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Utente:Theirrulez/Esercito del Regno delle Due Sicilie
L'Esercito del Regno delle Due Sicilie, ufficialmente detto Reale Esercito di S.M. il Re del Regno delle Due Sicilie[1], fu l'esercito del Regno delle Due Sicilie dal 1816 al 1860. Venne impiegato in quasi tutte le vicende belliche che hanno visto coinvolto il regno e fu caratterizzato dall'impiego di unità militari costituite da personale straniero. Con la fine del regno dei Borbone e la conseguente unificazione italiana la forza armata si sciolse definitivamente.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Le forze armate dei Regni di Napoli e Sicilia nel XVIII secolo
[modifica | modifica wikitesto]L'insediamento della dinastia borbonica
[modifica | modifica wikitesto]La creazione di una unione dei regni di Napoli e Sicilia può essere datata al 1734 con il passaggio della sovranità dei due regni dal dominio asburgico a quello borbonico per effetto della Guerra di successione polacca. Nei due secoli precedenti l'Italia meridionale e la Sicilia erano appartenuti alla Spagna, ma solo come vicereami; successivamente, nel 1707, il regno di Napoli era passato all'Austria, nell'ambito della Guerra di successione spagnola, mentre il regno di Sicilia era stato attribuito a Vittorio Amedeo II di Savoia nel 1713 con la pace di Utrecht.
L'autonomia dei regni di Napoli e di Sicilia dalla corona spagnola, sebbene i due regni rimanessero ancora legati a quest'ultima per motivi dinastici, era stata ottenuta grazie all'azione diplomatica di Elisabetta Farnese, seconda moglie del re di Spagna Filippo V. Elisabetta Farnese aveva rivendicati i territori italiani per i propri figli, esclusi dalla successione al trono spagnolo da Don Ferdinando, figlio di primo letto di Filippo V. Nel 1734, pertanto, l'infante don Carlos, primogenito di Elisabetta Farnese, assunse le corone di Napoli e di Sicilia col nome di Carlo di Borbone dando origine de facto ad una unione dei due dominii in un entità politica abbastanza coesa, anche se formalmente il Regno delle Due Sicilie (unione dei due regni, di Napoli e Sicilia) nascerà solo nel 1816. Per poter prendere possesso dei nuovi regni, Carlo di Borbone era giunto in Italia già tre anni prima, nel 1731, accompagnato da oltre 6.000 soldati spagnoli, guidati da Emmanuele d'Orleans, conte di Charny, a cui si erano aggiunti altrettanti fanti e cavalieri italiani guidati da Niccolò di Sangro.
Carlo di Borbone
[modifica | modifica wikitesto]Conquistato il regno il 10 maggio 1734, Carlo di Borbone diede un primo ordinamento all'esercito regio: le forze militari vennero aumentate a 40 battaglioni di fanteria, 18 squadroni di cavalli (nove di dragoni e nove di cavalleria propriamente detta), un corpo considerevole di artiglieri ed un altro di ingegneri.
La data di nascita ufficiale dell'esercito napoletano va collegata però alla legge del 25 novembre del 1743, con la quale il re Carlo dispose la costituzione di 12 reggimenti provinciali, tutti composti da cittadini del Regno, affiancati da reggimenti con soldati svizzeri, valloni e irlandesi. Furono create anche delle compagnie di fucilieri da montagna, lontane antenate delle truppe alpine, le cui caratteristiche ordinative, di armamento e di equipaggiamento ne fecero il primo modello del genere nella storia dell'Italia militare moderna.
Il 25 marzo dell'anno successivo, il neonato esercito subì il primo collaudo, contro gli austriaci, alla battaglia di Velletri. Essa segnò la sua prima, grande vittoria, cui parteciparono reggimenti interamente napoletani, come il "Terra di Lavoro" (il quale dopo la battaglia poté fregiarsi del titolo di "Real", riservato ai soli reggimenti veterani), comandato dal duca di Ariccia, che ressero il confronto con i reggimenti stranieri di più antica tradizione. In quel periodo è da ricordare il servizio come ufficiale al reggimento "Fonseca" di Pasquale Paoli, futuro capo dell'irredentismo corso: durante la sua ferma nell'Esercito napoletano gli furono concessi sei mesi di congedo che egli impiegò per guidare la lotta per l'indipendenza nella sua isola nativa.
L'esercito del nuovo regno carolino era così composto:
GUARDIA REALE
- Guardie del corpo
- Compagnie Alabardieri di Napoli e di Sicilia
- Reggimento Reali Guardie Svizzere
- Reggimento Reali Guardie Italiane
FANTERIA
- Reggimenti Veterani
- Re
- Regina
- Real Borbone
- Real Napoli
- Real Italiano
- Real Palermo
- Real Farnese
- Reggimenti Provinciali (o Nazionali)
- Real Terra di Lavoro
- Molise
- Calabria Citra
- Calabria Ultra
- Abruzzo Citra
- Abruzzo Ultra
- Capitanata
- Basilicata
- Bari
- Principato Citra
- Principato Ultra
- Otranto
- Reggimenti Siciliani
- Val Demone
- Val di Noto
- Val di Mazara
- Reggimenti Esteri
- Jauch (svizzero)
- Wirtz (svizzero)
- Tschoudy (svizzero)
- Hainaut (vallone)
- Borgogna (vallone)
- Naumur (vallone)
- Anversa (vallone)
- Real Macedonia (albanese)
- Reggimento Fucilieri di montagna
CAVALLERIA
- Reggimenti di Linea
- Re
- Rossiglione
- Napoli
- Sicilia
- Reggimenti Dragoni
- Regina
- Tarragona
- Borbone
- Principe
ARTIGLIERIA
- Reggimento Reale Artiglieria
- Compagnie Artiglieri Provinciali
- Accademia di Artiglieria
CORPO DEGLI INGEGNERI
VETERANI
Ferdinando I
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1759 Carlo di Borbone salì al trono di Spagna col nome di Carlo III; a Napoli gli succedette il suo terzogenito Ferdinando, di soli 9 anni[2], sotto un consiglio di reggenza in cui si distingueva il ministro Bernardo Tanucci. Negli anni successivi il riformismo del Tanucci fu limitato da Maria Carolina, divenuta nel 1768 regina di Napoli, la quale nel 1776 riuscì a defenestrare il Tanucci e favorire l'ascesa dell'inglese Acton a cui nel 1778 furono affidati fra l'altro i ministeri della marina e della guerra.
Negli ultimi anni del regno di Carlo III l'esercito infatti era stato trascurato e tale stato di cose si protrasse anche con il nuovo sovrano Ferdinando I finché la regina Maria Carolina non si fece promotrice del potenziamento e del sostanziale rinnovamento delle forze armate delle Due Sicilie, avvalendosi dell'ammiraglio irlandese John Acton.
L'Acton attuò una serie di riforme dell'apparato militare del regno che tuttavia, al momento dell'invasione napoleonica del Reame, non si dimostrarono molto efficaci. Per quanto riguarda l'esercito, l'Acton cercò di migliorare la preparazione degli ufficiali eliminando alcuni corpi con funzioni di parata, fondando l'accademia della Nunziatella e incrementando gli scambi formativi con l'estero. Acton introdusse delle utili innovazioni (favorì le conoscenze topografiche finanziando fra l'altro Rizzi Zannoni[3], costruì nuove strade, eccetera); le forze armate, così rinnovate, sostennero più che degnamente la loro prova del fuoco all'assedio di Tolone, nel quadro dell'alleanza con l'Inghilterra contro la Francia. Seimila soldati napoletani parteciparono alla difesa della città e furono gli ultimi a reimbarcarsi. Il corpo di spedizione rientrò in patria il 2 febbraio 1794, avendo avuto circa 200 caduti e 400 feriti.
La parentesi di Murat
[modifica | modifica wikitesto]Con la conquista francese di gran parte dell'Italia, il trono di Napoli venne affidato in un primo momento a Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, e successivamente a Gioacchino Murat, uno dei più brillanti comandanti dell'impero napoleonico. Durante il periodo murattiano l'esercito napoletano venne impiegato sui più importanti fronti europei, dalla Spagna alla Russia. Le forze armate napoletane furono notevolmente ampliate e riorganizzate grazie agli sforzi del nuovo re e grazie all'instaurazione della leva obbligatoria su più larga scala. L'esercito diede spesso prove di grande valore, soprattutto nella campagna di Russia, nella quale spiccarono le già eccellenti doti della cavalleria napoletana. Il nuovo esercito napoletano fu impiegato anche nel notevole tentativo del re Gioacchino Murat di unificare l'Italia, ma fu respinto dalla reazione austriaca appena superate le sponde del Po, mettendo così la parola fine al breve ma intenso regno murattiano a Napoli che tanto incise sugli ordinamenti del futuro stato borbonico. Sulla condotta dell'esercito napoletano durante le guerre napoleoniche il De Cesare così si esprime:
«Durante l'impero napoleonico, i napoletani che combattevano in Ispagna, vennero lodati dai marescialli Suchet e Saint Cyr; nel 1812 Murat ne condusse nella campagna di Russia dieci mila, i quali fecero prodigi e nella tremenda ritirata di Mosca, Napoleone non ebbe altra scorta che di cavalieri napoletani, comandati da Roccaromana e da Piccolellis, il quale guidava i cavalli della carrozza dov'era l'Imperatore. Questi diecimila napoletani erano comandati da Florestano Pepe, da Rossaroll, da D'Ambrosio, da Cianciulli, da Costa, da Arcovito, da Roccaromana, da Piccolellis e da Campana. Nella famosa ritirata di Mosca il freddo colpì i due colonnelli Campana e Roccaromana e a Florestano Pepe si gelarono i piedi. Dopo Lutzen, Napoleone pubblicò quest'ordine del giorno:
- "S. M. l'Imperatore dei francesi e Re d'Italia, volendo dare alle truppe napoletane che fanno parte del grande esercito, una pruova della sua soddisfazione, pel coraggio da esse addimostrato nelle battaglie di Lutzen, con decreto del 22 maggio ha loro conceduto ventisei decorazioni della legion d'onore, da distribuirsi ai militari dei diversi gradi e classi, che si sono maggiormente distinti."
Murat ne fece di sua mano la distribuzione. A Danzica le truppe napoletane ebbero elogi dal maresciallo Rapp; e qualche anno dopo combattettero valorosamente, benché infelicemente, a Modena e a Macerata, condotti dallo stesso Murat. Al ponte San Giorgio il generale Carlo Filangieri, mortalmente ferito, si coprì di gloria. Il decimo di linea si fece molto onore in Lombardia, nel 1848.»
Le ambizioni di Murat di dominare l'Italia come si è detto subirono una battuta d'arresto con la battaglia di Tolentino, in cui le truppe austriache, comandate dal Bianchi, inflissero una decisiva sconfitta all'esercito napoletano che così fu costretto a rientrare nei confini del Reame. Gioacchino Murat, nuovamente spodestato dalla dinastia borbonica, morì il 15 ottobre 1815, dopo uno sfortunato tentativo di riconquista del regno napoletano.
La Restaurazione
[modifica | modifica wikitesto]Con il congresso di Vienna e la conseguente "Restaurazione" fu sancita la nascita del Regno delle Due Sicilie: Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia divenne Ferdinando I delle Due Sicilie. Fu necessario uniformare le leggi ereditate dai due regni e riordinare quindi la struttura delle forze armate. Fu creato un "Supremo consiglio di guerra" composto da generali dei due eserciti; ma quelli dell'ex Regno di Napoli, per lo più murattiani, premevano per conservare le regole introdotte a Napoli durante il periodo napoleonico, fra cui la coscrizione, mentre quelli dell'ex Regno di Sicilia vi si opponevano. L'ordinamento finale, di impronta murattiana, stabilì infine un esercito di 47.000 uomini, con 52 battaglioni di fanteria e 24 squadroni di cavalleria composti da 4.800 cavalli. Altri 5.000 uomini appartenevano all'artiglieria, zappatori e traino, per un totale di 56.000 uomini.
Dopo la rivolta carbonara e costituzionale del 1820 il re congedò l'esercito e soppresse la coscrizione obbligatoria. Qualche tempo dopo si pensò a una riforma dell'esercito su base professionale, e l'erario spese somme enormi per un esercito ridotto a poche migliaia di uomini.
La riforma dell'Esercito del Regno delle Due Sicilie
[modifica | modifica wikitesto]Francesco I
[modifica | modifica wikitesto]Alla morte di Ferdinando I (4 gennaio 1825) si decise di rinunciare alla protezione dell'Austria per eliminare gli elevati costi di mantenimento di un esercito composto solo da professionisti. Nel gennaio 1825 si decise pertanto di licenziare le truppe straniere e di ritornare nuovamente alla coscrizione obbligatoria per formare il nuovo esercito nazionale. Le truppe austriache lasciarono la Sicilia nell'aprile 1826 e le province continentali nel gennaio-febbraio 1827[4]. Furono costituiti in quel periodo anche quattro reggimenti di soldati svizzeri professionisti, con circa seimila uomini: nel 1825 furono infatti sottoscritti contratti di durata trentennale con i vari cantoni elvetici per il loro reclutamento.
Ferdinando II
[modifica | modifica wikitesto]Ferdinando II ascese al trono in giovane età, appena 20 anni, ma era consapevole dei problemi politici del regno e compì numerose scelte strategiche sia in campo civile che militare. Dotato di notevoli competenze militari, ricopriva fra l'altro l'incarico di comandante generale dell'Esercito. Procedette a profonde riforme della macchina statale, riducendo la spesa pubblica, le imposte e le tasse, incrementando le opere pubbliche e potenziando le Forze Armate del Reame. Nell'ultimo periodo del suo regno (dopo le rivolte del 1848) tuttavia la portata della sua azione riformatrice venne molto limitata a causa dell'isolamento internazionale e della repressione del dissenso liberale. Ferdinando II intraprese il potenziamento dell'Esercito anche ricorrendo ad una politica economica autarchica, a tal proposito scrive il De Cesare:
-Tutto ciò che era necessario all'esercito si costruiva o si provvedeva nel Regno. Alla Mongiana si fabbricava il materiale metallurgico per l'artiglieria, a Napoli si fondevano i cannoni, a Torre Annunziata si facevano i fucili, a Pietrarsa le macchine per i legni da guerra, a Scafati le polveri, a Capua c'era un opificio pirotecnico e a Napoli un ufficio topografico, diretto dal colonnello del genio Visconti, matematico di gran valore. A Castelnuovo esisteva una sala d'armi antiche e moderne, abbastanza importante.-[5]
Con Ferdinando II furono stabiliti nuovi organici per i corpi di fanteria e cavalleria e furono riordinati i comandi. Nei primi anni del suo regno fu approvato un regolamento che fissava i ruoli di ufficiali e sottufficiali e i criteri di promozione. Questa e altre riforme fecero, in meno di un decennio, finalmente dell'Esercito uno strumento adeguatamente efficiente e moderno, adatto alle esigenze nazionali e internazionali.[4]
L'esercito riformato da Ferdinando venne messo immediatamente alla prova sia all'estero che sul fronte interno durante il biennio 1848/49. Esso partecipò alla prima guerra di indipendenza italiana dando ottima prova di sé nelle battaglie di Curtatone e Montanara e di Goito, e mise in atto una decisiva operazione anfibia per riconquistare la Sicilia dopo i moti del '48.
Nel 1848 Ferdinando II, cavalcando il clima di grandi aperture politiche del periodo, decise di dare manforte ai sabaudi e agli altri stati italiani in guerra con l'impero austriaco. Il 29 maggio 1848, a Montanara, il 10º reggimento fanteria "Abruzzi" e il battaglione dei volontari napoletani, affiancati ai volontari toscani (comandati dal napoletano Leopoldo Pilla) per un totale di 5.400 uomini, si ritrovarono a dover fronteggiare circa 20.000 imperiali comandati dal maresciallo Radetzky. Nonostante la schiacciante inferiorità numerica le truppe napoletane si batterono con grande slancio, attaccando più volte alla baionetta le postazioni di artiglieria austriache per tenere la posizione. Nella battaglia di Curtatone e Montanara caddero 183 tra soldati e volontari napoletani. La bravura dimostrata dalle truppe borboniche in questa occasione fu premiata dallo stesso Carlo Alberto di Savoia con il conferimento ai napoletani di numerose onorificenze sabaude. Il successivo 30 maggio a Goito i reparti del 10º reggimento fanteria "Abruzzi" si resero nuovamente protagonisti, in quanto gli venne ordinato di tenere la posizione ad ogni costo per arginare l'avanzata austriaca. I Napoletani resistettero all'urto di Radetzky e tennero la posizione con grandi sacrifici, favorendo in maniera determinante la vittoria finale sarda. Anche in questa occasione molti ufficiali napoletani furono decorati con le massime onorificenze sabaude per mano dello stesso generale Bava, comandante piemontese del settore.
In seguito alla rivoluzione indipendentista siciliana del 1848, Ferdinando decise di mandare un corpo di spedizione anfibio in Sicilia per reprimere i moti popolari. Il 6 settembre 1848, dopo un lungo bombardamento, sbarcò nei pressi di Messina il Reggimento "Real Marina" (truppe anfibie) che, in seguito a duri combattimenti, creò una testa di ponte che rese possibile lo sbarco degli altri contingenti terrestri. Le truppe borboniche, comandare da Carlo Filangieri, riconquistarono in poco tempo l'intera isola, riportandola sotto il dominio borbonico. Quest'operazione bellica fu all'epoca elogiata da molti osservatori esteri per l'uso efficace delle truppe da sbarco.
Francesco II
[modifica | modifica wikitesto]L'ultimo sovrano delle Due Sicilie, a differenza del padre, era privo di competenza militare. Nel breve periodo del suo regno si ebbe una rivolta dei Reggimenti svizzeri (7 luglio 1859), la maggior parte dei quali rientrarono in patria, mentre con i rimanenti soldati furono formati dei battaglioni "esteri" in cui si arruolarono, oltre agli svizzeri, anche molti volontari tirolesi e bavaresi. Anche senza l'apporto di questi reggimenti disciplinati e agguerriti, l'esercito delle Due Sicilie rimaneva molto numeroso e ben armato; alla prova dei fatti (in questo caso la spedizione dei Mille) i quadri dirigenti di questo esercito si rivelarono invece incapaci di reggere l'urto finale di un'armata raccogliticcia, meno numerosa, male armata e apparentemente disorganizzata. A seconda dello schieramento politico, gli storici dell'epoca hanno attribuito il tracollo al valore di Garibaldi o al tradimento di molti generali borbonici[6]. La debolezza strutturale dell'esercito napoletano fu tuttavia evidente fin dall'inizio e deve essere attribuita a un complesso di fattori tra i quali l'isolamento diplomatico, il quadro politico italiano e napoletano (in cui i generali - a volte memori del periodo murattiano - erano per gran parte la spina dorsale dei movimenti filo-italiani) e quindi il rifiuto di alti ufficiali, spesso anziani, a sfruttare la netta superiorità di uomini e risorse per motivi essenzialmente politici[7]. Un esempio lampante di questo tipo di comportamento da parte dei quadri superiori borbonici si ebbe nella Battaglia di Calatafimi, la prima della spedizione dei Mille, in cui l'8º Battaglione Cacciatori, superiore per addestramento e mezzi ai garibaldini (i Cacciatori erano dotati del nuovo fucile di tipo Minié), ricevette dal Gen. Landi l'inaspettato ordine di ritirarsi proprio nel momento in cui stava per schiacciare definitivamente i Mille[8][9]. Oppure si ricordi l'ordine del generale Lanza a Palermo di far cessare le ostilità alla colonna "Von Mechel" che, giunta a Palermo dopo il suo estenuante inseguimento a Garibaldi nell'interno della Sicilia, era sul punto di sbaragliare tutte le difese rivoluzionarie.[10]
Non mancarono tuttavia anche nella fine del regno molti episodi (per esempio la resistenza a Gaeta, a Messina e a Civitella del Tronto, nonché la battaglia del Volturno, la più grande nel corso dell'impresa dei Mille) in cui, pur nella sconfitta, tutti i quadri dell'esercito diedero «un notevole esempio di valor militare e di fedeltà morale e politica»[11]. Infatti, dopo aver lasciato Napoli, Francesco II ed i generali rimasti fedeli alla corona decisero di organizzare un ultimo grande tentativo di resistenza lungo il corso del fiume Volturno e nelle piazzeforti della pianura campana. Essi ritenevano che la parte settentrionale del Reame sarebbe stata molto più facile da difendere e avrebbe rappresentato un ottimo punto per la controffensiva e la successiva riconquista del regno.
I primi combattimenti tra l'esercito borbonico ed i garibaldini sulla linea del Volturno si ebbero nei dintorni di Caiazzo. Qui il generale Colonna di Stigliano riportò una brillante vittoria sulle camicie rosse dell'ungherese Stefano Turr, facendo tra le file avversarie molti prigionieri e catturandone le bandiere.
Il primo ottobre 1860 le truppe borboniche della piazzaforte di Capua presero l'offensiva e costrinsero Garibaldi ad abbandonare l'iniziativa fino all'arrivo delle truppe dell'esercito sabaudo. Capua, con l'arrivo dei piemontesi, venne sottoposta ad un estenuante bombardamento con pezzi di grosso calibro che ne decretò la resa dopo una tenace resistenza. Allo stesso tempo si combatteva sul Volturno la battaglia decisiva: la vittoria avrebbe rappresentato per i borbonici una reale possibilità di riconquistare il regno. La battaglia del Volturno fu l'unica e vera battaglia campale della guerra, dura e cruenta per entrambi gli schieramenti. I borbonici la condussero in maniera offensiva, comportandosi valorosamente e riuscendo in molti punti ad aprire pericolose falle nello schieramento garibaldino. Tuttavia lo Stato Maggiore borbonico non riuscì a concentrare la forza d'urto dell'offensiva in un solo punto decisivo, conducendo invece molti attacchi diffusi su un vasto scacchiere, smorzando così l'impeto offensivo del Real Esercito e vanificando le vittorie riportante in molti punti dello schieramento avversario. A ciò si aggiunse l'inaspettato abbandono del litorale campano da parte della flotta francese, che così facendo lasciò il fianco scoperto alle truppe borboniche (nonostante le promesse di aiuto fatte a Francesco II da Napoleone III). Approfittando delle circostanze favorevoli, la flotta sarda si posizionò ben presto lungo la costa campana, cominciando a bombardare assiduamente il fianco dello schieramento borbonico posizionato lungo il litorale[12]. In queste condizioni il Real Esercito fu costretto a ritirarsi, tentando un'ultima disperata resistenza più a nord sulla linea del Garigliano. Anche in questa occasione i cacciatori diedero un'ottima prova delle proprie capacità militari, riuscendo a bloccare con un manipolo di uomini l'avanzata di tutto lo schieramento avversario fino all'estremo sacrificio, causato dai bombardamenti dall'artiglieria navale della flotta sarda (episodio magistralmente raccontato da Carlo Alianello nella sua opera "l'Alfiere"). La resistenza sul Garigliano consentì alla Famiglia Reale napoletana di rifugiarsi nella fortezza di Gaeta assieme ai superstiti reparti militari borbonici.
A Gaeta assediata si consumò la fine dell'epopea della resistenza di Francesco II: 4 mesi di bombardamenti martellanti con pezzi rigati a lunga gittata, senza rifornimenti e senza viveri, con periodiche puntate offensive fuori dalle mura della cittadella. Tutto ciò tuttavia non fiaccò la resistenza degli ultimi soldati napoletani, animati solamente dalla volontà di non arrendersi in una guerra ormai persa. Alla fine dell'assedio, avvenuta il 13 febbraio 1861, si contarono tra i difensori più di 1.500 fra morti e dispersi (oltre che 800 feriti fuori dalle mura). Tra le truppe sabaude si contarono invece 50 morti e 350 feriti. Francesco II e Maria Sofia di Baviera si rifugiarono quindi a Roma assieme ai rimanenti ministri borbonici, da dove condussero alcune fasi della resistenza armata nelle Due Sicilie dopo l'unità d'Italia.
Gli ultimi nuclei della resistenza borbonica furono le fortezze di Messina e di Civitella del Tronto. La piazzaforte di Messina, comandata dal generale Fergola e presidiata da 3 reggimenti di fanteria e da uno di artiglieria, si arrese il 12 marzo 1861.
Nella fortezza di Civitella del Tronto al contrario la difesa era affidata solo al alcuni reparti territoriali e di Gendarmeria per un totale di circa 500 uomini, coadiuvati dalla popolazione locale. Pur essendo una delle fortezze più grandi d'Europa, memore di numerosi assedi, l'importanza strategica di Civitella del Tronto era nel 1861 ormai quasi del tutto nulla, in quanto le maggiori vie di comunicazione erano situate da tempo lungo la fascia costiera abruzzese, lontano dalla cittadella, che per questo motivo era all'epoca in fase di restauro. Tuttavia qui la resistenza fu più tenace, e la bandiera borbonica di Civitella fu l'ultima ad essere ammainata. Il comandante della fortezza, il capitano di Gendarmeria Giuseppe Giovine, si ritrovò con poche centinaia di uomini e poche bocche da fuoco antiquate, senza alcuna prospettiva di vittoria, a dover fronteggiare i pezzi rigati ed i reggimenti sabaudi del generale Pinelli, il quale attuò nei confronti dei resistenti una lotta senza quartiere, reprimendo duramente e sommariamente ogni tentativo di resistenza. Le ultime truppe borboniche tuttavia tentarono più volte l'offensiva con sortite al di fuori delle mura, ma la fame, le malattie e la scarsità di armi e munizioni dovute al lungo assedio alla fine ne decretarono la resa.
Civitella si arrese solo il 20 marzo 1861, dopo 6 mesi di assedio, giorno nel quale inoltre vennero fucilati per "brigantaggio" alcuni ufficiali e sottufficiali della fortezza. In questo modo finì l'avventura militare dei soldati delle Due Sicilie, che in quei mesi nel complesso si rivelarono combattivi e fedeli dei propri quadri dirigenti.[13]
Organizzazione
[modifica | modifica wikitesto]Coscrizione
[modifica | modifica wikitesto]Un reale dispaccio del 6 agosto 1794 ordinava una leva di 16.000 reclute per l'esercito da scegliere fra i maschi di età compresa fra 18 e 40 anni, non ammogliati e di statura non inferiore a cinque piedi e due pollici (circa 169 cm[14]), in ragione di 4 uomini su 1.000, volontariamente o per sorteggio ("per via del bussolo da praticarsi in pubblico parlamento"). Durante il regno di Gioacchino Murat il numero dei coscritti fu raddoppiato (8 uomini a migliaio). Nel 1814, con la Restaurazione, fu abolita la coscrizione obbligatoria: si richiedevano 3 volontari ogni 2.000 abitanti e la ferma durava 5 anni per la fanteria e 9 per i soldati dell'artiglieria e della cavalleria. La legge del 28 febbraio 1823 ripristinava la coscrizione obbligatoria per i maschi fra 18 e 25 anni. Infine nel marzo 1858 si modificava la durata della ferma: 5 anni "sotto le bandiere" più altri 5 anni in riserva, nelle proprie abitazioni, per i fanti; 8 anni in artiglieria, cavalleria e gendarmeria, ma con congedo definitivo dopo questo periodo[15].
Reggimenti Svizzeri e Battaglioni stranieri
[modifica | modifica wikitesto]Il Real Esercito disponeva inoltre di 4 Reggimenti Svizzeri creati tra il 1825 ed il 1830 in seguito alla ricostituzione di un esercito nazionale e alle Capitolazioni contratte tra il governo borbonico, rappresentato dal principe Paolo Ruffo di Castelcicala, e i cantoni della Confederazione Elvetica. In particolare il 1º Reggimento era reclutato nei cantoni di Lucerna, Unterwalden, Obwalden, Uri e Appenzello; il 2º reggimento era dei cantoni di Friburgo e Soletta; il 3º Reggimento era dei cantoni Vallese, Svitto e Grigioni ed il 4º Reggimento del cantone di Berna. Era presente anche una batteria d'artiglieria svizzera.
Ciascun reggimento in conformità con i regolamenti borbonici si componeva di uno Stato Maggiore di 20 ufficiali, uno Stato Minore di 17 soldati e di due battaglioni, ognuno composto da 24 ufficiali e 684 soldati suddivisi in 4 compagnie fucilieri e 2 compagnie scelte, una di Granatieri e l'altra di Cacciatori. Le reclute svizzere accettavano l'ingaggio nell'Esercito delle Due Sicilie volontariamente per una ferma di 4 anni, alla fine dei quali potevano rinnovare per altri 2 o 4 anni di ferma, oppure congedarsi definitivamente. I soldati che avevano raggiunto i limiti di età, ma ancora abili al servizio militare e intenzionati a proseguire nella loro professione, potevano entrare a far parte di speciali compagnie dette dei "Veterani Svizzeri". Il compenso degli svizzeri era stabilito dalle capitolazioni col governo elvetico e generalmente era superiore a quello dei militari nazionali del Real Esercito. L'armamento, il munizionamento e l'addestramento invece erano uguali a quelli degli altri Reggimenti di Linea nazionali. La lingua ufficiale dei reggimenti svizzeri era il tedesco, e la giustizia era esercitata autonomamente da ogni Reggimento secondo i codici elvetici. I Reggimenti inoltre erano dotati sia di cappellani protestanti che cattolici.
I reggimenti Svizzeri si distinguevano tra 1°, 2°, 3° e 4° in base ai numeri sui bottoni delle uniformi e al colore delle mostrine che erano celesti per il 1º Reggimento, verdi per il 2°, blu per il 3° e nere per il 4°. Le grandi uniformi dei Reggimenti Svizzeri erano rosse. I musicanti di ogni Reggimento al contrario portavano l'uniforme dello stesso colore della mostrina del Reggimento e le mostrine del colore del Corpo di appartenenza. Le bandiere dei Reggimenti Svizzeri erano contraddistinte dall'avere su un verso lo stemma del Regno delle Due Sicilie, e al rovescio la croce bianca in campo rosso, simbolo della Confederazione Elvetica, con le armi dei cantoni dai quali il Reggimento aveva origine.
Nel 1850 Ferdinando II ordinò anche la costituzione di un Battaglione di Cacciatori svizzero, il 13°, i cui individui avevano le stesse prerogative degli altri soldati svizzeri. L'uniforme per questo battaglione era la stessa degli altri battaglioni Cacciatori nazionali, nera con mostrine verdi, e la sua funzione era, come quella degli altri battaglioni Cacciatori, la guerra minuta in ambienti ostili.[16]
Nel 1859 scoppiò a Napoli una rivolta tra gli svizzeri, nata nel 3º Reggimento Svizzero, in quanto il Governo Elvetico, guidato in quel periodo dai radicali, aveva definitivamente vietato le capitolazioni militari con le potenze straniere e condannava gli svizzeri che avessero continuato a prestare servizio militare all'estero alla perdita della cittadinanza elvetica. Il clima era particolarmente teso tra le reclute giunte da poco dalla Svizzera e si raggiunse l'esasperazione quando si diffuse la notizia che si sarebbero dovute cancellare le insegne cantonali dalle bandiere dei Reggimenti. A quel punto buona parte del 3º Reggimento si diresse verso Capodimonte per chiedere spiegazioni al re Francesco II, ma temendo una sommossa il generale Nunziante comandò al 13º Battaglione Cacciatori di aprire il fuoco contro gli insorti, disperdendoli. Dopo questo fatto furono sciolti i Reggimenti Svizzeri e venne aggirato il sistema delle capitolazioni creando dei Battaglioni Esteri, nelle cui fila confluirono i militari svizzeri rimanenti e anche molti volontari bavaresi e tirolesi.[17]
Ordine di Battaglia
[modifica | modifica wikitesto]STATO MAGGIORE
GUARDIE DEL CORPO
GUARDIA D'ONORE
- Uno Squadrone per ogni Provincia del Regno (scorta alla Famiglia Reale nelle varie Province)
GUARDIA REALE (reparti scelti)
- Brigata Granatieri della Guardia Reale
- Brigata Cacciatori della Guardia Reale
- Battaglione Tiragliatori (fanteria leggera)
FANTERIA DI LINEA
- 15 Reggimenti di Fanteria di Linea (fanteria pesante, ogni Reggimento era composto di 2 Battaglioni suddivisi in 6 Compagnie più una Compagnia Deposito addetta all'addestramento):
- 1° "Re"
- 2° "Regina"
- 3° "Principe"
- 4° "Principessa"
- 5° "Borbone"
- 6° "Farnese"
- 7° "Napoli"
- 8° "Calabria"
- 9° "Puglia"
- 10° "Abruzzo"
- 11° "Palermo"
- 12° "Messina"
- 13° "Lucania"
- 14° "Sannio"
- 15° "Messapia"
- 16 Battaglioni di Cacciatori (fanteria leggera d'elite, ogni Battaglione era composto da 8 Compagnie)
REGGIMENTI SVIZZERI (fino al 1859)
BATTAGLIONI ESTERI (dal 1859)
- 3 Battaglioni di Carabinieri Esteri e 1 Battaglione di Veterani Esteri (ex Reggimenti Svizzeri)
CAVALLERIA
- 2 Reggimenti Ussari
- 3 Reggimenti Dragoni: "Re", "Regina" e "Principe"
- 2 Reggimenti Lancieri
- 1 Reggimento Carabinieri a cavallo
- 1 Reggimento Cacciatori a cavallo
ARTIGLIERIA
- 2 Reggimenti Artiglieria: "Re" e "Regina"
- 1 Compagnia d'Artiglieria a cavallo e 15 Batterie montate (di cui una estera)
- Battaglione Artefici (Pontonieri e Guardie agli arsenali)
- Corpo d'Artiglieria Litorale (Artiglieria da fortezza nelle Piazze marittime)
- Brigata del Treno (Trasporti a cavallo)
- Corpo Politico (fabbricazione e custodia del materiale d'Artiglieria)
GENIO
- 2 Battaglioni Zappatori-Minatori
- 1 Battaglione Pionieri
- Officio Topografico (opere scientifiche e progetti di carattere militare)
GENDARMERIA
- 5 Battaglioni a piedi e 5 Squadroni a cavallo (ordine pubblico)[18]
Galleria immagini
[modifica | modifica wikitesto]-
Ussaro napoletano, 1812
-
Cavalleria napoletana, 1812
-
Ufficiale delle Guide, Napoli 1814
-
Guardia Reale, periodo murattiano
-
Capitano dello Stato Maggiore, periodo murattiano
-
Corazzieri, periodo murattiano
-
Aiutante di campo, periodo murattiano
-
Colonnello del 1º Reggimento Svizzero, 1855
-
Guastatori in gran tenuta, 1853
-
Artiglieri in gran tenuta, 1854
-
Svizzeri in gran tenuta, 1854
-
Reali Veterani in gran tenuta, 1854
-
Medici e chirurgi in diverse tenute, 1854
-
Artiglieri a cavallo in gran tenuta, 1853
-
Cacciatori in gran tenuta, 1854
-
Cacciatori
-
Tiragliatori
-
Artiglieria da campagna
-
Cacciatori della Guardia Reale
-
Dragoni
-
Fanteria di linea
-
Lancieri
-
Artiglieri del Treno, 1850
-
Granatiere e musicanti della Guardia Reale, 1850
-
Carabinieri, 1850
-
Ussari in tenuta da campo, 1850
-
Ussaro, anni '50
-
Disegnatore e ingegnere dell'Officio Topografico, 1850
-
Tiragliatori, 1850
-
Guardia Reale, anni '50
-
Artiglieria a cavallo, anni '50
-
Cacciatori in uniforme da campo del 1860
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Denominazione assunta in seguito al riordino delle forze armate del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia, dopo il 1816. Mariano d'Ayala, Napoli militare, p. 33
- ^ Il primogenito di Carlo di Borbone, Filippo, era demente; il secondogenito, anch'egli di nome Carlo, diventava erede del trono spagnolo.
- ^ Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, Atlante geografico del Regno di Napoli, con la collaborazione dell'Istituto Geografico Militare Italiano di Firenze, a cura della Biblioteca Nazionale di Cosenza e del Laboratorio di Cartografia Storica dell'Università della Calabria, Soveria Mannelli: Rubbettino, 1993.
- ^ a b Alfredo Scirocco, «FERDINANDO II di Borbone, re delle Due Sicilie». In : Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. XLVI, Roma : Istituto della Enciclopedia Italiana, 1996 (on-line)
- ^ Raffaele De Cesare, La fine di un Regno, volume I
- ^ Pietro Calà Ulloa, Lettres napolitaines, par P.-C. Ulloa, Paris : H. Goemaere, 1864 [1]
- ^ Silvio De Majo, Breve storia del Regno di Napoli, da Carlo di Borbone all'Unita d'Italia (1734-18609. Roma : Tascabili economici Newton, 1996, pp. 60-64.
- ^ Giacinto de' Sivo, Storia delle Due Sicilie 1847-1861, Vol. 2, Brindisi, Edizioni Trabant, 2009, p. 73 ISBN 978-88-96576-10-6.
- ^ Antonella Grignola, Paolo Coccoli, Garibaldi: una vita per la libertà, Firenze, Giunti editore, 2004, pp. p. 51, 88-4402-848-4.
- ^ Raffaele De Cesare, La fine di un Regno, vol. II
- ^ Giuseppe Galasso, L'esercito di Franceschiello : una storia di onori e calunnie, Corriere della Sera, 27 febbraio 2010, p. 17 (on-line)
- ^ Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta, Edizioni Trabant 2009
- ^ Giuseppe Galasso, "L'esercito di Franceschiello una storia di onori e calunnie", dal Corriere della Sera del 27 febbraio 2010, pag. 17
- ^ Carlo Afan de Rivera, Tavole di riduzione dei pesi e delle misure delle Due Sicilie, Napoli: Stamperia e cartiere del Fibreno, 1840, p. 357 [2]
- ^ M. d'Ayala, Napoli militare, cit., pp. 47 e segg.
- ^ S. Goeldlin, Schweizer Regimenter im Dienste des Konigs von Neapel und Beider Sizilien, Napoli, 1850
- ^ R. De Cesare, La fine di un Regno, Volume II
- ^ Regione Siciliana, esercito borbonico http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_150ANNI/PIR_150ANNISITO/PIR_Schede/PIR_Vinti
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Luigi Blanch, «Idea di una storia delle milizie delle Due Sicilie da Carlo III al regnante Ferdinando II», in Antologia militare, V, 1839, N. 9, pp. 49–135.
- Carlo Corsi, Difesa dei Soldati Napolitani, 1860, Salerno, Palladio, 2009.
- Mariano d'Ayala, Napoli militare, Napoli, Stamperia dell'Iride, 1847. ISBN non esistente
- Mariano d'Ayala, Le vite de' più celebri capitani e soldati napoletani dalla giornata di Bitonto fino a' dì nostri, Napoli, Stamperia dell'Iride, 1843. ISBN non esistente
- Mariano d'Ayala, Memorie storico-militari dal 1734 al 1815, Napoli, presso F. Fernandes, 1837. ID., Napoli Militare, Napoli, 1847.
- Antonio Ulloa, (cur.), Antologia Militare, collezione di pubblicazioni militari e storiche, Napoli, Puzziello, 1835-1844.
- Antonio Ulloa, Fatti di guerra dei soldati napoletani, Napoli, Tip. Militare, 1852.
- Guglielmo Pepe, Sull'esercito delle Due Sicilie e sulla guerra italica di sollevazione. Parigi, Lacombe, 1840 [3]
- Ruoli de' generali ed uffiziali attivi e sedentanei di tutte le armi del Regno delle Due Sicilie. Napoli, 1857 [4]
- Giuseppe Ferrarelli, Memorie militari del Mezzogiorno d’Italia, con prefazione di Benedetto Croce, Bari, 1911.
- Piero Pieri, Il Regno di Napoli dal luglio 1799 al marzo 1806, Napoli, 1927, pp. 101–106.
- Tito Battaglini, Il crollo militare del Regno delle Due Sicilie, Modena, 1938, 2 voll.
- Tito Battaglini, L'organizzazione militare del Regno delle Due Sicilie: da Carlo III all'impresa garibaldina. Modena: Società tipografica modenese, 1940.
- Tommaso Argiolas, Storia dell’esercito borbonico, Napoli, ESI, 1970.
- Guido Landi, Istituzioni di diritto pubblico del Regno delle Due Sicilie, Milano, Giuffrè, 1977, 2 voll. (I, pp. 469–487).
- Roberto Maria Selvaggi, Nomi e volti di un esercito dimenticato. Ufficiali dell’esercito napoletano del 1860-61, Napoli, Grimaldi & C., 1990.
- Giancarlo Boeri e Piero Crociani, L’Esercito Borbonico dal 1789 al 1861, Roma, USSME, 4 vol., 1989-1998.
- Salvatore Abita (cur.), Le armi al tempo dei Borbone, Napoli, E. S. I., 1999.
- Virgilio Ilari, Piero Crociani e Ciro Paoletti, Storia militare dell’Italia giacobina (1796-1801), Roma, USSME, 2000, II (“La guerra Peninsulare”: «Il nuovo esercito napoletano, 1799-1802», pp. 1131–1153; «I francesi sulle coste italiane, 1800-02», pp. 1155–1173).
- Virgilio Ilari, Piero Crociani e Giancarlo Boeri, Storia militare del Regno Murattiano (1806-1815), Invorio, Widerholdt Frères, 2007, 3 vol.
- Virgilio Ilari, Piero Crociani e Giancarlo Boeri,Le Due Sicilie nelle guerre napoleoniche (1800-1816), Roma, USSME, 2008, II, pp. 879–942.
- Donatella Bernabò Silorata, «Note di letteratura militare nel Regno delle Due Sicilie», in Salvatore Abita (cur.), Le armi al tempo dei Borbone, Napoli, E. S. I., 1999, pp 85–88.
- Miriam Viglione, Funzioni militari e politica a Napoli tra Sette e Ottocento, tesi di laurea in storia moderna, rel. Anna Maria Rao, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, A. A. 2000/01 (I “Libretti di vita e costumi” dei reggimenti R. Alemagna, R. Abbruzzo e R. Calabresi”).
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]Marce militari
[modifica | modifica wikitesto]- "Marcia dell'Arciduca Francesco Carlo"
- "Das Schweizer Milchmädchen"
- "Splényi-Marsch"
- Marcia sull'opera "Mosè" di Gioacchino Rossini
- "Marcia dei Reggimenti Svizzeri"
- "Marcia Napoli"
- "Marcia Pasta"
- "AM II, 73 Marsch vom Kronprinzen aus Italien mitgebracht" (1828)
- "AM II, 82 "Alpensänger" Marcia su melodie nazionali svizzere"
- Marcia sul motivo dell'opera "La figlia del reggimento" di Gaetano Donizetti
- Marcia sul motivo dell'opera "Saffo" di Giovanni Pacini
- Marcia sui motivi delle opere "La presa di Costantina" e "Saffo" di Giovanni Pacini
- Marcia della cavalleria della Guardia (1828)
- Marcia del principe Leopoldo delle Due Sicilie
- "La Castiglione"
Segnali
[modifica | modifica wikitesto][[Categoria:Regno delle Due Sicilie]] [[Categoria:Esercito del Regno delle Due Sicilie|*]] [[Categoria:Eserciti del passato]]