Italia in tour 1973 16 giugno 1973 ‒ 11 luglio 1973 | ||||||||||||||||
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La nazionale italiana a Roma prima della partenza per l'Africa | ||||||||||||||||
Incontri del tour 1973 | ||||||||||||||||
Allenatore | Gianni Villa | |||||||||||||||
Capitano | Marco Bollesan | |||||||||||||||
Destinazione | Sudafrica | |||||||||||||||
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Avversari nei test match | ||||||||||||||||
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A giugno e luglio 1973 la nazionale italiana di rugby a 15 intraprese un tour di 9 incontri in Africa meridionale.
Le destinazioni del tour furono Rhodesia (nome con cui era all’epoca noto lo Zimbabwe) e Sudafrica. Di detti 9 incontri il primo, quello contro la Rhodesia, fu un test match.
Fatta eccezione per il breve tour di tre anni prima in Madagascar, l’Italia del rugby non aveva mai viaggiato oltremare nelle sue uscite internazionali, essendosi limitata solo a brevi puntate in Gran Bretagna o, se in Europa continentale, in Francia.
Quello del 1973 fu, quindi, il primo vero grande tour organizzato dalla federazione al fine di dare al movimento rugbistico italiano un’opportunità di crescita tecnica.
Contesto storico
[modifica | modifica wikitesto]L’Italia proveniva da una retrocessione nel campionato europeo 1970-71 e aveva fallito il ritorno in prima divisione nel 1972[1] e nel 1973.
Il presidente federale Sergio Luzzi-Conti, già giocatore e dirigente del CUS Roma, grazie ai buoni rapporti con la South African Rugby Board, ovvero la federazione dei rugbisti bianchi sudafricani (quella, tra le varie del Paese, riconosciuta internazionalmente dall’IRFB) riuscì a ottenere la collaborazione dell’ex pilone Amos du Plooy che fu affiancato al C.T. Gianni Villa nel ruolo di consulente tecnico[2].
Il clima politico non permetteva di scegliere liberamente nel parco giocatori nazionale: già un tour degli Springbok in Nuova Zelanda era stato annullato a seguito delle proteste a Wellington contro il regime di apartheid vigente in Sudafrica e di una raccomandazione del primo ministro laburista Norman Kirk alla NZRFU di ritirare l’invito agli ospiti[3]; non aiutò in tal senso il mancato impegno di Danie Craven, presidente della SARB, di garantire alla vecchia SARU (South African Rugby Union, all’epoca l’organismo che gestiva la disciplina con approccio non separatista) il perseguimento in Sudafrica di un rugby razzialmente neutro entro 15 anni da allora[3]. Su proteste locali pure i Paesi Bassi annullarono un tour in Sudafrica previsto per giugno 1973. Anche la Rhodesia presentava problemi perché, pur non ancora soggetta a bando formale, da parte dei governi laburisti britannici di Harold Wilson e James Callaghan era sotto stretta osservazione la controversa amministrazione di Ian Smith in quanto anch’essa fautrice di un apartheid se non di diritto, quantomeno di fatto. Non sorprendentemente, quindi, le Fiamme Oro, squadra composta da agenti della Pubblica Sicurezza, su disposizione del Ministero dell'interno non concessero i propri militari per il tour[2].
Amos du Plooy, conoscendo la durezza del gioco in Sudafrica, scelse per la mischia alcuni elementi tra i più solidi che il campionato italiano potesse offrire: suggerì quindi al C.T. Villa piloni come Ambrogio Bona e Anacleto Altigieri (entrambi del Rugby Roma), tallonatori come Paolo Paoletti (CUS Genova) e Antonio Spagnoli (Frascati), seconde linee del calibro di Isidoro Quaglio (Rovigo), terze linee come Salvatore Bonetti (Parma), Arturo Bergamasco (Petrarca) o il capitano della spedizione Marco Bollesan (ancora CUS Genova)[4]; per la linea dei tre quarti furono scelti elementi tecnici ma robusti come Rocco Caligiuri (Rugby Roma), utility back dal calcio potente, Lelio Lazzarini (ancora Petrarca), ala/estremo rapido e talentuoso e anch’egli preciso al piede, Nello Francescato (GUF Treviso), tre quarti centro capostipite di una famiglia che diede al rugby italiano quattro giocatori internazionali.
Ai fini del computo presenze, la Federazione concesse il cap per tutte le partite disputate dagli Azzurri. L’unico test match è quello contro la Rhodesia, ovvero la sola squadra ai cui giocatori fu concessa la presenza internazionale.
Gli incontri
[modifica | modifica wikitesto]La prima partita, al Police Ground di Salisbury (oggi Harare), vide gli Azzurri appena sbarcati sul continente praticamente impotenti e sconfitti 4-42 dalla Rhodesia: è storicamente l’unica sconfitta subìta da tale formazione, in quanto i successivi 3 incontri, tutti come Zimbabwe, videro l’Italia vittoriosa. Cinque sconfitte, ma con prestazioni sempre in via di miglioramento, sopravvennero con Western Transvaal (oggi Leopards), Border (oggi Border Bulldogs), North-Eastern Cape (soppressa nella ristrutturazione del 1995), Natal (oggi Natal Sharks) e infine Eastern Transvaal (oggi Falcons).
Il 7 luglio 1973, al Boet Erasmus di Port Elizabeth, l’Italia affrontò i Leopards, ovvero la nazionale coloured della SARU da cui la SARB si manteneva separata[3], e l’avvenimento coincise con la prima e unica vittoria azzurra del tour, per 24-4[5]. Due giorni dopo l’Italia perse di un solo punto contro Northern Free State (gli attuali Griffons) e nell'incontro di chiusura del tour, a Johannesburg contro il Transvaal (gli odierni Golden Lions), fu sconfitta di soli 4 punti, 24-28, ma l’impresa di giornata fu di Rocco Caligiuri che, nel corso dell’incontro, piazzò tre calci in drop tra i pali della formazione sudafricana[6], prestazione mai realizzata prima nel rugby internazionale[6] ed eguagliata, almeno a livello italiano, solo 27 anni dopo da Diego Domínguez contro la Scozia nella prima partita di sempre dell’Italia nel Sei Nazioni[6].
Il post-spedizione
[modifica | modifica wikitesto]L’Italia vinse la seconda divisione della Coppa FIRA 1973-74 e tornò in prima divisione; la Federazione restituì la cortesia ai due organismi sudafricani che l’avevano ospitata, ma quando si sparse la notizia che la rappresentativa bianca del Sudafrica avrebbe giocato in Italia (furono previsti due incontri, il 7 e l’11 dicembre 1974 rispettivamente a Brescia e a Treviso) sorsero contestazioni e furono organizzate manifestazioni per spingere il potere politico a chiedere l’annullamento delle partite[7]. La città di Brescia, per voce del suo sindaco Boni, si espresse chiaramente per il rifiuto a ospitare gli Springbok[8].
La federazione decise alfine di rinunciare a disputare gli incontri previsti[7]; nessun problema ebbero invece i rappresentanti di colore della SARU, i Leopards, che furono ospitati in Italia per due incontri che li videro sconfitti. Non vi furono più contatti tra il rugby italiano e quello sudafricano fino al 1995 quando gli Springbok freschi campioni del mondo e riammessi nel consesso internazionale dopo la fine dell’apartheid giocarono e vinsero 40-21 allo stadio Olimpico di Roma il primo test match ufficiale tra le due nazionali. Il 13 marzo 2008 l’allora presidente federale Giancarlo Dondi, nel trentacinquesimo anniversario del tour e in riconoscimento del ruolo che esso ebbe nello sviluppo futuro del rugby nazionale, decise di premiare i suoi componenti (giocatori e staff) con una medaglia commemorativa consegnata allo stadio Flaminio di Roma prima dell’inizio di Italia — Scozia del Sei Nazioni[9].
Risultati
[modifica | modifica wikitesto]Salisbury 16 giugno 1973, ore 15:45 UTC+2 | Rhodesia | 42 – 4 referto | Italia | Police Ground
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Potchefstroom 20 giugno 1973 | Western Transvaal | 32 – 6 referto | Italia | Olën Park
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East London 23 giugno 1973 | Border | 25 – 12 referto | Italia | Basil Kenyon Stadium
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Cradock 27 giugno 1973 | North-Eastern Cape | 31 – 12 referto | Italia | Cradock R.C.
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Durban 30 giugno 1973 | Natal | 23 – 3 referto | Italia | Kings Park
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Witbank 4 luglio 1973 | Eastern Transvaal | 39 – 12 referto | Italia | van Riebeeck Stadium
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Port Elizabeth 7 luglio 1973 | Leopards | 4 – 24 referto | Italia | Stadio Boet Erasmus (5000 spett.)
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Welkom 9 luglio 1973 | North. Free State | 12 – 11 referto | Italia | North West Stadium
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Johannesburg 11 luglio 1973 | Transvaal | 28 – 24 referto | Italia | Ellis Park
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Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Gli azzurri del rugby regalano il pareggio (6 a 6) alla Spagna, in Stampa Sera, 22 maggio 1972, p. 14. URL consultato il 16 ottobre 2017.
- ^ a b Volpe, pag. 40.
- ^ a b c (EN) Muriel Horrell e Dudley Horner, A Survey of Race Relations in South Africa (PDF), su sahistory.org.za, Johannesburg, South African Institute of Race Relations, 1974, p. 369-70, ISBN 0-86982-077-X. URL consultato il 12 giugno 2018 (archiviato dall'url originale il 12 giugno 2018).
- ^ Volpe, pag. 41.
- ^ (EN) Azzurri and Boks down the years, in Rugby 365, 20 novembre 2014. URL consultato il 13 giugno 2018 (archiviato il 13 giugno 2018).
- ^ a b c La F.I.R. piange Rocco Caligiuri, addio all'azzurro numero 244, su federugby.it, Federazione Italiana Rugby, 24 giugno 2013. URL consultato il 13 giugno 2018 (archiviato dall'url originale il 13 giugno 2018).
- ^ a b Elvis Lucchese, 1974, quando l’Italia disse no agli Springboks, in Corriere del Veneto, 13 novembre 2016. URL consultato il 13 giugno 2018 (archiviato dall'url originale il 14 novembre 2016).
- ^ Sindaco di Brescia: «No agli Springboks» (PDF), in l'Unità, 29 novembre 1974, p. 10. URL consultato il 17 giugno 2023.
- ^ Dondi saluta gli azzurri del ’73, su solorugby.org, 13 marzo 2008. URL consultato il 26 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 21 agosto 2008).
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Massimo Calandri, Non puoi fidarti di gente così: storia della squadra di rugby che sfidò l'apartheid, Milano, Mondadori, 2022, ISBN 88-04-74528-2.
- Paolo Pacitti e Francesco Volpe, Rugby 2018, Roma, Grafica Zesi, 2017, pp. 203-04.
- Francesco Volpe, Props, piloni, Roma, Absolutely Free, 2012, ISBN 8897057810.