Utente:Ccinzia/sandbox

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Paolo Monelli (Fiorano Modenese, 15 luglio 1891 - Roma, 19 novembre 1984) è stato un giornalista, scrittore e militare italiano.

Nacque il 15 luglio 1891 a Fiorano Modenese, figlio del tenente colonnello Ernesto Monelli e di Maria Antonini, registrata all'anagrafe come "massaia possidente"[1]. La sua famiglia si trasferì presto a Bologna, dove Ernesto era direttore dell'Ospedale militare.

Dopo aver frequentato il Liceo classico "Minghetti" di Bologna, decise di intraprendere la carriera militare, ma fu bocciato all'esame di ammissione all'Accademia di Torino; come ripiego, iniziò a studiare giurisprudenza presso l'università di Bologna, dove conseguì la laurea. Monelli, fin da giovane, collaborò con il Resto del Carlino. Fu assunto come stenografo nella redazione di tale quotidiano nel 1912; Monelli infatti, ancora da liceale, aveva frequentato un corso serale di stenografia, per aggirare il divieto del padre di non uscire di casa [2]. Non si trattava di un assunzione a tempo pieno, ma solamente di due ore al giorno. Mario Missiroli, che era al tempo il direttore del giornale, lo chiamava “al stenograf intellettuèl”, poiché, diversamente dai colleghi, Monelli aveva frequentato il liceo e leggeva Il Marzocco e Lacerba. Collaborò con tale quotidiano, scrivendo, non retribuito, alcuni articoli sulla terza pagina, riguardanti sport invernali e scalate alpinistiche, passioni che aveva coltivato durante le vacanze in montagna. Come egli stesso affermò, allora a Monelli non sembrava d’avere una particolare attitudine per il giornalismo e mai avrebbe pensato che proprio questo sarebbe stato il suo mestiere per tutta la vita.

I Guerra Mondiale

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Quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale, Monelli si schierò dalla parte degli interventisti; così, al momento dell'entrata in guerra, nonostante esente poiché unico figlio maschio (il fratello era morto nel 1913), si arruolò come volontario, chiedendo esplicitamente nella domanda di nomina a sottotenente di combattere nel corpo degli Alpini. Dopo essere stato destinato al Battaglione “Val Cismon” del 7° Reggimento Alpini, ebbe il battesimo del fuoco il giorno di Natale del 1915. Combatté quindi in Valsugana, ottenendo così la sua prima medaglia di bronzo al valor militare nel marzo del 1916 ed in seguito, il 10 agosto di quell'anno, la promozione a tenente. Partecipò alla battaglia dell'Ortigara, conseguendo una seconda decorazione (25 giugno 1917). Posto al comando della 301a compagnia del Battaglione sciatori “Monte Marmolada” e promosso capitano (31 ottobre 1917), Monelli si ritrovò coinvolto nei tentativi di respinta della violenta offensiva austriaca che ebbe la sua battaglia decisiva nella disfatta di Caporetto. Il coraggio dimostrato sul Monte Tondarecar fu premiato il 15 novembre 1917 con una terza medaglia di bronzo. Il 5 dicembre Monelli cadde prigioniero, insieme ai pochi superstiti della sua compagnia, stremati dal gelo e dalla fame. Fu condotto a piedi prima a Trento, poi al castello di Salisburgo da cui tentò invano due volte la fuga.

Monelli e la Grande Guerra

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Quale significato ha avuto per Monelli la guerra del 1915/1918? Come lo stesso sostenne, parteciparvi volontariamente gli era sembrata una splendida avventura per un ragazzo di vent’anni; se fosse rimasto a casa (ricordiamo che era esentato da fare il soldato poiché unico figlio maschio), si sarebbe inoltre vergognato con i suoi coetanei, esposti, senza loro scelta, a un rischio così grande, come quello della guerra. Nel corso del combattimento, il giovane capitano Monelli instaurò con i suoi soldati uno stretto rapporto: egli era infatti legato di affetto e di stima a questi uomini, che svolgevano il loro lavoro con estrema semplicità e virile coscienza, con la stessa abnegazione che avevano dimostrato nei loro lavori quotidiani, questa volta in difesa della patria. Monelli conservò vivi i ricordi di questi uomini provati, della loro umanità e fiducia in lui, ragazzo, che doveva portarli a morire. Così affermò Monelli:

«È mia ricchezza segreta e indistruttibile questa esperienza che non vorrei non avere avuto» Errore nelle note: </ref> di chiusura mancante per il marcatore <ref>. Approdò quindi al Corriere della Sera di Ugo Ojetti; a questo periodo appartiene l'opera Io e Tedeschi, distribuita da Treves (Milano, 1927), derivata dai reportages che analizzavano le dinamiche politiche della Germania del dopoguerra: la Repubblica di Weimar, il dramma dell'inflazione e la società della crisi economica. Fu poi pubblicata sempre da Treves una raccolta di articoli celebrativi del Decennale della Vittoria, Sette battaglie (Milano, 1928). Sempre a Milano, dopo aver frequentato la redazione dell’alpino, conobbe e strinse amicizia con il reduce Giuseppe Novello, con cui collaborò alla stesura del libro illustrato La guerra è bella ma scomoda. 46 tavole di Giuseppe Novello con commento di Paolo Monelli (Milano, Treves, 1929)

Al ritorno dalla Grecia, la vita di Monelli tra il 1927 e il 1929 si distinse per un susseguirsi di viaggi in tutto il Mediterraneo e nell’Europa continentale. In particolare, in seguito ad un articolo sulla crisi del regime di Primo de Rivera si ritrovò “licenziato” (nonostante continuasse a collaborare tra il 1930 e 1933 con alcune riviste dirette dallo stesso Ojetti, quali Pegaso e Pan) , come testimoniato dallo stesso giornalista con la raccolta di reportages Questo mestieraccio pubblicato da Treves (Milano, 1930).

Fu un viaggio in Germania a lanciare le basi per la nuova prospettiva di Monelli, che, impressionato dalla corrente dell’espressionismo e dal “Neue Sachlicheit”; una volta tornato in patria (1929), tradusse per Treves il libro La Guerra, scritto da Arnold Friedrich Vieth von Golssenau con lo pseudonimo di Ludwig Renn. Questo componimento fu redatto in forma di diario dall’autore, immaginatosi soldato semplice in mezzo al conflitto. Conobbe inoltre il poeta vagabondo Alfred “Klabund” Henschke, autore di canzoni per cabaret e di opere popolari per i cantastorie, fra gli antecedenti immediati di B. Brecht.

Gazzetta del Popolo

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Dopo il licenziamento da Via Solferino, Monelli fu assunto dalla torinese Gazzetta del Popolo, che segnò la sua entrata, fuori dai margini di ambiguità ancora possibili al Corriere di Ojetti, in un organo di stampa inequivocabilmente organico alla politica culturale del regime.

Ne era direttore politico Ermanno Amicucci, ex-fervente dannunziano, segretario del Sindacato nazionale fascista dei giornalisti, deputato, tra i fautori della legislazione sulla stampa voluta da Mussolini e Galeazzo Ciano. Monelli avviò nel 1932 sulla Gazzetta del Popolo una rubrica a salvaguardia dell’italiano. Tali riflessioni confluirono in un volume dal titolo significativo Barbaro dominio. Cinquecento esotismi esaminati, combattuti e banditi dalla lingua con antichi e nuovi argomenti storia ed etimologia delle parole e aneddoti per svagare il lettore, pubblicato a Milano da Hoepli nel 1933, che fu ristampato anche nel Dopoguerra. 

Sempre per la Gazzetta del Popolo Monelli e Novello pubblicarono dal 1930 alcune tavole e vignette su Fuorisacco, la rubrica umoristica del quotidiano, alla quale cooperavano anche Alberto Camerini e Achille Campanile. Questa collaborazione diede alla luce Il ghiottone errante (Treves, 1935), in cui i due sono protagonisti e narratori di un singolare tour enogastronomico in tutta la penisola italiana. Tale opera si rifà al genere introdotto in Italia da Osteria di Hans Barth, una guida spirituale alle osterie italiane comparsa i Italia già nel 1910.

Monelli riprese anche il suo ruolo di corrispondente all’estero per conto di tale quotidiano: a New York, nel 1933, in occasione della trasvolata oceanica guidata da Italo Balbo (alla sua morte Monelli scriverà anche un opuscolo commemorativo); in Etiopia, tra il 1935 e il 1936, come inviato di guerra; a Ginevra, dove si era riunita la Società delle Nazioni il 30 giugno 1936. È proprio in questa circostanza che Monelli e altri sette giornalisti delle maggiori testate italiane diedero vita ad una “bravata patriottica”, coprendo con fischi il discorso del delegato Negus. Monelli e i compagni furono per tale azione detenuti nelle carceri svizzere per due giorni, esperienza che Monelli raccontò a breve in un articolo dal titolo Le nostre prigioni (Gazzetta del Popolo, 3 luglio 1936).

Ultimi anni di pace

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Nel 1937, Monelli fu invitato da Aldo Borelli, direttore del Corriere della Sera, a sovrintendere l’ufficio di corrispondenza del quotidiano a Parigi. In questo periodo fu redatto il reportage giornalistico In Corsica, uscito da Garzanti nel 1939, dotato anche delle xilografie di Francesco Giammari. Tra le frequentazioni di Monelli vi era Giuseppe Bottai, al quale egli si rivolse sempre nel 1937 per ottenere il trasferimento a Roma della studiosa di storia dell’arte, Palma Bucarelli, che dal 1941 divenne sovraintendente della Galleria Nazionale di arte moderna della capitale. Monelli la sposò il 27 giugno 1963, dopo aver ottenuto l’annullamento del precedente matrimonio con Augusta Severi, avvenuto nel dicembre 1926.

Sempre grazie a Bottai, Monelli iniziò una collaborazione con il periodico Primato. A questo fase risalgono:l’A.B.C del vocabolari (15 dicembre 1942), Lingua, dialetto e gergo (1 luglio 1942), la rubrica Le parole della guerra, che costituirà una parte del volume Naja parla. Le parole della guerra e dei soldati esposte e illustrate con aneddoti, ricordi e considerazioni varie, a diletto dei reduci, a edificazione dei borghesi e ad erudizione dei filologi, edito da Longanesi nel 1947.

Seconda Guerra Mondiale

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Avendo l’Italia preso parte al secondo conflitto mondiale, Monelli tornò all’uniforme e ai ritmi della vita militare. Dopo l’addestramento di gennaio e febbraio 1940, fu richiamato, il 23 giugno di quell’anno, dal Ministero della Marina, con il ruolo di corrispondente di guerra, pur continuando ad essere membro del Corpo degli Alpini. Promosso maggiore (27 luglio 1940) e in seguito tenente colonnello (9 marzo 1942), il suo incarico di giornalista arruolato lo impegnò su vari fronti, soprattutto in Africa. Fu posto a congedo il 22 febbraio 1943. In seguito cominciò a maturare un senso di critica verso il fascismo che lo porterà a riprendere la sua attività di giornalista di guerra con il Corpo italiano di liberazione. Dopo aver vissuto in prima persona, presso la sede de Il Messaggero, gli sconvolgimenti messi in atto dal voto del Gran Consiglio del 25 luglio 1943, pubblicò l’opera Roma 1943, edito da Migliaresi nel febbraio 1945. Questa tratta gli avvenimenti che portarono della fine del fascismo all’occupazione angloamericana di Roma, fino alla sua liberazione nel giugno del ’44. La tesi di Monelli fu condivisa anche dallo scrittore e alpino Carlo Emilio Gadda con l’opera antimussoliniana Eros e Priapo. Dopo la liberazione di Roma, Monelli partecipò attivamente alla vita culturale della città, costituendo l’11 giugno 1944 il gruppo degli “Amici della Domenica” insieme con Massimo Bontempelli, Paola Masino, Carlo Bernari, Palma Bucarelli e Alberto Savinio, che presiedette alla fondazione del Premio Strega [[1]], costituendone il nucleo originario della sua giuria.

Collaborò con Mercurio [2], mensile che trattava argomenti quali politica, scienze e arti, diretto da Alba de Céspedes. Ribadì inoltre la sua opposizione al fascismo con la biografia Mussolini piccolo borghese edito da Garzanti (Milano, 1950). Monelli, che sul numero di Mercurio del novembre – dicembre del 1946 si dichiarava ancora “disoccupato”, approdò al mondo del cinema, recitando nella commedia di R. Castellani "Mio figlio professore”. Prese poi parte, nell’anno successivo, alla commedia “Primula bianca” di Carlo L. Bragaglia.

Si dedicò poi al genere narrativo, privilegiando il racconto; le opere di questo periodo, redatte dall’autore furono Sessanta donne (Garzanti, 1947), Morte del diplomatico (Mondadori, 1952), Nessuna nuvola in cielo (Mondadori, 1957). Nel 1958, Monelli sperimentò il genere del romanzo storico con Avventura del primo secolo, ambientato in un allegorico Impero Romano.

Riprese poi la sua carriera di giornalista dapprima al La Stampa, dove ritrovò l’amico Novello, in seguito, dal 1967, di nuovo al Corriere della Sera. Furono pubblicate negli anni successivi altre sue opere: l’itinerario gastronomico ed enologico O.P. ossia il vero bevitore dotato di 13 tavole di Novello (Longanesi, 1963), Ombre Cinesi: scrittori al girarrosto (Mondadori, 1965). Continuò a lavorare come giornalista, finché la malattia lo costrinse all’inattività.

Paolo Monelli morì a Roma il 19 novembre 1984. Il giorno della sua morte fu definito dal New York Times:

«for half a century one of Italy’s most distinguished journalists and noted writers»

Nel 2001 venne pubblicato Ricordi di naja alpina edito da Mursia a cura di Luciano Viazzi, che lo definì:

«un ricordo vivace di Paolo Monelli, della sua carriera di scrittore soldato, di alpino e letterato arguto, attraverso i suoi taccuini vergati negli anni della grande guerra» (risvolto di sovra copertina di Ricordi di naja alpina).


Fondo Monelli

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(link http://www.bibliotecabaldini.beniculturali.it/index.php?it/111/collezioni-speciali)

Il giornalista, ancora in vita, lasciò la sua biblioteca, 11000 volumi, l’archivio personale e le raccolte dei giornali per cui aveva collaborato (20 contenitori di quotidiani e 180 volumi di giornali) alla biblioteca statale “Antonio Baldini” (http://www.bibliotecabaldini.beniculturali.it/) di Roma. Il materiale, suddiviso in tre distinti blocchi (biblioteca, emeroteca e archivio personale), venne raccolto e ordinato dalla dottoressa Pasquarelli che si era occupata dell’acquisizione dello stesso. Tutto il complesso chiamato “Fondo Monelli” è oggi gestito dalla dottoressa Tiziana Casali.

  1. ^ http://www.treccani.it/enciclopedia/paolo-monelli_(Dizionario-Biografico)/
  2. ^ Giuseppe Ielen e Luca Girotto, Al fronte con Paolo Monelli. Valsugana Lagorai orientale. I luoghi e i volti de Le scarpe al sole, Scurelle Trento, Litodelta, 2008, p. 321, ISBN 88-42527-46-7.