui qui si teorizza in astratto il conto delle sillabe tornerebbe; non torna proprio perché co-or-te è un trisillabo mentre mor-te di sillabe ne ha solo due.
Per quanto riguarda l'italiano non andrebbero dimenticate le centinaia di coppie minime create dalla prima e terza persona dei passati remoti dei verbi in -ire, del tipo sentì/sentii (/sen'tiˑ/ - /sen'tiː/). Quindi, formalmente parlando, l'italiano È una lingua quantitativa, nella misura in cui ha coppie minime quantitative e queste sono presenti in parti funzionali del discorso come le desinenze verbali. --Grufo parla con mecontributi
Idem come sopra; sentí/sentii non sarà mai una coppia minima, perché in italiano la prima voce è bisillaba, la seconda invece trisillaba: sen-ti-i, e non v'è ombra di vocali "lunghe". Quindi l'italiano non è affatto una lingua quantitativa (neanche fosse una questione di "prestigio"...).

Altre voci (o almeno titoli)

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Vedere Discussione:Quantità#Quantità . (fonetica) e Quantità (metrica)?.--5.170.67.230 (msg) 02:20, 11 apr 2015 (CEST)[rispondi]

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