Allora, come prima cosa non posso non dire che il tuo intervento è molto interessante e mi ha anche fatto molto riflettere. Ho sicuramente presentato l'intera faccenda in modo scolastico e per certi versi un po' astratto, mi piace molto di più la tua esposizione che mette al centro la storia e la concretezza; il punto è che abbiamo una formazione personale diversa (tu filosofa, io ingegnere) e questo non può non avere degli effetti. Non mi sarebbe mai venuto in mente "il paesaggio" come oggetto di conoscenza, a me viene in mente la legge di gravità.
Come la pensava Lenin al proposito? nella pagina sul materialismo dialettico l'ho presentato così (parafrasando molto fedelmente Lenin stesso in alcuni suoi appunti su Bogdanov):
- Non esiste una differenza di principio tra fenomeno e noumeno: la prassi, cioè l'azione, è la via attraverso la quale la cosa in sé diventa cosa per noi. Come diceva Hegel, conoscere le proprietà di un oggetto equivale a conoscere l'oggetto.
Qual è a mio giudizio il punto debole della tua posizione? Certo, hai spiegato bene che dicendo che "la conoscenza non è un adeguamento passivo del soggetto all'oggetto" non stai dicendo che "l'osservatore crea il mondo" (Bohr-Heisenberg, quest'ultimo guarda caso era stato da giovane uno squadrista occupato nella distruzione della repubblica sovietica bavarese); stai dicendo però sinceramente qualcosa di molto simile:
- Ma non si tratta di concepire la realtà col pensiero: si tratta di comprendere che la natura è umanizzata, è proprio oggetto della prassi umana, del lavoro, dell’attività storica del soggetto e solo così è possibile conoscerla realmente, proprio in quanto oggetto dell’attività umana.
E fai l'esempio del silice che diventa scalpello che diventa badile che diventa merce-badile.
Però, come spesso accade, allargando l'angolo di osservazione ogni cosa si trasforma nel suo opposto. Detto come l'hai detto, l'uomo pratico diventa un soggetto libero (addirittura ti chiedi cosa veda io di strano o non materialista nel libero arbitrio... dipende cosa intendiamo per libero arbitrio), che agisce sulla base di suoi bisogni. Uhm, uhm, uhm.
L'uomo da dove salta fuori? Si è evoluto dal mondo naturale, e ne fa parte, e i suoi bisogni (sono "suoi" per modo di dire, diciamo che li ha ereditati) sono la conseguenza della sua naturalità, uno spirito incorporeo dotato di vero libero arbitrio (in senso cattolico) non dovrebbe avere bisogni (anche se i cattolici non se ne rendono conto). Formula bellissima: "il pensiero è la materia che prende coscienza di sé". Ti sembra che l'uomo scolpisca la pietra perché sei un essere umano, ma è anche la pietra (nel senso della materia cosiddetta inerte) che ha scolpito l'uomo per i propri "bisogni" (quelli che guidano, in modo non teleologico ovviamente, l'evoluzione).
Per l'uomo, la pietra è uno scalpello. Ma si può anche dire che per la pietra, l'uomo è uno scalpellatore. È la natura che ha fatto l'uomo che poi la modifica, non è l'uomo che ha fatto la natura che poi lo modifica. Il materialismo dà l'iniziativa, dà il vantaggio della prima mossa, alla natura (la materia, l'essere, la necessità, la struttura), non all'uomo (lo spirito, la coscienza, la libertà, la sovrastruttura). Perciò dico che la tua posizione ha un retrogusto idealista (oserei dire: gramsciano).
Perché l'uomo usa la pietra e non, per esempio, il fango per fare il suo scalpello? È una sua "libera" scelta? La sua libertà consiste semplicemente nello scegliere l'unica cosa che può scegliere in quanto adatta allo scopo. E perché il fango non è adatto allo scopo ma la pietra sì? Per le caratteristiche oggettive della pietra. Queste caratteristiche vengono portate alla luce (non solo scoperte, anche in un certo senso concretizzate) dal lavoro umano, ma non vengono imposte sulla materia dal lavoro. Diciamo una profonda banalità hegeliana? "La libertà è il riconoscimento della necessità". La vogliamo tradurre sul terreno gnoseologico? il soggetto riconosce l'oggetto, il soggetto si adegua (non passivamente, ma attivamente, cioè praticamente) all'oggetto.
Attenzione perché questo discorso ha (come tutti i discorsi filosofici seri, checché ne pensino gli empiriocritici o i Popper per cui tutto è "metafisico" e troppo astratto per la loro contabilità spicciola) conseguenze molto concrete, specie economiche. Se il lavoro fosse assolutamente creativo, se la natura fosse soltanto oggetto della prassi umana che l'ha completamente umanizzata (bum! abbiamo solo dato una spolveratina alla crosta terrestre...), esso sarebbe "l'unica fonte del valore". Sentiamo cosa dice Marx (che mi pare di capire tu contrapponga ad Engels e a Lenin su questo tipo di faccende) di questa opinione e come la qualifica:
«Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che esso stesso, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana. Quella frase si trova in tutti i sillabari, e intanto è giusta in quanto è sottinteso che il lavoro si esplica con i mezzi e con gli oggetti che si convengono. Ma un programma socialista non deve indulgere a tali espressioni borghesi tacendo le condizioni che solo danno loro un senso. E il lavoro dell'uomo diventa fonte di valori d'uso, e quindi anche di ricchezze, in quanto l'uomo entra preventivamente in rapporto, come proprietario, con la natura, fonte prima di tutti i mezzi e oggetti di lavoro, e la tratta come cosa che gli appartiene. I borghesi hanno i loro buoni motivi per attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale; perchè dalle condizioni naturali del lavoro ne consegue che l'uomo, il quale non ha altra proprietà all'infuori della sua forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni di società e di civiltà, lo schiavo di quegli uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali del lavoro. Egli può lavorare solo col loro permesso, e quindi può vivere solo col loro permesso.»
Sono scolastico nella mia distinzione tra idealismo e materialismo? Può essere. Lo ammetto senza vergogna: va molto di moda dire che chi è venuto prima ci vedeva più chiaro e chi è venuto dopo ha distorto l'insegnamento dei maestri originari. Per cui è tutto un "ritorno a...", una scalata a ritroso per arrivare fino ai Grundrisse o ai Manoscritti economico-filosofici che sarebbero secondo alcuni il marxismo incontaminato. Incontaminato da Lenin, da Engels e mi viene da pensare incontaminato dall'attività politica quotidiana di Marx stesso. In questo modo di ragionare io vedo una logica tipo paradiso perduto, magari con allegato peccato originale (la Rivoluzione d'Ottobre, tipicamente, per esempio è così che vede la cosa un Bertinotti).
Io invece la vedo proprio al contrario. È vero che ci sono dei guizzi di genialità in Marx ineguagliati dai marxisti successivi. Ma è vero anche (e mi sembra anche più materialista sinceramente) che chi è venuto dopo ha saputo rendere più sistematica e dettagliata la sua concezione, non di rado dandole molta più concretezza. Materialismo ed empiriocriticismo è brillante perché si sporca le mani, non è un manifesto filosofico, è un trattato che affronta le singole questioni inserendole in un quadro generale. E ciò che più scandalizza la maggior parte dei filosofi di quel testo, e cioè la brutale classificazione delle scuole filosofiche in materialismo - idealismo - agnosticismo, è la parte che mi piace di più!
Lo stesso si può dire, su un altro terreno, di Stato e Rivoluzione ecc. Non sapremmo dire con chiarezza che cavolo sia la dittatura del proletariato e uno Stato operaio se Lenin non si fosse preso la briga di scrivere quel testo, tra l'altro non seduto ad un tavolino ma nel bel mezzo del 1917.
Avrei altre cose da dire ma per ora ti cedo il testimone. Ciao. --Mv 10:30, 14 set 2006 (CEST)