Istituto Proti-Vajenti-Malacarne | |
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Cortile interno | |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Regione | Veneto |
Località | Vicenza |
Coordinate | 45°32′44.84″N 11°32′45.39″E |
Informazioni generali | |
Condizioni | casa di riposo per anziani |
Costruzione | XVII secolo |
Stile | classico |
L'istituto Proti-Vajenti-Malacarne è una casa alloggio per persone anziane e bisognose, situata in uno storico palazzo ristrutturato nel Seicento dall'architetto Antonio Pizzocaro, in contrà Giampietro Proti n.1 di Vicenza. Annesso all'istituto è l'oratorio dei Proti, nell'omonima contrà.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Palazzo Sale Serbelloni
[modifica | modifica wikitesto]L'Estimo catastale vicentino del 1563-1564 registra in sito, in quegli anni (Battilottí 198o, p. 89), una proprietà di Giacomo da Trento. Però il 22 marzo 1690 Ludovico Caldogno cede qui in uso, per 3200 ducati, una sua casa a Ottaviano Sale che si impegna a riscattarla dopo sei anni; il 19 gennaio 1693 Antonio Nicolò Sale, figlio ed erede di Ottaviano, stabilisce con il Caldogno di acquistare detta casa, nella quale ha frattanto apportato «riguardi e meglioramenti», al prezzo che verrà fissato da due periti nominati dalle parti; il 15 settembre 1700 finalmente il Sale si accorda per l'acquisto dietro il corrispettivo di 5600 ducati ivi non compresi i cospicui «meglioramenti» fatti nella casa da lui e dal padre. Nell'occasione, si precisa come rimanga «da stabilire o perfettionare la facciata».
Questa, nel 1711, è riportata da Giandomenico Dall'Acqua, al numero 110 della sua Descrizione iconograficadella città di Vicenza in corrispondenza con la relativa pianta, ancora priva di quel settore di casa a meridione, in realtà già acquistato il 22 marzo 1709 da Antonio Nicolò Sale, venditore Antonio Valmarana: settore poi incorporato, uniformandolo, al resto della costruzione, divenuta, nel frattempo, un organico palazzo. Dai Sale il palazzo passava per eredità, tra il 1784 e il 1807, ai Sessatello; da questi era alienato nel 1814 ai Serbelloni che lo cedevano (1841) all'ospedale di Vicenza dal quale veniva a sua volta venduto (1869) al-l'ospizio dei Proti, donde l'attuale proprietà IPAB.
A seguito dei vari interventi succedutisi e specialmente di quelli, da ritenersi determinanti, che devono essersi verificati nel primo decennio del Settecento, palazzo Sale risulta un edificio dalla facciata asimmetrica; nel piano terreno, a intonaco di leggero bugnato, si apre, spostato sulla sinistra rispetto alla medietà della facciata, un grande semplice portone centinato; ai lati sono fine-stre rettangolari architravate delle quali quelle a destra del portone risultano più strette rispetto a quelle di sinistra. Sopra la piatta fascia marcapiano, nella nuda parete superiore si campiscono le finestre del piano nobile collegate da fascia marcasoglia, con cornice, fregio, cimasa e frontoncini curvilinei; nel sottotetto, si aprono minori finestre quadrilatere con sola cornice e in asse con le sottostanti. Sopra il portone, onde costituire un asse verticale particolarmente rilevante, è una serliana dissociata con il fornice centrale sormontato da cimasa e frontone mistilineo raccorciato mediante due volute ai più bassi architravi laterali; davanti alle finestre-porte della serliana sporge un balcone su modiglioni curvilinei triglifati e con colonnine a doppio fuso nella balaustra.
Mentre il Franco (1937) sottolinea l'eminenza, nella facciata del palazzo, del tema della serliana di indubbia matrice scamozziana come, del resto, i modiglioni triglifati del balcone – l'opinione corrente (Cevese i962; Magagnato 1953b e 19566; F. Barbieri 19671 si mostrerebbe finora incline a ricercare il responsabile di questa architettura nell'ambito dei Borella, fermandosi in particolare sul nome di Carlo Borella quale più qualificato esponente di questa numerosa schiera di «impresari e capomastri» valsoldani, tanto operosi a Vicenza fin dalla metà del Cinquecento e specialmente nel Seicento. Ma proprio la serrata disamina del Cevese che vede nell'architetto di palazzo Sale, «assai capace» e buon conoscitore di «ogni segreto dell'arte sua», davvero «perizia e intelligenza non comuni», risulterebbe in contraddizione con l'ipotesi riguardante Carlo Borella: personalità non di primo piano e cui convengono al massimo, semmai (F. Barbieri 1973, pp. 6-10), i limitati caratteri di un abile e posato professionista senza particolare genialità.
In effetti, si può invece osservare come la serliana di palazzo Sale, con l'apertura mediana collegata alle laterali da volute, riecheggi puntualmente quasi alla lettera l'analogo episodio della serliane sul portone del distrutto palazzo Angaran, nell'attuale via IV Novembre: palazzo opera tipica, verosimilmente attorno agli anni 1701-1703 (F. Barbieri 1954), di Francesco Muttoni. D'altronde, dal suo canto, artista certo non alieno dalla possibilità di recuperi prettamente neocinquecenteschi quali rappresentati, ad esempio, in palazzo Sale, dalle finestre del piano nobile, né, oltretutto, insensibile a puntuali suggestioni dallo Scamozzi quali l'impiego di modiglioni triglifati a sostegno del balcone. Va poi ricordato che lo stesso Muttoni progettava, nel 1709 e appunto per Antonio Nicolò Sale, la grande alcova della camera nuziale in questo stesso palazzo: vedine il bel disegno autografo fortunatamente conservatoci nell'archivio muttoniano di Porlezza (Grilli 1991, p. lei).
All'interno, già sede della Congregazione di Carità, l'atrio passante ha soffitto a travature scoperte, maldestramente rinforzate da inopportuni cavalletti puntati alle pareti: sulla porta della scala, in galleria e piuttosto modesta data la mole del palazzo, era la scritta (Faccioli 1776, p. 36), scomparsa: «E QUIVI IN LETTRE D'OR UN MOTTO DICA / A GLORIA NON VIEN SENZA FATICA». Nel piano nobile, a nord della sala passante corrispondente all'atrio, è, in una stanza verso la strada, un camino dalla cappa ornata di stucchi del primo Settecento e fregiantesi dello stemma dei Sale; a sud, sempre verso strada, vasta sala con stucchi della stessa epoca nei soprapporte e alle pareti.
Adiacente a meridione è altra sala, con alcova sul lato orientale, purtroppo in parte accecata e manomessa, e che a ogni modo giova comparare con il sopraddetto disegno approntato in merito dal Muttoni. Nella parete di fronte all'alcova, tra le finestre, grandioso camino dalla cappa arricchita di sontuosi stucchi che incorniciano gli stemmi dei Sale e degli Arnaldi: ricordo (Bortolan, Lampertico 1889) del matrimonio di Ottaviano Sale con Cornelia Arnaldi. Nel breve cortile, che si continua in un'ortaglia fino al retrostante fiume Retrone, nulla di interessante all'infuori di un grande arco a sud, con cornice di conci bugnati: da ritenersi dell'ultimo Seicento o degli inizi del Settecento.
Bibliografia: Bortolan, Lampertico 1889, pp. 394-395: Bortolan, Rumor 1919, p. 63; Franco 1937, pp. 67, 70; Magagnato 1953b e 1956b; Cevese 1962, p. 143; F. Barbieri 1967, P. 133; Barbieri 1987, pp. 123-124.
Chiesa dei santi Fermo e Rustico
[modifica | modifica wikitesto]Sorge in territorio di Bolzano Vicentino, iso¬lata entro un vasto prato in prossimità di un antico alveo del Tesina ora abbandonato. Piccolo edificio a un'unica navata di pianta irregolarmente trapezoidale orientata, co¬perta da tetto a due falde, con aggiunto più alto presbiterio e, verso nord, piccola sacre-stia a volta; nella facciata, sormontata da una croce metallica, è Liti oculo rotondo in alto tra gli spioventi del tetto a capanna; la porta principale ha robusto architrave su mensole inflesse; analoga la porta minore nel lato meridionale. Sotto la linea di gronda, corni-ce in mattoni a dente di sega; sul tetto, pro-prio nella linea di confine tra la navata e il presbiterio, si erge un campaniletto ora pri-vo di campana.
La chiesa conservava (Pellizzari 198s) le spo-glie di san Metrone, qui trasferite dopo esse¬re state trafugate eli Salì Vitale le di Verona il 27 gennaio del 962; e a san Metrone risulta dedicata in origine come comprovato da un atto di compravendita rogato a Vicenza il 29 maggio1305. E però incerto se l'edificio sia stato eretto per accogliervi le spoglie di san Metrone o se già preesistesse: infatti «non è possibile scartare l'ipotesi di una costruzio- i e n [...1 anteriore, forse dell'epoca post-caro-lingia (sec. ix)» (Previtali -coi, pp. 205-107). L'originaria chiesa doveva, a ogni modo corrispondere all'odierna navata ed essere biabsidata secondo uno schema abbastanza frequente (Previtali 2001, cap. vii) nel vi¬centino durante l'alto Medioevo: scavi effet¬tuati in sito nel 1984 e ripresi nel 1993 hanno infatti messo in luce, nel lato orientale, i fon¬damenti di due absidiole tra loro congiunte. Nella parte inferiore dell'absidiola destra è anche ampio lacerto di affresco rappresen¬tante un semplice panneggio: inserto da ri¬tenersi avanzo di una decorazione più tarda (X11-X111 secolo).
Il cambio di dedicazione della chiesa dovette intervenire tra il 1310 e il 1345, anno nel quale la chiesa risulta definitivamente dedicata ai santi Fermo e Rustico e proprietà della cespicca famiglia vicentina dei Proti: spetterà a questi, I- legati agli Scaligeri, portare da Vero- fiorente, na, ove era liorente, il culto dei due santi martirizzati nel 259 durante la persecuzione di Decio. Un'iscrizione sull'architrave della porta maggiore, iscrizione oggi purtroppo solo parzialmente leggibile, ci parlerebbe di un rifacimento trecentesco dell'edificio o, quanto meno, all'epoca, eli pesanti interven¬ti: è da ritenere, comunque, che risalgano a quel periodo, in linea di massima, l'aspetto attuale del corpo principale della chiesa, cor¬rispondente alla navata, e la sistemazione delle due porte.
In occasione della visita pastorale effettuata dal vescovo Michele Friuli il 15 agosto 1580 la chiesa è trovata provvista di un unico altare «marmoreum»; si intima, tuttavia, che ven¬ga dotata di una pila per l'acqua santa e di decenti suppellettili e paramenti sacri dei quali risulta priva. Ancora però il 26 aprile 1646, per dichiarazione dell'arciprete di Bol¬zano Vicentino, si constata essere la chiesa «senza prete, senza sacristia et senza para¬menti et mal tenuta». Ma già 1'8 agosto di quell'anno liti visitatore vescovile può com¬piacersi per la tempestiva sopravvenuta pre¬senza di arredi e paramenti più che soddi¬sfacenti mentre «il corpo della chiesa» ap¬pare «tutto da novo restaurato». Nel con¬tempo si segnala anche per la prima volta, «sopra Valtare», l'esistenza del «choro fatto a volta bello et inibianchido»: è quindi da ritenere, identificandosi nel «choro» il pre¬sbiterio della chiesa, che questo sia stato co¬struito a ridosso degli anni quaranta del Sei¬cento e a tale momento dovrebbe pure risa¬lire la pavimentazione della navata con mat¬toni a spina di pesce, pavimentazione tutto¬ra esistente sotto l'attuale.
Della sacrestia, di cui non è menzione in ambedue le relazioni del 1646, è certa però l'esistenza dieci anni dopo quando essa è esplicitamente ricordata nel resoconto della visita pastorale del vescovo Giovanni Batti-sta Brescia, il io ottobre 1656; apprendiamo, inoltre come vi fosse una pala sull'altare del¬la chiesa, a destra del quale viene ordinato di ricavare una nicchia per le ampolle.
Il 15 maggio 1679 gli amministratori del¬l'Ospizio dei Preti, istituto nel quale era dai primi lustri del Quattrocento passata la pro¬prietà della chiesa, ottenevano dall'autorità ecclesiastica il permesso «di levar l'altar vec¬chio» per sostituirlo Coli uno «nuovo di fabrica più decente e decoroso»: lavoro di montaggio presto eseguito, addirittura en¬tro il 2.5 dello stesso mese, da Battista Barrera con altri muratori, riuscendo impresa «riguardevole et di molto accrescimento al culto et eccitamento di devotioni». Co- struirono l'altare, in marmo e pietra su loro disegno, i lapicidi valsoldani fratelli Merlo per un corrispettivo di cento ducati: sopra 12 mensa, dal paliotto intarsiato di marmi poli¬cromi, due eleganti colonne corinzie in mar mo rosso, fiancheggiate da volute, reggono la trabeazione e un frontone mistilineo sul quale sono adagiate due figure. Sovrasta il tutto un cartiglio di marmo nero con la scritta dedicatoria ai santi Fermo e Rustico e dove si ricorda come, sempre in quell'anno 1679, sia stato compiuto un restauro della chiesa. Entro l'arcata dell'altare, con testa umana nella chiave, è una tela di Bartolo¬meo Cittadella con i santi Fermo e Rustico. la Madonna e il Bambino in alto e, sotto in primo piano, lo stemma dei Proti (un altro santo, che appare sulla destra, forse san Gaetano, d'altronde canonizzato appena pochi anni prima, nel 1671, sembrerebbe ag¬giunta posteriore): dipinto datato in basso a destra 1678 ma per il quale si sono succeduti pagamenti anche nel successivo 1679. Nel Settecento e Ottocento la chiesa viene sempre detta complessivamente abbastanza ben tenuta; solo nel 1910 e 1924, visitandola, il vescovo Ferdinando Rodolfi, constata Ormai una situazione di degrado. Ultimo generale restauro, provvidenziale quanto non sempre filologicamente corretto, venne compiuto dal novembre 1975 al luglio 1976, provvedendo particolarmente a consolidare le fondazioni, a sostituire le capriate lignee del tetto e a rifare gli intonaci interni ed esterni.
Bi121zografia: Maccà 1813, p. 72: Saccardo r981, pp. 107-108, 1471-148; Brutto, Bertollo 1985; De Munari 1986; Pellizzari 1985; Brutto 1988; Brutto 1992; CarzarO 1993, pp. 41-45; Reato 1998, p. 65; Previtali 2001, pp. 205-207 F. lo.
Note
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Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Franco Barbieri e Renato Cevese, Vicenza, ritratto di una città, Vicenza, Angelo Colla editore, 2004, ISBN 8890099070.
- Congregazione di carità Vicenza, Statuto organico e regolamento dell'ospizio de Proti-Vajenti-Malacarne amministrato dalla Congregazione di carità di Vicenza, Vicenza, 1899
- Antonio Magrini, Notizie del cav. Giampietro de Proti e dell'ospitale di Santa Maria della Misericordia da lui fondato in Vicenza l'anno 1412, Padova, 1847
- Antonio Ranzolin (a cura di) con testi di R. Schiavo, P. Morseletto, L'istituto Proti-Vajenti-Malacarne: la storia dell'istituzione, il complesso architettonico, il restauro, Vicenza, IPAB, 1985.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
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