Lo scrittore o della solitudine | |
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1ª ed. originale | 1970 |
Genere | romanzo |
Lingua originale | italiano |
Lo scrittore o della solitudine è un romanzo autobiografico dello scrittore italiano Carlo Alianello. Pubblicato nel 1970 dalle edizioni ...
In questo libro Carlo Alianello parla principalmente della sua vita e in particolare degli eventi che hanno segnato la sua infanzia. Il capitolo primo si apre con un riferimento all’isola di Robison Crusoe.
Capitolo I “L’isola di Robinson”
“Ho sempre cercato l’sola di Robinson. Da ragazzo, fin dove giunge il mio ricordo. Un’impresa che mi ha impegnato più di quanto non pensassi, determinante direi.”
Oltre a questo naufragio l’autore ne cita altri tra cui il suo primo sull’isola Della Maddalena, l’isola di San Mommé e l’isola della Ciociaria.
(pagina 5,10,11)
Un tema ricorrente nel primo capitolo è la solitudine dello scrittore. “Nell’isola della Maddalena ero sempre solo o quasi, nei miei giochi almeno” (pagina 6)
“E io ero solo e nessuno mi vedeva”
“A un Robinson sta bene la solitudine dove non lo vedono che il solo è Dio” (pagina 8)
“Fu così che diventai scrittore e Robinson inventore cioè di una mia vita il luogo deserto” (pagina 14)
“L’infanzia è oscura” (pagina 9)
Con questa frase Carlo Alianello introduce uno dei tanti temi preseti in questo libro cioè: l’infanzia.
Tra i tanti eventi che hanno segnato la sua infanzia abbiamo: L’abbandono all’età di due anni con il seguente approdo sull’isola della Maddalena.
“E’ forse un ricordo di quando lasciammo Roma, approdammo alla Maddalena e si saliva al Forte?”
“Ma allora avevo soltanto due anni” (pagina 9)
“Mi ricordo ancora qualche notte, quando mi svegliavo di soprassalto, bambino, e mi giungeva, lontano, vicino, quel grido lungo, strascicato, inconfondibile, ma tanto rassicurante”
“Mi sentivo difeso e consolato” (pagina 16)
Oltre al ricevimento ufficiale e al ballo al Circolo della Marina al quale potevano andare solo gli adulti, esistevano anche le feste per i ragazzi alle quali l’autore partecipava come: Il Giovedì Grasso, La Pentolaccia, La Festa Dello Statuto e L’onomastico Del Re.
Alianello era cristiano e anticonformista: “La materia direi di cattolico non transigente, e dai secondi il senso e il piglio dell’anticonformista” (pagina 19)
CAPITOLO VII “Lucania, Terra Degli Uomini Soli”
In questo capitolo viene descritto il paesaggio in cui l’autore ha trascorso parte della sua vita: Tito, un paesello della Basilicata da cui proveniva la famiglia di “galantuomini” della madre. (pagina 117)
“Tito giace una valle pianeggiante fra tremuli pioppi e, appena fuor delle ultime case, sorgono le prime grandi piante, alberi altri, corposi, querce, pini e castagni”.
Il paese presenta acqua limpidissime, calde ovvero gelide, ferruginose, solfuree, bianche, gialle, d’oro o rossicce. (pagina 117)
“Alti monti, alti sassi, greti di fiumare, asciutte e bianche l‘estate, violente e gonfie d’acque spumeggianti l’inverno” (pagina 118)
Il poeta descrive il carattere tipico dell’uomo lucano: “arrendevole e paziente come il giunco, aspro e tenace come il sasso delle sue rupi” (pagina 118)
Segue la descrizione di parte del carattere di egli stesso.
“Da quella terra riporto, e solo per virtù di sangue, i difetti e qualche pregio: una durezza e una mollezza stranamente mescolate e fuse, un senso vivo dell’arcaico, uno spirito pronto al misticismo e insieme al senso, un bisogno di necessità e di chiarezza, una diffidenza istintiva dell’uomo e d’ogni possibile precipizio”. (pagina 118-119)
Ciò che lo colpisce di quella terra è lo status, la mente, il progressivo decadere dei piccoli proprietari terrieri, dei professionisti, dei cosiddetti intellettuali. (pagina 121)
L’estate titese veniva paragonata all’inverno, che l’autore non trascorreva nel paese, bensì a Roma. Dunque era a lui sconosciuta “l’alta neve, le foreste squallide, l’ululato dei lupi e l’urlo del vento” tipico degli inverni del sud. (pagina 121)
Il ricordo del poeta rivolto al paesello di Tito, gli sfiorava la mente nel momento in cui leggeva o sentiva parlare qualche noto scrittore o grosso giornalista originario del profondo sud” (pagina 124)
Capitolo XI “L’ISOLA RITROVATA”
Come nel primo capitolo anche in questo viene ripreso il tema della religione, Carlo Alianello parla della Settimana Santa e dell’incontro con Dio.
“E oggi che scrivo è il lunedì della Settimana Santa. Un tempo seguivo quei bellissimi riti
che si celebravano e ancora si celebrano giorno per giorno nelle più belle e antiche basiliche remane”
(pagina 189)
“Il giovedì, un giovedì, il giorno dei Sepolcri, o meglio quello dell'ultima Cena, un giovedì d'Aprile, io ho incontrato il Signore.” (pagina 190)
“qualcuno ti cammina accanto, ma non più lui, […] l’amico che avevi al fianco. E neppure sei solo. […] Ma c'è Uno che parla: di te con te.“
(pagina 191)
“La pace è andata a farsi benedire”
(pagina 196)
“Ora la gente crede talvolta a Dio, ancora per un poco nei limiti di quella che chiama scienza, ma la Dio vero associano i loro idoli”
(pagina 196)
Da queste frasi si percepisce la solitudine provata da Carlo Alianello.
“Roma veglia. Anche io non dormo: forse ho ritrovato la mia vocazione militare”
“Ogni volta che impugno la penna, o meglio che batto i tasti della macchina da scrivere, mi sembra d’aver imbracciata l’arma di prescrizione che micidiale non è nè rumorosa”
“S’è fatta notte. E io son qui, sullo spalto, attendendo che passi la Ronda e mi trovi ben desto, all’erta. E guardo intanto a Te, solo compagno della mia solitudine.”
“Stanotte mi par d’aver ritrovato la mia isola.”
(pagina 198)
Trama
[modifica | modifica wikitesto]L’isola di Robinson
Un capitolo completamente autobiografico, incentrato sul senso di solitudine che ha caratterizzato l’infanzia e l’adolescenza dell’autore. Una solitudine cercata e simboleggiata nella ricerca dell’isola di Robinson. Diverse sono le isole della sua infanzia, la prima all’isola della Maddalena, quando aveva 7 o 8 anni. La solitudine è la sua compagna di giochi, perché gli permetteva d’immaginare quello che voleva. Nell’isola era solo, perché gli altri ufficiali non avevano figli maschi della sua età che gli potessero far compagnia (pag.6). Ma la solitudine gli sta bene, gli dà una gioia tranquilla e comporta, una ricerca nuova di cose viste o immaginate, un tessere fantastico di sensazioni (pag.8). La seconda isola fu sulle montagne pistoiesi, in un paesino chiamato San Mommè. La casa che li ospitava era fuori paese e, a breve distanza, scorreva l’Ombrone e all’autore piaceva tuffare la mano nelle sue acque gelide e restare fermo per ore ad ascoltare il frastuono dei flutti, il loro impennarsi, il loro precipitare. La terza isola esplorata fu in Ciociaria, all’età di 14 anni. Il paese si chiamava Morolo e vicino scorreva il fiume Sacco che lambiva una lunga striscia di terra: la sua nuova isola. Qui trascorreva lunghi pomeriggi con la scusa di studiare lontano dal frastuono e dai giochi dei cugini, in realtà per assaporare meglio e, di più il vento e l’acqua, le creature e le voci che erano un canto solo, come un richiamo lungo (pag.13). Con gli anni l’isola si andò restringendo, fu prima un giardino, un prato, un terreno, poi la stanza da lavoro. Per lo scrittore un’isola è necessaria dove, almeno un’ora al giorno l’animo si adagi in solitudine conquistata (pag.13). Il capitolo è sì di ricerca di toccare Terra dopo un naufragio, di un approdo, ma è anche un rivivere il proprio passato, la propria infanzia, ritrovare impressioni, colori, sensazioni sopite, ma mai dimenticate. Riemergono così, dal passato, le suore di San Vincenzo de’ Paoli con le loro cornette bianche ad ala di gabbiano (pag.14) o gli attendenti che prestano servizio in casa degli ufficiali, l’autorità indiscussa del padre e la figura esile, ma non meno autorevole della madre. E ancora ricordi di un tifo violento che quasi lo portò alla morte, le visite di Suor Agnese e i suoi discorsi su Gesù e sul Paradiso, l’arrivo occasionale di una nave da guerra a cui seguiva un ballo al Circolo Ufficiali, le festicciuole organizzate per loro ragazzi “Giovedì grasso, la Pentolaccia, l’onomastico del re.” (pag.25)
Lucania, terra degli uomini soli
In questo Capitolo si possono notare varie tematiche
1. La descrizione del paesaggio della Basilicata, in parte arido e franoso, in parte ricco di uliveti e di folti boschi.
2. La posizione di Tito, un paesello della Basilicata, paese di origine della famiglia di “galantuomini” della madre.
3. L’analisi dello Status sociale della popolazione: galantuomini, commercianti “mezze calzette”, cafoni.
4. L’anticlericalismo degli intellettuali e dei galantuomini, e il loro disprezzo per tutte le religioni che essi chiamavano superstizioni. Per loro “la religione era roba da cafoni o buona a consolare le mogli afflitte, cosa da meschinelli, insomma” pag. 124.
Un astio anticlericale, atavico e irrazionale, che avevano aspirato fin da bambini a casa, nelle stanze dei notabili, dove stagnava un liberalismo sterile e gretto, diffidente dal povero e dal clero. Pag. 127
5. Le discussioni tra “galantuomini” che terminavano sempre in aneddoti più o meno sconci sull’aspetto o sul curato “zi Parrucchiano” e sulle loro presunte tresche amorose.
Un odio innato contro il prete, ritenuto in genere più ricco e potente di ogni ricchezza, anche quando dopo la caduta dei Borboni, aveva perso le sue terre e ogni autorità.
6. L’immobilismo dell’uomo del Sud e la sua anima di per se stessa triste, rassegnata e inquieta, la tristezza di gente vuota e rassegnata. Pag 130
“L’isola ritrovata”
Come nel primo capitolo anche in questo viene ripreso il tema della religione, Carlo Alianello parla della Settimana Santa e dell’incontro con Dio.
“E oggi che scrivo è il lunedì della Settimana Santa. Un tempo seguivo quei bellissimi riti
che si celebravano e ancora si celebrano giorno per giorno nelle più belle e antiche basiliche remane”
(pagina 189)
“Il giovedì, un giovedì, il giorno dei Sepolcri, o meglio quello dell'ultima Cena, un giovedì d'Aprile, io ho incontrato il Signore.” (pagina 190)
“qualcuno ti cammina accanto, ma non più lui, […] l’amico che avevi al fianco. E neppure sei solo. […] Ma c'è Uno che parla: di te con te.“
(pagina 191)
“La pace è andata a farsi benedire”
(pagina 196)
“Ora la gente crede talvolta a Dio, ancora per un poco nei limiti di quella che chiama scienza, ma la Dio vero associano i loro idoli”
(pagina 196)
Da queste frasi si percepisce la solitudine provata da Carlo Alianello.
“Roma veglia. Anche io non dormo: forse ho ritrovato la mia vocazione militare”
“Ogni volta che impugno la penna, o meglio che batto i tasti della macchina da scrivere, mi sembra d’aver imbracciata l’arma di prescrizione che micidiale non è nè rumorosa”
“S’è fatta notte. E io son qui, sullo spalto, attendendo che passi la Ronda e mi trovi ben desto, all’erta. E guardo intanto a Te, solo compagno della mia solitudine.”
“Stanotte mi par d’aver ritrovato la mia isola.”
(pagina 198)
Edizioni
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Note
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Voci correlate
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"L'isola raggiunta" Ancora un ricordo autobiografico, il presente che diventa passato. É il mese di aprile, il lunedì della settimana santa e l’autore ricorda i riti che si celebravano giorno per giorno e, nelle più belle e antiche basiliche romane, gli antichi mosaici e gli affreschi sbiaditi, rilucevano al lume di tante candele. Le chiese erano gremite di fedeli e, dietro un porporato che portava alta la Croce, il coro cantava “Avanzano le bandiere di Dio” (pag.189). Al presente, invece, dietro la Croce c’è poca gente: qualche forestiero incuriosito, qualche vecchietto e poche donnette giunte dai rioni vicini. I giorni della settimana santa scorrono veloci e arriva il Giovedì Santo, il giorno dei Sepolcri che, per l’Autore, ha un significato speciale, perché è il giorno in cui ha incontrato il Signore. Non l’ha visto, né sentito, né immaginato, eppure ha camminato con lui fianco a fianco e, per la prima volta, non si è sentito solo. C’è Lui che parla: di te, con te senza parole e tu rispondi senza parole, perché ti basta quella presenza, quel calore nuovo per riempire il tuo cuore di felicità (pag.191). Ancora un ritorno al passato, questa volta è il Natale a riportarlo indietro nel tempo, quando allestiva il presepe per i suoi figli che, in coro, cantavano “Tu scendi dalle stelle…” Ora i ragazzi sono grandi e solo il figlio minore ha allestito in tutta fretta un presepe malinconico con casette sbiadite e pastori malandati. Anche il presepe non ha più la sacralità di un tempo e si prepara solo per i nipotini e un po’ anche per i nonni. La gente ora, crede talvolta in Dio, ma al Dio vero associa i suoi idoli, tutto aspira alla novità e al progresso. Eppure, mai come in questo momento, quando il sentimento religioso sembra affievolirsi nel cuore degli uomini, l’Autore avverte la presenza del Signore accanto a sé; ha ritrovato la fede della sua infanzia, ha ritrovato Dio e non si sente più solo. Ancora un ritorno al presente: le ore sono volate, è notte e comincia a piovigginare. Lo scrittore rivolge lo sguardo al Cielo, al Signore, unico compagno della sua solitudine, e si augura che, quando giungerà la sua ora, il Signore lo trovi pronto a rispondere alla sua chiamata. In pace con se stesso, ha finalmente trovato l’isola su cui approdare.