Quattrigghiu
Giocato a Licodia Eubea da qualche secolo è, negli ultimi anni, via via scemato per mancanza di giocatori e di luoghi (prima si giocava anche all’aperto nei pressi dei bar o, ancora oggi, al Circolo) e si giocava normalmente nei circoli di emigrati licodiani di New York e Melbourne, anche se non con carte siciliane. Il progenitore del quattigghiu è il gioco dell’hombre gioco dell'hombre, tradotto in modo errato con ombra, che arrivò dalla Spagna nel 1600 e si diffuse anche in Francia nello stesso periodo. Da noi è arrivato sino a Napoli con il dominio spagnolo e forse con il nome di ‘trigghiu‘ (perché’ si giocava in tre). In appendice qualche altro riferimento al gioco dell’hombre ma si rimanda a qualche testo più approfondito edito da Hoepli sui giochi di carte.
Norme fondamentali
Si gioca con le carte siciliane (40 carte con quattro semi, Carte da gioco italiane). Tra i giocatori si interloquisce esclusivamente in dialetto licodiano. Il mazziere mescola le carte e le fa alzare (smazzare) al giocatore che si trova alla propria sinistra. Le stesse vengono distribuite in senso antiorario in gruppi di cinque per volta per un totale di dieci carte a giocatore. Se si è fatto un errore nel distribuire il numero di carte allora chi ne possiede qualcuna in meno ne sceglie ,a carte coperte, quelle che gli mancano da chi ne ha in più.
Ogni seme è ‘un palu’ ed hanno per nome: iuocu nuovu (denari), un furriuni (bastoni), furria (spade e coppe). Una chiamata a furriari (se né spade né coppe è trunfu, briscola) ha un’ambiguità solo la prima volta perché dopo si può dichiarare come si vuole. La parola trunfu dovrebbe provenire dallo spagnolo trionfa. Esiste una gerarchia di valori nei vari semi e questa gerarchia cambia a seconda che il seme sia ‘trunfu’ (briscola) o meno. Alcune carte sono sempre trunfi e sono: “ ‘a spatigghia“ (l’asso di spade) e “ ‘u bastu” (l’asso di mazze) rispettivamente gerarchicamente il più forte ed il terzo trunfu.
Al secondo posto c’è “ ‘a manigghia “ che è il sette nelle carte corte (denari e coppe) e il due nelle carte lunghe (spade e bastoni). Questi tre trunfi costituiscono “‘i battittura“ (in spagnolo matadores o stuccio se tutti e tre insieme). Ad oro e coppe il quarto trunfu per valore è “ ‘u puntu“ (gli assi di coppe ed oro) mentre a spade e bastone è “il re”. La gerarchia dei valori continua con il re (dove non c’è u’ puntu) e poi il cavallo, la donna, il sette, il se, il cinque, il quattro ed il tre; naturalmente il due è ‘manigghia’ se il seme è trunfu altrimenti è la carta di minor peso (tutto ciò nelle carte lunghe). Nelle carte corte il valore, procede con valori discendenti, se il seme è trunfu, con ‘u puntu, con le figure (re, cavallo e donna) e poi con il due, il tre, il quattro, il cinque ed il sei; il sette è ‘manigghia’ mentre se il seme non è trunfu il sette è la carta di minor valore e l’asso (‘u puntu) è subito dopo il valore della donna. Riassumendo la gerarchia dei valori è diversa e dipende dal fatto che il seme interessato sia trunfu oppure no ed inoltre se si tratta di carte lunghe o corte.
Precisamente se il seme interessato è trunfu, nelle carte lunghe (spadi e bastoni) si ha: Spatigghia, Manigghia (il due), Bastu, Re, Cavallo, Donna, Sette, Sei, Cinque, Quattro e Tre; nelle carte corte (oro e coppe) si ha: Spatigghia, Manigghia (il sette), Basto, Puntu, Re, Cavallo, Donna, Due, Tre, Quattro, Cinque e Sei. Mentre se il seme non è trunfu nelle carte lunghe (spadi e bastoni) si ha: Re, Cavallo, Donna, Sette, Sei, Cinque, Quattro, Tre e Due e nelle carte corte (oro e coppe) Re, Cavallo, Donna, Puntu (l’asso), Due, Tre, Quattro, Cinque, Sei e Sette.
Da ciò che è stato premesso se ne deduce che i trunfi sono in numero di undici quando il trunfu è spade o bastone (c’è rispettivamente in più l’asso di mazze o l’asso di spade) mentre sono dodici quando il trunfu è a coppe o ad oro perché comunque ci sono in più sia l’asso di mazze che l’asso di spade. Chi chiama deve indicare ‘u trunfu. Per ogni partita c’è un solo trunfu e va dichiarato prima di iniziare a giocare.
Si può giocare in compagnia o da soli. I compagni sono il chiamante e l’aiuto, gli altri due rimanenti costituiscono l’altra coppia (avversaria). Chi gioca da solo (sulità) avrà gli altri tre giocatori come avversari.
Ogni giocata costituisce ‘na base’ cioè una presa di quattro carte una per giocatore che si pone sul tavolo di seguito, in senso antiorario. Si vince con sei basi raggiunte le quali , se non si hanno altre mire, si può evitare di continuare. Si pareggia con cinque e si chiama ‘riposta’. Chi chiama (assieme al compagno) deve tentare di ottenere le sei prese altrimenti c’è la riposta (5 basi) oppure la ‘cudigghia’ (gli avversari riescono a fare le sei basi). Il chiamante (assieme al compagno) può tentare di fare la ‘tutità’ ( da totus in latino) cioè riuscire a prendere tutte e dieci le basi. Non è vietato, in linea di principio, agli avversari del chiamante di tentare la tutità dopo aver portato l’altra coppia cudigghiu. La tutità deve essere dichiarata prima della settima giocata. Alla fine della sesta giocata non si possono consultare le giocate precedenti e non ci si può né consultare né scambiare informazioni se non dopo aver dichiarato di voler tentare la tutità. La decisione è comune ai due compagni e se uno dei due non è d’accordo è sufficiente che butti le carte scoperte sul tavolo per invalidare la decisione dell’altro compagno. Se si ottiene la tutità si vince il doppio della posta singola mentre se non si ottiene non si vince e non si perde nulla (iucata franca).
Chi ha diritto a chiamare deve farlo con la dizione obbligatoria ‘ cu’ m’aiuta?’. Nella prima giocata ne ha diritto chi possiede il sei di denari e nella successiva giocata è tenuto a fare il mazziere. Il mazziere dell’ultima giocata deve essere il giocatore che sta di fronte a chi possedeva il sei di denari e ciò per equilibrare il numero di chiamate possibili. Quando il mazziere è il giocatore che precede chi aveva il sei di denari nella prima giocata si può ordinare (e lo può fare chiunque) ‘giro’, ‘tu nun fai chiù’, iu nun fazzu chiu’ e il gioco finirà esattamente quando il mazziere diventerà il giocatore che sta di fronte a chi possedeva il sei di denari. Se l’ultima giocata è una tutità allora a tutità si ioca ( naturalmente anche quando c’è ‘na riposta e si può accettare anche se c’è ‘na sulità) cioè si gioca ancora una volta. Dalla seconda giocata in poi ha diritto a chiamare il primo giocatore a destra del mazziere. Se il primo giocatore non chiama dirà ‘passu’ e si ritrova a poter chiamare il secondo e così via sino al mazziere. La chiamata non è obbligatoria ma se non si è dichiarato nessun volontario chiama ‘obbligatoriamente’ chi possiede la spatigghia ( chiama cu’ avi ‘a spatigghia). Gioca la prima carta il giocatore a destra del mazziere.