Teatro sociale
[modifica | modifica wikitesto]Nella teatrologia internazionale il teatro sociale è la variante italiana del teatro applicato o applied theatre, il teatro messo in atto da un gruppo di persone che lavorano insieme usando tecniche teatrali per rappresentare, discutere, affrontare e risolvere le loro problematiche esistenziali e sociali. Le tecniche teatrali possono essere molto varie come il role-playing, l’improvvisazione, i quadri viventi, il Teatro dell’oppresso di Augusto Boal, e altri metodi di interazione finalizzati al dialogo, all’educazione e al cambiamento del gruppo, della comunità, della società. Il teatro applicato include molte forme di teatro come la drammaterapia, il teatro educativo, il teatro comunitario, il teatro politico e civile, il teatro per la risoluzione di conflitti o per la costruzione di gruppi, ecc. Il teatro applicato può essere promosso e condotto da attori, professionisti delle arti performative, insegnanti, terapeuti, attivisti, organizzatori di comunità e chiunque abbia a cuore la vita e i problemi di qualsiasi gruppo di persone, di comunità, di paesi e territori. Il teatro applicato si può svolgere in qualsiasi spazio, luogo e ambiente (in una classe, all’aperto, in una stanza, nel quartiere, per strada ecc.) e spesso non si svolge negli spazi tradizionali del teatro. L’uso della voce, del corpo, dell’immaginazione, e la messa in atto della proprie competenze comunicative ed espressive si rivelano come delle efficaci pratiche non solo per comprendere e analizzare situazioni, cambiamenti, conflitti, problematiche individuali e collettive, ma anche per ridare forza, vigore, energia a persone e gruppi, e per curare i malesseri e i disagi del vissuto quotidiano.
Notevoli sono le somiglianze, ma anche le differenze del teatro sociale rispetto all'applied theatre o teatro applicato e di entrambi rispetto al teatro e alla performance professionistici.
Il teatro sociale si definisce come l’arte dei corpi che mira alla costruzione e al benessere delle persone, dei gruppi, delle comunità (Bernardi 2004: 59) . Cerca di unire la cura e il benessere della persona, in cui eccellono molti saperi come la medicina, la psicologia, le artiterapie, alla cura e al benessere dei collettivi, in cui si distinguono la politica, le arti performative, le scienze sociali.
Il teatro sociale come mezzo, “veicolo” direbbe Jerzy Grotowski, subordina l’estetica all’etica. Rovescia il processo creativo per cui non è la vita per l’arte, ma l’arte per la vita. Riguarda tutti gli umani. La drammaturgia non è patrimonio esclusivo dei professionisti dello spettacolo.
Il teatro socialenasce e si sviluppa in Italia negli anni Novanta nell’ambito del disagio e del malesser, occupandosi in particolare di disabili, detenuti, malati mentali, stranieri, periferie abbandonate, anziani, profughi, donne con disturbi alimentari,adolescenti a rischio, ecc. Non si caratterizza per il fatto di raccontare e rappresentare drammi e storie relative alle diverse situazioni di disagio. Il teatro della rappresentazione e la fiction in generale sono insuperabili, ma nella pratica poco efficaci nel diminuire il malessere e nel ridare benessere alle persone in situazione di sofferenza [[|[1]]]. Il teatro della rappresentazione, il teatro d’arte, è insuperabile dal punto di vista diagnostico, ma non funziona come cura, perché si rivolge alla mente e non al corpo-mente, allo spettatore e non all’attore,. La caratteristica fondamentale del teatro sociale è quella di essere il teatro dell’azione, così come Marco De Marinis definisce “il teatro dell’altro” (De Marinis 2011: 177).
I protagonisti del teatro sociale sono direttamente coloro il cui corpo è negato, le cui relazioni sono difficilii, il cui ambiente di vita è ostile . Il teatro sociale non è andare a teatro, ma far fare teatro a tutti. I professionisti del settore non sono gli attori, il regista, il drammaturgo e lo scenografo ecc., ma l’operatore teatrale, il conduttore, il drammaturgo sociale, i facilitatori di un processo creativo e relazionale extraquotidiano volto alla trasformazione positiva del vissuto quotidiano.
Nel teatro dell’azione, la cui forma più alta è l’arte performativa, spesso il lavoro con persone in situazione di disagio non mira direttamente alla cura e al benessere dei partecipanti, alla modifica dei loro ambienti di vita e soprattutto alle loro relazioni, ma piuttosto alla denuncia dello stigma e alla qualità estetica, in senso lato, della performance (Fischer-Lichte 2004; Jackson 2011). Nel passaggio dal mondo della rappresentazione al mondo delle situazioni e delle esperienze reali processate dagli artisti performativi, si attiva una formidabile pratica biopolitica dei meccanismi e dei dispositivi “estetici” e comportamentali che condizionano, regolano e spesso opprimono la vita individuale e sociale.
Il teatro sociale lavora sul disagio personale e sociale lavorando sulle rappresentazioni, sulle azioni e sulle relazioni alla ricerca del circolo virtuoso del vissuto quotidiano. A tal fine utilizza tre diverse drammaturgie, quella teatrale come modello di rappresentazione, quella performativa, come vertice dell’azione, quella festiva-rituale, come massima espressione di socialità e comunità.
Il teatro sociale, in qualsiasi situazione in cui viene chiamato, cerca di mettere in atto questo circolo virtuoso attraverso la combinazione articolata di laboratori (per l’azione), spettacoli (per la rappresentazione), eventi (per le relazioni nella ritualità quotidiana e festiva).
Il processo creativo del teatro sociale parte da una accurata analisi dei problemi e delle risorse, delle rappresentazioni, delle azioni e dei rituali di persone, gruppi, comunità per creare rappresentazioni, azioni, relazioni, capaci, dopo l’intervento del teatro sociale, di tradursi in un progetto continuativo di trasformazione positiva delle persone e degli ambienti di vita (famiglia, amici, lavoro, tempi, spazi, scuola, quartiere, paese, ambiente ecc.).
Bibliografia
Bernardi, Claudio, Il teatro sociale. L’arte tra disagio e cura, Carocci, Roma, 2004.
Bernardi, Claudio Eros. Sull’antropologia della rappresent-azione, EDUCatt, Milano, 2015.
De Marinis Marco Il teatro dell’altro, La Casa Usher, Firenze, 2011.
Fischer-Lichte, Erika, Ästhetik des Performativen, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 2004 (trad. it. Estetica del performativo. Una teoria del teatro e dell’arte, Carocci, Roma 2014).
Giacché, Piergiorgio, Censire il teatro: il valore delle eccezioni, in Teatro e disagio. Primo censimento nazionale di gruppi e compagnie che svolgono attività con soggetti svantaggiati/disagiati, Arti Grafiche Stibu, Urbania, 2003.
Pontremoli, Alessandro, Teoria e tecniche del teatro educativo e sociale, UTET, Torino 2005.
Rossi Ghiglione, Alessandra, Teatro sociale e di comunità, Dino Audino, Roma 2013.
Rossi Ghiglione, Alessandra, Pagliarino, Alberto, Fare teatro sociale. Esercizi e progetti, Dino Audino, Roma 2007.
Jackson, Shannon, Social works. Performing Art, Supporting Publics, Routledge, New York-London, 2011.
[[|[1 Piergiorgio Giacché (Giacché 2003: 15) distingue bene i due differenti approcci del teatro artistico e del teatro sociale: ci sono «più possibilità e modi diversi di intendere e sviluppare la relazione fra Teatro e Disagio (o meglio tra teatro e servizio sociale e terapeutico relativo al disagio)». Si va «da gruppi o esperienze di teatro che sperimentano l’incontro con il disagio rigorosamente all’interno della propria poetica e dei propri fini di ricerca artistica, a gruppi o iniziative sempre di teatro (e gestite e dirette da teatranti) che si mettono “al servizio” di strutture, enti e associazioni che si occupano del disagio.
È questa una differenza essenziale, quella cioè che passa tra una sperimentazione teatrale che persegue fini rigorosamente artistici (e che però arriva a conquistare soggetti o a produrre progetti che in definitiva riguardano o coinvolgono soggetti disagiati o particolari), e la proposizione di un teatro che nasce con lo scopo dichiarato di esplorare e rendersi utile a soggetti disagiati. Soggetti che quindi restano “utenti” anche quando divengono “attori” del progetto teatrale stesso».
Ovviamente per Giacché il teatro è solo quello d’arte e professionistico per cui trova assolutamente in-sensato il teatro sociale, perché il teatro è un mezzo e non il fine. «Ora, se è vero (come più volte ho avuto modo di dire) che la sottomissione completa alla funzione sociale riduce o azzera il senso e l’autonomia del teatro in quanto arte, è anche vero che un censimento che esplori anche questo lato ultimo e in-sensato del rapporto tra Teatro e Disagio, è infine anche utile: non è senza interesse, anche per chi fa e si occupa di teatro in modo professionale» (ivi: 16).