Tabligh eddawa (in arabo ﺗﺒﻠﻴﻎ ﺍﻟﺪﻋﻮة?, Tablīgh al-daʿwa, ossia "Società della Propaganda") è un'associazione islamica tesa alla propaganda religiosa, con un approccio molto teso al personale, per riavvicinare all'Islam più rigoroso quei fedeli che, soprattutto in Occidente, si sono allontanati dalla "vera fede"[1].
Come i Fratelli musulmani, i membri di questa associazione parlano di jihād, inteso come "impegno" per la reislamizzazione dei credenti musulmani "tiepidi", ma con approcci molto diversi[1]. Se i Fratelli musulmani parlano di "‘reislamizzazione dall’alto’, impadronendosi in un modo o nell’altro del potere politico"[1], i militanti di Tabligh eddawa sono dei "missionari itineranti", che attraverso un approccio porta a porta cercano di islamizzare i non musulmani o reislamizzare coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa[1]; i due movimenti hanno in comune che la militanza politica (nell'islam religione e politica) non ha alcuna differenza, perché l'unica legge ammessa è quella coranica che è anche fonte del diritto), che non comporta necessariamente la lotta armata, anche se la radicalizzazione cui sono soggetti gli adepti può dare origine a fenomeni estremistici[1].
Per la loro tenacia nei contatti diretti sono definiti da qualcuno i “testimoni di Geova dell’islam”[2]: un movimento di fedeli itineranti che si impegnano a seguire sei principi ritenuti dalla loro società "fondamentali": la preghiera, il ricordo continuo di Allah (dhikr), lo studio dei testi sacri, la generosità, la predicazione e la missione (daʿwa), intesa come conversione o riconversione delle persone avvicinate alla "vera fede".[2]
Da varie fonti sono impropriamente definiti una setta, compresa una relazione del CESIS del 2005 relativa all'espulsione di otto predicatori itineranti che operavano in Umbria[3], dalla quale si riporta «Il movimento mostra caratteri di compartimentazione e segretezza affini a quelli delle sette e figura spesso quale “prima affiliazione” di diversi estremisti»; la fonte utilizzata si richiama anche alla relazione del SISDE citata in precedenza[1], che però trascura la realtà della cautela espressa da ogni movimento missionario, avvertito come estraneo in contesti culturali assai diversi da quello islamico.
Sebbene i membri del movimento dichiarino di ripudiare la violenza, un numero di adepti della setta è passato alla militanza armata, con azioni sia in aree di guerra, sia in territorio di paesi occidentali; tra questi John Walker Lindh, noto come Johnny il Talebano o ‘Suleyman al-Faris’, alias ‘Abdul Hamid’, catturato in Afghanistan a Mazar-i Sharif (antica Balkh) tra i combattenti talebani e qaidisti[1][3]; il cittadino britannico Richard Reid, che tentò di farsi esplodere sul volo di linea Parigi-Miami con dell’esplosivo nascosto nella suola delle scarpe[4]; il marocchino Mohammed Aouzar, cresciuto in Italia vicino a Torino, poi detenuto nel campo di prigionia di Guantánamo dopo aver combattuto in Afghanistan tra i Talebani[3].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d e f g L'Islam 'porta a porta' - la rete missionaria del Tabligh Eddawa, su gnosis.aisi.gov.it. URL consultato il 7 giugno 2017 (archiviato dall'url originale il 30 agosto 2017).
- ^ a b Chi sono i Tabligh Eddawa - Articolo su Il Giornale, su ilgiornale.it. URL consultato il 7 giugno 2017.
- ^ a b c I templari erranti del Corano in cerca di proseliti sui bus, su www1.lastampa.it. URL consultato il 7 giugno 2017 (archiviato dall'url originale il 26 agosto 2018).
- ^ https://edition.cnn.com/2009/CRIME/12/25/richard.reid.shoe.bomber/index.html
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Mohammed Ayoob, The many faces of political Islam: religion and politics in the Muslim world, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2007, ISBN 0-472-06971-3. URL consultato il 10 agosto 2009.
- Gilles Kepel, The War for Muslim Minds: Islam and the West, Cambridge, Mass., Belknap Press of Harvard University Press, 2004, ISBN 0-674-01575-4. URL consultato il 10 agosto 2009.
- Ahmad Mumtaz, Marty Martin E., Appleby R. Scott, Fundamentalisms Observed, Chicago, University of Chicago Press, 1994, pp. 457–524, ISBN 0-226-50878-1.
- Muhammad Khalid Masud, Travellers in faith, BRILL, 2000, p. 268, ISBN 90-04-11622-2. URL consultato il 2 ottobre 2009.