IL 1° novembre 1978 l'Espresso, a pochi mesi di distanza dal sequestro e successiva uccisione di Aldo Moro pubblicò un articolo di 14 pagine intitolato "Libro bianco sul caso Moro", scritto da Scialoia con la collaborazione di Pietro Calderoni in cui riportava quello che era stato possibile accertare e ricostruire del caso Moro, utilizzando anche dei documenti inediti al tempo, quali verbali di riunioni fra governo e segreterie di partiti politici anche d'opposizione e brani dell'interrogatorio brigatista al rapito [1].
Il contenuto dell'articolo sarà soggetto a investigazioni negli anni a seguire, durante le sedute delle commissioni parlamentari sul caso Moro.
Contenuti
[modifica | modifica wikitesto]Preparazione e natura delle Brigate Rosse
[modifica | modifica wikitesto]Il sequestro sarebbe stato preparato accuratamente da mesi, ispirandosi a quello di Hanns-Martin Schleyer, avvenuto pochi mesi prima nell'ottobre 1977 ad opera della Rote Armee Fraktion in Germania, Moro fu individuato come vittima per la facilità con sarebbe potuto essere catturato e poiché Moro era l'incarnazione della DC, indicata come "centro della ristrutturazione imperialistica", l'obiettivo finale del sequestro era la liberazione di brigatisti prigionieri, similmente a come agivano i Tupamaros, la loro liberazione avrebbe fornito una prova del loro reale contropotere come guerriglieri per poter fare un reclutamento di massa. L'agguato di via Fani è stato ricostruito nei dettagli e lo svolgimento dello stesso non richiedeva necessariamente un coinvolgimento di elementi stranieri o di specialisti, essendo stato descritto dalla stampa nei dettagli quello avvenuto per il sequestro di Schleyer, inoltre la sua tecnica riprende quanto fatto negli anni '60 per la rapina di via Osoppo.
Le BR "sono un prodotto interamente nazionale" dalla loro nascita nel 1970, anche se questo non preclude loro collegamenti internazionali di solidarietà.
Trattative e fermezza
[modifica | modifica wikitesto]Al ricevimento del primo messaggio delle BR Zaccagnini, segretario DC si mostrò favorevole ad una trattativa, approvando inizialmente una bozza di un editoriale di Corrado Belci, scritto in tal senso, da pubblicare su Il Popolo, venendo bloccato da Andreotti, assieme agli altri componenti della direzione politica del partito, che subito decisero la linea della non trattativa, che fu sempre mantenuta. Per la liberazione di Moro fu attivo il gruppo Febbraio 74, organizzazione della sinistra cattolica a cui apparteneva anche il figlio Giovanni, che dopo la lettera di Moro ricevuta da Zaccagnini, ebbe un colloquio di un'ora di Enrico Berlinguer dove costui ribadì la linea dura del PCI contro la trattativa, commentando: Non trattare è il modo migliore per salvare Aldo Moro, conseguentemente il gruppo si rivolse a Lotta Continua (giornale) che si dimostrò pronto a collaborare. Il gruppo 74 ottenne di far pubblicare dall'ANSA il 18 aprile un appello per la liberazione firmato da vescovi e intellettuali cattolici e laici, il giorno seguente Lotta Continua ripubblicò l'appello aggiungendo una lista di persone pronte ad associarsi. Il Gruppo 74 cercherà anche di coinvolger la Croce Rossa Internazionale per una mediazione per scambio di prigionieri, ma per far ciò, per il diritto internazionale, la Croce Rossa aveva bisogno di una richiesta ufficiale di una delle due parti in causa: governo o BR; Andreotti sollecitato a richiederne l'invito risponderà al gruppo 74 soltanto dopo il ritrovamento del cadavere, affermando che si era verificata l'indisponibilità della CRI all'intervento, la quale a sua svolta ritorcerà la medesima affermazione al governo.
L'ipotesi di una trattativa verrà poi ripresa anche da gruppi di Autonomia Operaia e dal Partito Socialista. Quest'ultimo ipotizza la soluzione con gesto di grazia presidenziale, a cui l'allora presidente Giovanni Leone sarebbe stato favorevole con l'appoggio di Amintore Fanfani. Contrari alle trattative sono invece la Curia romana e L'Osservatore Romano, mentre Papa Paolo VI di sua iniziativa parlerà al telefono con la moglie di Moro e scriverà un'implorazione agli "uomini delle Brigate Rosse" affinché liberassero il prigioniero.
Il 17 Aprile Zaccagnini chiederà alla segreteria di Amnesty International a Londra di provare a stabilire un contatto per copi umanitari. L'intervento fu osteggiato da chi accusava la famiglia di Moro di incrinare la linea governativa della fermezza e con una telefonata dalla sede del PCI in via Botteghe Oscure si ricorderà ad Amnesty International che questa, per statuto, può agire soltanto su richiesta di privati e per scopi puramente umanitari, mentre il suo interventi avrebbe rischiato di fornire una legittimazione politica alle BR, alla fine l'intervento di Amnesty sarà limitato ad un sopralluogo alle carceri speciali permesso dal governo.
Viene anche effettuata una raccolta di denaro per la liberazione, sostenuta da Sereno Freato e Fondazione Balzan che raccoglierà 45 miliardi lire da industriali e finanzieri di tutto il modo, ma che non verrà utilizzata.
Il 26 Aprile Kurt Waldheim, Segretario generale delle Nazioni Unite e imparentato con Cottafavi, consigliere diplomatico di Moro, sollecitato dalla Farnesina e da Giuseppe Manzari, consigliere di stato, fa un appello pubblico per la liberazione di Moro, che potrebbe equivalere ad un riconoscimento come guerriglieri delle Brigate Rosse.
Iniziative socialiste
[modifica | modifica wikitesto]A fine marzo Bettino Craxi, al tempo segretario PSI e Claudio Signorile, decisero di tentare un'iniziativa autonoma per aprire una trattativa. A Torino durante il congresso PSI Craxi incontra Giannino Guiso, avvocato difensore dei brigatisti che sostiene la possibilità della liberazione di Moro in cambio della liberazione di un solo prigioniero brigatista o persino di un semplice riconoscimento politico. Questa ipotesi ottiene il supporto di gran parte dei socialisti, con l'eccezione del gruppo di Michele Achilli e l'opposizione personale di Sandro Pertini e l'appoggio di Fanfani. Il 21 aprile, di fronte alla direzione del partito, Craxi, leggendo alcuni brani delle lettere di Moro sostiene che il mediatore stesso della trattativa sia Moro e che non si debba rifiutare pregiudizialmente ogni trattativa.
Quindi Claudio Martelli e Giuseppe Di Vagno (1922) organizzano un gruppo di lavoro composto da giuristi (tra cui Giuliano Vassalli, Maria Magnani Noya, Federico Mancini, Ettore GalloGino Giugni e Giuliano Amato) per trovare una motivazione giuridicamente valida per liberare un brigatista. Dopo aver proseguito i contatti con l'avvocato Guiso, a cui si aggiunge Eduardo Di Giovanni, entrambi avvocati difensori di fiducia dei brigatisti al processo di Torino si avanza l'ipotesi di applicare l'articolo 62 del Codice penale che prevede per un reato circostanze attenuanti quali l'avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale [2] che potrebeb costituire una sorta di riconoscimento politico alle BR. Tuttavia, dopo colloquio coi brigatisti prigionieri, Guiso spiega: il problema non è tanto uno scambio di prigionieri quanto il riconoscimento di uno status politico ai brigatisti ... E' Moro stesso che ha avanzato le proposte più serie: i partiti si dialetizzino con Moro e Moro verrà salvato. Si imbocca l'idea di uno scambio uno contro uomo e il gruppo di lavoro assieme agli avvocati dei brigasti cercano fra un elenco di 147 brigatisti arrestati una persona per il quale sia possibile la grazia presidenziale diretta, questa viene individuata in Paola Besuschio, di 31 anni, malata d'artrite, brigatista confessa, ma che non ha ne ferito ne ucciso e quindi ideale candidata per una grazia umanitaria. Giuliano Vassalli, Fanfani e Giuseppe Saragat contattano il presidente Leone, che si dichiara pronto a firmare se esiste una precisa indicazione in tal senso e la non contrarietà del governo, e comunica alla moglie di Moro : "Eleonora tengo pronta la penna". Tuttavia, utilizzando canali indiretti le BR comunicano ai socialisti che non accettano una grazia "umanitaria", il graziato deve essere un "combattente comunista", altre complicazioni giuridiche arrivano dal fatto che la grazie può essere concessa soltanto ad un condannato in via definitiva, ciò non è la condizione di Besuschio, inoltre Francesco Paolo Bonifacio, al tempo ministro della Giustizia si rifiuta categoricamente di inviare la richiesta di grazia al presidente della Repubblica.
IL 28 aprile arriva l'ultimo messaggio brigatista con tono ultimativo e la richiesta di liberare 13 brigatisti [3], ciò nonostante il PSI continua a sostenere la possibilità di uno scambio uno a uno,per cui i giornalisti dell'Espresso scrivono che è probabile che i socialisti abbiano trovato un loro contatto autonomo con le BR, tale da far loro sostenere che l'esecuzione potrebbe essere sospesa in cambio di una dichiarazione di disponibilità a trattare. Seguono frenetici tentativi di accordi con Riccardo Misasi, Fanfani, Signorile, mentre Eleonora Moro lancia un appello pubblico ai politici per la liberazione di almeno uno dei 13 brigatisti indicati nel messaggio. Infine alla televisione il senatore Giuseppe Bartolomei dichiara che la DC non rinuncia alla ricerca delle cose possibili per ridare la libertà a Moro, frase indicata come contorta nel libro bianco a cui anche la stampa da poco rilievo, e questo, sempre secondo Scialoja potrebbe aver influenzato negativamente la sua considerazione da parte dei carcerieri di Moro. Fanfani incalzato promette alla moglie di Moro e a Craxi che entro la sera di lunedì 8 maggio farà un dichiarazione pubblica in tal senso, viceversa tace e si sparge la voce che nella riunione della direzione programmata per il giorno dopo si discuterà di questioni elettorali e secondo la ricostruzione del libro bianco probabilmente sarà questo a far decidere di eseguire la sentenza.
Un mese dopo un giornalista dell'Espresso, in una intervista ad un brigatista indicato come Fabrizio, e come conoscitore dell'operazione Moro, riportava i suoi commenti secondo i quali per poche ore venne mancato uno scambio uno a uno oppure una grazia o una dichiarazione ufficiale di disponibilità a trattare che avrebbe fatto ritardare l'esecuzione.
Incontri tra i vertici politici
[modifica | modifica wikitesto]Due riunioni plenarie, con tanto di verbale redatto e disponibile ai giornalisti dell'Epresso furono tenute durante i giorni del sequestro.
La prima avvenne il 17 marzo, il giorno seguente il sequestro, con la partecipazione di Andreotti, Zaccagnini, Craxi, Berlinguer, Romita e Biasini. Viene discusso il ruolo della televisione nel fornire la notizie, di avere la stampa più collaborativa, unione delle banche dati di carabinieri e polizia al tempo ancora divise, di voci sull'addestramento in Cecoslovacchia dei brigatisti, di provvedimenti eccezionali, incremento nell'uso delle intercettazioni telefoniche, impiego di militari anche per azioni di rastrellamento, è respinta l'idea di introdurre la pena di morte.
La seconda riunione avvenne il 3 aprile con anche la partecipazione di Francesco Cossiga, ministro dell'interno. Andreotti commentate tre lettere di Moro affermando che non sono moralmente imputabili al soggetto e questo deve essere ribadito pubblicamente, smentendo ogni affermazione di trattative sotto banco e la stessa necessità di fermezza è stata richiesta al Vaticano, fermezza necessaria anche per evitare reazioni della destra armata. Cossiga menziona il rischio di un'altra azione brigatista per cui occorre aumentare le protezioni delle personalità, protezione di cui Moro non si curava. Berlinguer ribadisce la necessità che il governo nel dibattito alla camera affermi chiaramente l'intransigenza contraria a qualsiasi cedimento dello stato, anche per evitare sbandamenti nelle forse dell'ordine. Zaccagnini pur appoggiando la fermezza, parla del valore della vita umana e della possibilità di valutare azioni legali per recuperare Moro. Craxi chiede di passare dalle parole ai fatti per salvare Moro, che va salvato ad ogni costo e trattativa non significa cedere, e fare tutto ciò che è realisticamente possibile fare. Biasini conferma l'appoggio alla linea di fermezza e Romita è pronto ad appoggiare se necessario la dichiarazione di stato di pericolo pubblico. Andreotti conclude affermando che occorre rispondere all'esigenza di chiarezza della gente seguendo la linea della fermezza già scelta ed eventuali cose nuove saranno valutate al loro apparire.
Una riunione due fra DC e PSI avvenne il 2 maggio alle sette di sera,, dopo che Craxi ricevette un messaggio da Moro che lo "scongiurava" di continuare ad aiutarlo, nella sede della DC in piazza del Gesù. La delegazione socialista, guidata da Craxi includeva Signorile, Vincenzo Balzamo, Alberto Cipellini, Giuseppe Di Vagno incontrò la direzione democristiana, guidata da Flaminio Piccoli, con la presenza di Giovanni Galloni e Zaccagnini, e terminò verso mezzanotte, con un nulla di fatto dopo uno scontro fra Craxi e i democristiani. Craxi affermò di parlare anche su incoraggiamento della famiglia Moro e che bisognava trattare e che i brigatisti si sarebbero accontentati anche di una sola liberazione di un detenuto e i socialisti esposero le ipotesi legali per far ciò, Piccoli rispose che i socialisti non l'avevano incoraggiato a lavorare assieme per questo, quali possibilità concrete c'erano di riuscire nell'intento e quali canali garantivano queste soluzioni ai socialisti. Al che Craxi irritato avrebbe chiesto come poteva fidarsi di loro ed esclamando ad alta voce Qui dentro c'è qualcuno che vuole morto Moro e lo dirò su tutte le piazze chiuse la riunione.
La decisione di uccidere
[modifica | modifica wikitesto]Secondo il Libro bianco la decisione venne presa da un numero ristretto di persone (8-10) che costituivano l'esecutivo nazionale brigatista con una risicata maggioranza di voti, i carcerieri avrebbero ritardato l'esecuzione di 48 ore attendendo l'esito della iniziativa socialista presso Fanfani. Anche se non esplicitato questa informazione così precisa deve essere inclusa fra le notizie pervenute ai giornalisti attraverso canali non ufficiali.
Le cinque borse di Moro
[modifica | modifica wikitesto]Moro aveva con sé 5 borse nell'auto: due borse rimasero nel portabagli chiuso della sua vettura, una fu abbandonata aperta con i fogli sparsi per terra sulla scena del rapimento, due (una con medicinali e l'altra con documenti) erano scomparse e soltanto col ritrovamento del cadavere si è scoperto che queste due borse furono prese dai brigatisti durante il sequestro, poiché assieme al cadavere nella Renault rossa si trovò un oggetto "affettivo" contenuto in essa. I documenti scomparsi dovevano essere importanti, poiché sua moglie si adoperò durante il periodo del sequestro nella loro ricerca, incaricando il giudice Alfredo Carlo Moro, fratello di Aldo, di affiancarsi al magistrato Luciano Infelisi nella loro ricerca.
Appartamento di via Gradoli e ubicazione prigione
[modifica | modifica wikitesto]Il luogo della prigione non è noto, ma viene scritto che probabilmente è un appartamento entro Roma con confort e servizi igenici[Nota 1], come deduzione dai risultati dell'autopsia. La sabbia trovata nel risvolto dei pantaloni fu un tentativo di depistaggio suggerito dai manuali di guerriglia. L'appartamento di via Gradoli, utilizzato come base dal "ing. Borghi", ossia da Mario Moretti, venne velocemente abbandonato, dopo esser stato ripulito da elementi compromettenti, quando fu evidente che la perdita d'acqua del rubinetto, che proseguiva da tempo ed era stata tamponata con uso di secchi, non era aggiustabile mantenendo una presenza clandestina [Nota 2].
Telefonate e messaggi dei brigatisti e lettere di Moro
[modifica | modifica wikitesto]Le telefonate brigatiste fatte verso amici e intimi di Moro sono otto a cui si deve aggiungere la nona indicante il luogo dove trovare il cadavere, le voci dei brigatisti sarebbero 5 o 6. Per quanto si vociferi di una sessantina di lettere scritte da Moro, le sue lettere dovrebbero essere circa la metà[Nota 3], di cui 21 rese pubbliche, quelle trovate nel covo di via Nevoso a Milano sono 27, tra quelle secretate vi sono quelle per Paolo VI, Kurt Waldheim segretario dell'ONU, Enrico Berliguer. Nell'articolo viene ricordato il giudizio di Moro di piena responsabilità della DC per la sua morte, causato da un comportamento "assurdo e incredibile" contenuto nella lettera testamento inviata alla moglie.
I comunicati dei brigatisti sono scritti con due diverse macchine IBM aventi diverse testine rotanti, nonostante questi inizialmente avessero comunicato che avrebbero mantenuto l'utilizzo di una stessa macchina da scrivere.
Indagini dopo la conclusione del sequestro
[modifica | modifica wikitesto]Dopo la conclusione del sequestro le indagini furono nuovamente affidate al generale Dalla Chiesa, che nel giro di pochi mesi arrivò alla scoperta di tre basi brigatiste: la stamperia operativa delle BR in via Busti, la base della colonna Walter Alasia in via Pallanza, sempre a Milano e sopratutto il covo archivio di Via Montenevoso a Milano, scoperto pedinando la terrorista Nadia Mantovani, evasa dal regime di domicilio coatto e che i brigatisti riaccolsero nelle proprie file con un tempismo inspiegabile a detta dei giornalisti.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Col proseguire delle indagini fu scoperto che effettivamente Moro fu tenuto prigioniero in un appartamento, in via Montalcini 8, nel quartiere Portuense
- ^ Questa ricostruzione col dettaglio della perdita d'acqua per guasto contrasta con successive descrizioni dello stato dell'appartamento al momento della sua scoperta, per le quali la perdita d'acqua sarebbe stata dovuta ad un rubinetto lasciato aperto (volontariamente o involontariamente) al termine dell'occupazione dell'appartamento
- ^ In realtà indagini e scoperte successive arrivano a far contare fino a 86 lettere scritte da Moro
Riferimenti
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Gero Grassi (a cura di), L’ESPRESSO – Libro Bianco Sul Caso Moro – 1 Novembre 1978, su https://gerograssi.it/. URL consultato il 2 marzo 2024.
- ^ Codice Penale-art. 62, su https://www.gazzettaufficiale.it/. URL consultato il 6 marzo 2024.
- ^ Brigate Rose, Comunicato n. 8, su http://www.archivio900.it/, Archivio '900. URL consultato il 6 marzo 2024.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Mario Scialoja, Libro bianco sul caso Moro, in L'Espresso, L'Espresso, 1º novembre 1978, pp. 6-19. URL consultato l'8 marzo 2024 (archiviato dall'originale ) . Ospitato su https://gerograssi.it/.
- Commissione bicamerale, Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, su Presidenza del Presidente PELLEGRINO (a cura di), https://www.parlamento.it/, 65a SEDUTA, 14 marzo 2000. URL consultato l'8 marzo 2024.