La scesa in campo delle forze sindacali prese forma a distanza di poche ore dal drammatico evento. La Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL di Roma fu tra le prime organizzazioni ad accogliere l'appello alla solidarietà lanciato dal presidente Pertini di fronte alle telecamere del Tg2 la sera del 25 novembre, al ritorno dalla sua visita alle zone terremotate. La Federazione Unitaria grazie alla mobilitazione di tutte le sue strutture riuscì ad attivare un generale moto di solidarietà che coinvolse i lavoratori e le sigle sindacali di tutta Europa. Avviò una raccolta di beni di prima necessità tra gli iscritti, aprì un dialogo con le organizzazioni padronali allo scopo di effettuare la trattenuta per il corrispettivo di quattro ore di lavoro sulla busta paga di novembre per i lavoratori che intendessero donarlo alle zone terremotate e infine stimolò la solidarietà delle principali organizzazioni sindacali europee. Aiuti arrivarono dalla Confédération Générale du Travail, da Solidarność, dall’Austrian Trade Union Federation, dai sindacati inglesi e dalla confederazione sindacale Norvegese, solo per citare alcuni tra le più note.
La Federazione Unitaria riuscì ad inviare nelle aree terremotare duecento camion di generi alimentari, cento camion e diciassette autotreni di abbigliamento, sette camion di materiale da campeggio, 180 camion di generi vari, due camion di materiale elettrico, un camion di prodotti per l’igiene, tre camion di stufe, medicinali per complessivi ottanta quintali.
Il sindacato si occupò direttamente della distribuzione di quanto raccolto, per evitare sprechi. I magazzini da esso gestiti si riempivano con la doppia firma di un Segretario confederale lucano e di un tenente colonnello delle forze dell’ordine e con la doppia firma si svuotavano. Questa collaborazione evitò arbitrarietà e ingerenze di vario tipo. Per gestire il tutto la Federazione Unitaria si dotò di un coordinamento nazionale composto da diversi gruppi di lavoro: uno con compiti di segreteria e gestione del sistema informatico; uno incaricato di amministrare il fondo di solidarietà costituito con le offerte dei lavoratori e uno per il coordinamento dei lavoratori volontari e dei tecnici volontari. Complessivamente furono tredicimila i lavoratori specializzati che il sindacato fece arrivare nelle zone terremotate: ingegneri, infermieri, medici, geometri, muratori, elettricisti, idraulici e autisti.
I fondi raccolti dal sindacato dopo la prima fase di emergenza furono invece destinati alla creazione di centri sociali in Campania e in Basilicata.
Il sindacato si impegnò fin dall’inizio nella denuncia dei ritardi nei soccorsi e soprattutto dell’assenza di un coordinamento da parte delle autorità preposte alla programmazione e alla pianificazione degli interventi, accompagnandola però con proposte concrete per affrontare i problemi posti dall’emergenza. La Federazione Unitaria dei trasporti, ad esempio, suggerì l’utilizzo di duecento carrozze ferroviarie come primo ricovero alla popolazione sinistrata.
Il totale impegno nella fase emergenziale non distolse però il sindacato dal suo scopo genetico, ovvero la tutela del lavoro, in un quadro dove il lavoro non c’era più.
I segretari confederali dopo aver visitato le zone terremotate, lanciarono un appello alle istituzioni affinché favorissero in tutti i modi la ripresa delle attività lavorative in tutti i posti di lavoro dove ciò fosse materialmente possibile, soprattutto nei servizi pubblici e nel commercio, anche al fine di non aggravare ulteriormente il disagio delle popolazioni. Lanciarono la proposta di un servizio del lavoro, con lo scopo di impiegare disoccupati e giovani momentaneamente inoccupati nella rimozione delle macerie e nel successivo ripristino delle abitazioni e delle strutture produttive, impegnandosi nella compilazione di liste comunali. Proposero inoltre la predisposizione «di un progetto di emergenza di riassetto idro-geologico-forestale» allo scopo di impiegare migliaia di lavoratori forestali. Aprirono, infine, un tavolo ministeriale per favorire l’attivazione della Cassa integrazione guadagni per circa 23.000 lavoratori sfollati.
Il Centro Unitario Patronati si mise al servizio delle popolazioni terremotate, offrendo loro aiuto per la corretta compilazione e presentazione delle domande necessarie per ottenere le provvidenze. Si organizzarono unità mobili su pulmini in grado di raggiungere anche centri abitati più piccoli.
La sfida era uscire dall’emergenza e avviare la fase della ricostruzione con un chiaro programma di sviluppo e di crescita. Come si può leggere nelle pagine della rivista della Cgil Rassegna Sindacale: «per il sindacato, guardare in faccia al terremoto voleva certo dire intervenire, come aveva fatto e stava facendo nella fase dei primi soccorsi, ma soprattutto voleva dire intervenire nella fase della ricostruzione».
Tuttavia, il processo di ricostruzione fu profondamente segnato dal proliferare della corruzione, della speculazione e del malaffare e la gestione dei fondi della famosa legge 219 divenne oggetto, anni più tardi, di inchieste giornalistiche, giudiziarie e parlamentari.