Tempio di Venere | |
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Resti del tempio | |
Civiltà | Romani |
Utilizzo | Tempio |
Epoca | dal I secolo a.C. al 79 |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Comune | Pompei |
Scavi | |
Date scavi | dal 1852 al 1984 |
Amministrazione | |
Patrimonio | Scavi archeologici di Pompei |
Ente | Parco Archeologico di Pompei |
Visitabile | Sì |
Sito web | www.pompeiisites.org/ |
Mappa di localizzazione | |
Il tempio di Venere è un tempio di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: era il tempio dove veniva venerata la divinità protettrice della città[1], nonché uno dei più sontuosi[2].
Storia e descrizione
[modifica | modifica wikitesto]La costruzione del tempio di Venere, in posizione panoramica sulla pianura circostante e sul golfo di Napoli[2], risale al periodo immediatamente dopo la fondazione di Pompei come colonia romana, nel periodo che seguì la conquista da parte di Lucio Cornelio Silla[3]; originariamente in città era presente un altro tempio dedicato alla Venus Fisica, riconducibile o ad Afrodite o ad Astarte. Per la sua costruzione, tra Porta Marina e la Basilica, fu necessario abbattere numerose case, eccetto alcune lungo il pendio meridionale utilizzate dai sacerdoti[3]. Subì notevoli danni a seguito del terremoto di Pompei del 62, ma anziché chiuderlo per permettere il restauro si decise la costruzione di una piccola edicola votiva in modo da continuare a svolgere le normali attività durante i lavori. Tuttavia nel 79, prima del termine del restauro, fu sepolto sotto una coltre di ceneri e lapilli dall'eruzione del Vesuvio[1]; esplorato durante l'epoca borbonica, era già stato completamente depredato precedentemente di tutti gli arredi marmorei[3].
Il tempio, cinto da possenti muri perimetrali, ampliati durante l'epoca giulio-claudia[4], disponeva di un ingresso nell'angolo nord-est ed uno secondario nella parte orientale; la struttura, sviluppata lungo l'asse nord-sud[2], era completamente circondata da colonne: due file sul lato est ed ovest ed una su quello nord, mentre erano assenti sul lato sud; un altro colonnato fu costruito durante l'epoca sillana ed era dotato di cunette per permettere il deflusso delle acque piovane[3]. Il tempio era costituito da un podio lungo circa ventinove metri e largo circa quindici[1], realizzato in cemento e lava: un muro in basalto fungeva probabilmente da parete esterna della cella; secondo alcuni studi era possibile la presenza di un altro podio, unito poi a quello esistente tramite una colata di cemento[3]. Tutto il tempio era decorato in marmo, di cui rimangono pochissime tracce, ovvero i resti di un architrave, colonne e un frontone; anche della pavimentazione restano pochi residui, trafugata per il suo alto valore già dopo il terremoto del 62: era realizzato da una striscia esterna in tassellato bianco, una parte mediana in marmo colorato ed un'ampia zona centrale completamente distrutta[5]. Altri resti sono un altare in travertino, due piedistalli utilizzati come base d'appoggio per statue equestri e una scala che tramite un condotto sotterraneo conduceva ad alcune abitazioni poste su un pendio nei pressi del tempio[3].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c Regio VIII - Tempio di Venere, su pompeisepolta.com. URL consultato il 10-04-2012 (archiviato dall'url originale il 6 agosto 2009).
- ^ a b c Il Tempio di Venere, su pompeiisites.org. URL consultato il 10-04-2012 (archiviato dall'url originale il 3 maggio 2014).
- ^ a b c d e f Storia e descrizione del Tempio di Venere [collegamento interrotto], su archeoguida.it. URL consultato il 10-04-2012.
- ^ Barnabei, p. 49.
- ^ Barnabei, p. 48.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Lorenza Barnabei, Contributi di archeologia vesuviana, Roma, L'Erma di Bretschneider, 2007, ISBN 978-88-8265-388-0.
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Tempio di Venere
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.