Conflitto in Sudan parte Guerre civili del Sudan | ||||
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Data | 15 Aprile 2023 - in corso | |||
Luogo | Sudan | |||
Schieramenti | ||||
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Una guerra civile tra due grandi fazioni rivali del governo militare del Sudan, le Forze armate sudanesi (SAF) sotto Abdel Fattah al-Burhan e le Forze di sostegno rapido paramilitari (RSF) e i suoi alleati (collettivamente la coalizione Janjaweed) sotto il leader Janjaweed Hemedti, iniziato durante il Ramadan del 15 aprile 2023. Tre fazioni minori (neutrali) hanno partecipato ai combattimenti: le Forze Unite per la Protezione del Darfur, l'SLM (al-Nur) sotto Abdul Wahid al-Nur e l'SPLM-N sotto Abdelaziz al-Hilu.
I combattimenti sono cominciati intorno alla capitale Khartoum e nella regione del Darfur. Al 8 settembre 2024, almeno 20.000 persone erano state uccise[1] e 33.000 altre erano rimaste ferite. Al 5 luglio 2024, oltre 7,7 milioni di persone erano sfollate all'interno del paese e più di 2,1 milioni di altri erano fuggiti come rifugiatie molti civili nel Darfur sono stati uccisi come parte dei massacri perpetrati dalle RSF.
Antefatto
[modifica | modifica wikitesto]Conflitto in Darfur
[modifica | modifica wikitesto]All'inizio del ventunesimo secolo, la regione sudanese del Darfur viveva in una situazione di profonda instabilità, causata da dispute territoriali e conflitti etnici tra le popolazioni locali africane arabizzate e i popoli Fur, Masalit e Zaghawa.
Nel 2003, in risposta ad un'insurrezione nel Darfur portata avanti dal Fronte Rivoluzionario Sudanese (SRF), il governo centrale guidato dal dittatore militare Omar Al-Bashir portò avanti una campagna di pulizia etnica contro le popolazioni non arabe della regione. I vari crimini commessi dalle forze governative durante il conflitto porteranno all'emissione di un mandato di arresto nei confronti di Al-Bashir da parte della Corte Penale Internazionale per genocidio e crimini contro l'umanità
Le forze governative erano principalmente composte dai Janjaweed, una milizia composta principalmente da africani arabi della regione del Sahel, e attiva nelle aree del Darfur e al confine con il Chad. I Janjaweed vennero riorganizzati nelle odierne Forze di Supporto Rapido (Rapid Support Forces) da Al-Bashir nel 2013, e poste sotto il comando di Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come "Hemedti" o “Little Mohamed” (Piccolo Mohamed). Durante questo periodo, Hemedti ottenne, con la benedizione di Al-Bashir, il controllo di diverse miniere d'oro nel Darfur. Ciò porto la compagnia da lui gestita, al-Junaid, a diventare il principale venditore d'oro del paese, cosa che non fece altro che accrescere il suo patrimonio, oltre che la sua influenza nella politica interna. In particolare, hemedti utilizzò le vendite di oro verso compratori esteri, in particolare gli Emirati Arabi Uniti, per l'acquisizione di armamenti.
Al-Bashir permise il rafforzarsi delle RSF affinchè servissero da difesa contro potenziali minaccie al suo potere provenienti dall'interno delle stesse forze armate sudanesi. Nel 2017, le RSF vennero dichiarati "forza di sicurezza indipendente" e resi indipendenti dall'esercito [2].
Rivoluzione Sudanese
[modifica | modifica wikitesto]Nel 2018 il paese fu colpito da un'ondata di proteste anti-governative, che segnarono l'inizio della Rivoluzione Sudanese. L'esercito, dopo aver tentato inutilmente di reprimere le proteste nel sangue per 18 mesi[3], depose Al-Bashir nel colpo di stato del 2019. In seguito venne instaurato per governare il paese il Consiglio di Transizione Militare (TMC).[4][5] Le proteste contro il continuo governo da parte dei militari si protrassero fino al massacro di Khartoum, quando le forze armate, con il supporto delle RSF, uccisero centinaia di manifestanti.[6]
Nell'agosto dello stesso anno, a seguito di mediazione da parte dell'Unione Africana, l'esercito si impegnò a formare un governo di unità nazionale con il Consiglio Sovrano del Sudan, con l'obiettivo di tenere nuove elezioni nel 2023.[7] [3] Tuttavia, la transizione democratica venne di fatto annullata a seguito del colpo di stato del 2021, che riportò il potere nelle mani dei militari e delle RFS e pose il potere nelle mani di un nuovo Consiglio Sovrano del Sudan con alla guida il generale delle forze armate al-Burhan.[8]
Tensioni tra esercito e RFS
[modifica | modifica wikitesto]Il colpo di stato del 2021 causò una nuova crisi per la già debole economia sudanese, ed alimentò una nuova ondata di proteste contro il restaurato governo militare.
Nello stesso periodo, le tensioni tra l'esercito e le RSF, che avevano precedentemente collaborato durante la soppressione della Rivoluzione Sudanese, iniziarono a crescere. A causare le dispute tra i due corpi armati era principalmente la questione dell'integrazione delle forze di supporto rapido all'interno dell'esercito regolare. Questa integrazione sarebbe dovuta avvenire, nei piani delle forze armate, nell'arco di due anni, mentre le RSF desideravano una scadenza di 10 anni.
Le tensioni tra i due ex alleati arrivarono ad un punto di non ritorno l'11 aprile 2023, quando le RSF schierò delle sue truppe nella città di Merowe ed in una base militare nel sud di Khartoum. Il 13 Aprile le RSF diedero il via alla mobilitazione, che le SAF dichiararono illegale
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ (EN) Malik Agar reveals government-proposed roadmap to end Sudan’s war, in AP News.
- ^ (EN) ‘Men with no mercy’: The vicious history of Sudan’s Rapid Support Forces, in The Telegraph.
- ^ a b (EN) Sudan timeline: From the fall of Bashir to street-fighting in Khartoum, in Middle East Eyes.
- ^ (EN) Who is fighting in Sudan?, in Reuters.
- ^ (EN) How Sudan's Hemedti carved his route to power, in Reuters.
- ^ (EN) Sudan military admits it ordered brutal crackdown on protesters, in Al Jazeera.
- ^ (EN) Sudan’s army chief, paramilitary head ready to de-escalate tensions, mediators say, in Reuters.
- ^ (EN) Deal to restore democratic transition in Sudan delayed again, in AP News.