Sei Itō, nato Itō Hitoshi (伊藤整?, Itō Sei; Matsumae, 16 gennaio 1905 – Tokyo, 15 novembre 1969), è stato uno scrittore, critico letterario e traduttore giapponese.
Esordì nel 1926 con la raccolta di poesie intitolata Yukiakari no michi (trad.ː Sentiero illuminato dalla neve) e in seguito si concentrò sulla produzione di romanzi e sulla critica letteraria, affermandosi come sostenitore e teorico della "nuova letteratura psicologica" (shin shinrishugi bungaku no, 新心理主義文学の), una tendenza letteraria ispirata a Joyce e alla psicanalisi freudiana che intendeva ricercare e rappresentare la psicologia umana con tecniche narrative come il flusso di coscienza e il monologo interiore.[1][2][3]
Tradusse scrittori modernisti come James Joyce, Marcel Proust e D.H. Lawrence. Per la traduzione de L'amante di Lady Chatterley fu processato e condannato negli anni cinquanta, insieme all'editore, con l'accusa di oscenità.[4]
Dopo la seconda guerra mondiale pubblicò lunghe opere come Hi no tori (火の鳥, trad.ː Uccello di fuoco, 1953), completando anche la sua opera principale Kindai Nihon no bungakushi (近代日本の文学史, trad.ː Storia del mondo letterario giapponese, 1952-69) dall'era Meiji al primo periodo Taishō.[5][6]
È stato direttore del Museo della letteratura moderna giapponese, vicepresidente del Japan PEN Club e membro della Japan Art Academy.
Morto il 15 novembre 1969, l'anno successivo è stato nominato per il Premio Nobel per la letteratura.[1]
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Primi anni
[modifica | modifica wikitesto]Itō Hitoshi nacque il 16 gennaio 1905 nel villaggio di Sumiyasawa, distretto di Matsumae, Hokkaido. Era il maggiore di dodici figli di una famiglia della classe media; la madre proveniva da una famiglia locale di Matsuma, il padre, originario di Hiroshima, era fuggito dalla vita di villaggio arruolandosi nell'esercito e aveva combattuto nella guerra sino-giapponese e in quella russo-giapponese. Tra il 1904 e il 1905, durante l'assedio di Port Arthur, rimase seriamente ferito nella sanguinosa battaglia della "Collina 203" e fece ritorno ad Hokkaido proprio nel giorno in cui Hitoshi nacque, trovando in seguito lavoro come insegnante nella scuola locale.[7][8]
Hitoshi iniziò a interessarsi di poesia mentre frequentava il terzo anno della scuola media ad Otaru, una fiorente città portuale di confine collegata con un regolare servizio di barche a un'altra colonia interna, Karafuto (Sachalin), così come alla Manciuria; l'interesse gli venne dopo aver letto una raccolta di Tōson Shimazaki che il suo compagno di scuola Shigemichi Suzuki (divenuto in seguito un poeta, noto con il nome di Kokichi Kitami), più grande di lui di due anni, gli aveva prestato in treno mentre si recavano a scuola.[9]
Alle superiori, frequentate nella prestigiosa Otaru Koto Shogyo Gakko, un college commerciale diventato in seguito l'Università di Commercio di Otaru, conobbe il futuro scrittore Takiji Kobayashi e il poeta Toshio Takahama, di un paio d'anni più grandi di lui, con i quali condivise la passione per la lettura di romanzi e di poesie occidentali.[9][10]
Dopo il diploma divenne insegnante di inglese presso la vecchia scuola media della città di Otaru. Nel 1923 pubblicò tanka e poesie nella rivista Aozora, prodotta in proprio con l'amico Noboru Kawasaki, fratello maggiore della poetessa Sakawa Chika, della quale nel 1936 avrebbe raccolto e curato le poesie.[9][11]
Debutto letterario e trasferimento a Tokyo
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1926 pubblicò a sue spese la raccolta Yukiakiri no michi (trad.ː Sentiero illuminato dalla neve), in cui la maggior parte delle oltre cento poesie ispirate alla natura, intervallate da foto in cui è ripreso da solo o con i suoi amici, è suddivisa nelle quattro stagioni dell'anno.[9]
Il 1926 fu anche l'anno in cui per la prima volta si recò nel Giappone continentale, il cosiddetto "naichi", visitando Niigata, un'esperienza descritta successivamente nel suo romanzo autobiografico Wakai shijin no shōzō (若い詩人の肖像? trad.ː Ritratto di un giovane poeta, 1956). Fino ad allora Itō aveva sempre vissuto ad Hokkaido, uno "spazio coloniale" da lui avvertito come una dimensione altra rispetto al "vero" Giappone che conosceva solo indirettamente, attraverso i libri e i dipinti; l'impressione che ne ricavò fu molto forte.[12]
Due anni dopo, mosso dal desiderio di diventare un poeta di successo e di fuggire da quella che avvertiva come un'opprimente atmosfera provinciale, lasciò il lavoro di insegnante di scuola media nella città di Otaru e si trasferì a Tokyo, dove si iscrisse all'Università del Commercio (ora Università Hitotsubashi), dalla quale si sarebbe ritirato nei primi anni trenta.[1]
Quando partì per la capitale, nonostante i suoi amici lo avessero sconsigliato ricordandogli l'alto numero di scrittori esordienti che avevano scelto quella destinazione con scarse possibilità di diventare famosi, la sua famiglia stava vivendo una situazione difficile; a seguito della crisi economica maturata in quegli anni, il padre si era indebitato, aveva perso la casa e le sue condizioni di salute erano peggiorate. Al suo trasferimento nella capitale, Hitoshi lasciò il padre malato alle cure della sorella maggiore e di suo marito. Il suo venir meno ai doveri di primogenito sarebbe stato in seguito sottolineato da diversi critici, come Sone Hiroyoshi e Kuroi Senji, che avrebbero ravvisato in alcune sue opere l'influenza del senso di colpa generato da questa sua scelta.[13]
Anni Trenta
[modifica | modifica wikitesto]Negli anni venti del Novecento si er affermato in Giappone un gruppo letterario, la cosiddetta "Scuola della nuova sensibilità" (Shinkankakuha 新感覚派), ritenuto il punto di avvio del movimento modernista giapponese, i cui principali esponenti erano Yokomitsu Riichi e Kawabata Yasunari. I suoi sostenitori, raccolti intorno alla rivista Bungei jidai (trad.ː Età letteraria), fondata nel 1924, si ispiravano ai movimenti di avanguardia europea - dadaismo, surrealismo, espressionismo, costruttivismo - rifiutavano i canoni narrativi del naturalismo allora dominante, a favore del rinnovamento e della sperimentazione stilistica in narrativa e poesia ed esprimevano la loro distanza critica dal "romanzo dell'io" (shishosetsu), così come dalla letteratura proletaria.[14][15]
Come altri aspiranti scrittori, Itō si gettò con entusiasmo nelle varie correnti letterarie e artistiche di quel periodo, sostenendo la scrittura sperimentale, di cui Yokomitsu Riichi, scrittore da lui molto amato, stava dando prova con il suo romanzo Shanghai, pubblicato a puntate tra il 1928 e il 1931 su una rivista letteraria.[16]
Insieme a scrittori come Junzaburō Nishiwaki e Tomoji Abe, con cui condivise l'interesse per la letteratura modernista europea, collaborò alla rivista letteraria Shi to shiron (と詩論, trad.ː Poesia e poetica), nata nel 1928, che sosteneva lo sviluppo di una poesia pura, lontana dalla politica e dai problemi sociali e promuoveva l'introduzione in Giappone del modernismo attraverso la diffusione di scritti di autori come Gertrude Stein, T.S. Eliot ed Ezra Pound.[17]
Prendendo le distanze dalla letteratura proletaria - negli anni trenta scrisse diversi articoli critici nei confronti dell'ideologia marxista - Itō con la sua prima opera narrativa, Kanjōsaibō no danmen (trad.ː Sezione trasversale delle cellule emozionali, 1930) sperimentò la tecnica del flusso di coscienza, introdotta in Giappone soprattutto attraverso l'opera di Joyce, un autore da lui amato e citato nella prefazione del volume di poesie con il quale esordì nel 1926, Yukiakiri no michi.[16][18][19]
Del romanzo Ulisse trattò per la prima volta lo studioso di letteratura inglese Doi Kochi in un saggio pubblicato nel 1929 nella rivista Kaizō, accompagnato dalla traduzione di dieci pagine dell'opera, che fu accolto molto positivamente tra gli scrittori modernisti della capitale.[20][21]
Il forte interesse nei confronti dell'autore irlandese prese forma in quella che venne denominata "febbre di Joyce" che raggiunse il suo culmine tra il 1931 e il 1932ː vi furono coinvolti, oltre a Itō, diversi autori che utilizzarono le nuove tecniche narrative nella scrittura delle loro opereː tra questi, Yokomitsu Riichi pubblicò nel 1930 Kikai (機械, trad.ː Macchina), anticipando di qualche mese Kawabata Yasunari con la sua Suisho Genso (水晶幻, trad. Immagini di cristallo, 1931).[20]
Mentre Kawabata elogiò apertamente il suo rivale per la maestria con cui aveva usato questa nuova tecnica in Kikai, espresse alcune riserve sul racconto di Itō Sezione trasversale delle cellule emozionali, da lui stesso recensito nel 1930 nella nuova rivista Bungei Rebyuin, fondata da Itō e da altri amici scrittori, mettendo in evidenza i pericoli dell'uso del flusso di coscienza.[20][22] La sua recensione, solo in parte critica, rappresentò il primo riconoscimento del giovane autore, che si assicurò un certo prestigio nel circolo cosmopolita della cultura modernista.[23] I suoi racconti, tuttavia, non ottennero molto successo, perché ritenuti eccessivamente freudiani.[24]
Nei primi anni trenta Itō pubblicò su diverse riviste saggi che riguardavano la traduzione della letteratura del XX secolo, il flusso di coscienza e lo stile di James Joyce, indagato in profondità nell'articolo Hōhō to shite no 'Ishiki no Nagare' (trad.ː Il metodo della coscienza).[25] Nel 1930 iniziò con i colleghi Sadamu Nagamatsu e Hisanori Tsuji la prima traduzione giapponese completa di Ulisse, pubblicata in due volumi da Daiichi-Shobo - il primo nel 1931, il secondo nel 1934 - e serializzata nella rivista Shi to shiron (と詩論, trad.ː Poesia e poetica).[26] Dopo la pubblicazione del secondo volume il libro fu bandito per oscenità e ne fu consentita la ripubblicazione, a condizione che il soliloquio di Molly Bloom venisse tagliato.[21]
Nel 1932 scrisse la raccolta di racconti Seibutsusai (生物祭, La festa degli esseri viventi).[27] Nello stesso anno, nella sua prima raccolta critica Shin shinrishugi bungaku (新心理主義文学 , trad.ː La nuova letteratura psicologica, 1932), propose il "nuovo psicologismo", influenzato da James Joyce e dalla lettura di Freud, tradotto per la prima volta in giapponese nel 1929.[2]
Yūki no machi (1932)
[modifica | modifica wikitesto]«Un "miscuglio"! Un guazzabuglio! Non è altro che un grossolano plagio e una traduzione debole. I coloni non sanno fare niente di meglio che arrogantemente, e con alterigia, farsi largo nel mondo sulla base del loro schifoso "miscuglio"»
Un esempio dell'utilizzo delle tecniche del flusso di coscienza, del dialogo interiore e della polifonia è rappresentato dal successivo racconto pubblicato nel 1937, Yūki no machi (trad.ː La città dei fantasmi) che si pone al culmine del periodo modernista-joyciano.[28][29]
Scritto in prima persona, ha come protagonista Utō, l'alter ego di Itō, che fa ritorno nella città natale di Otaru dopo dieci anni di assenza. Nel corso di un giorno, passeggiando per le strade della città che fanno da specchio alle sue sensazioni e al suo stato d'animo, vive numerose avventure al limite dello stato allucinatorio, incontra persone del suo passato nella dimensione di spettri che lo perseguitano accusandolo di codardia e infedeltà, tra cui i fantasmi di Kobayashi Takiji e Akutagawa Ryūnosuke, ampiamente caricaturizzati per attaccare nel primo il marxismo e nel secondo l'establishment letterario.[30]
Romanzo fortemente innovativo per la sua frammentazione e le tecniche adottate, mantiene tuttavia i suoi legami con il filone del shishōsetsu (I-novel) per le analogie facilmente ravvisabili tra autore e narratore e il suo stile confessionale, nonostante la presenza di una forma di "dissoluzione dell'io" caratterizzata dal prevalere delle percezioni sensoriali, di un ritmo improntato a estrema velocità e di una descrizione di Otaru modellata sulla Dublino ritratta in Ulisse.[31] La dimensione realistica, completamente sovvertita in un crescendo di atmosfere fantastiche, surreali, parodistiche e grottesche, lo avvicina all'estetica ero guro, mentre l'analisi del lato oscuro del sé espresso attraverso la scrittura, rinvia ai principi teorizzati nel Shin shinrishugi bungaku (1932), la "letteratura psicologica" nella quale Itō aveva presentato temi ispirati a Freud.[32]
Per i suoi contenuti, il rapporto stabilito tra Tokyo e Hokkaido, gli atteggiamenti negativi manifestati nei confronti degli Ainu e di altre persone che il narratore incontra, il testo, scritto nell'anno dello scoppio della seconda guerra sino-giapponese, è stato anche interpretato dai critici come espressione dell'ideologia colonialista che alla fine degli anni trenta permeava la cultura e la società giapponese; altri studi, come quello di Okuno Takeo, hanno visto nel tono disperato di Yūki no machi, negli orridi spettri incontrati dall'autore, il riflesso del disprezzo di sé e dei sensi di colpa provati per non essersi opposto ai cambiamenti politici e sociali in corso, di cui facevano parte l'assassinio di Kobayashi Takiji, la persecuzione degli intellettuali di sinistra e dei leader comunisti e la natura sempre più oppressiva del governo.[28]
In un clima di progressiva soppressione da parte dello stato del pensiero radicale e liberale, negli anni trenta la maggior parte degli scrittori giapponesi venne indirizzata al conformismo e al sostegno alle politiche nazionalistiche ed espansionistiche dello Stato.[33]
Nella seconda metà di quel decennio il modernismo declinò; la maggior parte degli scrittori modernisti degli anni venti, tra cui i primi teorici Yokomitsu e Kawabata, tornò a temi e stili giapponesi "politicamente sicuri", in un quadro di progressiva affermazione di interesse per la letteratura classica giapponese.[34]
Verso la fine degli anni trenta Itō scrisse il romanzo Seishun (青春, trad.ː Giovinezza, 1938) e diverse raccolte di racconti, tra cui Ishi o nageru onna (石を投げる女, trad. La donna che lancia pietre, 1938) e Machi to mura (街と村, trad. Città e villaggio), che raccoglieva in un unico libro i racconti Yūki no machi (La città dei fantasmi,1937) e Yūki no mura (Il villaggio dei fantasmi, 1938), ispirati all'episodio di Circe in Ulisse, usciti in precedenza in alcune riviste letterarie.[35]
Con l'aumentato controllo del governo giapponese sulla stampa, il Patto tripartito sottoscritto nel 1940 con la Germania nazista e l'Italia fascista e la successiva guerra del Pacifico, gli elementi occidentali presenti nella sua produzione si eclissarono e il mondo letterario venne progressivamente riorganizzato "come un'organizzazione responsabile della mobilitazione e dell'incitamento alla guerra".[36][37][38]
Anni Quaranta
[modifica | modifica wikitesto]«Noi letterati dobbiamo mettere alla prova il potenziale della nazione che è in noi, nel mezzo di questa tensione che ci sta aprendo gli occhi»
In tempo di guerra Itō fondò con altri ventidue letterati la Società Letteraria Giapponese e fece parte con altri scrittori dell'Associazione letteraria per lo sviluppo continentale (Tairiku kaitaku bungei konwakai 大陸開拓文芸懇話会), fondata nel 1939 su richiesta del Ministero dello sviluppo territoriale, che con altre associazioni promuoveva l'immigrazione agricola in Manciuria. Grazie a una sovvenzione del Ministero condusse viaggi di studio in Manciuria e nella Cina settentrionale.[39]
Nel 1941 pubblicò nella forma letteraria del diario di viaggio (zuihitsu kikō), allora un genere di successo, Manshū no asa, (trad.ː Mattinate in Manciuria), proponendosi di scrivere fedelmente ciò che aveva visto e sentito sul campo e l'anno dopo tradusse e pubblicò Mattinate in Messico (1927) di D.H. Lawrence.[40][37]
Nei suoi romanzi Tokunō Gorō no seikatsu to iken (得能五郎の生活と意見, trad.ː Vita e opinioni di Tokunō Gorō, 1941), esplorazione dello stile di vita di un intellettuale durante la guerra sino-giapponese, il cui titolo riprende il famoso romanzo di Laurence Sterne Vita e opinioni di Tristram Shandy, e Tokuno Monogatari (1942), Itō rappresentò l'immagine dell' "io" in modo diverso rispetto alla letteratura precedenteː il suo personaggio assunse la forma di un "io multistrato", parte interessata degli eventi e nello stesso tempo registratore e analizzatore oggettivo degli stessi e del proprio "sé".[37][41][42]
Nel dopoguerra scrisse Narumi senkichi (鳴海仙吉, Narumi senkichi), serializzato in varie riviste dal 1946 al 1948 e pubblicato poi nel 1950 come romanzo. Composto di diversi stili - poesia, romanzo dell' "io" e scrittura sperimentale - con protagonista un critico e professore di mezza età che vive a Hokkaido, separato dalla sua famiglia, richiama il personaggio joysiano di Leopold Bloom e rappresenta il tentativo finale e più completo dello scrittore di assimilare Ulisse nella sua opera.[43]
Il metodo del romanzo (1948)
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1948 il suo saggio di teoria letteraria Shōsetsu no Hōhō (ょうせつのほうほう, trad.ː Il metodo del romanzo) esamina quello che lui ritiene essere il problema principe della letteratura, ossia la questione dell' "io" dell'autore (watakushi), il modo con cui questi esprime la sua "voce interiore".[44]
Confrontando la natura e le caratteristiche del romanzo giapponese moderno rappresentato dal genere shishosetsu, basato sulla "riproduzione fedele dell'esperienza personale dell' autore", con i modelli narrativi e gli autori occidentali, Itō sostiene che, mentre i romanzieri europei, da lui denominati "mascherati" (kamen shinshi, lett.ː gentiluomini in maschera), vivendo in stretto contatto con la società avevano bisogno di usare la "finzione" (kyoko) per esplorare se stessi, finendo con lo scomparire dietro questo travestimento, gli autori giapponesi, definiti "schiavi fuggitivi" (tobo dorei), rivelavano il loro sé naturale direttamente, senza alcuna paura o preoccupazione per la loro rispettabilità, perché emarginati socialmente a causa della loro professione; il loro punto di riferimento non era la società, ma la corporazione del circolo letterario (bundan), un rifugio entro il quale si raccoglievano e sperimentavano una nuova moralità.[45][14][46]
La posizione di Itō nei confronti degli scrittori di I-novel è sia di elogio che di critica. A suo parere il loro autoisolamento, prossimo al narcisismo, evitava che cadessero nella necessità di romanzare, portandoli a "sviluppare il sé autentico dello scrittore, che osservava incessantemente il proprio sé naturale, primitivo e asociale da un punto di vista distaccato e oggettivo"ː essi potevano essere ritenuti degli sperimentatori del pensiero moderno. Al contrario, la loro chiusura nei confronti dell'esterno li allontanava dalla società reale, declassandoli a semplici "confessori" delle loro esperienze, incapaci "sia di pensare in modo filosofico o teorico sia di creare personaggi umani rappresentativi e contemporanei nei loro romanzi".[47][48]
Un'altra differenza sostanziale tra il mondo letterario europeo e quello occidentale, rilevata da Itō, risiede nel diverso modo di concepire il rapporto tra autore/ narratore e protagonista di un'operaː mentre in Europa critici e lettori non ritenevano che autore e protagonista dovessero coincidere, né criticavano la vita dell'autore sulla base di quanto sostenuto o agito dal protagonista delle loro opere, in Giappone "le opere letterarie venivano valutate come la manifestazione concreta della filosofia dell'autore" e i lettori costruivano l'opera sulla base delle informazioni possedute su di lui, la valutavano secondo il principio del makoto 真, dell'autenticità e dell'immediatezza dimostrate nell'esprimere i suoi sentimenti.[49][50][51]
Anni Cinquanta
[modifica | modifica wikitesto]Gli anni cinquanta furono il periodo in cui lo scrittore godette di maggior successo, anche come traduttore e critico letterario, soprattutto sull'onda del processo, conosciuto come "processo Chatterley", molto seguito dall'opinione pubblica, che lo tenne impegnato per diversi anni a difendere se stesso e la libertà di espressione. Su questa vicenda scrisse diversi saggi, tra cui Itō Sei shi no seikatsu to iken (伊藤整氏の生活と意見, trad.ː La vita e le opinioni di Sei Ito), pubblicato parallelamente alle prime sedute del procedimento penale che lo riguardava.[52]
L'amante di Lady Chatterley
[modifica | modifica wikitesto]Nel Giappone del dopoguerra le garanzie costituzionali sulla libera espressione avevano favorito il boom dell'editoriaː le 300 case editrici registrate nel 1945 passarono ad oltre 4.600 nel 1948. Stimolato da questo nuovo clima, l'editore Koyama Shoten intraprese nel 1950 la pubblicazione dell'opera omnia di D.H. Lawrence partendo dal suo libro allora più famoso e discusso, L'amante di Lady Chatterley, di cui circolavano molte edizioni pirata. Si rivolse come traduttore a Itō Sei che aveva già realizzato due traduzioni censurate nel 1935 e nel 1936 con altri editori.[53] Nonostante le perplessità dello scrittore, che temeva possibili conseguenze, Koyama decise di pubblicare la versione integrale, senza tagli, che uscì in due volumi tra aprile e maggio del 1950.[54]
Questa nuova edizione registrò un enorme successo, vendendo in due mesi circa 150.000 copie; il libro, tuttavia, fu quasi immediatamente posto sotto sequestro con l'accusa di oscenità, sulla base dell'articolo 175 del codice penale "Vendita di documenti osceni".[55] Il processo, iniziato nel 1951, durò diversi anni, per un totale di trentasei sedute e produsse oltre trenta volumi di verbali.[56] Itō e l'editore Koyama nel 1957 furono condannati in via definitiva e pagarono rispettivamente multe di 100.000 yen e 250.000 yen.[57]
Le due principali questioni sollevate nel processo furono se le norme relative ai documenti osceni violassero la "libertà di espressione" garantita dalla Costituzione e se, oltre all'editore, fosse giustificato incriminare anche il traduttore. Nella sentenza finale, che respinse ogni possibile ricorso, venne sostenuto che[57]
«Poiché non c'è dubbio che preservare l'ordine sessuale e mantenere il livello minimo di moralità sessuale costituisca il benessere pubblico, la traduzione in questione è considerata un documento osceno e la sua pubblicazione viola il benessere pubblico»
In un suo articolo del 1951, Itō spiegò che alla base del romanzo di Lawrence vi era la volontà di contrapporsi alla tendenza, diffusa nella società europea, di "ignorare la vita umana attraverso la distorsione e l'occultamento della sessualità, santificando il corpo"; lo scrittore irlandese aveva reagito "al disprezzo per la carne e il sangue e alla fallacia dell'idea cristiana che la vita spirituale fosse separata dalla carne", dopo un lungo periodo di guerra durante il quale i seguaci dell'insegnamento cristiano si erano massacrati gli uni contro gli altri, causando una devastazione spirituale. Secondo Itō, in accordo con la diffusa dottrina psicoanalitica, Lawrence sosteneva che l'impulso sessuale era alla base della formazione della personalità e con L'amante di Lady Chatterley aveva cercato di creare "una nuova immagine etica dell'uomo raffigurando la resurrezione della carne e del sangue."[58]
In un altro articolo di commento al processo in corso, intitolato Saiban e pubblicato sulla rivista Chūō kōron alla fine del 1951, affermò che la condanna del libro forniva "in modo del tutto inaspettato un diagramma dello stato degli intellettuali giapponesi nel periodo postbellico".[59]
Il clamore che accompagnò il processo rese il traduttore incriminato molto popolare ed aumentò l'attenzione sulle sue opere. Nel 1953 Itō pubblicò la prima puntata di una raccolta di saggi, Josei ni kansuru jū ni shō (女性に関する十二章, trad.ː Dodici capitoli sulle donne), che parlava di matrimonio, amore, emozioni, serializzato nel corso dell'anno sulla rivista Fujin Koron; l'anno successivo venne pubblicato come libro e diventò un bestseller, seguito da un film omonimo diretto da Kon Ichikawa.[60][61]
Nel 1953 godette di un certo successo anche il romanzo Hi no Tori (火の鳥, trad.ː L'uccello di fuoco) che utilizzava il flusso di coscienza, una combinazione di generi narrativi diversi e uno stile lirico leggermente malinconico per raccontare la storia del percorso di vita e del destino fallito dei giovani attori e attrici della Rose Troupe, emblema delle difficoltà esistenti nel Giappone nel primo dopoguerra; nel 1954 scrisse il saggio Introduzione alla letteratura 文学入門.[62]
Dopo essere stato serializzato nella rivista Chūō kōron, nel 1956 uscì come libro Wakai shijin no shōzō (若い詩人の肖像, trad.ː Ritratto di un giovane poeta) un romanzo autobiografico sul periodo della giovinezza dell'autore, dai tempi di scuola a quando decise di trasferirsi a Tokyo per farsi un nome come poeta.[57]
Secondo alcuni critici il Ritratto testimonia l'abbandono da parte dell'autore del modernismo e delle sue tecniche e l' "assorbimento del romanziere professionista nel mainstream", a seguito delle pressioni esercitate perché dimostrasse di essere un "buon giapponese" ed abbandonasse le sirene dell'Occidente.[63]
Storia del mondo letterario giapponese
[modifica | modifica wikitesto]Nihon Bundanshi (日本文壇史, trad.ː Storia del mondo letterario giapponese), una raccolta della storia del mondo letterario giapponese dal periodo Meiji al primo Taisho (lo studio si chiude con la morte di Natsume Sōseki nel 1916), uscì serializzata a partire dal 1952 e continuò fino alla morte di Itō nel 1969, quando venne raccolta in 18 volumi. La serie fu successivamente continuata dall'amico Shigeki Senuma e terminò nel 1976 per un totale di 24 volumi.[64]
L'opera presenta un resoconto storico dettagliato dell'establishment letterario giapponese, indagato in maniera ampia e critica come struttura sociale e culturale. Il bundan, la cui nascita è posta tra la fine degli anni '80 e '90 dell'Ottocento, è definito da Ito, una "fonte di identità e fratellanza", "un luogo per amici che condividevano una vita e una coscienza comuni", "un rifugio istituzionale dalla povertà, dall'oscurità e dall'incertezza".[65] Al suo interno, aspiranti scrittori vivevano e studiavano con un maestro, in una sorta di condizione di apprendistato, nella tradizionale relazione gerarchica giapponese oyabun-kobun (padre/figlio, maestro/discepolo).[66]
Gli studiosi hanno attribuito al termine bundan caratteri diversi, facendolo coincidere con l'intero mondo letterario, con una "comunità immaginata", che all'inizio del XX secolo diede a scrittori, editori, critici e lettori una casa spirituale, offrendo loro un'identità comune, o con una cerchia ristretta, con rivalità e comportamenti di gruppo; generalmente si ritiene che esso abbia svolto un ruolo rilevante nella produzione, ricezione e distribuzione delle opere letterarie, pubblicate quasi esclusivamente sulle cosiddette riviste di consorteria (dōjin o dōnin zasshi) e che come "corporazione" abbia limitato in qualche modo la libertà espressiva dei suoi membri, determinando e orientando il canone, gli standard, il contenuto e lo stile della produzione letteraria, che doveva strettamente collocarsi nell'alveo della "letteratura pura" (jun-bungaku), a lungo identificata con il "romanzo dell'io".[67][68][69][70]
Itō, che negli anni trenta fu partecipante e osservatore del bundan, storicizza e raccoglie informazioni e dettagli di questo mondo letterario, degli autori che ne hanno fatto parte, di come certe esperienze abbiano influenzato i loro testi, alla ricerca dei "fattori che hanno plasmato la mentalità degli scrittori giapponesi", studiati nel contesto della tradizione giapponese e dei modelli di pensiero orientali.[71][72]
Anche se in seguito alcune sue teorie sarebbero state criticate - "l'immagine non realistica del bundan, la sopravvalutazione dei periodi Meiji e Taisho come plasmatori del carattere della letteratura giapponese moderna e la sottovalutazione degli eventi drammatici del periodo Showa" - la sua ricostruzione del mondo letterario giapponese rimane uno dei punti di riferimento degli studi letterari giapponesi.[73]
Anni sessanta
[modifica | modifica wikitesto]Negli anni sessanta scrisse Hakkutsu (発掘 trad.ː Scavo), incentrato sul personaggio di Keizo, professore universitario di Tokyo che viene informato delle gravi condizioni in cui versa la sorella, colpita da un ictus.[74]
Il suo ultimo romanzo, Hen'yō (変容, trad.ː Trasformazione), scritto nel 1963, ha per protagonista un pittore sessantenne e affronta il tema della sessualità nella vecchiaia, mostrando come il desiderio, nonostante l'età, non venga meno.[75]
In questi anni Itō svolse un importante ruolo nella campagna avviata per la fondazione del Museo della letteratura moderna giapponese di cui, al momento della fondazione, divenne direttore.[76] Sostenne anche la Mostra della Letteratura di Hokkaido nel 1966 e la fondazione del Museo della Letteratura di Hokkaido nel 1967.[77]
Fu vicepresidente del Pen Club giapponese e nel 1968 divenne membro della Japan Art Academy.[75][78] Fino alla fine della sua vita lavorò alla sua opera principale, Storia del mondo letterario giapponese (1952-1969).
Nel 1969 fu ricoverato in ospedale per ostruzione intestinale, subì un intervento chirurgico e gli fu diagnosticato un cancro. Morì il 15 novembre al Cancer Research Association Hospital di Kamiikebukuro di Tokyo.[77]
Nel 1970 venne pubblicato postumo, e in forma incompiuta, Nen'nen no hana (年々の花, trad.ː Fiori annuali).
Riconoscimenti
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1970 è stato eretto un monumento in suo onore a Shioya, Hokkaido, su cui è stata incisa, con la calligrafia dell'autore, la poesia Il trovatello del mare dalla raccolta di poesie Dōng ye (冬夜, trad.ː Notte d'inverno, 1937).[77]
Nello stesso anno, quando Solzhenitsyn vinse il premio per il suo lavoro sull'Arcipelago Gulag, venne rivelato che Itō aveva ricevuto una candidatura al premio Nobel su iniziativa dello scrittore Junichi Watanabe.[79]
Nel 1990 la città di Otaru ha istituito il Premio Letterario Sei Itō, assegnato ogni anno a romanzi e saggi significativi di critica letteraria.[80]
Dopo la sua morte l'editore Shinchosha ha pubblicato tra il 1972 e il 1974 le opere complete di Itō in 24 volumi;[81] la sua prima biografia, 伝記 伊藤整 è uscita nel 1977 ad opera dello studioso Hiroyoshi Sone, ex professore della Nihon University Hiroyoshi Sone, scomparso nel 2016.[82]
Itō ha tenuto un diario dal tempo della Guerra del Pacifico fino alla sua morte nel novembre 1969. Il figlio Rei Itō lo ha in seguito raccolto e pubblicato in otto volumi. Questo materiale è importante non solo per gli studi sullo scrittore, ma anche per quelli riguardanti la letteratura giapponese del dopoguerra e la storia sociale.[83]
Opere (selezione)
[modifica | modifica wikitesto]Raccolte di poesie
[modifica | modifica wikitesto]- Yukiakiri no michi (雪明りの路, trad.ː Sentiero illuminato dalla neve), 1926
- Dōng ye (冬夜, trad.ː Notte d'inverno), 1937
- Itō Sei shishū (伊藤整詩集, trad.ː Raccolta di poesie di Itō Sei), 1958
Racconti e romanzi
[modifica | modifica wikitesto]- Kanjōsaibō no danmen (trad.ː Sezione trasversale delle cellule emozionali), 1930
- Seibutsusai (生物祭, trad.ː La festa degli esseri viventi), 1932 - raccolta di racconti
- Yūki no machi (trad.ː Città dei fantasmi ), 1937
- Ishi o nageru on'na (石を投げる女 trad.ː La donna che lancia le pietre), 1938 - raccolta di racconti
- Seishun (青春 trad.ː Giovinezza), 1939
- Machi to mura (街と村, trad.ː Città e villaggio), 1939 - raccolta di racconti
- Noriko no iki-kata (典子の生きかた trad.ː Lo stile di vita di Noriko), 1940
- Tokunō Gorō no seikatsu to iken (吉祥天女, trad.ː Vita e opinioni di Gorō Tokunō), 1941
- Tokunō Monogatari (得能物語), 1942
- Chichi no kioku (父の記憶, trad.ː Ricordi di mio padre) ,1943 - raccolta di racconti
- Narumi Senkichi (鳴海仙吉), 1950
- Hi no Tori (火の鳥, trad.ː L'uccello di fuoco), 1953
- Wakai shijin no shōzō (若い詩人の肖像, trad.ː Ritratto di un giovane poeta), 1956
- Yūwaku (誘惑, trad.ː Tentazione), 1957
- Hanran (氾濫, trad.ː Alluvione), 1958
- Niji (虹, trad.ː Arcobaleno), 1962
- Hen'yō (変容, trad.ː Trasformazione), 1963
Saggi
[modifica | modifica wikitesto]- Shin shinrishugi bungaku (新心理主義文学, trad.ː Nuova letteratura psicologica), 1932
- Shōsetsu no unmei (小説の運命, trad.ː Il destino del romanzo), 1937
- Geijutsu no shiso 芸術の思想, trad.ː Pensieri sull’arte), 1938
- Gendai no bundaku (現代の文学, trad.ː Letteratura moderna), 1939
- Watashi no shōsetsu kenkyū (私の小説研究, trad.ː La mia ricerca sui romanzi), 1939
- Bungaku to seikatsu (文学と生活, trad.ː Letteratura e vita) ,1941
- Manshū No Asa (満洲の朝 trad.ː Mattinate in Manciuria), 1941 - diario di viaggio
- Shōsetsu no Hōhō (ょうせつのほうほう, trad.ː Il metodo del romanzo), 1948
- Sei to bungaku (性と文学, trad.ː Sesso e letteratura), 1951
- Josei ni kansuru jū ni shō (女性に関する十二章, trad.ː Dodici capitoli sulle donne), 1953
- Itō Sei-shi no seikatsu to iken (伊藤整氏の生活と意見, trad.ː La vita e le opinioni di Ito Sei), 1953
- Kindai Nihon no bungakushi (近代日本の文学史, trad.ː Storia del mondo letterario giapponese), 1952-69
Traduzioni
[modifica | modifica wikitesto]- Mattinate in Messico di D.H. Lawrence, 1927
- Yurishiizu (ユリシイズ Ulisse di James Joyce, co-tradotto con Sada Nagamatsu e Hisanori Tsujino), 1931 - 1934
- Chatareifujin'nokoibito (チャタレイ夫人の恋人 " , trad.ː L'amante di Lady Chatterley di D.H. Lawrence), 1935, 1950
- Semakimon (狭き門, trad.ː La porta stretta di André Gide), 1935
- Shinchōshi (新潮l trad.ː Il ponte di San Luis Rei di Thornton Wilder), 1940
- Yogore naki jidai (汚れなき時代, trad.ː L’età dell’innocenza di Edith Wharton, 1941
- Shōkōjo (小公女, trad.ː La piccola principessa di Frances Hodgson Burnett, 1949
- Wakakusa monogatai (若草物語, trad.ː Piccole Donne di Louisa May Alcott), 1962
Adattamenti cinematografici
[modifica | modifica wikitesto]- Josei ni kansuru jū ni shō (女性に関する十二章, trad.ː Dodici capitoli sulle donne), 1954, diretto da Kon Ichikawa, Keiko Tsushima, Hiroshi Koizumi
- Hi no Tori (火の鳥, trad.ː L'uccello di fuoco), 1956, diretto da Umeji Inoue, Yumeji Tsukioka, Shin Date
- Kansho (感傷夫人, trad.ː La signora sentimentale), 1956, diretto da Kiyoshi Horiike, Yumeji Tsukioka, Saegusa Kitahara
- Yūwaku (誘惑, trad.ː Tentazione), 1957, diretto da Yasushi Nakahira, Izumi Ashikawa, Koreya Senda
- Hanran (氾濫, trad.ː Alluvione), 1959, diretto da Yasuzo Masumura, Fumiko Wakao, Toshinobu Saburi
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c (JA) 伊藤整 - 日本大百科全書, Nihon Dai Hyakka Zensho [Ito Sei, Enciclopedia del Giappone (Nipponica)], su kotobank.jp. URL consultato il 10 ottobre 2024.
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- ^ (JA) 尾形大『「文壇」は作られた 川端康成と伊藤整からたどる日本近現代文学史』書評 [Recensione del libro di Dai Ogata "Il mondo letterario è stato creato: una storia della moderna letteratura giapponese da Yasunari Kawabata e Sei Ito"], su bungaku-report.com, 23 maggio 2022. URL consultato il 13 ottobre 2024.
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- ^ (JA) 小樽文学館「『伊藤整日記』と近代文学研究者 曾根博義の仕事展」(2023年2月4日(土)〜3月26日(日)) [Museo della letteratura di Otaru "Mostra del 'Diario di Sei Ito' e del lavoro del ricercatore di letteratura moderna Hiroyoshi Sone" (sabato 4 febbraio 2023 - domenica 26 marzo 2023)], su bungaku-report.com, 2 febbraio 2023. URL consultato il 13 ottobre 2024.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Noriko Agatsuma Day, The outside within : literature of colonial Hokkaido, Los Angeles, University of California, 2012, OCLC 829951169.
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- Luisa Bienati, Paola Scrolavezza, La narrativa giapponese moderna e contemporanea, Venezia, Marsilio, 2009, ISBN 978-88-317-9774-0.
- (EN) Kirsten Cather, The Art of Censorship in Postwar Japan, Honolulu, University of Hawaii Press, 2012, OCLC 786447142.
- (EN) Stephen Dodd, Structures of colonialism in Itō Sei's “Yūki no machi”, in Bulletin of the School of Oriental and African Studies, vol. 76, n. 3, 2013, pp. 449-466.
- (EN) Edward Fowler, The Rhetoric of Confession: Shishosetsu in Early Twentieth-Century Japanese Fiction, Berkeley, University of California Press, 1988, OCLC 15856670.
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- (EN) Shirane Haruo, Tomi Sukuki, David Lurie (a cura di), The Cambridge History of Japanese Literature, Cambridge, Cambridge University Press, 2016, ISBN 978-1-107-02903-3.
- (EN) Toni Suzuki, Narrating the Self: Fictions of Japanese Modernity, Stanford University Press, 1996, ISBN 9780804725521.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Shishōsetsu
- Yokomitsu Riichi
- Takiji Kobayashi
- Modernismo
- Flusso di coscienza
- James Joyce
- Sigmund Freud
- L'amante di Lady Chatterley
Altri progetti
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Yōrō (養老?) è il nome dell'era giapponese ("nome dell'anno" (年号?, nengō), successiva all'era Reiki e precedente all'era Jinki. Si riferisce al periodo che va da novembre del 717 a febbraio del 724.[1] Regnante era l'imperatrice Genshō (元正天皇?, Genshō Tennō).[2][3][4]
Cambio di era
[modifica | modifica wikitesto]- 717. Yōrō gannen (養老元年): la precedente era finisce il 3° anno di Reiki, il 17° giorno dell'11° mese del 717.[5]
- 724. La successiva era Jinko inizia alla fine dell'8° anno di Yōrō, nel febbraio del 724.
Eventi dell'era Yōrō
[modifica | modifica wikitesto]- 717 (Yōrō 1, 3° mese): Il ministro della Destra (右大臣?, udaijin) Isonokami no Maro muore all'età di 78 anni.[6]
- 717 (Yōrō 1, 9° mese): L'imperatrice Genshō viaggia attraverso la provincia di Ōmi dove viene accolta dai signori di San'indō, San'yōdō e di Nankaidō e intrattenuta con canti e balli. Da lì, si sposta verso la provincia di Mino dove i signori di Tōkaidō , Tōsandō e Hokurikudō le porgono simili onori.[7]
- 718 (Yōrō 2): Vengono istituite la provincia di Noto e la provincia di Awa.
- 718 (Yōrō 2)ː Viene compilato sotto la direzione del ministro Fujiwara no Fuhito il Codice Yōrō (養老律令, Yōrō-ritsuryō ), una revisione del Codice Taihō.[8]
- 721 (Yōrō 5, 5° mese ): Il Nihon Shoki appena completato in 30 volumi viene offerto all'imperatrice.[9]
- 721 (Yōrō 5, 5° mese ): L'udaijin Fujiwara no Fuhito muore all'età di 62 anni.[10]
- 721 (Yōrō 5, 5° mese ): L'ex imperatrice Genmei, che nel 715 aveva abdicato in favore di Genshō, muore all'età di 61 anni.[10]
- 724 (Yōrō 8): L'imperatrice Gensho abdica a favore del nipote, l'imperatore Shomu.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ (EN) Louis-Frédéric Nussbaum, Yōro, in Japan Encyclopedia, Harvard University Press, 2002, p. 1058, ISBN 9780674017535.
- ^ (FR) Nipon O Dai Itsi Ran, ou, Annales des Empereurs du Japon, traduzione di Isaac Titsingh, London, Oriental Translation Fund of Great Britain, 1834, pp. 65-67, OCLC 1102607988.
- ^ (EN) Delmer M. Brown, Ichirō Ishida, 愚管抄: A Translation and Study of the Gukanshō, an Interpretative History of Japan Written in 1219, Berkeley, University of California, 1979, pp. 271-272, ISBN 9780520034600.
- ^ (EN) A Chronicle of Gods and sovereigns, Jinnō shōtōki, of Kitabatake Chikafusa, traduzione di H. Paul Varley, New York, Columbia University Press, 1980, pp. 140-141, OCLC 469699945.
- ^ Brown, p. 272
- ^ Titsingh, p. 65
- ^ Sitsingh, pp. 65-66
- ^ (EN) Asakawa Kan'ichi, The Early Institutional Life of Japan: A Study in the Reform of 645, Tokyo, Tokyo Shueisha, 1993, p. 13, OCLC 251208585.
- ^ Titsingh, p. 66
- ^ a b Titsingh, p. 67
Bibliografia
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Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Biblioteca della Dieta nazionale del Giappone, "The Japanese Calendar", su ndl.go.jp.
Yōrō | 1° | 2° | 3° | 4° | 5° | 6° | 7° | 8° |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Gregoriano | 717 | 718 | 719 | 720 | 721 | 722 | 723 | 724 |
Precedente: Reiki |
Era o nengō: Yōrō |
Successiva: Jinki |
Yōrō | 1° | 2° | 3° | 4t° | 5° | 6° | 7° | 8° |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Gregoriano | 717 | 718 | 719 | 720 | 721 | 722 | 723 | 724 |
Precedente: Reiki |
Era o nengō: Yōrō |
Successiva: Jinki |
Yōrō | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 |
greg. | 717 | 718 | 719 | 720 | 721 | 722 | 723 | 724 |
Età precedente | Nengō | Età successiva |
---|---|---|
Reiki | Yōrō | Jinki |
Il Codice Yōrō (養老律令?, Yōrō ritsuryō) è il corpus della legislazione penale (ritsu 律) e amministrativa (ryō 令) completato in Giappone nel 718 come revisione di alcuni codici precedenti, in particolare del Codice Taihō (大宝律令?, Taihō ritsuryō) del 701.[1]
Compilato sotto la direzione del ministro Fujiwara no Fuhito (659–720), prende il nome dall'era del Giappone in cui fu scritto, l'era Yōrō, che copre gli anni dal 717 al 724. Il codice, tuttavia, entrò in vigore solo nel 757, sotto il regno dell'imperatrice Kōken, per volere del ministro Fujiwara no Nakamaro (706–764).[2][3]
Il Codice Yōrō rappresenta l'ultima versione di una serie di codici (ritsuryō) messi a punto dalla seconda metà del secolo VII ai primi decenni del secolo VIII, che fornirono le basi di un sistema di governo, avviato con gli editti di riforma dell'era Taika (645-650), volto alla creazione di uno stato imperiale forte e centralizzato, ispirato al modello culturale e politico delle dinastie imperiali cinesi Sui e Tang.[4][5]
In quello che è stato definito “uno stato basato sui codici” (律令国家?, ritsuryō kokka), o sistema politico ritsuryō, il codice penale (ritsu 律) e il codice amministrativo (ryō 令) divennero lo strumento per affermare e consolidare l'autorità del tennō, stabilendo i suoi diritti su tutte le risorse agricole del paese, incorporando i notabili come ministri e funzionari nel nuovo sistema amministrativo e di controllo del territorio, creando un sistema uniforme di riscossione delle tasse e di coscrizione militare in tutto il paese.[2][6][7]
Sebbene segnali di declino di questo sistema giuridico, che raggiunse il suo apice nel periodo Nara (710-794), inizino a registrarsi fin dal periodo Heian (794-1185), a causa della difficoltà di applicazione della riforma fondiaria e fiscale e della resistenza dei poteri dei nobili e delle istituzioni religiose, esso ha rappresentato la base teorica del sistema amministrativo e di governo che sarebbe rimasto formalmente in vigore in Giappone fino all'era Meiji.[8][9]
Il Codice Yōrō, pur confermando nella sostanza principi già affermati nei codici precedenti e in particolare nel codice Taihō che lo ha preceduto, e con il quale viene spesso confuso, risulta importante perché ne rappresenta l'ultima revisione ufficiale e, a differenza degli altri codici, andati perduti, si è conservato in forma quasi integrale, grazie a commentari e a successivi documenti che ne hanno riportato ampi contenuti o frammenti.[10][11][8]
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Le riforme Taika avviarono un processo di affermazione dell'autorità imperiale sulle spinte autonomiste dei clan (uji) che si intensificò nel corso dei secoli VII e VIII con il lavoro di elaborazione di un corpus di leggi, o codici ritsuryō, che definirono la legislazione penale (ritsu) e civile/amministrativa (ryō) dello stato imperialeː i codici Ōmi-ryō (669), Asuka Kiyomihara (689), Taihō ritsuryō (702), Yōrō ritsuryō (757).[12]
Uno dei punti fondanti delle riforme fu l'abolizione della proprietà privata delle terre coltivate a riso, di cui l'imperatore acquisì progressivamente il controllo, divenendone il proprietario.[13] Gli interventi sul sistema politico e amministrativo vennero indirizzati alla creazione di una struttura di governo centrale costituita da ministri e funzionari a lui fedeli, estesa all'amministrazione e al controllo dei territori, alla creazione di un efficiente sistema di raccolta dei tributi e di riorganizzazione delle milizie attraverso la coscrizione obbligatoria.[14][15]
A livello di struttura politica vennero definite l'organizzazione e la gerarchia della corte imperiale e creati due principali organi di governo, ciascuno controllante un settore di attivitàː il Daijō-kan (太政官), o Gran Consiglio di Stato presieduto dal Cancelliere, che gestiva tutti gli affari amministrativi secolari del paese e da cui dipendevano otto ministeri, e il Jingi-kan (神祇官) o Dipartimento del Culto, che supervisionava tutte le questioni riguardanti il rituale Shintō, il clero e i santuari.[16]
Kōmin (公民, trad.ː cittadino)[17] e kōchi, (こ, trad.ː territorio statale), divennero gli altri elementi portanti di questa ridefinizione dei poteri imperialiː sulla grande massa della popolazione dei kōmin, i cittadini comuni senza rango, al di sotto dei quali si trovava la classe inferiore dei "non liberi", i senmin 賤民, "cittadini bassi" e gli schiavi, l'imperatore esercitava il suo controllo attraverso una fitta rete di funzionari e governatori assegnati a ciascun territorio, dettagliati censimenti effettuati ogni sei anni e registri della popolazione di cui le famiglie rappresentavano l'unità di baseː nell'anno 750 i funzionari, la struttura portante dell'apparato burocratico dello stato, raggiunsero circa 10.000 unità.[18][19]
Dopo la promulgazione del codice Asuka Kiyomihara nel 689 e del codice Taihō (大宝律令?, Taihō ritsuryō) compilato nel 701 e promulgato l'anno successivo, passarono sotto la giurisdizione della corte imperiale sessanta province (kuni) con a capo dei governatori (kokushi) nominati dalla corte; le province furono divise in distretti (kort) costituiti da villaggi (sato) di cinquanta famiglie ciascuno.[20] Un particolare sistema di divisione della terra, definito kobunden (口分田), regolamentava l'assegnazione dei terreni agricoli, principale fonte di sostentamento della popolazione, e la riscossione dei tributiː ad ogni kōmin veniva associata una quota individuale di kōchi, che serviva a garantirne la sussistenza, in cambio dell'assolvimento di determinati obblighi nei confronti dello Stato, come le tasse e la leva militare.[21]
Il codice rappresentò la base teorica del governo fino al XIX secolo, rappresentando le leggi formali dello stato fino all'era Meiji.[22][23] I gradi di corte e i titoli ufficiali sono rimasti gli stessi per tutta la storia giapponese, anche se nella maggior parte dei casi ridotti a titoli onorari.[24]
Edizioni e traduzioni
[modifica | modifica wikitesto]La versione del codice Yōrō, completamente annotata e glossata, è stata pubblicata in Giappone nel 1976 nella serie Nihon shisō taikei (NST) (日本思想大系) a cura di Mitsusada Inoue ed altri studiosi.[25]
Un'edizione in undici volumi dei codici giapponesi, Yakuchū Nihon ritsuryō 譯註日本律令, è uscita tra il 1978 e il 1999 per i tipi dell'editore Tōkyōdō Shuppan.[26]
La traduzione più nota e completa del Yōrō Ritsuryō, ampliata e aggiornata rispetto all'edizione NST, è quella in lingua tedesca dello studioso Hans Adalbert Dettmer (1927-2014), titolare fino al 1992 della cattedra di storia giapponese dell'Università della California. I primi due volumi, pubblicati nel 2009 e 2010, riguardano il Yōrō ryō, il codice amministrativo contenuto nel Yōrō ritsuryō, il cui testo è ricavato principalmente dal commentario Ryō no gige promulgato nell'835 e pubblicato nel 1959 nello Shintei zōho Kokushi taikei a cura dello storico giapponese Kuroita Katsumi.[27][28]
Nel 2012 è uscito il terzo volume traduzione e commento del Yōrō ritsu, il codice penale, ricostruito attraverso documenti recuperati durante il periodo Tokugawa da una varietà di fonti giapponesi.[29] I tre volumi di Dettmer, completati nel 2014 dall'Indice Generale (Generalindex der deutschen Übersetzung), non costituiscono solo una traduzione, ma sono accompagnati da un approfondito e dettagliato commento con centinaia di citazioni e note bibliografiche a studi occidentali e giapponesi.[30]
Nel 2008 e 2011 sono usciti i due volumi di Francine Hérail, Recueil de décrets de trois ères méthodiquement classés, traduzioni e commenti della legislazione supplementare allo Yõrõ ritsuryõ, come registrato nel Ruijü sandai kyaku, una raccolta dei decreti, ordinanze, emendamenti, chiarimenti o specificazioni della legislazione Nara ed Heian, emessi durante le tre ere Kõnin, Jõgan ed Engi, rispettivamente nell'820, 868 e 907, e unificati all'inizio dell'XI secolo in un'unica raccolta.[31][32] Quest'opera di Hérail è ritenuta essenziale per lo studio della vita politica e sociale ed economica dei primi tre secoli di applicazione dei codici e dei molteplici modi in cui i codici e le pratiche sociali che avrebbero dovuto regolare interagivano tra di loro.[33][34]
Nel 2010 si è costituito un gruppo di studio di studiosi statunitensi e giapponesi presso il Dipartimento di Storia dell'Università della California del Sud a Los Angeles, il Ritsuryō Translation Project, che si è posto come obiettivo la raccolta e la pubblicazione online ad accesso aperto della traduzione inglese delle sezioni del codice Yōrō che riguardano la storia delle donne e i rapporti di genere.[35]
Conservazione e fonti del Codice Yōrō
[modifica | modifica wikitesto]Scritti in cinese e progettati secondo il modello della dinastia Tang, il Codice Taihō e il Codice Yōrō erano divisi in due partiː il codice civile (ryō) e il codice penale (ritsu).[11]
Del Codice Taihō sono rimasti solo alcuni frammenti; ne abbiamo conoscenza indiretta grazie alle successive revisioni, come il Codice Yōrō che si ritiene essere una versione ad esso simile, e ai Sandai-Kyaku-Shiki (Decreti e regolamenti di tre ere), le tre raccolte di decreti supplementari (kyaku 格), protocolli (shiki 式 ), ordinanze, emanati durante il IX e l'inizio del X secolo, per modificare o integrare le disposizioni dei codici o precisarne l'applicazione agli organi amministrativi, ministeri, dipartimenti.[10][11][36]
La scomparsa del Codice Taihō, secondo George Bailey Sansom, avrebbe condotto diversi studiosi a indicare erroneamente con questo nome il Codice Yōrō, che, a sua volta, tuttavia, non è sopravvissuto nella sua forma originaria.[8]
Yōrō ritsu
[modifica | modifica wikitesto]Il codice penale, cioè lo Yōrō ritsu, è andato perduto e solo alcune parti si sono conservate integralmente. Si ritiene che esso, più del codice amministrativo, seguisse i principi e le forme dei codici cinesi.[37]
Hans Adalbert Dettmer, autore della traduzione in lingua tedesca del Yōrō ryō, nel terzo volume della sua opera sui codici Yōrō ha pubblicato una traduzione e un commento del ritsu, ricostruito attraverso frammenti di vari codici recuperati da una varietà di fonti giapponesi; gli statuti sopravvissuti sono solo dieci dei trenta originari (159 su 500 articoli).[29] Nel suo libro Dettmer non traduce i frammenti, ma solo le parti superstiti, cinque capitoli di quattro libri (1,3,7,8), ossia circa un terzo del testo originarioː [38]
- Cap. 1, Libro 1ː Myōrei-ritsu 名例律 (Termini e principi generali)
- Cap. 2, Libro 3ː Egon-ritsu 衛禁律 (Guardie di palazzo)
- Cap. 3, Libro 3. Shikisei-ritsu 職制律 (Organico d'ufficio)
- Cap. 7, Libro 7ː Zokutō-ritsu 賊盗律 (Furti)
- Cap. 8, Libro 8ː Tsōhō-ritsu 闘訟律 (Azioni giudiziarie)
L'elenco completo dei capitoli contenuti nel Yōrō ryō è stato descritto anche da Carl Steenstrup nel suo A History of Law in Japan until 1868 (1991). I titoli dei dodici capitoli, contenenti in totale circa cinquecento articoli, sono stati così tradotti dallo studioso daneseː Definitions of Terms; Palace Guards; Officials; Census; Official Stores; Unauthorized Raising of Troops; Robbery; False Charges; Frauds; Diverse Provisions (e.g. on weights and measures); Criminal Procedure; Arrest and Prison.[39]
Yōrō ryō
[modifica | modifica wikitesto]A differenza del codice penale (Yōrō ritsu), il codice amministrativo (Yōrō ryō 養老令, Codice amministrativo dell'era Yōrō) si è quasi interamente conservato grazie alla sua trascrizione nei commentari, come il Ryō no Gige (令義解) e il Ryō no Shūge, entrambi compilati nel secolo successivo.[40]
Mentre il Ryō no Gige (令義解, Commentario al Codice amministrativo), completato nel 834, il primo dell'era Jōwa, rappresenta una versione ufficiale, approvata dalla corte, il Ryō no Shūge (令集解, Raccolta di commenti sulle leggi amministrative), compilato dal professore di diritto Koremune no Naomoto tra l'859 e l'880 è ritenuto un testo non ufficiale ma privato.[40][41][42]
Entrambi i Commentari risulterebbero privi dei due capitoli riguardanti i magazzini ufficiali (倉庫令, sōko -ryō ) e lo statuto del servizio medico (医疾令, ishitsu-ryō)[40], il cui contenuto è stato ricostruito a posteriori a partire da altri estratti.[1]
Contenuto
[modifica | modifica wikitesto]Il codice Taihō, promulgato nel 701 e sottoposto a diverse variazioni nel corso del tempo, era composto da undici libri o rotoli (maki 巻) i riguardanti l'amministrazione (ryō) e da sei relativi al diritto penale (ritsu).[8]
Il Codice Yōrō, così come riportato nel Ryō no Gige, nella parte riguardante la legislazione amministrativa (Yōrō ryō) comprende dieci libri o rotoli e complessivi 947 articoli, suddivisi in trenta sezioni, così strutturateː[43][44][39]
Libro | Sezione | Titolo | Descrizione | N. articoli |
---|---|---|---|---|
I | 1. | Kani-ryō 官位令 | Leggi sui ranghi di corte | 19 |
2. | Shikiin-ryō 職員令 | Leggi sulle nomine agli uffici e alle cariche della corte imperiale | 80 | |
3. | Kōkyū Shikiin-ryō 後宮職員令 | Leggi sulle nomine del personale del Palazzo Posteriore | 18 | |
4. | Tōgū Shikiin-ryō 東宮職員令 | Leggi sulle nomine del personale del Palazzo del principe ereditario | 11 | |
5. | Karei Shikiin-ryō 家令職員令 | Leggi sulle nomine del personale delle famiglie reali e nobili | 8 | |
II | 6. | Jingi-ryō 神祇令 | Leggi del Ministero di Culto | 20 |
7. | Sōni-ryō 僧尼令 | Leggi sui monaci e le monache | 27 | |
III | 8. | Ko-ryō 戸令 | Leggi sulle unità di residenza (famiglie) | 45 |
9. | Den-ryō 田令 | Leggi sulle coltivazioni di riso | 37 | |
10. | Fueki-ryō 賦役令 | Leggi sui tributi e il servizio militare | 39 | |
11. | Gaku-ryō 学令 | Leggi sulle scuole per la formazione dei funzionari | 22 | |
IV | 12. | Senjo-ryō 選叙令 | Leggi sulle promozioni | 38 |
13. | Keishi-ryō 継嗣令 | Leggi sull'eredità e le successioni | 4 | |
14. | Kōka-ryō 考課令 | Leggi sulla valutazione dei funzionari | 75 | |
15. | Roku-ryō 禄令 | Leggi sulla retribuzione dei funzionari | 15 | |
V | 16. | Kue-ryō 宮衛令 | Leggi sulla difesa del Palazzo Residenziale | 28 |
17. | Gunboryo-ryō 軍防令 | Leggi sulla difesa militare | 76 | |
VI | 18. | Giseiryo-ryō 儀制令 | Leggi sui protocolli cerimoniali | 26 |
19. | Ifuku-ryō 衣服令 | Leggi sull'abbigliamento | 14 | |
20. | Eizen-ryō 営繕令 | Leggi sulla costruzione e manutenzione di opere pubbliche | 17 | |
VII | 21. | Kushiki-ryō 公式令 | Leggi sugli atti pubblici | 89 |
VIII | 22. | Sōko-ryō 倉庫令 | Leggi sui magazzini governativi e la gestione del loro contenuto | 16 |
23. | Kumoku-ryō 厩牧令 | Leggi sulle scuderie ufficiali, l'allevamento e la cura dei cavalli | 28 | |
24. | Ishitsu-ryō 儀制令 | Leggi sui medici e sulle pratiche mediche | 26 | |
IX | 25. | Kenyō-ryō 仮寧令 | Leggi sulle ferie e sui permessi dei funzionari | 13 |
26. | Sōsō-ryō 喪葬令 | Leggi sulle pratiche funebri e sul lutto | 17 | |
27. | Genshi-ryō 関市令 | Leggi su barriere doganali, mercati e commercio | 20 | |
28. | Homō-ryō 捕亡令 | Leggi su prigionieri, fuggitivi e schiavi | 15 | |
X | 29. | Goku-ryō 獄令 | Leggi sulla detenzione | 63 |
30. | Zō-ryō 雑令 | Leggi su questioni varie | 41 |
Le prime cinque sezioni del codice consistono principalmente in elenchi che catalogano la struttura burocratica dello stato centralizzato, definendo la classificazione, i gradi, i ruoli e le responsabilità dei funzionari, un lavoro estremamente arduo per i traduttori che hanno dovuto trovare equivalenti linguistici appropriati per rappresentare nel dettaglio l'antica burocrazia giapponese.[45] Il primo dei due volumi pubblicati da Hans A. Dettmer di traduzione e commento del codice amministrativo (Yōrō ryō), oggetto dei suoi studi fin dagli anni cinquanta del Novecento, è concentrato sul primo libro e contiene oltre 5400 note a piè di pagina e un glossario finale di 3600 parole.[27]
Al contrario del sistema amministrativo cinese fondato sul merito, quello giapponese, per il quale la gerarchia era il fondamento dello stato, si basava sul rangoː le cariche venivano assegnate ai titolari in base al rango ereditato e il sistema di ranghi e titoli stabiliti nel codice Taihō rimase quasi del tutto invariato per tutta la storia giapponese, anche se nella maggior parte dei casi molti titoli vennero ridotti a onorificienze.[24] Il codice non tratta né del ruolo né delle prerogative dell'imperatore.[1]
Altre sezioni, oltre alle prime cinque, riguardano i funzionari e normano la loro formazione, le promozioni, gli emolumenti e i congedi, l'abbigliamento distinto per ogni grado, rendendo gli articoli ad essi dedicati la parte più consistente del codice amministrativo. Nel Kūjiki-ryō 公式令 (Leggi sui documenti ufficiali), corrispondente al capitolo 21 del Yōrō ryō, ventidue su ottantanove articoli sono destinati a regolamentare i formati degli atti ufficiali, come editto, petizione, notifica, nomina, registro e lasciapassare, fornendo informazioni sulle loro formule di apertura e chiusura, sul carattere del testo principale e sulle procedure da seguire nella loro compilazione.[46]
Un'importante sezione è quella contenuta nel terzo libro, intitolata Ko-ryō e relativa alle leggi riguardanti le famiglie o "unità di residenza" (ko 戸), l'unità amministrativa di base per la gestione della popolazione.[47] Composto da circa venti-trenta membri, tra cui tre o cinque maschi adulti, il ko è stato definito da diversi studi, a partire dagli anni cinquanta del Novecento, come una struttura "artificiale" (la teoria del "ko artificiale" è stata chiamata henko), perché creata solo ai fini della tassazione e della coscrizione e basata su una struttura patrilineare fittizia.[1][48][49] Nella sezione del Ko-ryō vengono disciplinate l'organizzazione, la gerarchia del gruppo familiare, la redazione dei registri di famiglia, il matrimonio e il divorzio, l'ordine sociale che includeva i nati liberi (ryōmin 良民) e le persone vincolate (senmin 賎民), le responsabilità dei governatori provinciali (kokushi 国司) e dei capi distretto (gunji 郡司).[50]
Secondo quanto disposto dal codice, in linea con la pratica cinese, l'unità di produzione di base è identificata con una famiglia organizzata patriarcalmente, in cui i coniugi vivevano insieme; tuttavia, diversi studi storici e antropologici hanno evidenziato come tali famiglie non costituissero la norma nel Giappone del tempo, e come allora non vigesse alcuna distinzione tra i lignaggi materni e paterni; gli stessi legami coniugali erano di fatto fluidi e instabili e le coppie sposate vivevano spesso separatamente, un sistema noto come tsumadoikon (matrimonio di visita), mutato nella forma di coabitazione, yometorikon, solo durante il periodo Murumachi.[51]
Ulteriori articoli disciplinano la gerarchia di strutture amministrative territoriali - kuni (provincia), gun (distretto) e sato (villaggio) - ruoli e responsabilità dei rispettivi responsabili. I kokushi nominati dalla corte per sovraintendere le province, presiedevano alla registrazione dei membri, alla supervisione della distribuzione delle terre coltivate e all'assegnazione del riso ai membri dei ko per la coltivazione, alla riscossione e invio delle tasse e alla mobilitazione dei coscritti.[48][52]
Yamato no Nagaoka (698–769) è ritenuto uno degli autori del Codice Yōrō; figlio di un assistente ministro della giustizia, dopo essere rientrato in patria dalla Cina, dove si recato nel 716 per studiare il sistema legale Tang, sarebbe diventato una delle massime autorità nel campo del diritto.[53][54]
Alla prima scrittura del codice, iniziata nel 716 (Reiki, 2) e completata nel 718 (Yōrō, 2), partecipò il ministro del Daijō-kan Fujiwara no Fuhito, che aveva già preso parte al processo di elaborazione del codice Taihō.[55]
Modifiche apportate dal Codice Yōrō
[modifica | modifica wikitesto]Tra le modifiche al precedente codice Taihō, alcuni studiosi hanno rilevato, nella sezione del diritto successorio, il cambiamento della quota spettante all'erede principale, passata dalla metà dell'eredità, prevista nel Taihō, ad una quota che non doveva superare il doppio dei beni destinati agli eredi nel codice Yōrō.[1] [56] Nella sezione relativa ai servizi obbligatori che i cittadini erano chiamati a rendere allo Stato, l'aumento del numero di soldati (heishi) che proporzionalmente ogni famiglia doveva fornire alla coscrizione militare, con obbligo di provvedere al cibo e alle armi, venne modificata da uno ogni quattro maschi di età compresa tra ventuno e sessant'anni, ad uno ogni tre.[57]
Per quanto riguarda le disposizioni per monache e monaci (Sōni ryō), è stata rilevata l'introduzione del divieto rivolto alle donne di visitare i quartieri dei monaci e viceversa, tranne che in circostanze speciali (malattia o istruzione).[58] Secondo Suzuki Masataka tale divieto si sarebbe esteso anche alle montagne sacre, trattate come templi.[59] Secondo altri autori, il codice, introducendo una legislazione più restrittiva in materia di pratiche magiche e divinatorie, avrebbe inoltre ristretto l'attività delle sciamane solo ai santuari ufficiali, dove tuttavia, a differenza delle loro controparti maschili, esse non ricoprivano alcun incarico formale. Per le sciamane che violavano questa disposizione nel periodo Heian venne prevista la condanna all'esilio.[60]
Differenza con i codici cinesi
[modifica | modifica wikitesto]Sebbene i codici della dinastia Tang abbiano fatto da modello per il ritsuryō, essi erano espressione di realtà e strutture sociali, politiche e idee religiose diverse. Mentre il codice penale giapponese (ritsu) sembra essere stato molto simile a quello della Cina Tang, le sezioni del codice amministrativo evidenziano l'apporto di diverse modifiche, rispondenti all'esigenza di adattare le norme alle pratiche sociali del Giappone dell'VIII secolo e ai molteplici aspetti della tradizione indigena.[61]
Il reclutamento dei funzionari previsto dal Codice Yōrō non si basa sulla meritocrazia, come quello applicato dal codice Tang (un sistema di esami), ma su un criterio che salvaguarda il lignaggio.[37] La figura imperiale continua ad essere fondata sulle credenze shintoiste e non rinuncia al potere spirituale che da esse deriva; al culto shintoista è dedicato anche il Ministero delle Divinità, Jingi-kan (神祇官) che supervisiona il clero e i santuari.[62]
In materia di matrimonio, rispetto al codice Tang non viene perseguito quello compiuto all'interno dello stesso gruppo familiare.[37] Anche lo status riconosciuto alle donne è diversoː i codici giapponesi riconoscevano alla categoria legale onna 女, "donna", uno status giuridico autonomo, non legato allo stato civile, al contrario dei codici Tang, per i quali le donne esistevano solo in riferimento ad altri membri maschili della famigliaː il padre, il marito o il figlio.[63]
Relazioni di genere nel Codice Yōrō
[modifica | modifica wikitesto]Sekiguchi Hiroko nel suo studio sullo status sociale di uomini e donne nell'antico Giappone ha evidenziato il divario esistente tra la pratica sociale e le prescrizioni contenute nei codici ritsuryō relative alle relazioni di genere, derivanti dai codici cinesi Tang fondati sul paradigma della famiglia patriarcale come principio di organizzazione sociale.[64]
Yōrō ryō. Libro 2, sezione 8, Ko-ryōko
[modifica | modifica wikitesto]Analizzando la sezione del codice amministrativo Yōrō (Yōrō ryō) riguardante le famiglie o "unità di residenza" (Libro 2, sezione 8, Ko-ryōko), che fornisce il quadro delle strutture della famiglia, del matrimonio e dell'organizzazione del lavoro, Sekiguchi ha rilevato come le disposizioni riguardanti le forme di proprietà familiare che privilegiavano la linea patrilineare nella figura del "capofamiglia", di derivazione cinese, risultassero incongruenti con la famiglia matrilineare ancora molto diffusa nel Giappone dell'VIII secolo, di cui emergono testimonianze nei registri censuari.[65]
Discordanti con quanto disposto dai codici, nota la studiosa, sarebbero la sostanziale assenza di un patriarca come capofamiglia formale nella famiglia giapponese di quel periodo e la situazione di parità di genere nel possesso della proprietàː le donne erano detentrici e amministratrici di beni, prestatrici di denaro in transazioni commerciali e private, uno status confermato anche da altri studi in materia.[66] La ricerca condotta dalla docente di storia giapponese alla Teikyō University Yoshie Akiko, ad esempio, ha rilevato l'esistenza, nell'VIII e IX secolo, di donne indipendenti chiamate toji, che ricoprivano un ruolo importante nella società rurale nella gestione delle imprese agricole e nella supervisione del lavoro degli abitanti del villaggio, al di fuori del quadro ufficiale del ko.[67]
Anche per quanto riguarda le clausole matrimoniali e di divorzio - come i sette motivi di ripudio della moglie (shichishutsu, art. 28. Libro III, sezione 8),[68] e il divorzio obbligatorio (gizetsu) disciplinati dal Codice - esse contrasterebbero con la consuetudine, allora diffusa, di non differenziare lo status di moglie da quello di concubina e la rispettiva prole, perché la famiglia costituita dal matrimonio di coppia non era ancora un'unità istituzionalizzata, mentre risulta normata e distinta nei codici.[69][64] Sekiguchi ha osservato come in Giappone il matrimonio non influisse sullo status sociale della donna, che, anche se sposata, manteneva lo status di individuo. Tutti gli uomini e le donne dai sei anni in su ricevevano la propria porzione di terra, anche se in quote diverseː due tan di terra[70] erano corrisposti ad ogni maschio, due terzi di tale quota ad ogni femmina.[71][72] Vari documenti di vendita e di eredità dimostrerebbero infine che le donne avevano il diritto di ereditare e di trasmettere beni e risorse.[73]
Yōrō ryō. Libro 1, sezione 3, Kōkyū Shikiin-ryō
[modifica | modifica wikitesto]Gli aspetti di genere legati alla sezione del Yōrō ryō relativa alle unità di residenza (Libro 3, Sezione 8) sono stati approfonditi nel secondo decennio del XXI secolo dal gruppo di studio Ritsuryō Translation Project, all'interno del Project for Premodern Japan Studies dell'Università della California del sud a Los Angeles.[35] L'indagine sulle strutture e pratiche di genere nel Giappone del VIII secolo inscritte nella legislazione del tempo, si è successivamente estesa alla traduzione e all'analisi di altri capitoli del Yōrō ryō, come quello relativo ai diritti e doveri delle funzionarie in servizio presso la corte imperiale, in particolare presso il Palazzo posteriore, dove risiedevano le consorti dell'imperatore fino agli anni settanta del VIII secolo; nell'era successiva (Kanmu, 781-806) esse, insieme alle consorti di secondo rango e inferiori, sarebbero state trasferite nel palazzo residenziale.[74][35]
L'esistenza di una specifica sezione dello Yōrō ryō riservata alle funzionarie che prestavano servizio vicino all'imperatore e all'imperatrice (Libro I, sezione 3ː Kōkyū Shikiin-ryō 後宮職員令, Titoli delle donne funzionarie del Palazzo posteriore), avrebbe dimostrato, secondo le autrici dello studio, l'importanza rivestita dagli incarichi ricoperti dalle donne nella corte dell'VIII secolo, di cui un importante riferimento letterario, oltre che storico, è rappresentato dai racconti contenuti nel Genji monogatari di Murasaki Shikibu.[75]
Nella sezione Kōkyū Shikiin-ryō, composta da diciotto articoli, vengono definiti titoli, nomina e status delle funzionarie e delle nobildonne reali dei dodici uffici del Palazzo posteriore (kokyu 後宮). I primi articoli riguardano le mogli dell'imperatore, chiamate collettivamente kisaki 后, con esclusione della principessa consorte (皇后?, kōgō). Per le kisaki il sistema risuryo prevedeva quattro livelli gerarchici, ognuno dei quali corrispondente ad uno specifico rangoː le mogli di secondo, terzo e quarto livello erano considerate pubblici ufficiali 職員令 e mantenevano un significativo grado di indipendenza che consentiva loro, ad esempio, di far vivere le loro famiglie e i loro figli fuori dal palazzo.[76] L'imperatrice era invece a pieno titolo partner del monarca nel governo del regno.[77]
Le funzionarie dei dodici uffici del Kōkyū, tutte donne, vengono definite nei codici "cortigiane" (宮人?, miyabito), o dame di corte (女官?, nyokan), un termine alternativo apparso alla fine dell'VIII secolo.[78]
Il più grande dei dodici uffici del Palazzo, quello delle ciambellane (naishishi 内侍司) - altri uffici erano ad esempio la tesoreria, la biblioteca, l'armeria, l'ufficio delle forniture, dell'acqua potabile - occupava oltre cento funzionarie; aveva il compito di gestire il servizio quotidiano per i tennō, tra cui quello di presentare e trasmettere gli ordini reali.[79] La nomina a direttrice responsabile di questo ufficio durante il IX secolo veniva spesso attribuita alle mogli dell'imperatore. Gli studi condotti rilevano come questo ufficio svolgesse un ruolo importante nel volgere i comandi orali del sovrano in editti scritti.[80]
La retribuzione di una funzionaria[81] era pari alla metà di quella di un funzionario dello stesso grado (Libro 4, Sezione 15ː Rokuryo 禄令, articolo 10); diversamente, le consorti dell'imperatore erano remunerate come i funzionari ufficiali di pari grado (Libro 4, Sezione 15ː Rokuryo, art. 12), e quelle di alto grado godevano di un proprio staff, costituito da personale pagato con risorse governative.[82]
La funzionaria di grado più alto a corte era la direttrice della tesoreria, un ufficio cui veniva affidata la gestione delle regalie e dei simboli dell'autorità reale, tra cui i sigilli, le insegne e i lasciapassare, oltre che vari oggetti preziosi.[83]
La differenza sostanziale con i codici Tang, conclude lo studio, è che mentre in questi ultimi non erano previsti membri femminili della burocrazia, nel codice Yōrō c'erano funzionarie che non solo svolgevano incarichi importanti, ma che avevano anche propri gradi; nei codici cinesi le donne erano rappresentate solo come mogli, madri, figlie, consorti o servitrici, e l'equivalente del Palazzo posteriore era spesso indicato come un haremː alla corte Tang il direttore del Ministero degli Assistenti di Palazzo (Neishihsheng 内侍省) era un eunuco.[84][85]
Efficacia e durata dei codici ritsuryō
[modifica | modifica wikitesto]Nel corso del Novecento gli studiosi occidentali hanno espresso valutazioni controverse sul sistema giuridico e sul modello di centralizzazione e burocratizzazione mutuato dalle forme di governo e di amministrazione cinese, sulla sua applicazione, efficacia e durata.[86]
Uno dei primi studiosi, George Sansom, ha sottolineato il rapido declino che le istituzioni amministrative avrebbero attraversato nel periodo Heian (794-1185), mentre negli anni ’60 e ’70, i gruppi di ricerca formatisi intorno ad Edwin Reischauer dell'Università di Harvard ed a John Hall dell'università di Yale, hanno rimarcato il successo ottenuto da questo sistema e la duratura influenza da esso esercitata sulla storia del Giappone, sottolineando come il governo Heian avesse realizzato una “fusione” unica tra una “concezione aristocratica della società” indigena e “tecniche burocratiche importate dalla Cina".[87]
Negli anni '70 e '80, da parte di alcuni studiosi, è stata confermata la resistenza, la tenuta e la sopravvivenza della struttura statale e del potere della corte su modello cinese, pur non negando, in alcuni casi, il cambiamento istituzionale avvenuto nei periodi Nara e Heian.
il sistema giuridico tradizionale raggiunse la sua maturità nella metà del periodo Nara e iniziò a declinare nel periodo Heian.
Le basi stesse del governo ritsuryō e del sistema "ad alta intensità di autorità" cominciarono a sgretolarsi a causa della difficoltà di attuare il sistema di assegnazione basato sui registri censimentari e della conseguente diminuzione delle entrate statali. In primo luogo il governo centrale calcolò le tasse sulla base delle unità fondiarie anziché sugli individui; in secondo luogo rinunciò ai dettagli dell’amministrazione degli affari provinciali, lasciando le questioni locali ai governatori e ai funzionari residenti locali ( zaichō kanjin ) che erano principalmente responsabili di inoltrare a Heian una specifica quantità di imposta.[7]
"All'inizio del X secolo, il generale decadimento del sistema del rituryo era ben avanzato".[88] Bilancioː gli sforzi di riforma promossi dai codici ritsuryo e l'emulazione tentata con lo stile e le istituzioni della Cina della dinastia Tang non si realizzarono pienamente, anche se gli imperatori giapponesi fecero proprio, con l'adesione al confucianesimo, il presupposto della responsabilità morale di conseguire il benessere dei loro sudditi. Gran parte della vecchia aristocrazia legata ai gruppi familiari mantenne il potere nelle province e continuò ad essere fonte di rivalità e conflitto per il trono imperiale; non si formò una classe di funzionari selezionata sulla base dell'istruzione e del merito, perché per lo più continuò ad essere reclutata tra la nobiltà ereditaria della corte, l' élite uji; la nazionalizzazione dei terreni agricoli e la tassazione di tutti i contadini non ebbero mai una completa applicazione.[89][15]
L'effetto benefico dei codici come strumento di modernizzazione è stato sostenuto da Carl Streenstrup, che ne ha esaminato anche il rapporto con i codici cinesi da cui avrebbe tratto ispirazione. Secondo lo studioso danese, mentre tale derivazione sarebbe visibile nella struttura dei ritsuryō, nella sostanza il contenuto del ryo giapponese differirebbeː lo status della donna, ad esempio per quanto riguarda il diritto successorio giapponese, a suo parere sarebbe più avanzato di quello cinese, così come risulterebbe più snella la struttura amministrativa, con i due organi centrali. Streenstrup ammette tuttavia che il principio ereditario del reclutamento in Giappone avrebbe influito negativamente sull’efficienza degli uffici, rendendo necessaria dopo cento anni una semplificazione del funzionamento della macchina amministrativa. Per quanto riguarda il ritsu, invece, Streenstrup nota come le definizioni cinesi di crimine siano state riprodotte dai codici cinesi, pur applicando punizioni meno crudeli di quelle vigenti in Cina, grazie all'influenza del Buddismo. [90]
L'ordine e la pace che i nuovi codici contribuirono a mantenere, nonostante l'irreggimentazione e gli aumenti fiscali che causarono, favorirono un aumento la popolazione, tanto che la terra non fu più sufficiente. Poco dopo il 700 furono avviati grandi progetti di bonifica e nel 723 si invogliarono nuovi investimenti con la promessa che le nuove terre coltivate potevano essere privatizzate e riservate per tre generazioni a chi le aveva fatte diventare produttive, favorendo di fatto la fuga dal controllo statale del territorio che i codici avevano in parte sconfitto.[91]
Contraddizioni del sistema fondiario. Periodo Heianː struttura sociale, amministrazione, organizzazione economica e governo locale.
Nella prima metà dell'VIII secolo la crescita demografica e l'abbandono delle terre da parte di molti contadini a causa della forte pressione cui erano sottoposti, condussero il governo ad adottare come provvedimenti la riduzione delle tasse e l'assegnazione, avvenuta a due riprese, nel 723 e 743, di diritti di possesso privati ereditari (per una o tre generazioni) ed esenzione dalle tasse per coloro che avessero bonificato e messo a coltura nuove terreni; tali provvedimenti, che intaccarono il principi cardine delle precedenti riforme, quello delle «terre pubbliche» e dei «diritti dell’Imperatore sulle risorse agricole del Paese», ebbero come conseguenza un aumento dei possedimenti della grande nobiltà e del clero che si servirono della manodopera dei contadini senza terra, indebolendo il potere centrale, un rafforzamento dell'autorità degli uji nelle province e una riduzione delle entrate fiscali da parte del governo. [92]
https://nihonryoiki.zenwort.de/nr_exkurse/nr_exRitsuryo.html
Note
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- ^ Nel suo studio pionieristico pubblicato nel 1932 sul codice Yōrō, Sansom aveva proposto la traduzione del termine "ko" nell'inglese "households"; nel 1966 John Whitney Hall aveva inteso con questo termine "gruppi residenziali locali [...] teoricamente basati sull’organizzazione familiare”. Nel primo decennio del XXI secolo, sulla scorta dei risultati ottenuti da nuove ricerche, "ko" è stato tradotto con “residence unit”, con riferimento ad "un’entità legale prescrittiva, piuttosto che a un gruppo di parenti co-residenti". Cfr. Sansom, p.71; Miller; Yoshie, Ijuin, Piggott, pp. 372, 376
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- ^ Un tan corrisponde poco più a mille metri metri quadrati. Cfr.ː Caroli-Gatti, p. 25
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Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Ritsuryō Translation Project, su uscppjs.org. URL consultato il 30 giugno 2024.
Codice Omi
[modifica | modifica wikitesto]Il codice Ōmi (近江令ōmiryō ? ) è una raccolta di norme governative compilata nel 668 e ritenuta la prima raccolta di leggi Ritsuryō nel Giappone classico. Queste leggi furono compilate da Fujiwara no Kamatari sotto l'ordine dell'imperatore Tenji. Questa raccolta di leggi è oggi perduta e la sua controversa esistenza è supportata solo da brevi riferimenti in documenti successivi (tra cui Tōshi Kaden, una storia dei Fujiwara). Inoltre, è assente nel Nihonshoki .
L' Ōmi-ryō composto da 22 volumi, fu promulgato nell'ultimo anno del regno dell'imperatore Tenji . Questa codificazione legale non esiste più, ma si dice che sia stata perfezionata in quello che è noto come codice Asuka Kiyomihara dell'anno 689; e si capisce che erano precursori del codice Taihō del 701. 2
"I primi tentativi di costruire un codice legale sembrano essere iniziati alla corte dell'imperatore Tenji a Otsu a Ōmi, forse intorno al 668, sebbene nulla sia sopravvissuto del codice oltre alla menzione del suo nome, e forse non fu mai emanato. Il tentativo successivo di codificare la legge fu compiuto dalla corte dell’imperatore Tenmu a Kiyomihara ad Asuka, forse intorno al 681. Anche in questo caso, questo codice non sopravvisse, ad eccezione di alcune disposizioni citate in opere successive. Nel 689, l'imperatrice Jito ordinò che copie del ryō fossero distribuite ai funzionari locali; non è noto se questi codici amministrativi (ryō) fossero accompagnati da codici penali (ritsu)." [1] ̟in più Vedi voce ritsuryō di Cornelius Kiley nella Kodansha Encyclopedia of Japan citato da Stockdale.
"Sembra che i ryo siano stati nominati già dall'imperatore Tenji Tenno che governò dal 662 al 671 dalla sua capitale nella provincia di Omi, nell'area di Kyoto-Osaka (quindi il suo codice è chiamato Omi-ryo), e dalla vedova di Temmu Tenno che governò dal 673 al 686 e ordinò che entrambi i codici, ritsu e ryo fossero compilati, ma morì prima che fossero finiti; ha governato fino al 697 da Kiyomigahara nella stessa zona; quindi il suo codice è chiamato Kiyomigahara-ryo. Del contenuto di questi codici, tuttavia, a noi sono giunti solo frammenti. Mommu Tenno (che governò tra 697-707), diventerà il “Giustiniano” del Giappone, poiché sotto il suo governo fu avviato il Codice Taiho (che comprende sia ritsu che ryo) (uno sforzo redazionale enorme, al quale lavorarono principi e funzionari fianco a fianco), emanato nel 701 e promulgato nel 702."[2]
https://en.wikipedia.org/wiki/Japanese_castes_under_the_Ritsury%C5%8D
"Si dice che la più antica raccolta di leggi sia stato il Codice Omi o Tenji del 668, della cui esistenza tuttavia non si è certi. Il secondo codice è il Codice Kiyomihara, iniziato nel 681 e probabilmente completato nel 689. Queste prime leggi sono andate perdute, sono sopravvissute solo citazioni frammentarie." (Dettmer, p. xi)
Ryō no Gige
[modifica | modifica wikitesto]Ryõ no gige (commento, gige, al codice amministrativo, ryõ) dell'835, l'unico commento approvato dalla corte su quel codice. Il Ryõ no gige è anche la fonte per la ricostruzione del perduto Codice Tang ed è quindi di grande importanza per la nostra comprensione degli antichi codici giuridici sia della Cina che del Giappone. (Quest'opera, per inciso, non deve essere confusa con il Ryõ no shüge dell'870, una raccolta di commenti privati.)
Nell'826 l'esperto di diritto Nukata no Imatari presentò al Daigaku-ryō (大学寮), l'Ufficio degli Studi Superiori, una relazione nella quale evidenziò la necessità di unificare le interpretazioni dei codici esistenti (ritsuryō).[3] [4] Tale richiesta venne accolta con la nomina, su ordine dell'imperatore Junna, di una commissione composta da dodici esperti in diritto - tra cui il poeta e studioso di questioni legali e amministrative Ono no Takamura (802-852) e l'alto dignitario Kiyohara no Natsuno - cui venne assegnato il compito di redigere un Commentario dei ritsuryō da adottare come versione ufficiale, mettendo fine alle numerose e discordanti interpretazioni sorte tra opposte scuole di giuristi.[5][6][7][8]
Il Ryō no Gige (Commentario del codice amministrativo), in dieci rotoli o fascicoli e trenta sezioni, fu completato e consegnato al trono nell'833 ed entrò in vigore nell'835.[3]
I lavori per la realizzazione di quest'opera esegetica vennero avviati nell'820, a seguito di una relazione presentata dell'esperto di diritto Nukata no Imatari, il quale richiese evidenziò la necessità di unificare le interpretazioni dei codici. Sei anni dopo con la nomina, su ordine dell'imperatore Junna, di dodici esperti in diritto - tra cui il poeta e studioso di questioni legali e amministrative Ono no Takamura (802-852) e l'alto dignitario Kiyohara no Natsuno - cui venne assegnato il compito di redigere un Commentario del Yōrō ryō da adottare come versione ufficiale, mettendo fine alle numerose e discordanti interpretazioni sorte tra opposte scuole di giuristi.[5][6][7][8]
Quando il codice Yoro andò perduto, ne prese il posto il Ryō no Gige, che ne conteneva il testo con il commento.
Ryō no Shūge
[modifica | modifica wikitesto]Ryō no Shūge (令集解, Raccolta di commenti sulle leggi amministrative) Non sarebbe stato né presentato né approvato dalla Corte, e risulterebbe quindi un testo non ufficiale ma privato, il successivo e più dettagliato commentario del Codice Yōrō, Ryō no Shūge (令集解, Raccolta di commenti sulle leggi amministrative), originariamente in 50 volumi (dieci di essi sono stati perduti), compilato dal professore di diritto Koremune no Naomoto tra l'859 e l'880. L'autore di quest'opera, più corposa e dettagliata rispetto al Ryō no Gige, avrebbe scelto di raccogliere le interpretazioni e le spiegazioni offerte dalle diverse scuole di pensiero nel corso del tempo.[9]
Memoria. Rivista di storia delle donne | |
---|---|
Stato | Italia |
Lingua | italiano |
Periodicità | quadrimestrale |
Genere | periodico di storia delle donne |
Fondazione | 1981 |
Chiusura | 1991 |
Editore | Rosenberg & Sellier |
ISSN | 0392-4564 |
Memoria: rivista di storia delle donne è la prima rivista di storia delle donne fondata in Italia, testimonianza della crescita di un nuovo campo di studi e dello sforzo di costruzione di una più autorevole identità pubblica.[10] Il primo numero è stato pubblicato nel 1981, per i tipi di Rosenberg & Sellier; la rivista ha chiuso con il numero 33 del 1991 (stampa 1993).
Nell'editoriale di presentazione del primo numero di Memoria viene dichiarato che si tratta del progetto "di un gruppo di donne impegnate nella storia, nella letteratura, nella psicanalisi e nelle altre scienze sociali", interessate ad analizzare il passato e il presente delle donne, con un'apertura interdisciplinare in grado di offrire sguardi e prospettive differenti.[11]
Tutti i numeri della rivista sono stati digitalizzati e messi a disposizione per la consultazione online sul sito della Biblioteca italiana delle donne.[12]
Struttura
[modifica | modifica wikitesto]Ogni numero della rivista è dedicato ad un argomento specifico. La rubrica di apertura, Il tema, introduce l'argomento e gli articoli principali che ne sviluppano i diversi contenuti, collocati nella rubrica Interpretazioni; segue, se in presenza di ricerche in corso di definizione o concluse, la sezione Un'esperienza di ricerca. Quella conclusiva, I materiali del presente, segnala discussioni, dibattiti, convegni, raccoglie recensioni di saggi, libri e materiali di studio su tematiche femminili, notifica i libri ricevuti in redazione (spesso collocati in Notiziario), mentre Riletture, presente in alcuni numeri, propone materiali di studio e rivisitazioni di classici.
Il numero 14 (1985), Soggetto donna, è un repertorio bibliografico comprendente circa duemila volumi pubblicati in Italia su tematiche femminili e recuperati dal catalogo della Bibliografia Nazionale Italiana 1975-1984, divisi per titolo, soggetto, classificazione Dewey.[13]
- Il tema
- Interpretazioni
- un'esperienza di ricerca
- fonti e documenti
- i materiali del presente (discussioni e dibattiti, centri di ricerca e di documentazione, convegni, libri, riviste)
- Notiziario (i libri ricevuti)
Varianti: n. 4 ha in più la sezione "Riletture" dopo "Fonti e documenti", anche in altri numeri ci sono "Riletture", che possono riguardare libri appena usciti, materiali di studio su tematiche femminili, o classici ad es. L"'Educazione sentimentale" di Gustave Flaubert (27/1989),
Varianti 9: il tema (dossier), documenti, materiali del presente
Varianti 15: ha in più "Rassegne"
Dal 21 solo Interpretazione e i Materili del presente
compare anche la rubrica "Saggi"; es. n. 33, Victoria de Grazia La nazionalizzazione delle donne Modelli di regime e cultura commerciale nell'Italia fascista* in cui l'autrice analizza "in che modo l'emergere del consumo di massa abbia dato nuova forma ai concetti di sovranità e cittadinanza."
Storia
[modifica | modifica wikitesto]La rivista, che si distingue per il suo impianto eclettico, pone al centro l'interesse di far convivere nella ricerca "diversità di modi di lavoro e di ipotesi culturali".[14] Il riconoscimento di una diversità di approcci e di una pluralità di interessi viene affermato insieme all'attenzione posta all' "ambiguità delle condizioni del lavoro intellettuale femminile", stretto tra ricerca di legittimazione (istituzionale) della propria produzione culturale e identità personale.
Nel definire il proprio progetto, la redazione della rivista nel suo primo numero precisa di non identificarsi con una storia delle donne intesa come campo di studi separato, come "semplice storia dell'oppressione" o come storia dei movimenti delle donne, sostenendo invece la necessità di tener conto di "una serie di relazioni: tra uomini e donne, tra sessi e mentalità, tra forme istituzionali e forme culturali, e del loro collocarsi rispetto ai modi e ai tempi del controllo e della stratificazione sociale".[11]
Memoria, con Quaderni storici e DWF costituisce uno dei principali luoghi di elaborazione della storia delle donne in Italia negli anni ottanta del Novecento.[15]
Direttrici responsabili
[modifica | modifica wikitesto]- Mariella Gramaglia - 1981-1986; N. 24 (1988).
- Laura Lilli - N. 19-20 (1987)-N. 22(1988); N. 25 (1989)-
- Nel n. 23 manca la p. con le responsabilità della rivista
Redazione
[modifica | modifica wikitesto]- 1981-1986: Maria Luisa Boccia, Gabriella Bonacchi, Marina D'Amelia, Michela de Giorgio, Paola Di Cori (fino al n. 18 del 1986), Jasmine Ergas (fino al n. 18 del 1986), Angela Groppi, Margherita Pelaja, Simonetta Piccone Stella
- 1987.1991: Renata Ago, Maria Luisa Boccia, Gabriella Bonacchi, Rita Caccamo, Giulia Calvi, Marina D'Amelia, Michela de Giorgio, Angela Groppi, Margherita Pelaja, Simonetta Piccone Stella, Tamara Pitch
Fascicoli pubblicati
[modifica | modifica wikitesto]- N. 1 (1981) - Ragione e sentimenti
- N. 2 (1981) - Piccole e grandi diversità
- N. 3 (1982) - I corpi possibili
- N. 4 (1982) - Politiche
- N. 5 (1982) - Sacro e profano
- N. 6 (1982) - Gli anni cinquanta
- N. 7 (1983) - Madri e non madri
- N. 8 (1983) - Raccontare, raccontarsi
- N. 9 (1983) - Sulla storia delle donne
- N. 10 (1984) - La solitudine
- N. 11-12 (1984) - Vestire
- N. 13 (1985) - Donne insieme
- N. 14 (1985) - Soggetto donna
- N. 15 (1985) - Culture del femminismo
- N. 16 (1986) - L'età e gli anni
- N. 17 (1986) - Prostituzione
- N. 18 (1986) - Donne senza uomini
- N. 19-20 (1987) - Il movimento femminista negli anni '70
- N. 21 (1987) - L'uso del potere
- N. 22 (1988) - Giovani donne
- N. 23 (1988) - Il bel matrimonio
- N. 24 (1988) - Sesso: differenza e simbiosi
- N. 25 (1989) - Genere e soggetto
- N. 26 (1989) - Questioni di etica
- N. 27 (1989) - Uomini
- N. 28 (1990) - Bambine, racconti d'infanzia
- N. 29 (1990) - Bambini, racconti d'infanzia
- N. 30 (1990) - I lavori delle donne
- N. 31 (1991) - Sulla storia politica
- N. 32 (1991) - Amicizie
- N. 33 (1991) - Quale storia?
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- {{Cita libro|autore=Paola Di Cori|titolo=Culture del femminismo. Il caso della storia delle donne|anno=1997|editore=Einaudi|città=Torino|pp=803-861|opera=Storia dell'Italia repubblicana, III. L'Italia nella crisi mondiale, L'ultimo ventennio, T. II, Istituzioni, politiche, culture|cid=Di Cor
Nyonin kinsei, Clarice Tina Boniburini
[modifica | modifica wikitesto]Studi di genere (da sistemare)
[modifica | modifica wikitesto]Vediː Kobayashi Naoko, Sacred Mountains and Women in Japan: Fighting a Romanticized Image of Female Ascetic Practitioners
La studiosa Naoko Kobayashi ha sottolineato come negli studi religiosi e folklorici sia stata assente o minimizzata la prospettiva di genere, spesso ritenuta, a livello accademico, un approccio emotivo, non obbiettivo e neutrale. Suzuki Masataka, ad esempio, nella sua ricostruzione della storia del nyonin kinsei da un punto di vista storico e folclorico, pubblicata nel 2002, avrebbe evitato di considerare il nyonin kinsei una pratica discriminatoria, ritenendo che il concetto delle donne come categoria sociale apparterrebbe a culture e periodi più tardi e che le proibizioni applicate avrebbero permesso alle persone di prendere coscienza delle differenze di sesso, portandole a riconsiderare i loro rispettivi modi di vita. Il suo suggerimento di studiare la pratica del nyonin kinsei da più punti di vista, avrebbe tuttavia avuto il vantaggio di prendere in esame come le donne avevano accolto, resistito, e rimodellato il divieto.[16]
La sostanza è comunque che alla natura di una donna viene attribuito un valore e le sue azioni sono regolate dagli uomini, atteggiamento tipico delle società patriarcali. Nyonin kinsei nasce da un misto di androcentrismo e fede religiosa, e continua modificando i motivi dell'esclusione. Ancora oggi vengono poste varie restrizioni alle donne che svolgono pratiche ascetiche sui monti sacri.
"La discriminazione religiosa nei confronti delle donne non era una esclusiva giapponese. La misoginia ha sempre fatto parte del buddismo, con donne condannate come oggetti di depravazione morale, danze erotiche disgusto sessuale e corruzione fisica. La fissazione buddista sul corpo femminile in quanto il luogo del decadimento era un elemento comune della tradizione. Narrazioni in cui i corpi morti e in decomposizione di belle donne conducono i monaci all'intuizione religiosa si trovano in tutta la letteratura buddhista indiana. [...] Il nyonin kekkai separò la purezza della montagna buddista dall'inquinamento del mondo sottostante e ha imposto questa divisione del sacro dal profano in termini esplicitamente di genere. Le donne sono state escluse a causa dell'affermazione che il sangue delle mestruazioni e il parto le rendevano troppo contaminate per entrare in tali regni puri". Maerman, p. 186 (non è però uno studio di genere)
"Barbara Ruch (2002) e Bernard Faure (2003) hanno scritto studi essenziali per considerare l'impatto degli studi di genere sul buddismo giapponese. Gli studi sulle donne e sulla storia buddista si sono notevolmente spostati dall'attenzione alle istituzioni e alle attività dei sacerdoti maschi, dal chiedersi come il "buddismo" degli ordini e delle dottrine buddiste vedesse le donne, all'indagare dal punto di vista di una donna, come le donne percepivano il buddismo, come erano emarginate e quali ruoli le donne adempivano e aspiravano a all'interno dei loro vari vincoli e limitazioni sociali. Questo significa, soprattutto, un progetto per considerare come le attività religiose delle donne abbiano influenzato la storia del buddismo giapponese (Katsuura, 2003, p. 2). Tale ricerca esamina come il genere ha informato il mondo e la storia del buddismo. Così Faure mira a spiegare le concezioni buddiste delle donne e del genere per "vedere come la storia e la dottrina del buddismo sono state cambiate a causa della sua relazione con le donne" (Faure, 2003, p. 14). Un simile approccio, secondo lui, rivela anche come la "religione ascetica" e le comunità buddiste dominate dagli uomini siano state femminilizzate e addomesticate.
Come Faure tenta di dimostrare, la storia delle donne buddiste non progredisce teleologicamente dall'oppressione all'emancipazione. Le riletture delle fonti storiche da parte degli storici buddisti giapponesi confermano il suo punto. L'idea lineare che l'antico buddismo elitario negasse la salvezza alle donne, che in seguito fu loro estesa per la prima volta dal buddismo Kamakura più democratico, è sbagliata (Yoshida, Katsuura e Nishiguchi, 1999). Il Nihon ryōiki , una raccolta di racconti didattici del IX secolo, descriveva già un buddismo che non rifiutava le donne e descriveva vividamente le donne che vivevano all'interno di quella fede (Nakamura, 1973). L' henj ō nanshi, La dottrina secondo cui le donne sperimentano cinque ostacoli e non possono raggiungere la salvezza in un corpo femminile si diffuse nel periodo medievale. Tuttavia, le donne non erano strettamente vincolate dalla visione buddista secondo cui le donne dovevano essere istruite dagli uomini (Katsuura, 2003, p. 61). Non solo destinatarie passive degli insegnamenti buddisti patriarcali, anche le donne hanno resistito e si sono appropriate di quegli insegnamenti. È necessario esaminare le relazioni tra il buddismo e vari tipi di donne, comprese le suore, i seguaci laici, le madri e le mogli dei sacerdoti e le praticanti sciamaniche popolari, da questa prospettiva.[17]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Stockdale, p. 147, n. 4
- ^ Steenstrup, pp. 34-35
- ^ a b Dettmer, p. XIV
- ^ (FR) Iwao Seiichi, Iyanaga Teizō, Ishii Susumu ... [et al.], Nukada no Imatari, in Dictionnaire historique du Japon, 16 (N-R), Tokyo, Libr. Kinokuniya, 1990, p. 37.
- ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore
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- ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore
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- ^ a b (FR) Iwao Seiichi, Iyanaga Teizō, Ishii Susumu ... [et al.], Kiyohara no Natsuno (782-837), in Dictionnaire historique du Japon, 13 (K), Tokyo, Libr. Kinokuniya, 1987, pp. 6-7.
- ^ a b (EN) Zhenping Wang, From the book Ambassadors from the Island of Immortals. China-Japan Relations in the Han-Tang Period, Honolulu, University of Hawaii Press, 2005, pp. 57-58, DOI:10.1515/9780824861391-018.
- ^ (EN) Ryuichi Abé, Scholasticism, Exegesis, and Ritual Practice: On Renovation in the History of Buddhist Writing in the Early Heian Period, in Mikael S. Adolphson, Edward Kamens, Stacie Matsumot (a cura di), Heian Japan, Centers and Peripheries, Honolulu, University of Hawaii Press, 2007, p. 180, DOI:10.1515/9780824862817-011.
- ^ Di Cori, p. 813
- ^ a b [Editoriale], in Memoria, n. 1, marzo 1981.
- ^ Memoria. Rivista di storia delle donne, su bibliotecadelledonne.women.it. URL consultato il 13 marzo 2024.
- ^ Soggetto donna, in Memoria : rivista di storia delle donne, n. 15. URL consultato il 14 marzo 2024.
- ^ Di Cori, p. 817
- ^ Di Cori, p. 817
- ^ (JA) Suzuki Masataka, Nyonin kinsei 女人禁制, Tokyo, Yoshikawa Kōbunkan, 2002, p. 4, ISBN 9784642208031.
- ^ Gender And Religion: Gender And Japanese Religions, su encyclopedia.com.
Clarice Tina Boniburini (Bologna, 23 maggio 1922 – Bibbiano, 1997) è stata una partigiana italiana, Medaglia d'argento al valor militare.
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Nata a Bologna il 23 maggio 1922, da Giuseppe Boniburini e Alma Cavandoli, trascorse la sua vita a Cavriago, dove visse con la famiglia in in via Roncaglio, 63[1]. Nel gennaio 1944 Clarice, impiegata come operaia, entrò a far parte della 76ma Brigata SAP "Angelo Zanti" con il nome di battaglia "Nikla", come staffetta e partigiana combattente, con il grado di ispettore-intendente responsabile del reclutamento, dell'organizzazione, dell'addestramento e dell'approvvigionamento alimentare dell'unità. Il 21 gennaio 1945 per la sua attività antifascista venne arrestata dalla Brigata Nera e portata nel carcere dei Servi di Reggio Emilia. Durante i novanta giorni di prigionia[2], a Villa Cucchi, sede dell'ufficio politico investigativo, fu ripetutamente sottoposta a torture e sevizie di ogni genere. Fu scarcerata il 22 aprile 1945.[3]
“Cavriago si distinse durante la lotta di liberazione per il sacrificio di molti suoi cittadini e per l’impegno e il coinvolgimento dell’intera comunità – afferma il sindaco Paolo Burani -. Ben 223 furono i partigiani riconosciuti, di loro 20 vennero uccisi, a cui si devono aggiungere tre cittadini antifascisti; 14 cavriaghesi morirono nei bombardamenti che Cavriago subì ad aprile del 1945. Diciotto furono le staffette di Cavriago che sostennero le formazioni partigiane, 40 le donne organizzate nei Gruppi di Difesa Donna. Tra le partigiane si distinsero Rosina Becchi, Bruna Davoli, Clarice Tina Boniburini (tutte e tre medaglie d’argento al valore militare) e Carmen Zanti (decorata con croce al valore militare)”. "Cavriago è medaglia di bronzo al valore militare, con 223 partigiani, 18 staffette partigiane, 40 donne dei gruppi di difesa donna, di cui tre medaglie d’argento al valore militare (Rosina Becchi, Bruna Davoli, Clarice Pina Boniburini), una croce al valor militare (Carmen Zanti), due Costituenti (Nilde Iotti e Don Giuseppe Dossetti) e un Giusto fra le nazioni (Don Enzo Boni Baldoni)."
Dopo la
"Come ricorda l'Anpi di Reggio Emilia Cavriago ha pagato un importante tributo di sangue nella guerra di Liberazione con 32 persone uccise dai nazifascisti. Gran parte dei partigiani cavriaghesi erano organizzati nelle Squadre di Azione Patriottica: 141 su un totale di 212 partigiani, patrioti e benemeriti ufficialmente censiti. Altri 71 militavano invece nei Gap. Tutti, comunque, arrivavano da mondo del lavoro, in particolare dalle fabbriche del circondario e dalle campagne. "Cavriago, comune essenzialmente operaio e contadino, venne a trovarsi in posizioni d’avanguardia proprio per il processo di fusione e di unificazione delle basi operaie e contadine dell’antifascismo, che si era perfezionato nella lunga vicenda della cospirazione", spiega l'Anpi. I partigiani della città emiliana erano in particolare 118 operai, 46 contadini, tre braccianti, 14 artigiani, cinque commercianti, dieci studenti, tre impiegati e 13 casalinghe. Era quindi rilevante la presenza delle donne, almeno 19 staffette e combattenti (fra cui alcune con incarichi di comando), "alle quali – spiega l'Anpi – però dovrebbero aggiungersi le numerose attiviste dei gruppi di difesa e inoltre le casalinghe e contadine che si prodigarono, come reggitrici di case di latitanza, nella cura di preziose mansioni in un tipo di guerra che non conosceva differenza tra retrovia e prima linea, essendo combattuta con la stessa intensità in ogni punto del territorio occupato dal nemico". Alcune delle partigiane di Cavriago conobbero il carcere e le torture: tra loro Rosina Becchi, impegnata prima in pianura e successivamente in montagna, Bruna Lucia Davoli e Clarice Boniburini."[4]
continua su: https://www.fanpage.it/attualita/cavriago-tappezzata-di-svastiche-alla-vigilia-della-festa-della-liberazione/
«Ricordatevi di noi quando passate davanti alla Villa per andare a prendere la corriera. Di noi, donne e uomini che hanno detto “No” con il dolore attaccato ai denti delle nostre bocche straziate. Il vostro ricordo è la loro condanna.»
Progetto:Biografie/ANPI/Parte rimanente
Onorificenze
[modifica | modifica wikitesto]Alla fine della guerra Clarice Boniburini fu decorata della Medaglia d'argento al Valor Militare.
Riconoscimenti
[modifica | modifica wikitesto]Nel 2013 il comune di Cavriago nel nuovo quartiere di Pratonera ha intitolato le tre vie principali alle partigiane decorate con la medaglia d'argento al Valor Militare della Resistenza, Rosina Becchi (1918-1987), nome di battaglia "Anna", Bruna Davoli "Kira"(1920-2000), Clarice Boniburini "Nicla" (1922-1997).[5]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Comune di Cavriago, Anpi, Quando i luoghi raccontano le storieː una mappa per riscoprire le persone e i luoghi della guerra e della Resistenza a Cavriago (PDF), su comune.cavriago.re.it, 2015.
- ^ Istoreco, Tina Boniburini, su gliocchidi.it. URL consultato il 17 giugno 2021.
- ^ Massimo Storchi, https://www.gliocchidi.it/download/Sulle_torture_a_Villa_Cucchi.pdf , in Il sangue dei vincitori : saggio sui crimini fascisti e i processi del dopoguerra, 1945-46 (PDF), Reggio Emilia, Aliberti, 2008, p. 87, ISBN 978-88-7424-326-6.
- ^ Davide Falcioni, Cavriago tappezzata di svastiche alla vigilia della festa della Liberazione, su fanpage.it, 24 aprile 2020.
- ^ Vie dedicate a martiri della libertà, su Gazzetta di Reggio, 9 gennaio 2013. URL consultato il 16 giugno 2021.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Casotti, William, Volontari della libertà : partigiani e partigiane di Cavriago nella lotta contro il nazi-fascismo (1943-1945), Cavriago, Bertani & C., 2013, ISBN 978-88-98145-00-3.
- Cavandoli, Rolando, Cavriago antifascista : cronache 1922-1946, Cavriago, Comune di Cavriago, 1975.
- Comune di Cavriago e Anpi, Quando i luoghi raccontano le storie (PDF), 2015.
- Durchfeld, Matthias e Steffen Kreuseler (a cura di), Perchè i vivi non ricordano gli occhi di, Reggio Emilia, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea, 2013.
- Slaughter, Jane, Women and the Italian Resistance : 1943-1945, Denver, Arden Press, 1997, p. 58, ISBN 0912869143.
- P. ALLEGRI, 76ª Brigata S.A.P. "Angelo Santi". Le squadre di azione patriottica di una brigata reggiana nel corso della guerra di liberazione, in Aspetti e momenti della Resistenza reggiana, Reggio Emilia, Amministrazione della provincia, 1968, pp. 289-345 G. FRANZINI, Storia della Resistenza reggiana, Reggio Emilia, ANPI, 1970 G. BERTANI, Per combattere in pianura. Gap e Sap tra le colline e il Po, in 20 mesi per la libertà. La guerra di liberazione dal Cusna al Po, a cura di M. STORCHI, Cavriago, Bertani, 2005, pp. 124-149
sto traducendo la voce https://de.wikipedia.org/wiki/Die_Pfefferm%C3%BChle
Il Pfeffermühle era il nome di un leggendario ensemble di cabaret politico che eseguì il suo primo programma il 1° gennaio 1933 alla Bonbonniere di Monaco, vicino all'Hofbräuhaus, e che si trasferì a Zurigo, in Svizzera, nel settembre dello stesso anno, dove divenne uno dei principali cabaret in esilio in lingua tedesca.[1]
Storia
[modifica | modifica wikitesto]I fondatori furono Klaus ed Erika Mann così come Therese Giehse e Magnus Henning , che fu l'iniziatore del cabaret. Oltre a Erika e Klaus Mann, i parolieri includevano Walter Mehring e Wolfgang Koeppen, e gli attori includevano Therese Giehse, Lotte Goslar , Sybille Schloß , Cilli Wang e Igor Pahlen. Magnus Henning componeva e suonava il pianoforte. Erika Mann ha scritto lei stessa molti dei testi e spesso è apparsa come presentatrice e attrice in un costume da clown bianco.
Il nome Die Pfeffermühle è stato inventato dal padre di Erika Mann, Thomas Mann, che, durante una discussione familiare sul nome del cabaret progettato da Erika, indicò il macinapepe a tavola e chiese: "Che ne dici?"
Solo poche settimane dopo la prima di grande successo, la troupe dovette fuggire dalla Germania per sfuggire ai nazionalsocialisti.
Il Pfeffermühle riprese la sua attività come cabaret in esilio il 30 settembre 1933 a Zurigo presso l' Hotel Hirschen. Il secondo programma di esilio fu avviato il 1 gennaio 1934 con riferimenti più chiari al Terzo Reich , ma senza una denominazione esplicita . Il 6 gennaio 1934 l'ambasciata tedesca contattò la Procura federale svizzera "a causa dell'apparizione di Erika Mann". Lei ha definito “auspicabile” che la presentazione delle sue “esibizioni dirette contro la Germania venisse impedita”. La Procura federale ha immediatamente rifiutato. Ha sottolineato che questi erano semplicemente commenti satirici.
Questo fu seguito dal terzo, ancora più duro programma di esilio il 3 ottobre 1934 nel club del Gruppo 33 a Basilea. Uno spettacolo ospite a Zurigo in novembre scatenò disordini da parte dei nazionalsocialisti svizzeri, tanto che gli spettacoli poterono continuare solo sotto la protezione della polizia. Le rappresentazioni ricevettero critiche anche dalla Neue Zürcher Zeitung nel 1934 e diversi cantoni emisero addirittura divieti di rappresentazioni. Un'importante mecenate del cabaret in esilio fu la svizzera Annemarie Schwarzenbach , che sostenne finanziariamente Die Pfeffermühle . Fu anche Schwarzenbach a convincere la sua amica Valeska Hirsch, poi moglie del regista Leopold Lindtberg , a diventare pianista di cabaret.
Il Pfeffermühle voltò le spalle alla Svizzera e nel 1935 iniziò le tournée in Cecoslovacchia e nel Benelux .
Nel 1935 Erika Mann fu privata della cittadinanza tedesca in quanto “creatrice intellettuale” del cabaret “antitedesco” . Fino all'ultima rappresentazione in Europa , il 14 agosto 1936, il Pfeffermühle diede 1.034 rappresentazioni. Quando la pressione dei nazionalsocialisti in Europa divenne troppo forte, Erika Mann tentò senza successo di prendere piede a New York con The Peppermill all'inizio del 1937. Dopo alcune rappresentazioni, il cabaret era finanziariamente esaurito e un ricco mecenate saldò il debito.
Therese Giehse e Magnus Henning tornarono in Europa. Lotte Goslar e Sybille Schloß rimasero in America, così come Erika Mann, che cercò di educare gli americani sul pericolo rappresentato dalla Germania nazionalsocialista attraverso tournée di conferenze.
- ^ (DE) Neubeginn der Pfeffermühle im "Hotel Hirschen" in Zürich (1933), su kuenste-im-exil.de. URL consultato il 14 luglio 2024.