La storia di Roccaranieri inizia dalle prime tracce di un insediamento sorto in epoca romana nei pressi dell'odierna chiesa di San Giovanni Battista.
Il territorio era noto, nell'alto medioevo, con il toponimo di Massa Pretorii in Plage in territorio reatino.
Intorno al IX secolo il primitivo insediamento nei pressi della chiesa di San Giovanni andò incontro al fenomeno dell'incastellamento e l'abitato si trasferì sul colle prospiciente in posizione dominante sulla sottostante valle del Salto.
Solo a partire dal XII secolo il paese assunse lo stato di fortificazione e la denominazione attuale per merito di un Ranieri dei conti di Cunio proveniente dai territori della Romagna.
Con l'evoluzione delle politiche imperiali ed il venire meno degli interessi dei nobili romagnoli nel territorio reatino, nel XIV secolo i destini di Roccaranieri vennero definitivamente legati a quelli della potente abbazia di San Salvatore Maggiore. Il paese condivise il destino degli altri castelli della Signoria di San Salvatore, per secoli sul confine tra lo Stato Pontificio ed i regni meridionali, fino al XIX secolo quando le armate napoleoniche portarono un forte turbamento nell'ordinamento della penisola italiana.
L'unità sotto la secolare abbazia di San Salvatore venne infranta dalla successiva annessione dei territori abbaziali al Regno d'Italia.
La storia del paese seguì da allora in poi, quella del comune di Longone Sabino, cui Roccaranieri venne associata, nel territorio, dal 1927, della neonata provincia di Rieti.
Età romana
[modifica | modifica wikitesto]Il territorio di Roccaranieri era già abitato in epoca romana come testimoniano i reperti, probabilmente resti di una villa romana, emersi dagli scavi effettuati negli anni ottanta del secolo scorso per la realizzazione delle opere a supporto della SP30a in prossimità del campo sportivo in località valle San Giovanni. Venne allora messo in luce un muro di sostegno in opus reticolatum sull'alveo del contiguo torrente, detto Fosso della Fonte dei Colli, a monte del ponte lungo la strada che dal paese di Roccaranieri raggiunge il cimitero e l'annessa chiesa di San Giovanni Battista. Venne anche recuperato all'epoca un capitello di colonna ionica oggi conservato nell'abside della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Roccaranieri.
Nel luglio del 1998, sempre nella Valle San Giovanni nei pressi della chiesa di San Giovanni Battista, durante gli scavi per l'ampliamento del cimitero, venne ritrovata una fistula acquaria[1] in piombo recante l'iscrizione:
«M(arcus) Ma[riu]s Crescentianus f(ecit)»
«M(arco) Ma[rio] Crescenziano f(ece)»
L'iscrizione sulla fistula, del tutto simile a quella di un'altra fistula, conservata a Rieti ed oggi scomparsa[2][3], già nota all'Holstenius nel 1649[4], riportata dal Lanciani nel 1880[5], dal Mommsen nel 1883[6][7] come CIL IX, 06354 , non sembrerebbe fornire indicazioni utili circa il proprietario della probabile villa romana di Roccaranieri[8][9].
È però possibile indicare in un periodo tra il I secolo a.C e il II secolo d.C. le evidenze romane rinvenute nei pressi della chiesa di San Giovanni a Roccaranieri.
Alto Medioevo
[modifica | modifica wikitesto]Nucleo originale
[modifica | modifica wikitesto]La chiesa di San Giovanni Battista (secc. IV-X)
[modifica | modifica wikitesto]È probabile che il nucleo primitivo di quel che successivamente sarebbe divenuto l'abitato di Roccaranieri fosse costituito da alcune abitazioni nei pressi della chiesa di San Giovanni Battista di Roccaranieri, edificio sorto proprio sui resti della suddetta villa romana in epoca protocristiana o addirittura originale edificio di epoca romana adibito al culto cristiano dopo l'editto di Costantino nel IV secolo.[10]
Come avvenuto per altri centri in Sabina, nuovi centri abitati si costituivano proprio intorno ad una chiesa isolata o grangia, partendo da un casale annesso alle stessa per il rimessaggio del foraggio e degli attrezzi da lavoro, vi si raccoglievano poi più abitanti formando quelle che, nei documenti altomedioevali, vengono definite, a seconda dei casi, celle, cellulle, plebi, ville o villule.[10]
L'ipotesi è sostenuta dal fatto che le più antiche menzioni nelle fonti documentarie alto medioevali[11] riguardanti il territorio nei dintorni dell'odierno abitato di Roccaranieri indicano proprio la chiesa di San Giovanni Battista come termine fisso.
Massa Pretorii in territorio reatino (sec. VIII)
[modifica | modifica wikitesto]Nel Regesto Farfense, fonte ricca di informazioni per la storia altomedioevale, in un documento del 783[12][13][14] redatto all'epoca del regno di Carlo Magno, re dei Franchi e dei Longobardi, quando Ildeprando era duca di Spoleto e Rimone gastaldo di Rieti, è menzionato il toponimo "Massa Pretorii territori Reatini" (it. Fondo Pretorio nel territorio reatino). In due documenti successivi, del X secolo, conservati nell'Archivio del Capitolo di Rieti, riguardanti indubitabilmente la chiesa di San Giovanni Battista di Roccaranieri, alla chiesa era ancora associato il toponimo Massa Pretorii.
È ragionevole ritenere, quindi, che nell'VIII secolo il territorio dell'odierna Roccaranieri fosse indicato come "Massa[15] Pretorii territori reatini" (it. Fondo Pretorio nel territorio reatino) e che il documento del 783 sia la prima menzione documentale del territorio dell'odierna Roccaranieri.
«In Nomine Domini Dei Salvatoris Nostri Ihesu Christi. Regnante dom[i]no nostro Carolo et Pipino filio excellentissimis regibus francorum atque langobardorum, et patricio romanorum, anno regni eorum in Italia, deo propizio, X° et II°.
Ego in Dei nomine Hildeprandus gloriosus et summus dux ducatus Spoletani, pro mercede dom[i]norum nostrorum regum, etiam et pro nostra, donamus atque concedimus in monasterio sanctae dei genitricis semperque virginis mariae quod situm est in loco qui nominatur Acutianus, territorii sabinensis et tibi viro venerabili Ragambalde abbas casales duos qui vocitatur Sibianus et Sucilianus, territori Reatini in Massa Praetorii qui pertinerunt ad curtem nostram Reatinam cum terris, vineis, silvis, pascuils et casis XII cum colonis suis qui in ipsis casis residere videntur, cum uxoribus et filiis ac filiabus suis, qualiter singuli cum familiis suis post unum focum residere cum omnibus ad eos pertinetibus quae iusto ordine ad manus suas tenuerunt et a publico possessum est, in ipso sancto monasterio, et tibi, dom[i]ne Ragambalde abbas , posterisque tuis, in integrum concedimus possidendum. [....]
Datum iussionis Spoleti in palatio, mense aprilis per indictionem vi, anno in Dei Nomine ducatus nostri X. Sub Rimoni castaldio, et Adeodato actionario. Quod vero praeceptum ex iussione suprasciptae potestatis ego Alefridus diaconus scripsi. (†) .»
«Nel nome del Signore Dio nostro Salvatore Gesù Cristo. Durante il regno del nostro signore Carlo e del figlio Pipino, re eccellenti dei Franchi e dei Longobardi e patrizio dei Romani, nell'anno del loro regno in Italia, con la benevolenza di Dio, dodicesimo.
Io, Ildeprando, glorioso e supremo duca del ducato di Spoleto, per merito dei nostri signori re e anche per il mio, dono e concedo al monastero della Santa Madre di Dio sempre vergine Maria, situato nel luogo che si chiama Acuziano, nel territorio sabino, e a te, venerabile signor abate Ragambaldo, due casali chiamati Sibiano e Suciliano, nel territorio Reatino nella Massa Praetorii, che appartenevano alla nostra corte Reatina, con le terre, vigneti, boschi, pascoli e dodici case con i loro coloni che sembrano risiedere in questi case, con le loro mogli e figli e figlie, in modo che ognuno con le loro famiglie risieda dietro un unico focolare con tutte le cose che appartengono a loro che hanno tenuto in mano con ordine giusto e che sono state possedute pubblicamente, in questo santo monastero, e a te, signor abate Ragambaldo, e ai tuoi successori, lo concediamo per intero da possedere [...].
Data dell'ordine a Spoleto nel palazzo, nel mese di aprile, per la sesta indizione, nell'anno decimo del nostro ducato nel Nome di Dio. Sotto Rimone gastaldo e Adeodato notaio. Io, Alefrido diacono, ho messo per iscritto il comando su ordine della potestà sovrascritta. (†) (Effige del Duca Ildeprando)»
Pretorio in Plage in territorio reatino (sec. X)
[modifica | modifica wikitesto]Due documenti dell'Archivio Capitolare di Rieti, del 948 e del 982, permettono di affermare, con sufficiente certezza, che il luogo ove sorgeva la chiesa di San Giovanni, fosse noto, nell'alto medioevo, come "Pretorio nel territorio reatino", ovvero nel territorio del gastaldato di Rieti[16], originariamente facente parte della diocesi reatina, più precisamente nel luogo detto le Plage[17] ovvero nella zona dell'interfiume Salto-Turano[18][19]. Il toponimo richiama da vicino il Massa Pretorii del documento del 783.
Il documento del 948[20] è la prima menzione documentale della chiesa di San Giovanni di Roccaranieri.
Il documento è un atto ove un tale Aldus quondam Takeprandi de Civitate Reatina (it. Aldo del fu Tachiprando[21][22] della città di Rieti) concede al vescovo di Rieti Anastasio alcuni suoi beni in territorio falagrinense, ovvero nei dintorni dell'odierna Cittareale, e riceve dal vescovo, a terza generazione, alcune terre in Plage, ovvero nel territorio tra i fiumi Salto e Turano a sud di Rieti[23], più precisamente:
«Hoc est res ipsa in territorio Reatino locu qui nominatur Plage, ubi dicitur ad Sanctum Johannem in pretoriu.»
«Questi beni sono nel territorio Reatino, in luogo chiamato Plage, dove è detto San Giovanni in Pretorio.»
Un altro documento del 982[24] dell'archivio reatino conferma il toponimo "Pretorio in Plage nel territorio reatino":
«[...] in territorio Reatino in locus ubi dicitur Plage ipsa plebe que est edificata in honore S. Iohannis Baptiste in logo ubi dicitur Pretoriu.»
«[...] nel territorio Reatino, in luogo chiamato Plage, la stessa chiesa che è edificata in onore di S. Giovanni Battista nel luogo detto Pretorio.»
Massa Pretorii nei domini delle abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore
[modifica | modifica wikitesto]Come visto nei documenti circa la chiesa di San Giovanni Battista, la proprietà dei territori nell'Italia dell'VIII secolo era divisa, come nel resto della penisola, tra i discendenti dei romani e quelli dei longobardi che si andavano via via integrando[25], situazione che si protrasse fino al X secolo.
Dopo la fondazione, in epoca longobarda sotto il regno di Liutprando, da parte di monaci franchi, delle abbazie di Farfa (720) e di San Salvatore Maggiore (735), alcune delle terre delle Plage tra il Salto ed il Turano, vennero donate dai proprietari alle due comunità monastiche entrando così sotto il controllo delle abbazie che ne registravano le donazioni amministrandole direttamente o affidandole a terzi per periodi più o meno lunghi. Le due abbazie, poi, tendevano a scambiarsi le donazioni per facilitare il controllo e la gestione dei propri territori[26]. I territori delle Plage cominciarono sin dalla fondazione delle abbazie ad entrare sotto il controllo dei monaci benedettini ed il territorio di Roccaranieri non fece eccezione: è quindi probabile che fin dall'VIII secolo e nei tre secoli successivi, anche il territorio della Massa Pretorii entrasse a far parte dei possedimenti sotto il controllo della vicine abbazie di Farfa e di San Salvatore Maggiore[27].
È bene ricordare che le due abbazie di Farfa e di San Salvatore Maggiore, sotto il dominio longobardo godettero di un particolare status[28] che ne favorì l'espansione e con la conquista dell'Italia da parte dei Franchi, assunsero, sotto Carlo Magno, il titolo di abbazie imperiali[29], divenendo capisaldi del potere imperiale nel centro Italia. È durante questo periodo, tra l'VII secolo e la prima metà del IX secolo, che la abbazie raggiunsero l'apice della loro potenza garantendo ai territori sotto la loro giurisdizione una relativa tranquillità in un periodo, altrove, di grande incertezza.
La rocca
[modifica | modifica wikitesto]Primo incastellamento (secc. IX-X)
[modifica | modifica wikitesto]Al finire del IX secolo, la tranquillità dei territori sabini, così come quelli di gran parte della penisola, fu, però, scossa dalle scorrerie dei saraceni che nell'891 incendiarono l'abbazia di San Salvatore Maggiore la cui chiesa fu riconsacrata solo 90 anni più tardi dando un'idea del perdurante pericolo offerto dai mori tra la fine del IX e l'inizio del X secolo.
Come per molti altri insediamenti dell'Italia centrale anche per Roccaranieri il fenomeno dell'incastellamento potrebbe essersi avviato proprio in concomitanza con le invasioni dei saraceni tra il IX e il X secolo[30] allorché, «dopo un periodo che seguiva un forte decremento demografico, le popolazioni rurali, in crescente aumento, scelsero di lasciare le abitazioni sparse nelle pianure per rifugiarsi in nuove forme insediative accentrate ed adeguatamente difese»[31]: dal nucleo originario nella valle San Giovanni gli abitanti si traferirono sul colle prospiciente la chiesa di San Giovanni, su una rupe rocciosa alta più di 40 metri dal lato che affaccia sulla valle del Salto[32].
È però possibile che già ben prima dell'arrivo dei saraceni la popolazione del territorio di Massa Pretorii avesse posto le basi di quel che poi sarebbe diventato il nucleo di Roccaranieri, forse già all'epoca delle guerre gotiche o dell'invasione dei longobardi nel VI secolo, come era avvenuto per altri insediamenti lungo le vie di comunicazione che da Roma si diramavano per la penisola[33][34]. Le fonti non offrono certezze e nessuna evidenza in proposito, offerta da indagini archeologiche, appare come risolutiva.
Basso Medioevo
[modifica | modifica wikitesto]Arx Rayneriae
[modifica | modifica wikitesto]Secondo incastellamento (secc. XII-XIII): contesto storico
[modifica | modifica wikitesto]Al primo incastellamento seguì probabilmente un secondo incastellamento ovvero un rafforzamento della difese del paese, la definitiva forma di castello e la denominazione attuale, forse a seguito delle invasioni da parte dei normanni all'inizio dell'XI secolo, durante la definizione della linea di confine tra il regno normanno e le terre del ducato di Spoleto contese tra papato e l'impero ai tempi del Barbarossa nel XII secolo o forse all'epoca delle lotte tra Federico II e papa Gregorio IX nel XIII secolo.
Di questo secondo incastellamento ovvero della fondazione del castello di Roccaranieri non si hanno notizie precise e non si hanno, nelle fonti documentali, citazioni del nome Roccaranieri o Rocca Ranieri ovvero di una Arx Rayneriae, Rocca Raynerii, Arx Rainerii, Castrum Arcis Rainerii, prima del XIII secolo[35] anche se è lecito supporre che il castello fosse già esistente prima di allora[36] come rivelano anche indagini condotte sulla struttura delle fortificazioni dei castelli della Sabina[37]. Quel che è certo è che, sin dall'antichità, gli abitanti di Roccaranieri tramandassero, di generazione in generazione, della fondazione del loro castello ad opera di un conte Ranieri di Ravenna[38].
La lapide di Roccaranieri
[modifica | modifica wikitesto]L'unica fonte documentale che aiuta a fare un po' di luce sulla fondazione del castello di Roccaranieri è quella proveniente dagli archivi del notaio Giovanni Cesidio da Gavignano, ritrovata a Calvi dell'Umbria sul finire nel secolo scorso e pubblicata per la prima volta da Domenico Benucci nel 1896[39]. È un documento circa una lite sorta tra gli abitanti di Roccaranieri e quelli del vicino paese di Concerviano[40] sul finire del XV secolo:
«Si trova negli atti di Giovanni Cesidio la sentenza emanata dal commissario pontificio Lorenzo de' Cerroni in data 27 luglio 1486 sopra la questione sorta tra il comune di Rocca Ranieri e quello di Concerviano intorno ai confini del tenimento del diruto castello di Antignano, già incorporato a Rocca Ranieri. Gli abitanti di questo castello volevano avere assoluta giurisdizione fino al Rio di Fonte Pasquale che mette nel Salto, mentre quelli di Concerviano affacciavano il diritto di pascolo oltre a questo confine e verso il Rio di Monte Piombarolo. A sostegno dei suoi diritti Rocca Ranieri adduce:
- l'istromento (ndr. l'atto) di incorporazione di Antignano per mano di ser Nizio da Contigliano, «antiquitate fere consumptus» (it. piuttosto consunto dall'età) e di cui l'anno, consunto del tutto, «infertur ab antecedentibus annis quibus alia instrumenta fuerunt stipulata» (it. si intuisce dagli anni nei quali altri atti furono stipulati), e cioè gli anni 1285, 1286 e 1287;
- una vendita di pascolo dal Rio di Fonte Pasquale al Piombarolo fatta dal comune di Rocca Ranieri ad uno di Concerviano;
- la tradizione conservata «ab eorum maioribus et a senioribus in seniores» (it. da quanti più in vista tra loro e di generazione in generazione) che il loro castello fosse edificato «a comite Raynerio nobilissimo viro de Ravenna» (it.da un conte Ranieri nobilissimo uomo di Ravenna) e da lui appellato. In prova di ciò «ostendunt supra ianuam turris ipsorum vetustissimam tabulam marmoris albi huiusmodi tenoris sex versiculorum, videlicet (it. mostrano una antica lapide di marmo bianco sulla porta della lore torre con sei versi di questo tenore): Cuniarius Raynerius hanc fortem erigit arcem / vincens destruit Antignanum et Castra Iohannis / Resistit pugnans forti manu imperatori / Germani fratres Raynerius atque Iohannes / Imperio diviso amplectuntur ubique / Semper et Arx hec deinde intacta remansit''»
Mancano, aggiunge l'istromento (ndr. l'atto) di Giovanni Cesidio, i documenti per stabilire il tempo di questo avvenimento, ma resta memoria della guerra, nè si nega dalla parte contraria che esiste nel monte contermino di detta Rocca un luogo chiamato ancora «platea imperatoris» (it. piano dell'imperatore).»
Gli abitanti di Roccaranieri, quindi, nel difendere i loro diritti contro quelli di Concerviano, citano, tra le altre cose, una lapide affissa, ancora nel 1486, sulla porta della torre del castello del paese che recitava, in esametri:
«Cuniarius Rainerius hanc fortem erigit arcem/ Vincens destruit Antignanum et castra Iohannis/ Resistit pugnans forti manu Imperatori/ Germani fratres Rainerius atque Iohannes/ Imperio diviso amplectuntur ubique/ Semper et Arx hec denique intacta remansit.»
«Ranieri di Cunio eresse questa roccaforte/ Vincendo distrusse Antignano e i castelli di Giovanni/ Combattendo in un'aspra contesa resistette all'Imperatore/ I fratelli Ranieri e Giovanni/ una volta diviso il potere si riconciliarono/e questa Rocca rimase finalmente sempre intatta.»
È dalle informazioni contenute nel testo della lapide di Roccaranieri che gli storici moderni hanno provato a circoscrivere l'origine del paese di Roccaranieri. Dai sei versi della lapide si deduce infatti, in ordine, che:
- La rocca venne eretta da un Ranieri Cuniario (ovvero originario di Cunio in Romagna, nel territorio di Faenza sotto il controllo di Ravenna) a dire degli abitanti di Rocca Ranieri del XV secolo, un conte di Ravenna che diede al paese il suo nome.
- Questi combatté e distrusse Antignano ed un altro abitato chiamato Castra Iohannis.
- Questi combatté per/resistette a un imperatore (a seconda dell'interpretazione del lat. "Resistit....Imperatori").
- Questi si riappacificò con il fratello Giovanni (forse lo stesso Giovanni che aveva dato il nome all'abitato di Castra Iohannis che Ranieri aveva distrutto precedentemente).
- Non vi furono più guerre (tra la fondazione e l'affissione della lapide).
Il primo esametro è fondamentale nella ricerca delle origini della rocca, fornendo il nome e la provenienza del fondatore del paese
Il terzo esametro pone il fondatore del paese in relazione alla figura di un imperatore, identificato il quale sarebbe immediatamente possibile fissare l'epoca e, quindi, più facile chiarire l'orizzonte degli eventi, di carattere più locale, descritti negli altri tre versi.
I conti di Cunio in Romagna
[modifica | modifica wikitesto]È fuor di dubbio che Ranieri di Cunio (lat. Cuniarius Rainerius) riportato nella lapide di Roccaranieri citata dal notaio Giovanni Cesidio Da Gavignano, fosse uno dei conti di Cunio, nobili romagnoli provenienti da Cunio (castello scomparso un tempo nel territorio di Faenza oggi nella provincia di Ravenna[41]) noti in ambito ghibellino intorno al XIII secolo tanto che Dante[42] ne scrisse nella Divina Commedia, nel Canto XIV del Purgatorio, includendoli nella cornice degli invidiosi[43]:
«Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio
che di figliar tai conti più s'impiglia.»
I conti di Cunio, erano un importante tassello nel campo svevo all'epoca di Federico II nel XIII secolo e lo erano già dai tempi dell'imperatore Federico Barbarossa nel XII secolo[44] come confermano vicende di ordine patrimoniale per le quali il nome dei conti di Cunio si ritrova, lontano dai loro possedimenti di Romagna, in Sabina e in particolare nel Reatino[45][46][47].
I conti di Cunio in Sabina
[modifica | modifica wikitesto]Nicolò Serafini, figlio di un agiato contadino di Catino in Sabina, a seguito di accurate ricerche storiche negli archivi notarili delle comunità dei paesi sabini di Catino e Poggio Catino, intentò causa contro alcuni nobili romani titolari di possedimenti nelle terre della Sabina. Il Serafini, sulla base di alcuni documenti da lui rinvenuti, infatti, pretendeva di essere riconosciuto come erede degli antichi conti di Cunio, provenienti dalla diocesi di Imola, supponendoli imparentati con le famiglie romane dei Frangipane, dei Colonna e con quella reatina dei Mareri, reclamando dei diritti sui beni dei suoi supposti antenati in virtù, in particolare, di un atto testamentario del 1426 in cui un conte Giorgio di Cunio istituiva un fidecommesso sui suoi beni invocando il quale il Serafini pretendeva la restituzione di tali beni dalle famiglie nobili alle quali, all'epoca dei fatti, era riconosciuta la proprietà dei beni stessi. Fu così che diversi nobili romani tra cui il marchese Alessandro Olgiati[48] e le comunità stesse di Catino e Poggio Catino, per i possedimenti nelle terre di Catino e Poggio Catino e il cardinale Simonetti per i possedimenti in Gavignano furono trascinati in giudizio dal Serafini. La causa, sostenuta dal Serafini con il patrocinio della famiglia sabina dei Cicalotti che per mezzo del Serafini stesso pretendeva di dimostrarsi discendente dall'antica famiglia romana di origine sabina dei Curtabraca, si risolse nel 1762 nella curia di Monte Citorio sotto il giudizio del giudice Cardinale Pirelli il quale si affido alla perizia di due celebri studiosi dell'epoca: l'abate Conti e monsignor Pierluigi Galletti (in seguito abate di Montecassino). A seguito dell'accesso agli archivi sabini e all'esame dei documenti ivi custoditi, indicati dal Serafini, i periti si risolsero a dichiarare tali documenti come falsi o interpolati per cui, con solenne sentenza del giudice Cardinale Pirelli, il Serafini fu dichiarato fraudolento impostore e come tale condannato inoltre, nella stessa perizia del Galletti, venne dichiarato che la presenza in Sabina dei conti di Cunio, come i loro supposti rapporti di parentela con le famiglie locali, fosse una pura invenzione del Serafini. La sentenza ebbe eco negli ambienti della curia romana e successivamente nella cerchia degli storici ed archivisti italiani grazie alla pubblicazione della perizia da parte del Galletti[49].
La presenza dei conti di Cunio in Sabina venne ignorata dagli storici fino al XVII secolo ed addirittura ricusata come mera fantasia alla fine del XVIII secolo a seguito di una celebre vicenda giudiziaria nella Roma del 1762 passata alla storia come la "causa Serafini-Olgiati[50]" dopo la quale la presenza dei conti di Cunio in Sabina venne considerata, dallo storico abate Pierluigi Galletti, una fantasia legata al disegno criminale di due impostori di nome Serafini.
Nel 1790, meno di tre decenni dopo della causa Serafini-Olgiati, Francesco Paolo Sperandio, arciprete della cattedrale di Sabina, diede alle stampe un libro storico celebrativo intitolato Sabina sagra e profana, antica e moderna in cui l'autore raccolse numerosi documenti negli archivi della Sabina, alcuni dei quali, riguardanti i conti di Cunio. Di tali documenti però, in seguito, si persero le tracce. Secondo lo Sperandio, i conti di Cunio sarebbero discesi da imperatori romani o almeno da re longobardo Desiderio. Gli storici ottocenteschi presero in considerazione lo scritto dello Sperandio sperando di trovarvi risorse utili per i loro studi, in particolare circa la storia della penisola tra il IX e l'XI secolo. Non potendo verificare le fonti e temendo che si trattasse degli stessi documenti indicati nella sue rivendicazioni dal Serafini[51], quindi già dichiarati falsi o interpolati dal giudizio del Galletti, gli storici smisero ben presto di prestarvi fede quando non presero ad insinuare che lo Sperandio fosse stato particolarmente poco critico o, peggio, colluso con il Serafini[52].
Ad un secolo dalla pubblicazione dello Sperandio, nel 1896, fu Domenico Benucci, a riproporre all'attenzione degli storici la presenza in Sabina dei conti di Cunio pubblicando il testo della lapide di Roccaranieri che dichiarava la presenza di un conte di Cunio come fondatore di Roccaranieri, in territorio sabino, più precisamente nel reatino. Benucci aveva ritrovato il testo della lapide negli archivi di Calvi dell'Umbria quindi non in uno dei luoghi interessati, più di un secolo prima, dalla ricerche del Serafini. Nonostante ciò il Benucci nel suo scritto, cercando di indagare l'identità del Ranieri fondatore di Roccaranieri, invocò i documenti presentati un secolo prima dallo Sperandio e, forse per questo, i suoi studi non ottennero troppa considerazione da parte dei suoi contemporanei.
Nel 1912 Ildefonso Schuster, allora monaco benedettino di San Paolo fuori le mura, rinvenne negli archivi dell'abbazia di Farfa, un protocollo notarile del XIV secolo[53], in cui si prospettava la presenza in Sabina di personaggi che si qualificavano nei documenti come "comites...quondam domini comitis Alberici de citate Faventie" (it. conti...del fu signor conte Alberico della città di Faenza) ma lo Schuster non giunse ad identificarli come i discendenti in Sabina dei conti di Cunio[54].[55]
Solo le ricerche congiunte da parte di Tersilio Leggio negli archivi di Farfa e di Rieti e di Mauro Banzola negli archivi di Romagna, culminate in una pubblicazione del 1990[56], hanno permesso di accertare la verità storica circa la presenza in Sabina dei conti di Cunio e i loro rapporti di parentela con le famiglie nobili locali, smentendo di fatto quanto dichiarato dal Galletti al margine della sentenza del 1762.
Le conferme vicendevoli tra le fonti sabine da una parte e quelle romagnole dall'altra, distinte geograficamente ma convergenti nei contenuti e nelle indicazioni cronologiche, hanno permesso di fornire una nuova genealogia per la famiglia comitale di Cunio coerente con le fonti documentali dimostrando, fuor di dubbio, la presenza di membri della famiglia comitale di Cunio in Sabina almeno a partire dall'epoca del Barbarossa nel XII secolo.
Gli storici sono oggi concordi nell'indicare la prima traccia documentale certa della presenza dei conti di Cunio in Sabina in un documento papale, quindi fuori della portata dei Serafini, del 1157[57], quinto anno del regno del Barbarossa[58].
Avanzata normanna e strategia del Barbarossa (sec. XII)
[modifica | modifica wikitesto]Per quanto la presenza in Sabina dei conti di Cunio prima dell'avvento del Barbarossa sia ancora da indagare[59], l'ipotesi degli studiosi moderni[60] circa la causa della presenza dei conti di Cunio in Sabina all'epoca del Barbarossa è ormai concorde: l'imperatore Federico I, volle servirsi di nobili a lui fedeli per assicurarsi un appoggio nel suo programma di strategia politico-militare volto a tutelare posizioni di potere e giurisdizioni dell’Impero nella penisola italica[61].
«Nel caso della Sabina si trattava di conservare al potere imperiale un’area minacciata dalle rivendicazioni territoriali del Papato mentre nel caso del Reatino si trattava di tenere a bada le mire espansionistiche del vicino regno normanno»[62] in forte espansione all'epoca dell'assedio e della distruzione di Rieti, da parte dei figli di Ruggero II, nel 1149[63][64]. In entrambi i casi, nel territorio sabino ed in quello reatino, l'imperatore Barbarossa si servì delle due abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore, recuperando all'obbedienza due tradizionali baluardi dell'impero.
«Federico I, nel suo passaggio a Roma del 1155, segnando una nuova fiammata filoimperiale, volle trattare Farfa e San Salvatore Maggiore come sempre gli imperatori avevano trattato le due abbazie: offrendo protezione[65] e domandando in cambio fedeltà»[62]. È possibile, dunque, che l'Imperatore si sia rivolto all'abbazia di Farfa e a quella di San Salvatore Maggiore perché concedessero delle terre loro sottoposte a membri di famiglie nobili a lui fedeli, tra cui la numerosa famiglia dei conti di Cunio. Questi sarebbero quindi divenuti feudatari o almeno concessionari delle abbazie con lo scopo di «militarizzare il territorio limitrofo alle abbazie, edificando tutta una serie di castra che dovevano contrastare eventuali incursioni normanne da sud e da est»[62].
I conti di Cunio nelle Plage
[modifica | modifica wikitesto]Accertata la veridicità storica della presenza in Sabina dei conti di Cunio è possibile ricostruire tramite alcuni documenti reatini la loro presenza nel reatino ovvero nelle Plage, cioè nei territori a cavallo dei fiumi Salto e Turano. Questi documenti, utili a ricostruire il contesto della proprietà del territorio delle Plage nel XII secolo, nel più ampio contesto delle politiche per le terre di confine del papato e dell'impero, offrono la chiave di lettura per chiarire la storia del territorio di Massa Pretorii-Roccaranieri nel XII secolo
È il documento riscoperto dallo Schuster a Farfa nel 1912 che permette di affermare che i conti di Cunio fossero titolari nel reatino, ancora nel XIV secolo, di cospicui interessi[66], in particolare:
- di una proprietà nella città di Rieti in prossimità della chiesa di San Giorgio, presso il fiume Velino
- della tenuta del Castrum Plagiarum[67] (it. Castello delle Plage) nel territorio delle Plage in virtù di un accordo siglato con i monaci di Farfa[68] e di un beneplacito dell'imperatore Federico I entrambi recanti la data del 1157, lo stesso anno in cui è certificata la loro presenza in Sabina[69]. Della tenuta vengono precisati i confini: "[...] da cima i castelli di Magnalardo e Cenciara, da un lato il fiume Velino, dall’altro la chiesa di S. Angelo nel borgo di Rieti e infine il fiume Turano".
Il fatto che il documento circa il Castrum Plagiarum sia di un atto di concordia ci spinge a pensare che le terre in oggetto fossero in origine state affidate all'abbazia di Farfa e che successivamente fossero state concesse dalla stessa abbazia, probabilmente sotto richiesta imperiale, forse proprio dell'imperatore Barbarossa, tra il 1152, anno dell'elezione ad imperatore, ed il 1157 stesso, ai conti di Cunio. Sorta una qualche disputa tra questi ultimi e l'abbazia di Farfa, la lite venne risolta dall'atto di concordia.
Riguardo alle Plage esiste negli archivi reatini un ulteriore documento del 15 dicembre 1185[70][71], un contratto di enfiteusi tra l'abate di San Salvatore Maggiore Gentile ed i cugini Teodino e Rinaldo (figli dei fratelli Rinaldo e Sinibaldo), per la terra conosciuta con il nome “Plaie”, un tempo amministrata da un certo Uguicio, di San Martino avente i seguenti confini:« [...] dal primo lato il fiume Salto, dal secondo lato il territorio della Chiesa o ciò che tenete in Porcigliano concessovi dalla Chiesa, dal terzo lato il fiume Turano e dal quarto la torre (ndr. forse, meglio, la terra) che fin dai tempi antichi fu “in Pectorina”, [e che] discende fino al fiume Velino e tende verso il Salto».
Se il territorio oggetto di questo secondo documento, denominato le Plaie, ovvero con lo stesso nome del territorio del primo documento (le Plage), sia lo stesso del primo documento, potrebbe essere avvenuto che il territorio in questione sia passato, nel frattempo, tra il 1157 e il 1185, dai domini di Farfa a quelli di San Salvatore Maggiore. Diversamente potrebbe trattarsi di un’area territoriale con lo stesso nome e adiacente alla precedente e mentre la prima, quella verso Rieti era nella diponibilità di Farfa e concessa ai conti di Cunio, la seconda, quella verso il Salto, era, nel 1185, nella disponibilità di San Salvatore Maggiore[72] e concessa, allora, ai cugini Todino e Rinaldo di cui non si conoscono di sicuro i rapporti con la famiglia comitale di Cunio.
È bene poi tener conto di un documento del 27 Maggio 1191[73] in cui papa Celestino IV prende l'abbazia di San Salvatore Maggiore sotto la sua protezione, ricordandone i confini che comprendono il territorio: «[...] tra il Salto e il Turano...dal ruscello di Paganico (ndr. Fosso dell'Obito)....fino al Ponte di Rieti».
L'ultimo documento lascia intendere che, nel 1191, tutto il territorio tra i fiumi Salto e Turano, dal fosso di Paganico alla chiesa di San Michele Arcangelo a Rieti, fosse finalmente nella sola proprietà dell'abbazia di San Salvatore Maggiore sebbene i conti di Cunio ed altri godessero, come visto, di buona parte del territorio della Plage concesso dalle abbazie in enfiteusi.
Fondazione di Roccaranieri: le ipotesi (secc. XII-XIII)
[modifica | modifica wikitesto]Dai documenti sopra citati del 1157, 1185 e 1191, sembrerebbe quindi possibile, come il testo della lapide di Roccaranieri già faceva supporre, che anche il territorio di Massa Pretorii-Rocca Ranieri, fosse toccato in feudo o meglio, fosse stato concesso da una delle abbazie imperiali, in enfiteusi, ad un conte Ranieri di Cunio e che questi, come riportato dal vescovo di Rieti nel 1844[38], provvide ad edificare o a fortificare, a proprie spese e quindi ottenendo il privilegio di dargli il proprio nome, un centro già preesistente[36], a difesa del confine sulla sottostante valle del Salto.
Dire però, con certezza, quando sia avvenuta esattamente la fondazione o rifondazione di Roccaranieri, quale tra i molti conti Ranieri di Cunio riportati nei documenti sia il fondatore di Roccaranieri e se il terzo verso della lapide di Roccaranieri alludesse o meno all'imperatore Federico Barbarossa, non è questione di facile soluzione né esistono documenti che siano dirimenti a proposito.
Esistono due teorie che interpretano ciascuna in modo diverso il testo della lapide di Roccaranieri cercando di dare un senso compiuto ai versi:
«1) Cuniarius Rainerius hanc fortem erigit arcem| 2) vincens destruit Antignanum et Castra Iohannis| 3) Resistit pugnans forti manu imperatori | 4) Germani fratres Raynerius atque Iohannes | 5) Imperio diviso amplectuntur ubique| 6) Semper et Arx hec deinde intacta remansit»
Ipotesi Leggio-Banzola: fondazione sotto il regno del Barbarossa (1155-1190)
[modifica | modifica wikitesto]Tersilio Leggio[61] attribuisce ad un Ranierius Cuniarius la fondazione di Roccaranieri, nel periodo tra il 1159 ed il 1180[74], all'epoca del vescovo Dodone di Rieti (1137-1181) il quale, durante il suo ministero, dedicò un altare nella chiesa di San Pietro a Roccaranieri[75] che, quindi, doveva già esistere quando il vescovo Dodone era ancora in vita.
Per fare luce sull'identità del Rainerius Cuniarius di Roccaranieri, le ricerche di Leggio si affiancano a quelle dello storico romagnolo Mauro Banzola. Secondo Banzola[76] il Rainerius, conte di Cunio, che in una disputa riportata in documento romagnolo del 1185 tra il conte di Königsberg, rappresentante dell'imperatore Enrico IV, figlio del Barbarossa, e i rappresentanti della Chiesa di Imola, si schiera dalla parte dell'imperatore, è il fondatore di Roccaranieri nel territorio Reatino ed è lo stesso Ranieri[77] riportato in una carta ravennate del 1166 concernente una donazione di terre in plebe Barbiani (nei pressi di Barbiano), vel in curte Cunii. Riccardo Pallotti, un altro storico di Romagna, in studi più recenti[78][79], così riassume[57] la vicenda:
«Tersilio Leggio ha sostenuto che Federico I avesse inserito i Conti di Cunio nel suo programma di strategia politico-militare volto a tutelare posizioni di potere e giurisdizioni dell'Impero nella penisola italica; nel caso della Sabina si trattava di conservare al potere imperiale un'area minacciata dalle mire espansionistiche del vicino regno normanno così come dalle rivendicazioni territoriali del Papato. Il Barbarossa da un lato recuperò all'obbedienza imperiale Farfa, tradizionale baluardo dell'Impero verso Roma; dall'altro militarizzò il territorio limitrofo, facendo edificare tutta una serie di castra che dovevano contrastare eventuali incursioni normanne da sud e da est. È in questo contesto, secondo Leggio, che si colloca l'arrivo dei conti romagnoli in Sabina, con la fondazione di Roccaranieri, nella valle del Salto, da parte di un fidelis dell'Impero quale era il conte Ranieri di Cunio. Ma chi era costui?
La suddetta lettera papale del 1157 ci menziona un conte Ranieri figlio del conte Lamberto presente, con altri tre fratelli, nei territori limitrofi all'abbazia di Farfa. Si tratta con ogni probabilità di due personaggi diversi.
L'ipotesi di Banzola è che il conte Ranieri di Cunio, presumibilmente lo stesso menzionato nel rogito ravennate del 1166, sia entrato in contatto con Federico I l'anno seguente, durante il passaggio del sovrano in Romagna nella primavera del 1167, probabilmente a Imola o a Faenza, oppure presso il castello guidingo di Modigliana. Ranieri, assieme ad altri nobili di Romagna vicini al conte Guido Guerra, potrebbe essersi unito alla spedizione che lo Svevo stava intraprendendo contro il Papato e il regno di Sicilia; una volta giunti in Sabina, questi aristocratici avrebbero ottenuto, per volontà del sovrano, beni e territori collegati, almeno in parte, al patrimonio farfense; in tale contesto il conte Ranieri avrebbe fondato Roccaranieri, una fondazione che rientrava nel programma di militarizzazione del territorio sabino voluto dall'imperatore. Secondo Banzola, il conte Ranieri sarebbe rientrato nei suoi domini della Romagna nord-occidentale vari anni più tardi, a seguito dell'unione matrimoniale di Enrico VI con Costanza d'Altavilla (1185) (ndr.il matrimonio avvenne, per procura, proprio a Rieti), che vide un significativo mutamento dei rapporti tra Impero e regno normanno, con il venir meno delle precedenti tensioni nei territori di confine dell'Appennino centro-meridionale. I lunghi anni spesi al servizio degli Staufer, le terre ricevute nel Lazio ed il forte legame personale instaurato con la Casa di Svevia giustificherebbero dunque la sua vicinanza alle posizioni del Königsberg nella disputa con la Chiesa imolese tra 1185 e 1186. Si tratta indubbiamente di un'ipotesi suggestiva e non certo priva di fondamento.»
Il Pallotti aggiunge poi una sua personale ipotesi:
«Si potrebbe però proporre anche una lettura alternativa, indotta da alcuni interrogativi rimasti senza risposta. Posto che il conte Ranieri di Sabina del 1157 (figlio di Lamberto) e il conte Ranieri di Romagna del 1166 fossero due persone distinte, ci si chiede per quale ragione Federico I nella sua spedizione romana del 1167 avrebbe dovuto avvalersi di un giovane conte di Cunio residente in Romagna e non piuttosto di altri esponenti della stessa famiglia già inseriti da tempo nel mondo laziale, come attestato dalla fonte papale del 1157, edita dal Kehr e ritenuta a tutti gli effetti autentica.
Come si spiega allora la presenza di conti di Cunio in Sabina già nel 1157? Verrebbe spontaneo rispondere che il conte Lamberto, probabilmente fratello dei conti Roberto e Archiepiscopus protagonisti del giuramento faentino del 1128, si fosse stabilito nel Lazio prima del 1157, forse nel corso della prima spedizione romana del Barbarossa, nel 1155, se non addirittura in precedenza, magari nell'ambito di una delle due spedizioni di Lotario III di Supplimburgo. Del resto la lettera di Adriano IV non ci presenta certo questi conti vicini al Papato. In tal modo, si potrebbe identificare il fondatore di Roccaranieri con Ranieri figlio di Lamberto, già residente in Sabina, piuttosto che con un conte romagnolo disceso dal nord nel 1167. Più che ad un interscambio e a collegamenti diretti tra i Cunio di Romagna e quelli di Sabina verrebbe da pensare piuttosto al trasferimento permanente di alcuni membri del gruppo parentale e alla nascita di un autonomo ramo laziale della famiglia comitale di Cunio verso la metà del XII secolo. I documenti però non forniscono alcun aiuto in tal senso, per cui non è opportuno in tale sede spingersi oltre con le supposizioni.
Al di là delle esatte dinamiche di certi avvenimenti o della corretta identificazione di taluni personaggi, quello che comunque emerge anche da queste vicende laziali è il forte legame della famiglia dei Cunio con la Casa di Svevia.»
La versione di Leggio-Banzola del 1990, al pari della variante proposta dal Pallotti nel 2014, tradurrebbe, quindi, il "resistit....imperatori" al terzo verso nella lapide di Roccaranieri come resistit = rimase al suo posto per l'imperatore ovvero Ranieri combatté per l'imperatore Federico I Barbarossa, il che sarebbe assolutamente concorde con la cornice definita da Leggio, chiarendo il primo ed il terso verso della lapide:
«1 Cuniarius Raynerius hanc fortem erigit arcem |.....3 Resistit pugnans forti manu imperatori»
tralasciando, però, gli altri eventi citati nella lapide ai versi 2, 4, 5 e 6 ovvero gli eventi bellicosi di Antignano e Castra Iohannis e la disputa tra i due fratelli Ranieri e Giovanni[47].
Ipotesi Maglioni: fondazione sotto il regno di Federico II (1220-1250)
[modifica | modifica wikitesto]Paolo Maglioni[80], integrando le informazioni provenienti dalla lapide con altre riguardo la vicina abbazia di San Salvatore Maggiore, posticipa gli eventi descritti sulla lapide al regno dell'imperatore Federico II (1220-1250), così come fatto dal Benucci nel 1896[46][81], tentando una spiegazione degli altri versi della lapide di Roccaranieri.
All'epoca di Federico II, infatti[82], il territorio reatino non era più sulla linea di confine tra il regno normanno a sud e le terre al centro della disputa tra papato ed impero al nord dal momento che Federico II aveva raccolto in eredità il regno di Sicilia ed era quindi padrone tanto delle terre a sud che del titolo imperiale che gli avrebbe permesso il controllo dei territori nel resto della penisola a nord. Il territorio reatino si trovò allora, nel XIII secolo, proprio al centro della rivendicazioni di Federico II, in una posizione di frontiera che ne permise la fioritura economica. Dopo la distruzione operata dai normanni nel 1149, la città di Rieti, ormai roccaforte guelfa, sotto la protezione papale, fu spesso eletta a sede papale[83]: nell'arco di un secolo vi risiedettero i papi Innocenzo III (1198), Onorio III (nel 1219 e nel 1225)[84], Gregorio IX (nel 1227, nel 1232 e nel 1234) poi Niccolò IV (tra il 1288 ed il 1289) e Papa Bonifacio VIII (nel 1298). Rieti godette, così, nel Duecento, di un ampio sviluppo urbanistico e la città fu al centro di episodi storici significativi come l’incontro tra San Francesco d'Assisi ed Onorio III (1219), l’atto di sottomissione di Federico II dopo la pace di San Germano[85] (1232) e la canonizzazione di San Domenico decretata da Gregorio IX (1234). L'imperatore Federico II visitò Rieti in altre due occasioni: nel 1233 fu a Rieti per riprendersi dei territori sottratti dai reatini[86] e nel 1241 quando, ai ferri corti con il papa Gregorio IX, chiamato dal cardinale Giovanni Colonna a Roma, entrò nei territori papali e assediò Rieti senza conquistarla[87][88]. In questo contesto si configurerebbero gli eventi della lapide di Roccaranieri per il Benucci e per il Maglioni.
Maglioni cita un documento del 1253 relativo al periodo in cui Federico II, in lotta con papa Gregorio IX, al tempo dei vescovi di Rieti Rinaldo di Labro (1215-1233) e del suo successore Giovanni di Ninfa (1236-1240)[89], si impossessò dei territori dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, probabilmente all'epoca in cui l'esercito di Federico II, agli ordini di Andrea Cicala, aveva cinto d'assedio la città di Rieti, ovvero nel 1241. La manovra di potere avvenne «[...] con il beneplacito dell'allora abate di San Salvatore Maggiore Giacomo che per tale motivo venne deposto (ndr. dagli altri monaci dell'abbazia o dal papa o proprio dal conte Ranieri) [...] I nunzi di Federico si impadronirono di tutto, persino il nuovo abate, che forse voleva opporsi alle prepotenze imperiali, dovette fuggire ma i monaci rimasero e continuarono a ricevere gli affitti dalle mani dei fattori dell'imperatore che nel frattempo occupavano l'abbazia»[90]. Maglioni suppone, quindi, che i fratelli Ranieri e Giovanni, dei conti di Cunio, enfiteuti dell'abate di San Salvatore Maggiore (dal momento che le terre di Massa Pretorii erano state concesse, come visto, alla loro famiglia sin dai tempi del Barbarossa[91]), si siano trovati al centro della contesa tra impero e papato e abbiano scelto campi differenti: l'uno (Giovanni) appoggiò l'imperatore, l'altro (Ranieri), deposto l'abate Giacomo, parteggiò per il papa. Vi fu, quindi, tra i due, una guerra e qui, seguendo i versi della lapide di Roccaranieri si può suppore che:
- Ranieri, in vista della guerra, avesse rifondato ovvero fortificato, a sue spese, una rocca esistente[36] e gli avesse dato perciò il suo nome.
- Ranieri avesse distrutto Antignano e Castra Iohannis, appartenente al fratello e vinto la contesa tra i due fratelli prima di resistere, in armi, all'imperatore Federico II.
- I due fratelli Ranieri e Giovanni, dopo il passaggio, o la morte dell'imperatore Federico II (1251), si fossero riconciliati.
La versione di Maglioni tradurrebbe, quindi, il "resistit....imperatori" al terzo verso nella lapide di Roccaranieri come resistit = resistette (combattendo) all'imperatore ovvero Ranieri si schierò contro l'imperatore Federico II[92].
Non esistono documenti al riguardo e quindi nessuna delle ipotesi sopra proposte è risolutiva per la precisa datazione della fondazione di Roccaranieri e per la caratterizzazione degli eventi descritti dalla lapide.
Dai conti di Cunio all'abbazia di San Salvatore Maggiore (sec. XIV)
[modifica | modifica wikitesto]Al di fuori della Lapide di Roccaranieri, nelle fonti documentali, esistono solo associazioni sporadiche, nei secoli successivi, dei conti di Cunio a Roccaranieri[93].
Si può supporre che i conti di Cunio fin dall’inizio della loro presenza nel Lazio, forse su suggerimento dell’imperatore, di cui erano fedeli sostenitori e rappresentanti, avviarono una politica di imparentamento con le più importanti famiglie nobili romane: i Sant’Eustachio, gli Iaquinti, gli Orsini, i Frangipane e, a Rieti, i Mareri. È probabile che il loro prestigio sociale si accrebbe per il ruolo svolto da personaggi accorti e capaci, nel campo religioso, come il fratello Ignazio, visitatore generale dei Gerosolimitani, cavalieri di San Giovanni e nel campo militare, come il celebre Alberico da Barbiano, appartenente ad un ramo della famiglia dei conti di Cunio[76], i da Barbiano[94], capitano di ventura che imperversò con la sua Compagnia di San Giorgio su tutta la penisola al servizio di tutti i più potenti principi italiani nel XIV secolo[95]. Tuttavia con il tempo i loro obiettivi e i loro interessi presero direzioni diverse e così abbandonarono le proprietà reatine[96] per dirigersi altrove.
Roccaranieri tornò così, presumibilmente già intorno al XIV secolo, sotto il controllo diretto dell'abbazia di San Salvatore Maggiore e rimase da allora nella signoria di San Salvatore Maggiore citato tra i possedimenti dell'abbazia come Castrum Arcis Rainerii[97].
Età moderna
[modifica | modifica wikitesto]Sotto il governo dell'abbazia di San Salvatore Maggiore
[modifica | modifica wikitesto]Come gli altri castelli dell'abbazia, Roccaranieri fu, fino al XV secolo, direttamente soggetta all'autorità dell'abate e del capitolo abbaziale. Erano gli abati ed il capitolo di San Salvatore Maggiore che governavano, secondo i principi stabiliti negli statuti abbaziali, tutti gli aspetti della vita degli abitanti dei territori dell'abbazia.
Il territorio e l'economia
[modifica | modifica wikitesto]L'economia del territorio dei paesi dell'abbazia, era basata principalmente sull'agricoltura e sulla pastorizia. L'estensione territoriale di ogni paese dell'abbazia era un assetto fondamentale per la vita dei suoi abitanti.
La disputa ultracentenaria Roccaranieri-Concerviano sui terreni del castello di Antignano
[modifica | modifica wikitesto]- Come visto precedentemente per ricostruire le vicende circa la fondazione di Roccaranieri, nel 1486 il notaio Giovanni Cesidio da Gavignano fu al seguito del commissario pontificio Lorenzo de' Cerroni che il 27 luglio 1486 emanò una sentenza sulla lite sorta tra il comune di Roccaranieri e quello di Concerviano intorno alla proprietà dei territori di Antignano, paese ormai diruto tra Concerviano e Roccaranieri, i cui territori erano, all'epoca, già stati incorporati da Roccaranieri.
- Gli abitanti di Roccaranieri volevano avere assoluta giurisdizione fino al Rio di Fonte Pasquale che immette nel Salto, mentre quelli di Concerviano reclamavano il diritto di pascolo oltre a questo confine e verso il Rio di Monte Piombarolo. La sentenza del giudice[98], nel 1486, fu favorevole a Roccaranieri che continuò ad usufruire dei territori di Antignano[99].
- Nel 1743[100] gli abitanti di Roccaranieri furono costretti, di nuovo, ad intentare causa contro Concerviano sempre per i diritti di pascipascolo nel territorio del castello diruto di Antignano. Il consiglio di Roccaranieri si riunì nel 1794 a Roccaranieri nell'aula consiliare e fu indirizzato dal conte di Cunio, intervenuto di persona[101], ad una copia dell'antica sentenza del 1486 pronunciata del giudice Lorenzo de' Cerroni che si trovava nell'archivio di Bocchignano[102]. La causa terminò nel 1797, dopo più di cinquanta anni e la sentenza, ricalcando quella del 1486, confermò i diritti di Roccaranieri sui territori di Antignano[103].
- Nel frattempo, parte dei terreni di Antignano, di proprietà dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, erano stati venduti alla nobile famiglia dei Severi di Rieti che provvide a limitare i diritti di pascipascolo e di legnatico agli abitanti di Roccaranieri trasferendo parte di quei terreni al catasto di Concerviano che così provvedeva a collezionarne le tasse. Gli abitanti di Roccaranieri ne ricevevano un duplice danno: non incassando le tasse dei terreni per cui erano ancora vessati dal governo centrale e vedendosi ridotto, di fatto, il proprio territorio, non potendo più usufruire del pascolo in quei terreni. I Severi, in seguito alle proteste degli abitanti di Roccaranieri, ritrascrissero così nel 1809 i terreni di loro proprietà, una volta nel territorio di Antignano, nel catasto di Roccaranieri[104]. Tuttavia, nel catasto gregoriano del 1834, nel foglio relativo al territorio di Roccaranieri, si trova ancora, lungo lo spartiacque segnato dal Rio Piombarolo, un confine tratteggiato in cui compare la dicitura "Linea [della] Pretesa della Comunità di Concerviano" segno che, ancora nel 1834, la comunità di Concerviano non era rassegnata a perdere la titolarità di quei territori. Oggi i territori di Antignano, oggetto della contesa durata quasi quattro secoli, dal Rio Piombarolo verso il Rio di Fonte Pasquale, nonostante le due cause del 1486 e del 1797, favorevoli alla comunità di Roccaranieri, fanno parte del territorio del Comune di Concerviano[105].
Sotto il governo degli abati commendatari (1434-1589)
[modifica | modifica wikitesto]A partire dal XV secolo e per i due secoli a seguire, l'abbazia di San Salvatore Maggiore, e quindi i paesi del suo territorio, divennero, di fatto, proprietà degli abati commendatari, nominati direttamente dal pontefice e nelle loro mani passò il potere spirituale, che essi esercitavano con il titolo di abate di San Salvatore Maggiore, così come il potere temporale, una volta amministrato nei territori dell'abbazia dal capitolo abbaziale. Fino al XVI si succedettero nel controllo dell'abbazia e del suo territorio nomi influenti delle famiglie protagoniste nel teatro della Curia Romana quali i Della Rovere, gli Orsini e i Farnese. Il Cinquecento deve essere stato un periodo particolarmente florido per il paese: ne è testimonianza il restauro della chiesa di San Giovanni del 1519 e la coeva commissione, nella stessa chiesa, del ciclo di affreschi absidali. Inoltre è del 1543 una tolleranza quinquennale del camerlengo papale per poter fenerare, ovvero prestare denaro, in loco a Moyse di Elia da Roccaranieri[106].
Formalmente sotto il governo della Camera Apostolica (1589-1809)
[modifica | modifica wikitesto]A partire dal XVII secolo subentrò alla commenda abbaziale la famiglia Barberini che fu responsabile della soppressione dell'abbazia nel 1629. Il patrimonio territoriale dell'abbazia rimase tuttavia intatto e l'amministrazione passò sotto il diretto controllo della Sacra Congregazione del Buon Governo. Il territorio dell'abbazia divenne un governatorato e Longone divenne la sede del governatore che si occupava per conto del governo centrale, dell'amministrazione civile.
Ottocento
[modifica | modifica wikitesto]Governo napoleonico (1809-1814)
[modifica | modifica wikitesto]Dopo la nuova entrata dei francesi a Roma nel febbraio del 1809 e l'annessione di Lazio e Umbria all'Impero francese nel maggio del 1809, sotto il governo napoleonico, le terre dell'abbazia, come il resto dell'Alta Sabina, furono incluse nell'Arrondissment di Rieti parte del Dipartimento di Roma.
Nel 1809 Roccaranieri faceva parte del Cantone di Monteleone nel Circondario di Rieti, parte del Dipartimento del Tevere[107][108].
Dopo l'annessione all'Impero francese, anche gli abitanti di Roccaranieri abili alle armi, vennero arruolati nella Grande Armée partecipando alle campagne napoleoniche: è la storia del fante Sante Giangiuli di Roccaranieri coscritto a 20 anni nel 25e régiment d'infanterie de ligne che partecipò, senza più fare ritorno, alla campagna di Russia di Napoleone del 1812[109].
Per ciò che concerneva la giustizia, nel 1812, la Comune di Roccaranieri apparteneva alla Percezione di Longone nella Prefettura di Rieti[110].
Governo della Camera Apostolica (1814-1861)
[modifica | modifica wikitesto]Al termine del periodo napoleonico, già nel 1814 le terre abbaziali tornarono sotto il governo della Camera Apostolica. Nel 1816 il governo dei domini papali fu tuttavia riorganizzato e i territori dell'abbazia confluirono nell'allora creata Delegazione Apostolica di Rieti . Nel 1817 Roccaranieri divenne appodiato ovvero frazione di Belmonte. Dal 1853 Roccaranieri divenne, poi, appodiato[111] di Longone insieme ai paesi di Porcigliano e San Silvestro.
Il confine dello Stato Pontificio nei pressi di Roccaranieri nel 1837
[modifica | modifica wikitesto]- Il paese rimase fino all'annessione della Legazione dell'Umbria al Regno d'Italia, nel 1860, sotto lo Stato Pontificio nella delegazione di Rieti. Il suo territorio segnava il limite, ad est, per un tratto, del confine con il Regno di Napoli. Il confine tra lo Stato pontificio e il Regno di Napoli nel 1837, prima degli accordi del 1840 che segnarono lo spostamento del confine, in quel tratto di frontiera, lungo il corso del fiume Salto e l'apposizione dei cippi di confine nel resto della frontiera, correva, nel territorio tra Grotti e Roccaranieri: dalla mola di Cenciara, alla Selva di San Nicola, alla Cesa di Salvati, ai Casali delle Cerase[112], a Peschiorescino[113] (località ad est di Roccaranieri, sotto l'abitato), alla Roccia di Francia (dall'altra parte del fiume Salto)[114]. È probabile, quindi che il confine coincidesse, fino al 1840, nel territorio di Roccaranieri, dalla località Lu Cerèciu, alla località Peschiorescino, proprio con il sentiero di accesso a Roccaranieri dalla Valle del Salto.
Epidemie di colera (1837-1855)
[modifica | modifica wikitesto]- Rilevanti, durante il XIX secolo, furono le ripetute epidemie di colera che colpirono più volte l'Europa a cui non sfuggirono nemmeno i centri più isolati.
- La seconda pandemia di colera giunse nei territori dello Stato Pontificio nel 1837 e fu causa di una vera e propria epidemia passata alla storia come l'epidemia di colera del 1837. Nei paesi al confine tra Regno di Napoli e lo Stato Pontificio vennero istituite numerose barriere sanitarie. Nei territori dell'abbazia si istituirono, dal 1 gennaio al 31 dicembre 1837, due barriere sanitarie: la Barriera Sanitaria di Longone, Porcigliano, Roccaranieri e San Silvestro e la Barriera Sanitaria di Concerviano, Cenciara, Magnalardo, Pratoianni e Vaccareccia[115].
- La terza pandemia di colera coincise poi, nei territori dello Stato Pontificio, con l'epidemia di colera del 1854-1855. Tra il 31 luglio ed il 18 settembre del 1855 a Roccaranieri il morbo fu particolarmente violento: dei 459 abitanti del paese 67 furono colpiti e di questi 35 morirono facendo registrare, in poco più di un mese e mezzo, la mortalità più alta di tutta la delegazione di Rieti (nel paese di Roccaranieri la mortalità fu' del 76‰ contro un 10‰ del Comune di Rieti e un 20‰ dell'intero Stato Pontificio)[116].
Unità d'Italia: Provincia dell'Umbria - Circondario di Rieti (1861-1927)
[modifica | modifica wikitesto]Dopo l'Unità d'Italia, con l'annessione delle legazioni di Umbria e Marche al Regno d'Italia, il governatorato di Longone si trasformò nel Comune di Longone e Roccaranieri divenne una delle sue tre frazioni entrando nella Provincia dell'Umbria sotto il Circondario di Rieti.
I beni della Chiesa, ovvero a Roccaranieri i beni appartenenti al beneficio della Parrocchia di San Pietro, vennero requisiti dallo Stato che ne passò l'amministrazione al Subeconomato dei Benefici Vacanti di Rieti sotto l'amministrazione diretta di Perugia capoluogo dell'Umbria[117].
Il delitto di San Giovanni del 1884
[modifica | modifica wikitesto]Durante la festa di San Giovanni del 24 giugno 1884, il paese di Roccaranieri fu teatro di un delitto[118], un omicidio per accoltellamento. Vincenzo Tolomei di Cenciara venne accoltellato al cuore ed in seguito gettato dai 42 metri dalla rupe dei Casarini da due giovani contadini di Roccaranieri, Francesco Panetti e Luigi Giuliani, in seguito ad una lite per futili motivi (causata, pare, da una partita alla morra). Il Panetti che si ritenne l'autore materiale del delitto, avvenuto alle 21:30, ed il Giuliani, suo complice, vennero assicurati alla giustizia la notte stessa del delitto, dai carabinieri di Rocca Sinibalda, in luogo per lo svolgimento della festa.
Novecento
[modifica | modifica wikitesto]Il fenomeno dell'emigrazione
[modifica | modifica wikitesto]Come altri paesi del centro Italia, specie degli Abruzzi, anche Roccaranieri, fu interessata, durante la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, dal fenomeno dell'emigrazione verso il continente americano, specialmente verso gli Stati Uniti, nel Nord America e il Brasile nel Sudamerica. Dai registri di sbarco ad Ellis Island risulta come molti abitanti di Roccaranieri riferissero come primo domicilio la città di Filadelfia, dove sorse, molto probabilmente, agli inizi del secolo, una piccola comunità di emigrati provenienti dallo stesso paese[119].
Terremoto di Avezzano (1915)
[modifica | modifica wikitesto]Il 13 gennaio 1915 tutto il territorio del Centro Italia venne funestato dal terremoto della Marsica. Trovandosi a 68,4 km dall'epicentro di Avezzano, anche Roccaranieri subì danni del VII grado della scala Mercalli: la scossa, preceduta da un rombo, di tipo ondulatorio, propagandosi da est ad ovest, venne avvertita per 15 secondi causando il crollo di una casa e rendendo inabitabili altre 50 abitazioni delle circa 150 allora nel territorio di Roccaranieri. Il paese riportò i danni più cospicui tra quelli di tutte le frazioni del Comune di Longone Sabino[120]. Ancora nel 1924, nel territorio di Roccaranieri, lo stato italiano elargiva contributi diretti alla ricostruzione e al restauro degli stabili colpiti dal terremoto del 1915[121].
Prima Guerra Mondiale (1915-1918)
[modifica | modifica wikitesto]Anche Roccaranieri pagò il suo tributo in vite umane durante la prima guerra mondiale. I soldati caduti sono ricordati sul Monumento ai Caduti nella Piazza del Popolo[122][123].
Provincia di Rieti (1927-presente)
[modifica | modifica wikitesto]Alla creazione della Provincia di Rieti, sotto il governo fascista, il comune di Longone, e con esso le sue frazioni, passò dalla provincia dell'Umbria a quella di Rieti. Anche a Longone e nelle sue frazioni al sindaco fu, così, sostituito un podestà di nomina regia, uomo di fiducia del PNF, assistito da consultori municipali, nominati dal prefetto[124][125].
Patti Lateranensi (1929) e loro effetti
[modifica | modifica wikitesto]Con la sigla dei Patti Lateranesi, nel 1929, i beni del beneficio della Parrocchia di San Pietro di Roccaranieri, tornarono sotto l'amministrazione della Diocesi Reatina e quindi della Parrocchia stessa inoltre non era più necessario l'exequatur del Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti alle bolle pontificie per la nomina dei sacerdoti[126]. Nel 1932 le "Confraternite riunite di Roccaranieri" tornarono sotto il controllo dell'autorità ecclesiastica[127] e nel 1934, sotto la guida del Vescovo di Rieti Massimo Rinaldi, venne completata la costruzione della nuova chiesa di San Pietro fuori le mura[128].
Seconda Guerra Mondiale (1940-1945)
[modifica | modifica wikitesto]I nomi[129] dei soldati di Roccaranieri, deceduti durante la seconda guerra mondiale, sono ricordati, insieme a quelli del primo conflitto, sul Monumento ai Caduti nella Piazza del Popolo[130].
Eccidio di Roccaranieri (6 giugno 1944)
[modifica | modifica wikitesto]Il 6 giugno 1944 (lo stesso giorno dello sbarco in Normandia e del bombardamento del borgo di Rieti da parte della RAF) 13 civili vennero uccisi da un reparto tedesco in rappresaglia per l'uccisione di un soldato tedesco[131].[132]
Dopoguerra
[modifica | modifica wikitesto]Molti degli abitanti di Roccaranieri, attratti da nuove prospettive economiche, si trasferirono nei centri urbani del Lazio. Roma raccolse la maggior parte di quanti cercavano nelle città nuove possibilità.
Dapprima erano i capi famiglia a trasferirsi, provvedendo da lontano, con il loro lavoro in città, al sostentamento della famiglia. Per lungo tempo l'impiego principale degli abitanti di Roccaranieri trasferitisi a Roma fu quello di fuochisti ovvero di operai specializzati nell'accensione delle caldaie prima a carbone e poi a gasolio degli innumerevoli stabili della capitale[133][134].
Grazie ai proventi del lavoro nella capitale, molte famiglie poterono trovare le risorse per ammodernare le vecchie case dentro il paese o costruire delle nuove case fuori dalle mura. Il risultato fu l'ampliamento del paese lungo le vie di accesso verso Rieti e verso Longone Sabino (via dell'Immagine) e il definitivo trasferimento di interi gruppi familiari nella capitale.
I viaggi verso Roma e il vicino capoluogo di Rieti si fecero per gli abitanti del comune di Longone Sabino più frequenti a partire dagli anni '50 tanto da rendere necessaria la costruzione di una strada che collegasse più velocemente Roccaranieri alla valle del Salto e quindi alla città di Rieti. Si cominciò, così, all'inizio degli anni sessanta, la costruzione dei 4,2 km della SP30a che dall'abitato di Roccaranieri si innesta sulla SS 578 Salto-Cicolana che venne definitivamente transitabile, solo negli anni ottanta del secolo scorso.
Con l'avvento di nuove vie di comunicazione e dei trasporti privati, a causa dell'industrializzazione e della generale modernizzazione del paese, iniziò anche per Roccaranieri, come per tutti i paesi d'area montana dell'alta Sabina, un lento ma costante declino demografico a vantaggio del vicino capoluogo e della capitale.
Il fenomeno dell'abbandono delle campagne si è accompagnato, negli ultimi decenni, da una parte ad una radicale rinaturalizzazione del territorio, con l'avanzare dei boschi a scapito delle colture nonostante la meccanizzazione dell'agricoltura e dall'altra ad uno spostamento della popolazione al di fuori del centro storico e alla conseguente espansione dell'abitato, con un accentuato incremento del patrimonio immobiliare, lungo le vie di accesso al paese.
Anni Novanta
[modifica | modifica wikitesto]Significativo negli anni novanta fu l'intervento del comune di Longone Sabino nel ripristino di un intero isolato di abitazioni ormai dirute nel centro storico del paese. Le abitazioni restaurate vennero messe nella disponibilità di un programma di edilizia popolare.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Rinvenuta il 20 luglio 1998, nello scavo per la realizzazione di due tombe familiari, la fistula ha dimensioni: lunghezza 70cm, diametro 11cm, spessore 5mm (dati forniti da Luigi Tomassetti). La condotta, dunque, rientra nella categoria delle tubazioni di medio calibro, probabilmente vicenaria o tricenaria, secondo la suddivisione fatta da Frontino nel De aquaeductu urbis Romae, con una portata tra i 7 e gli 11 l/s (cfr. Pietrantonio Pace, Gli Acquedotti di Roma, II Edizione, Roma, Art Studio S.Eligio, 1986, pp. 86-87.) La fistula è stata catalogata nel 2010 come CIL IX, 08676a.
- ^ Nel 2000 la fistula conservata a Rieti, recante l'iscrizione descritta originariamente dall'Holstenius, venne riportata come scomparsa dalla professoressa Maria Carla Spadoni.
- ^ Maria Carla Spadoni, Aggiornamenti al CIL, in Supplementa Italica, vol. 18, Quasar, 2000, p. 84.
- ^ L'umanista Lukas Holste (alias Holstenius), nel Codice Dresdensis del 1649, al foglio 90, riporta una fistula, insieme ad altre, come provenienti da Reate e recante l'iscrizione:
«M(arcus) Marius Crescentianus»
- ^ Rodolfo Lanciani, Silloge Epigrafica Acquaria, Roma, 1880, p. 270.
- ^ Theodor Mommsen, Volume IX. Inscriptiones Calabriae, Apuliae, Samnii, Sabinorum, Piceni Latinae (PDF), in Corpus Inscriptionum Latinarum, 1883, p. 806.
- ^ Eagle Database, CIL IX,6354, su edr-edr.it.
- ^ La Spadoni, nell'articolo del 2000 in nota precedente, cita Marcus Marius Crescentianus come esempio di gentilizio Marius attestato a Rieti ritenendo che Marcus Marius Crescentianus fosse un plumbarius ovvero il produttore della fistula e non il proprietario della villa ove la fistula era stata trovata.
- ^ Maria Carla Spadoni Cerroni e Anna Maria Reggiani, Reate, Giardini, 1992, p. 74.
- ^ a b Rampazzi.
- ^ Le principali fonti per la storia alto medievale nel territorio reatino sono Il Regesto Farfense (nelle citazioni RF) e i documenti dell'Archivio del Capitolo di Rieti (nelle citazioni ACR).
- ^ (LA) Codice Vaticano 8474, foglio 45 - verso, in Regesto Farfense, 1125.
- ^ Gregorio da Catino, Il Regesto di Farfa, a cura di Ugo Balzani e Ignazio Giorgi, Vol. II, Roma, 1914, p. 116, R.151.
- ^ Nel documento Ildebrando, duca di Spoleto, dona al monastero di Farfa i casali Sibiano e Suciliano (potrebbe trattarsi della proprietà che diede poi luogo al toponimo lat. Licinianus, Licingianum, Licignanum, it. Licignano da cui Li Cignali, nei pressi di Fassinoro ove si trova la chiesa della Madonna dei Cignali) in Massa Pretorii in territorio reatino (it. Fondo del Pretorio nel territorio reatino).
- ^ AA.VV., Dizionario di Toponomastica: Storia e Significato dei Nomi Geografici Italiani, Milano, Garzanti, 1990, p. 383.«Massa: Dal latino massa ‘massa, ammasso’, come termine gromatico ‘tenuta’, nell’alto Medioevo massa e la denominazione che viene data ai grandi possedimenti, un insieme di fondi o poderi coltivati da coloni e servi, affidato ad un conductor o actionarius , che per lo più intorno al sec. X finiscono per trasformarsi in feudi quando il casale che ne e il centro viene fortificato e diventa sede di un signore feudale. Altre masse si smembrano, in parti assegnate a lavoratori-soldati per la difesa, dalla seconda meta del sec. VIII, sotto la minaccia di assalti dei Longobardi. Da massa derivano toponimi che interessano specialmente Veneto, Emilia Romagna, Toscana ed Umbria (LUI XIII, 158; Doria 1981, 186). Per quanto riguarda la Toscana, Pieri 1919, 317 osserva che pur essendo generale l’accezione agraria di massa, il termine potrebbe talvolta rappresentare un plurale di masso. c. M.»
- ^ La tesi è rigettata da Maglioni che ritiene che i longobardi non abbiano mai conquistato, specie nell'VIII secolo - ai tempi della congiura ai danni dell'antipapa Costatino - i territori delle Plage a cavallo tra i fiumi Salto e Turano in quanto - secondo lo studioso - questi territori rimasero, durante il periodo longobardo, parte del ducato romano prima e del patrimonio di San Pietro poi.
- ^ AA. VV., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani., Milano, Garzanti, 1996, pp. 485-486, ISBN 88-11-30500-4.«Plagia, pl. Plage : La documentazione del toponimo si presenta in origine come Pladia (sec. IX, Massia 1925, 14), poi Plagia (a. 1182, BSSS XXXVII, 85, 80), Pleia (a. 1167, BSSS XXXVII, 41, 41). Possiamo ancora aggiungere Playa (a. 1041, BSSS XXVI, 323, 172), Plena (a. 1162, BSSS XXXVI, 28, 38), Pleya (a. 1212, BSSS XXVI, 2, 100). L’etimo è evidentemente la voce tardo-latina plagia (Cortelazzo-Zolli, s.v.), dal valore di ‘pendio dolce, costa’, adatto alla posizione dell’insediamento. Per la diffusione toponimica ricordiamo Piaggia, frazione di Briga Alta, in provincia di Cuneo. A. r.»
- ^ Il toponimo Plage è citato nei documenti farfensi, per la prima volta, in un documento del 766. Da allora ricorre ripetutamente nei documenti farfensi e in un documento papale del 1157 ne vengono forniti i limiti che permettendo di identificarlo con l'interflumine tra il Salto ed il Turano e di accertare che il Pretorium in territorio reatino fosse effettivamente, tra tutti i toponimi Pretorium presenti nella Sabina (vedi ad esempio Pretorium vicino ad Amiternum odierno Preturo (AQ)), quello nei cui pressi si trovava la chiesa di San Giovanni di Roccaranieri.
- ^ Maglioni, pag.10.
«[...] in un documento del 1157, riscoperto dal cardinale Ildelfonso Schuster, si registra che il conte Lamberto di Favenza (ndr. Faenza, dei Conti di Cunio) aveva fatto concordia con i monaci di Farfa a proposito del castello delle Plaie (è il Castello delle Plage che era toccato in feudo ai Conti di Cunio) che aveva i seguenti confini «da cima i castelli di Magnalardo e Cenciara, da un lato il fiume Velino, dall’altro la chiesa di S.Angelo nel borgo di Rieti e infine il fiume Turano».» - ^ ACR, IV L 2 (ACR, arm.IV, fasc.L, n.2): Actum in civitate reatina, anno 948 pridie kal. Aug. Regnante Lothario, anno regni eius XIV. (cfr. Micaeli, pag.119, nota IV). Il documento in pergamena è stato pubblicato in fotografia su Giovanni Maceroni e Anna Maria Tassi, Gli Archivi unificati della Curia Vescovile di Rieti fonte di Storia, Rieti, Editrice Massimo Rinaldi, 1996, p. 85.
- ^ Chisari.
«[...] forse il (ndr.Tachiprando) comandante degli armati reatini che cacciarono i saraceni dalla Sabina nell’anno 918 [...]» - ^ Il Tachiprando menzionato nel documento ACR IV L 2 del 948 è con buona probabilità lo stesso dell'iscrizione nella chiesa di San Silvestro di Cittareale cfr. Pietro Nelli, Roma Salaria Falacrine, Roma, Lulu.com, 2009, pp. 64-67.«L'iscrizione commemora la riconsacrazione dell'edificio sacro, ricostruito ad opera di Takebrandus (it. Tachiprando) il giorno 5 dicembre 924 dopo la vastationem saracinorum (it. la devastazione ad opera dei saraceni), al tempo del vescovo di Rieti Tofi e dal Re Rodolfo II di Borgogna (chiamato in Italia dai grandi feudatari italiani nel 921 ribellatisi a Berengario e nominato re d'Italia nel 923).
POST VASTATIONEM SARACINORVM EGO TAKEBRANDVS PECCATOR RENOVARE ET CONSECRARE ROGAVI CVM SINTARI ET PETRO PRBRI TEMPORIBVS DOMINO IOANHI PAPE ET TOFI EP[ISCOP]O CIVITATE REATINE ET RODVLFO REGI AB INCARNACIONEM DOMINI NOSTRI IHV XPI ANNO NVASENTESIMO VICESIMO QVARTO QVINTA DIE MS DECEBER PER INDICTIO TERTIODECIMO PETRVS EPS CONDIDIT LEO ARCHIPRBT REATINA
Dopo la devastazione dei saraceni io Tachiprando peccatore chiesi di restaurare e di consacrare con Sintari (ndt. forse Sintaro avo di Gisone figlio di Campone di Rieti?) e Pietro al tempo di papa Giovanni X e del vescovo di Rieti Tofi e di Rodolfo re per incarnazione di Dio nostro nell'anno novecentoventesimoquarto, quinto giorno di dicembre, indizione tredicesima. Pietro vescovo ricostruì [essendo] Leone arcipresbitero della Chiesa di Rieti» - ^ L'atto del 948 (ACR, IV L 2) prosegue: «C’è un casale con i suoi beni e le sue pertinenze ed è posto sulla via delle Plage che conduce al monastero di S. Salvatore e confina con il Rio Lungo (lat. Rigu Latu, letteralmente Rio Ampio, ndr. Rio di Fonte Pasquale, il torrente più lungo tra quelli dei territori dell'interflumine Salto-Turano), il fiume chiamato Salto, le terre e le selve del Monastero di San Salvatore che io Aldo posseggo in prestito dallo stesso monastero».
- ^ ACR, IV K 4 (ACR, arm.IV, fasc.K, n.4): Il documento contiene il contratto di enfiteusi tra Giovanni, vescovo di Rieti, e i chierici Giovanni, Benedetto e Stefano relativo a terreni prossimi ai terreni del documento del 948 in particolare la chiesa di San Giovanni Battista nel luogo detto "Pretorio nelle Plage nel territorio reatino".
- ^ Nel documento dell'Archivio del Capitolo di Rieti del 948 il vescovo di Rieti, di nome Anastasio è chiaramente di origine romana, mentre Aldo, figlio di Tachiprando è di chiara ascendenza longobarda.
- ^ Schuster, Pag.405.
- ^ È probabile che prima che i territori delle Plage, a seguito di lasciti testamentari, passassero nella disponibilità delle abbazie, alcuni di questi, specie quelli nei pressi delle pievi, fossero già di pertinenza del vescovo di Rieti, come dimostrano i documenti del 948 e, più in particolare quello del 982, nell'archivio del Capitolo di Rieti nel caso della chiesa di San Giovanni di Roccaranieri. Discorso analogo per la pieve di Sant'Agata nei pressi di quello che più tardi divenne il Castrum Plagiarum ovvero il borgo di Guardiola (cfr. Chisari).
- ^ Schuster, pag.395-396.
- ^ I territori sottoposti alle abbazie imperiali erano sotto la protezione diretta dell'imperator e per questo nullius dioecesis (it. di nessuna diocesi) ovvero, nel caso dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, non sottoposti alla diocesi reatina ovvero al controllo del vescovo di Rieti. In materia ecclesiastica l'abbazia rispondeva solo al pontefice.
- ^ Pierre Toubert, Les structures du Latium médieval. Le Latium meridional et la Sabine, du IX siècle à la fin du XII siècle, Roma, Bibliothèque des Écoles françaises d'Athènes et de Rome, 1973.
- ^ De Meo, Tecniche Costruttive Medioevali, La Sabina, L'Erma di Bretschneider, p. 22.
- ^ Nella rocca era presente una sorgente, attinta tramite un pozzo scavato al di sotto della chiesa di San Pietro, come da testimonianza della signora Gianna Camilli in Cattani, nipote del sacerdote don Ugo Clementi, parroco di Roccaranieri nel periodo 1921-1943 che visse a lungo nella canonica della vecchia chiesa di San Pietro dentro le mura a Roccaranieri.
- ^ Maglioni, pag. 8.
- ^ L'abbazia di San Salvatore Maggiore, sul monte Letenano, poco distante da Roccaranieri, sorse probabilmente sulle rovine della villa romana di Sesto Tadio Nepote. La villa doveva trovarsi nei pressi della via Cecilia, strada romana che, diramandosi dalla via Salaria nei pressi di Trebula Mutuesca, attraversava la regione dell'interflumine Salto-Turano per raggiungere Amiternum. Il territorio di Roccaranieri/Massa Pretorii doveva essere attraversato da una viabilità minore di collegamento tra la sottostante Valle del Salto e l'altopiano delle Plage. Il sentiero che congiunge Roccaranieri al sottostante bivio sull'odierna S.S.578 Salto-Cicolana potrebbe essere ciò che resta di un antico iter di epoca romana.
- ^ La prima menzione del toponimo Rocca Ranieri (lat. Rocca Raynerj) è in una lettera di papa Gregorio IX del 1239 conservata a Roma (cfr. Maglioni). Prima della scoperta del documento del 1239 la prima menzione del toponimo Rocca Ranieri (lat. Rocca Raynerj) era ritenuta quella contenuta nel Documento Parigino (folio 25v, nell'angolo in basso a destra), un documento del 1252 che ci è pervenuto non nell’originale, ma in copia, eseguita in epoca posteriore e oggi conservato a Parigi nella Biblioteca nazionale di Francia al Département des manuscrits come Latin 1556 (B.N.Lat.1556). Si tratta degli Statuta Synodalia Reatina, documento riguardante l'insieme delle regole e comportamenti da osservarsi nel governo spirituale e temporale della Chiesa nella diocesi di Rieti (i titoli dei capitoli ne forniscono degli esempi: de immunitate ecclesiae, de poena sacerdotum qui conducunt ecclesias sine licentia episcopi, de bona mobilia et immobilia ecclesiae non alienatur, de tonsura clericorum, de sacramento confirmationis, si musca vel aracna vel aliquid cecident in calice, de revocatione beneficiorum, de forma absolvendi usurarios in confessione, de poena ponentium ignem, de procurantibus abortum, de mulieribus non manentibus cum viris). Al termine del testo delle disposizioni statutarie, al foglio 18, si trova il Liber censuum ecclesiae Reatinae disposto per volontà di Thomas (vescovo reatino dal 1252 al 1265): "Nos Thomas permissione divina reatinus episcopus volentes scire[...]omnes ecclesias[...]duximus adnotandas infra diocesem reatinam", iniziando con le parole: "hec est summa omnium ecclesiarum tam civitatis quam diocesis reatine et censualium et illarum que respondent et ecclesie reatine". Grazie a Roberto Tupone di Villerose di Borgorose che ne richiese una fotocopia, la Biblioteca nazionale di Francia, nel 2017, ha colto l'occasione per digitalizzare il documento ed inserirlo nella Biblioteca digitalizzata Gallica rendendolo consultabile gratuitamente insieme alla scheda sul manoscritto. Secondo la scheda presente in Gallica, il manoscritto B.N.Lat.1556 sarebbe stato precedentemente catalogato come Mazarin 1022 ovvero come facente parte della biblioteca personale del Cardinale Mazzarino: il manoscritto potrebbe essere giunto a Parigi al seguito di Gabriel Naudé, bibliotecario del cardinale Francesco dei conti Guidi di Bagno, vescovo di Rieti tra il 1635 e il 1639, il quale affidò al Naudé l’incarico di riordinare l’Archivio Capitolare di Rieti. Naudè fu quindi al seguito di Ranuccio Farnese e poi del Cardinale Richelieu e quindi del suo successore, il Cardinale Mazzarino per il quale formò una copiosa biblioteca passata poi al parlamento francese e quindi alla Biblioteca nazionale di Francia (cfr. Ileana Tozzi su Frontiera, 2019).
- ^ a b c Che un insediamento già esistesse all'epoca del Barbarossa è lasciato supporre da un documento del 1253 riguardante la controversia tra il vescovo di Rieti Thomas (lo stesso ai cui si deve l'estensione degli Statuta Synodalia Reatina del 1252) e l'abbate di San Salvatore Maggiore. Durante il processo a Rieti, Don Raniero, parroco di San Giovanni di Pratoianni, testimoniò che a consacrare un altare nella chiesa di San Pietro a Roccaranieri fu Dodone, vescovo di Rieti (1137-1181) pertanto se ne deduce che la chiesa di San Pietro a Roccaranieri, e quindi il nucleo abitato stesso, all'epoca, fosse già esistente (cfr. Maglioni, pag.45).
- ^ Mauro de Meo, Tecniche costruttive murarie medievali, la Sabina, L'Erma di Bretschneider, 2006, p. 263.
- ^ a b Maglioni, pag.9.
«Nella visita pastorale dell'11 ottobre 1844, il vescovo di Rieti Mons. Filippo dei conti di Curoli, informatosi degli usi, costumi ed origini del paese da poco entrato nella sua diocesi (ndr. dopo la soppressione della Diocesi dell'abbazia di San Salvatore Maggiore nel 1841), così scrisse: «Roccaranieri prende il nome dal cognome del conte Ranieri di Ravenna che abbandonata la patria era venuto in questo luogo e facendo fabbricare il castello con la profusione delle sue ricchezze aveva dato l'origine e nome al paese».» - ^ Benucci, pag.114.
- ^ Il notaio Giovanni Cesidio da Gavignano fu al seguito del commissario pontificio Lorenzo de' Cerroni che il 27 luglio 1486 emanò una sentenza sulla lite sorta tra il comune di Roccaranieri e quello di Concerviano intorno alla proprietà dei territori di Antignano, già castello dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, paese ormai diruto tra Concerviano e Roccaranieri, i cui territori erano, all'epoca, già stati incorporati da Roccaranieri.
- ^ È per questo motivi che i conti di Cunio vengono alcune volte indicati nei documenti come "Faentini" (de' Faventia) mentre altre volte sono indicati come "Ravennati".
- ^ Non stupisce che Dante, avendo trascorso gli ultimi anni della sua vita in Romagna ed essendo morto a Ravenna, conoscesse nei dettagli la cornice romagnola delle lotte tra impero e papato di cui i Conti di Cunio erano stati tra i protagonisti.
- ^ La terzina loda l'estinzione della stirpe dei Malvicini di Bagnacavallo, mentre biasima i conti di Castrocaro e di Cunio che si danno pena di perpetuare la propria stirpe.
- ^ Nel campo ghibellino fin dai tempi del Barbarossa, alle cui fortune si legarono, i Conti di Cunio raggiunsero l'apice dei rapporti con la corona sveva durante il regno di Federico II nel XIII secolo: nei documenti dell'epoca, tra gli altri con lo stesso nome, un conte Ranieri si distingue tra i conti di Cunio per aver sposato Maria di Donegallia, ultima erede di una nobile casata dai territori contigui a quelli di Cunio, cioè quella dei conti di Donegallia, ed è per questo indicato a volte come "Ranieri conte di Donegallia". È questi il Ranieri di Cunio presente al celebre assedio di Faenza «civitas munitissima, immo singularis in Romaniola» che si risolse il 14 aprile del 1241, dopo otto mesi, a favore dell'imperatore Federico II, quando, grazie alle trattative intessute proprio da Ranieri di Cunio, la città si consegnò all'imperatore. Federico II era riuscito finalmente a piegare Faenza, il rivale forse più tenace, dopo Bologna e Milano, fra tutti quelli, appartenenti allo schieramento guelfo, con cui si era confrontato fino a quel momento. Federico II dimostrò la propria gratitudine al Conte Ranieri rilasciando, il 1 maggio 1241, un diploma al conte di Cunio pro gratis ejus servitiis con il quale confermò al conte Ranieri comitatum Cuniensem et jurisdictionem, così come l’investitura di alcuni luoghi che già da tempo risultavano sotto il controllo dei Cunio: Barbiano, Massa Zagonara, Basino, Casali, Granarolo, Mazapede, Rovere, Ancona, Vizolo, Strambaccio, Seraglio e Gineclo (cfr. Pallotti).
- ^ Il fatto che questa famiglia possedesse terre in Romagna e in Sabina non è troppo curioso in considerazione del fatto che, fin dal tempo dei bizantini, i territori dell'esarcato di Ravenna erano gli unici possedimenti collegati direttamente al ducato romano. Le terre in questa fascia di territorio avevano costituito, quindi, per lungo tempo, due parti, benché distanti, dello stesso dominio.
- ^ a b Il Benucci, nel proseguo del testo sull'archivio del notaio Giovanni Cesidio di Gavignano, ci conferma la presenza in Sabina, proprio a Gavignano, nel 1251, dei possedimenti di un conte Ranieri, inequivocabilmente il Ranieri sposo di Maria di Donegallia ovvero lo stesso dell'assedio di Faenza del 1241 (vedi nota precedente). Benucci.
«[...] Ora, se questo imperatore fu, come ci sembra ragionevole, Federico II, che, venuto a Rieti nel luglio del 1241 «[eam] sibi resi stentem invenit» (it. la trovò resistente), e tosto si affrettò, chiamato dal cardinal Giovanni Colonna, a Roma, questo conte Ranieri è lo stesso dei Doc. I e LXXVI dello Sperandio (cfr. Sperandio). Quest'ultimo (ndr. il documento LXXVI dello Sperandio) noi abbiamo riveduto sull'originale, che si conserva nell'archivio comunale di Calvi (ndr. Calvi dell'Umbria). È un verbale della Cerna di Calvi del 10 ottobre 1496, nella quale è fatta menzione d'un antico istromento (ndr. atto), dove il conte Ranieri del fu Ranieri colla moglie Maria de Domnigallia ed i figli Lamberto, Nicola, Bailardino, Adalberto, Lodovico e Guidone recessero alla chiesa di Sabina i castelli di Altaino e Striano che da antico loro appartenevano. Non vi si fa menzione, è vero, dell'anno, ma che non si sia lontani dall'epoca da noi supposta, ci conferma questo passo del Doc. I dello Sperandio che si riferisce alle vendite di ghianda fatte dagli antichi vicedomini di Sabina: «Et anno 1251 illustri comiti d.[ominus] Raynerio et illustri comitissae dominae Mariae de Domnigallia coniugibus pro eorum vaxallis de Gabiniano, ut habetur ex Rofrido de Faida scriniario Episcopien.»» - ^ a b Leggio, Corvaro 2022.
- ^ Comune di Poggio Catino sul sito del SIUSA (Sistema Informativo Unificato per le Sovraintendenze Archivistiche) dl MiBAC, su siusa.archivi.beniculturali.it.«[......]La prima menzione del nuovo borgo compare in documenti farfensi del 1093. Nella prima metà del XII sec. il castello di Catino e il suo Poggio si costituirono in un libero comune; in seguito, forse per sedare una rivolta, il pontefice inviò Teobaldo, della famiglia dei Sant'Eustachio, e lo insignì del titolo di barone affidandogli il feudo. Tornato nel 1477 alla Camera apostolica, l'anno dopo il castello fu venduto da Sisto IV al Comune di Rieti, il quale a sua volta lo cedette, nel 1479, al mercante genovese Meliaduce Cicala; nel 1483 Poggio Catino fu acquistato dagli Orsini, che ne rimasero in possesso sino al 1588, allorchè il feudo fu venduto ai Savelli. Venne loro confiscato nel 1592, a causa di una pesante situazione debitoria, e nel 1594 Papa Clemente VIII ne autorizzò la vendita al nobile romano Mario Capizucchi per il quale, due anni dopo, il Papa elevò il feudo a marchesato. Il dominio dei Capizucchi durò sino al 1614, allorchè il possedimento fu acquistato dal comasco Settimio Olgiati [.....]»
- ^ Angelo Fumagalli, Delle istituzioni diplomatiche, II, 1802, pp. 422-423.
- ^ Banzola, pag.329.
«Nel 1762 a Roma, nella curia di Monte Citorio, ci fu un giudizio, "actores" del quale furono certi Ignazio e Nicolò Serafini che pretendevano dimostrarsi discendenti dei conti di Cunio in Sabina e di esserne eredi legittimi dei possedimenti. I possessori di quei beni furono da costoro convocati in tribunale come "rei conventi", si trattava di enti pubblici o di persone nobili più potenti dei Serafini; il giudizio allora si concluse a favore dei "rei convinti", mentre i Serafini, furono condannati come falsari ed impostori; i documenti da loro prodotti in giudizio come probanti furono giudicati falsi o interpolati dal perito del tribunale Pier Luigi Galletti abate e monaco cassinese; si concluse che il tutto era stato una pura invenzione dei Serafini come pure l'aver preteso di portare in Sabina i conti di Cunio!» - ^ Lo Sperandio diceva, infatti, di aver attinto i documenti circa i conti di Cunio dagli stessi archivi visitati trent'anni prima dal Serafini.
- ^ Banzola, pag.329.
«Alcuni decenni dopo, nel 1790, l'arciprete della cattedrale di Sabina certo Francesco Paolo Sperandio pubblicò un libro storico-celebrativo sulla Sabina con dedica all'allora card. vescovo di Sabina Andrea Corsini; l'autore vi raccolse un notevole numero di documenti storici fra i quali diversi riguardanti i conti di Cunio. Attualmente però la quasi totalità di questi documenti non risulta reperibile nei testi originali e molti di essi dai contenuti poco chiari e storicamente poco probabili lasciano supporre siano interpolati o falsi; da certe affermazioni dello stesso Sperandio, sembra potersi trattare, almeno in parte, di quelle fonti antecedentemente utilizzate dai Serafini e da loro falsificate o interpolate; a tale proposito non si sa se lo Sperandio fu ingenuo nell'accogliere tali documenti, oppure se colluse coi Serafini.» - ^ Schuster (1912), pag.570.
- ^ Dalla genealogia dei conti di Cunio redatta da Banzola sembra che questi accolga la tesi, dal protocollo dello Schuster, che Lamberto di Faenza fosse sposato con Rengalda, sorella dell'imperatore Barbarossa. Leggio è scettico definendo la figura di Rengalda "fantomatica" ed il Pallotti, successivamente, ritiene che la figura di Rengalda non sia affatto provata storicamente.
- ^ Banzola, pag.331.
«Nel 1912 Ildefonso Schuster, allora monaco benedettino a San Paolo fuori le mura (Roma) e a Farfa (RI), rinvenne, trascrisse e pubblicò quasi per esteso un protocollo di certo "notar Pietro di Gregorio" che operò a Roma e in Sabina circa a metà del sec. XIV. Tale protocollo conteneva 38 atti notarili relativi agli anni 1344 e 1345; lo Schuster pubblicò i primi 28 relativi all'anno 1344, gli altri 10 relativi all'anno 1345 rimasero inediti. Di questi 38 atti notarili ci si è ora accorti che ben sette riguardavano, come di seguito si dimostrerà, i conti di Cunio che fecero comparsa in quei documenti qualificandosi come: "comites....quondam domini comitis Alberici de citate Faventie". Lo Schuster non giunse a identificarli e nemmeno li considerò faentini, intese invece accorparli ai molti altri personaggi nobili menzionati in quel protocollo e globalmente ritenuti da lui come facenti parte della nobiltà romana, reatina e fiorentina.» - ^ Leggio (1990), Banzola
- ^ a b Una lettera di papa Anastasio IV del 4 maggio 1157 cita il conte Lamberto di Faenza ed i suoi figli (tra cui un Ranieri) feudatari dell'abbazia di Farfa per i castelli di Tribuco e Bocchignano. Con tale atto il pontefice decretò l'unione del territorio del castello di Tribuco a quello del castello di Bocchignano, precisando però che tale decisione aveva incontrato l'opposizione del conte Lamberto di Cunio e dei suoi figli, Ranieri, Gebeardo, Unrocco e Gerardo. (cfr. Leggio (1990), pag.354, Banzola, Maglioni, pag.10).
- ^ Federico Barbarossa nato nello stesso anno del Concordato di Worms (1122) che sancì la fine della lotta per le investiture segnando il predominio del papato sull'impero, salì al trono a trent'anni, nel 1152.
- ^ Paolo Maglioni cita un documento farfense dell'803 che attesta la presenza dei conti di Cunio in Sabina anche prima dell'epoca del Barbarossa (1125-1190) e addirittura avalla alcuni dei documenti dello Sperandio, in particolare un atto testamentario del 950 - siglato ad Aspra (odierna Casperia) in Sabina - tra quelli, secondo il Galletti, sospetti di interpolazione da parte del Serafini (cfr. Maglioni, pag.10).
- ^ Leggio (1990), (Maglioni, pag.10), Pallotti.
- ^ a b Leggio (1990), pag.353-354.
- ^ a b c Pallotti.
- ^ In quegli anni l'imperatore Barbarossa si trovava dover affrontare la minaccia che proveniva dalla straordinaria avanzata dei normanni che, giunti nel meridione d'Italia all'inizio dell'XI secolo, già fra il 1053 ed il 1080 avevano occupato la Marca Fermana che comprendeva parte delle odierne regioni delle Marche meridionali e dell'Abruzzo settentrionale e si erano spinti ai confini con lo Stato della Chiesa finché, agli ordini dei figli di re Ruggero II di Sicilia, con azione rapida quanto incontrastata, nell'estate del 1144, conquistarono la Marsica, l'Amiternino e tutto il territorio fino a Rieti che venne assediata e poi distrutta nel 1149.
- ^ Carlo Tedeschi, Le iscrizioni di Dodone, vescovo di Rieti, 2014.«Dopo la distruzione ad opera dei Normanni del 1149, il Vescovo di Rieti, Dodone (1137-1181), si diede alla ricostruzione della città e delle chiese nella diocesi. Dodone, prima di essere eletto alla carica episcopale fu arcidiacono Ecclesiae Reatinae, come suggerisce la sua sottoscrizione ad un documento del 1133, mentre non è provata la sua appartenenza all’ordine cistercense, pure insistentemente ribadita nella storiografia locale. La sua giurisdizione episcopale, al pari di quella dei suoi predecessori e successori, si estendeva su un vasto territorio dell’Appennino centrale, che dal Reatino giungeva fino alla piana dell’Aquila, dal momento che la diocesi di Amiternum fu soppressa ed accorpata a quella reatina probabilmente già nella seconda metà dell’XI secolo. Un territorio, dunque, vasto, ma soprattutto di cruciale importanza dal punto di vista strategico, in un secolo che vide l’annessione dell’Abruzzo al Regno di Sicilia (1140) e i continui tentativi dei maggiori protagonisti della scena politica italiana — il Papato, l’Impero, i Normanni — di attrarre la Marsica e la Sabina entro la propria sfera di influenza. Conseguenza diretta di tale situazione fu l’assedio subito da Rieti da parte dell’esercito normanno e la devastazione della città con cui si concluse nel 1149. Stretto tra Normanni, Papato e Impero, costretto ad operare in un’area ancora segnata dall’ingombrante - seppure ormai declinante - presenza monastica, Dodone seppe guadagnarsi un ruolo centrale, rafforzando quanto più possibile il suo controllo, attraverso un'abile politica di alleanze variabili.»
- ^ A beneficiare delle concessioni di Federico I, oltre alle Abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore, fu il vescovo di Rieti, Dodone (vedi Tedeschi), probabile parente dei conti di Cunio, per via di donazioni di territori faentini alla diocesi reatina difficilmente spiegabili se non da legami di parentela a personaggi dell'area romagnola come appunto i conti di Cunio. Il vescovo Dodone fu destinatario, nel dicembre 1177, quando Federico I si trovava ad Assisi e Perugia, di un diploma con cui l'imperatore prendeva sotto la propria protezione l'intera diocesi reatina. Tutto a dimostrazione di un disegno dell'imperatore di attrarre nella propria orbita tutti i territori di confine dello Stato della Chiesa strappandoli alla parte guelfa in cui Rieti era entrata, sottoponendosi alla protezione papale, dopo essere diventata libero comune nel 1171.
- ^ Nel protocollo notarile rinvenuto a Farfa dallo Schuster, oggetto della pubblicazione del 1912, il documento XXIV è un atto dell'11 settembre 1344 in cui i conti Unrocco, Ugo e Romolo, figli del conte Alberico di Faenza, concedono in enfiteusi alcuni possedimenti a Rieti, nel Reatino e in Sabina ai fratelli Teodino, Pietro e Carlo degli Alfani di Rieti ovvero: «nella città di Rieti una casa con molte stanze o appartamenti, con loggia e giardino pieno di alberi da frutto e con una propria fonte d'acqua corrente con i seguenti confini: di fronte la strada pubblica, da un lato la casa della chiesa di San Giorgio di Rieti; dall'altro, la casa del nobile uomo Giovanni dei Lucarrelli e vicino ai giardini delle suddette case e al fiume Velino sull'ultimo lato;- l'intera tenuta o pertinenza del castello diruto delle Plaghe, con i seguenti confini: dalla parte superiore, la pertinenza dei castelli di Cenciarie e di Magno Iaridi; da un lato, o dal piede, il fiume Velino, dall'altro lato le pertinenze, o i beni della chiesa di Sant'Angelo e le pertinenze della città di Rieti, e dall'altro lato il fiume Turano, con tutti e singoli gli abitanti, i vassalli, gli edifici, i mulini e i corsi d'acqua, i pascoli, i diritti e le azioni di libero e assoluto dominio, tutte le angarie, i tributi e i canoni, senza alcuna dipendenza da qualsiasi principe, o conte, marchese e duca, secondo l'accordo perpetuo fatto tra i venerabili uomini monaci del monastero di Farfa, o di Santa Maria in Farfa - dei beni nella Sabina ad Aspra (Casperia)». Nell'atto, per giustificare la proprietà delle terre nel reatino da parte dei conti di Cunio, sono citati dal notaio, che dice di averne preso visione, due documenti entrambi del 1157, anno V del regno del Barbarossa (stessa data della lettera di papa Adriano IV che documenta la presenza dello stesso Lamberto e dei suoi figli in Sabina):- un accordo perpetuo del 1157 (concordia perpetua) tra i monaci di Farfa e Lamberto di Faenza, sposo di Rengalda, e i suoi figli Raniero ed Eberardo redatto dal notaio Hopenesto della città di Rieti.- un diploma (perpetuum placitum liberi dominii omnium suorum locum) (it. perpetuo placito di libero dominio di tutti i suoi luoghi esistenti nella contea della città di Rieti, nella contea Sabina, nella contea Ravennate e nella contea di Faenza, come risulta dal suddetto placito concesso ai suddetti conti e ai loro successori in perpetuo e da me notaio ben visto e rispettosamente letto davanti ai sottoscritti testimoni) concesso dall'imperatore Federico I a Lamberto di Faenza, sposo della sorella dell'imperatore Rengalda, ed ai suoi figli Raniero ed Eberardo nel 1157 (cfr. Schuster (1912), pagg.571-575).
- ^ Chisari identifica il Castrum Plagiarum con il castello di Guardiola nel territorio delle Plage affacciato sulla Valle del Turano, ricordando come: «Tersilio Leggio noto storico e valoroso studioso del territorio reatino, vi aveva posto l’accento in occasione di un accurato saggio dal titolo ''I conti di Cunio e la Sabina. Un problema tra storiografia e storia'' pubblicato su “Studi Romagnoli” n.41 del 1990, dove in ogni caso oscilla tra questa località e la località di Castelvecchio, forse influenzato dal nome del toponimo». A sostegno, secondo Chisari, dell'identificazione della Guardiola come il Castrum Plagiarum, l'esistenza, nel castello, della chiesa di Sant'Agata: «La presenza fin dall’VIII secolo, della chiesa di S. Agata e di un insediamento, tale a giustificare la pieve, la parrocchia, certo di carattere rurale ma in ogni caso di dimensioni non trascurabili, rende credibile l’apprestamento di una fortificazione». Chisari cita: «la scheda n. R1060 pubblicata nella "Carta dei Luoghi di Culto della Diocesi di Rieti" a cura dello Sperandio, vol. I della Regione Lazio, dove si legge della "Pieve di S.Agata" ubicata nel vocabolo "Plaia" nel toponimo di Sala, citata in una bolla di papa Anastasio IV del 1153. Lo stesso luogo di culto è chiamato "S.Agata in Plagiae" nel 1182 in una bolla di papa Lucio II, è denominato "ecclesia S.Agacte" in un documento del 1381 conservato nell’Archivio di Stato di Rieti (vol.VII c.26 v) e in un altro del 1408 (vol.XX c.60 r, ) è chiamata "ecclesia de Plagis S.Agata" nel 1398. La chiesa è inserita nella mappa n.10 dell’Archivio di Stato di Rieti sez.VIII Sala e Guardiola del 1820 ed è citata anche dallo studioso prof. Vincenzo Di Flavio nel suo lavoro “Il Registro delle Chiese della Diocesi di Rieti del 1398 nelle Memorie del vescovo Saverio Marini” 1989 scheda n.489. La scheda n.R1 060 [del libro di Di Flavio] riporta che la chiesa di S. Agata apparteneva sin dall’origine alla diocesi di Rieti. Questa informazione dovrebbe significare che quando la cappella fu costruita quella terra era nel dominio di Rieti e del suo vescovo.» Continua Chisari su Guardiola: «Questo edificio (ndr. Il castello di Guardiola) fu modificato e ristrutturato dopo il 1300 per opera di un “magistrum Jacobum lombardum de Varesio muratorem” esperto di opere fortificatorie (Leggio, Le fortificazioni a Rieti, p. 80). Le feritoie verticali, con in basso la parte circolare per il passaggio della canna dell’arma da fuoco, tipiche per l’uso di archibugi, esistenti sulle torri manifestano i restauri successivi all’introduzione delle armi da fuoco, quando l’uso di queste attrezzature divenne sufficientemente diffuso nella zona e testimonia un lungo uso della struttura, almeno dal XII secolo al XV secolo. Le altre fortificazioni della zona, Roccaranieri, Magnalardo, Belvedere, non mostrano feritoie per gli archibugi.»
- ^ Maglioni, pag.10.
«[...] in un documento del 1157, riscoperto dal cardinale Ildelfonso Schuster, si registra che il conte Lamberto di Favenza aveva fatto concordia con i monaci di Farfa a proposito del castello delle Plaie (è il Castello delle Plage che era toccato in feudo ai Conti di Cunio) che aveva i seguenti confini: “da cima i castelli di Magnalardo e Cenciara, da un lato il fiume Velino, dall’altro la chiesa di S.Angelo nel borgo di Rieti e infine il fiume Turano.”» - ^ Sebbene, sempre nel protocollo del XIV secolo ritrovato dallo Schuster, nel documento XXVII del 1 dicembre 1344, si riporta di una storia genealogica del vescovo Dodone, probabilmente della famiglia di Cunio, il quale indica la presenza a Rieti dei cuniari a partire dal 1159-1160 (cfr. Leggio (1990), pag.353 da Schuster (1912), pag.581).
- ^ ACR, Arm.VI Fasc.F, 3.
- ^ Da notare che l'atto del 1185, steso il 15 dicembre, segue il matrimonio tra Enrico VI, figlio del Barbarossa e Costanza d'Altavilla, celebrato per procura a Rieti il 23 agosto 1185 (celebrato di nuovo, in presenza dello sposo, a Milano, il 27 gennaio 1186).
- ^ Chisari.
«I motivi a sostegno della diversità dell’area sono da rilevare nella differente tipologia degli atti giuridici, infatti, il primo documento è un patto di concordia mentre il secondo è un contratto di enfiteusi. Questo è un contratto che si stipula tra il proprietario della terra e un altro soggetto che s’impegna a coltivarla e a migliorarla, inoltre i confini dell’area del primo documento fanno riferimento a Magnalardo e Cenciara mentre i confini del secondo citano Porcigliano (oggi Fassinoro) e, com’è evidente dalla topografia, la nuova concessione andrebbe ad includere la zona dove oggi e localizzata Roccaranieri. Inoltre l’atto di concordia è stipulato con l'abate di Farfa, mentre il contratto di enfiteusi è stipulato con l'abate di S.Salvatore, infine nel primo documento si parla di un "castello delle Plaie” e nel secondo si contratta per una "terra delle Plaie".» - ^ Maglioni, pag.12.
- ^ L'intervallo tra il 1159-60 e il 1181 è l'intervallo tra l'insediamento nel reatino dei conti di Cunio (1159-60) - secondo quanto riportato dal vescovo Dodone secondo il doc. XXVII del protocollo pubblicato dallo Schuster nel 1912, piuttosto che dal diploma concesso al conte Lamberto da Federico I già nel 1157 come riportato dal doc. XXIV dello stesso protocollo del 1344 - e l'estremo di un documento del capitolo di Rieti (Arm.IV, Fasc.P n.1), una causa del 1253 tra il vescovo Thomas e l'abate di San Salvatore Maggiore in cui in una testimonianza si documenta che il vescovo Dodone consacrò un altare nella chiesa di S.Pietro a Roccaranieri. Essendo morto Dodone nel 1181, la chiesa, quindi il paese, doveva già esistere prima del 1181 (cfr.Leggio (1990), pag.353).
- ^ Paolo Desanctis, Notizie storiche sopra il tempio cattedrale, il capitolo, la serie dei vescovi, ed i vetusti monasteri di Rieti, 1887, p. 77.
- ^ a b Banzola.
- ^ Conte Ranieri di Cunio figlio di Hostia od Hostica e fratello di Guido.
- ^ Riccardo Pallotti, Pubblici poteri e signorie di castello nella Romagna nord-occidentale (Secoli XI - XIII) - Cap. 7.3 - I conti di Cunio. (Pag.206-221), in Tesi di Dottorato di Ricerca in Storia Medioevale, Università di Bologna, Bologna, 2014.
- ^ Riccardo Pallotti, Un diploma di Federico II per i conti di Bagnacavallo. Armi, politica e poteri signorili tra Romagna e Patrimonium, in Studi Romagnoli, LXV, Cesena, Stilgraf, 2014.«Tersilio Leggio ha sostenuto che Federico I avesse inserito i conti di Cunio nel suo programma di strategia politico-militare volto a tutelare posizioni di potere e giurisdizioni dell’Impero nella penisola italica; nel caso della Sabina si trattava di conservare al potere imperiale un’area minacciata dalle mire espansionistiche del vicino regno normanno così come dalle rivendicazioni territoriali del Papato. Mauro Banzola ha sostenuto che il conte Ranieri di Cunio, presumibilmente lo stesso menzionato in un rogito ravennate del 1166, sia entrato in contatto con Federico I l’anno seguente. Ranieri, assieme ad altri nobili di Romagna vicini al conte Guido Guerra, potrebbe essersi unito alla spedizione che lo Svevo stava intraprendendo contro il Papato e il regno di Sicilia; una volta giunti in Sabina, questi aristocratici avrebbero ottenuto, per volontà del sovrano, beni e territori collegati, almeno in parte, al patrimonio farfense; in tale contesto il conte Ranieri avrebbe fondato Roccaranieri. Il confronto tra diverse fonti documentarie, in particolare atti di compravendita e documentali papali, rende comunque plausibile l’ipotesi di un trasferimento permanente di alcuni membri del gruppo parentale e alla nascita di un autonomo ramo “sabino” della famiglia comitale di Cunio in un momento precedente, già attorno alla metà del XII secolo. Resta comunque l’attestazione del forte legame della famiglia dei Cunio con la Casa di Svevia.»
- ^ Maglioni, pag.6-12.
- ^ Il conte Ranieri, inequivocabilmente il Ranieri sposo di Maria di Donegallia, è lo stesso dell'assedio di Faenza del 1241 citato dal Pallotti.
- ^ Il matrimonio tra i genitori di Federico II, Enrico VI e Costanza d'Altavilla, celebrato per procura a Rieti nell'agosto nel 1185, quindi nella basilica di Sant'Ambrogio a Milano nel gennaio 1186, aveva posto le basi per l'unione della corona di Sicilia con quella di imperatore e quindi dei rispettivi domini.
- ^ Oltre a Rieti, nello stesso periodo, ospitarono i papi Anagni, Ferentino, Segni e Viterbo.
- ^ San Francesco fu ripetutamente a Rieti tra il 1223 e il 1226.
- ^ L'evento è raffigurato in un affresco in una sala del Museo Civico di Rieti nel Palazzo Comunale della città (Federico II ricevuto da Gregorio IX). L'affresco, eseguito tra il 1644 e il 1655, scoperto sotto lo scialbo nel 1960 durante la sistemazione del museo, è stato assegnato da Mortari a Vincenzo Manenti (cfr. L. Mortari, Museo Civico di Rieti, Roma 1960, n. 25, p. 27, tav. 30 e Di Flavio, Artisti del '600 a Rieti in Lunario Romano, Rieti 1981, p. 297).
- ^ Muratori, Bollettino Umbro di Storia Patria, p. 115.
- ^ Memore dell'assedio di Federico II del 1241, il Comune di Rieti, si prodigò per la costruzione di una nuova cinta muraria (1252-1320) usando, per i materiali da costruzione, cave di breccia site nel territorio delle Plage fino ad allora nei domini dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, approfittando, per ampliare il proprio comitatus a scapito dell'abbazia, della lontananza del papa, protettore dell'abbazia, durante la cattività avignonese. L’esilio avignonese e lo scisma d’Occidente portarono al declino della Sabina che, nei secoli successivi, fu teatro di scontro e posta in palio delle contese tra famiglie baronali romane come gli Orsini, i Colonna e i Savelli, tutte detentrici, in Sabina di terre e di castelli ancora oggi visitabili, come il castello Orsini a Nerola o il castello Savelli a Palombara Sabina.
- ^ Francesco Palmegiani, L'antichissimo Palazzo Vescovile di Rieti, in Terra Sabina, Vol. II, Roma, 1923.
- ^ Robert Brentano, A New World in a Small Place - Church and Religion in the Diocese of Rieti, 1188-1378, Berkley, University of California Press, 1994.
- ^ Maglioni, pag.13.
- ^ Secondo la ricostruzione di Chisari, sotto il Barbarossa, nel 1157 i Conti di Cunio avevano già ottenuto il Castrum Plagiarum dall'Abbazia di Farfa, quindi nel 1185 ottennero un'altra porzione delle Plage, compreso il territorio di Roccaranieri, sotto Enrico VI, figlio del Barbarossa, dall'abbazia di San Salvatore Maggiore.
- ^ Certo, c'è da notare come, nella ricostruzione di Maglioni, il membro di una famiglia così fedele alla casata Sveva, fin dai tempi del Barbarossa, passasse dallo schieramento ghibellino a quello guelfo quando proprio nello stesso anno degli eventi descritti a San Salvatore Maggiore da Maglioni, 1241, un Raniero, lo sposo di Maria di Donegallia, si era reso protagonista nel campo guelfo nell'assedio di Faenza, lo stesso Ranieri che nel 1251, secondo i documenti dello Sperandio, avallati dal Benucci, sarebbe stato signore di Gavignano.
- ^ Nel 1317 l'abbazia di San Salvatore Maggiore siglò una pace con i conti di Cunio circa gli eventi degli anni 1282-1309 nei territori abbaziali (cfr. Maglioni, pag.26). Nel 1794, nella causa intentata, di nuovo, contro Concerviano per i diritti di pascipascolo nel territorio del castello diruto di Antignano, il consiglio di Roccaranieri si riunì a Roccaranieri nell'aula consiliare e fu indirizzato dal conte di Cunio, intervenuto di persona, ad una copia dell'antica sentenza del giudice Lorenzo de' Cerroni che si trovava nell'archivio di Bocchignano (ndr. la sentenza del 1486 trascritta dal notaio Giovanni Cesidio da Gavignano e ritrovata poi a Calvi dell'Umbria dal Benucci nel 1896) (cfr. Maglioni, pag.23). È lecito pensare che il conte di Cunio intervenuto all'assemblea del 1794 a Roccaranieri fosse il Serafini che si riteneva ancora l'erede legittimo dei Conti di Cunio nonostante la sentenza del 1762.
- ^ Barbiano faceva parte dei possedimenti garantiti da Federico II nel 1241 al conte Ranieri di Cunio (cfr. Pallotti).
- ^ Chisari.
«Alberico da Barbiano ebbe a svolgere il suo apprezzato lavoro al servizio della Regina Giovanna di Napoli anche a Rieti, nei primi giorni dell’agosto 1380, ma poi si accontentò, forse in ricordo dei suoi legami con la città, di un riscatto di soli 150 scudi per abbandonare la zona. In seguito ebbe l’incarico di comandante generale dello Stato Pontificio e dopo passò al servizio degli Sforza di Milano e dove si imparentò con quella famiglia e con quella dei Belgioioso. Le vicende familiari e patrimoniali di questa nobile stirpe è stata oggetto di accurate ricerche non sempre coronate da successo, considerata la prolificità e le conseguenti ramificazioni delle parentele.» - ^ Chisari.
«Il Castrum Plagiarum (lat. integrum tenimentum castri Plagiarum), affacciato sulla valle del Turano, di proprietà dell'Abbazia di Farfa, in locazione perpetua ad Alberico da Barbiano, erede dei conti di Cunio, venne da questi e dal figlio del defunto conte Nicolò, della famiglia di Cunio, ceduto con un contratto (rogato il 20 febbraio 1347 dal notaio Amico di Calisto di Bocchignano) ai reatini Luca Canali e Nicolò Alfani. Già nel 1344 Alberico da Barbiano aveva ceduto agli Alfani il palazzo di San Giorgio che i Cunio possedevano a Rieti presso la chiesa di San Giorgio: fu infatti concesso a Teodino, Pietro e Carlo, fratelli di Cecco Alfani (Andrea Di Nicola, Gli Alfani di Rieti, 1993, p. 47). La circostanza che fino al 1347 il castello di Guardiola fu gestito dalla famiglia di Cunio, il cui potente rappresentante, Alberico da Barbiano, capitano della Compagnia di San Giorgio, la celebre compagnia di ventura che in quel periodo mise tutta l’Italia a ferro e fuoco, non è di poco conto.» - ^ Antonius Hercules, Oppida, Castra et Villae sub iurisdictione Abbatiae S.Salvator Maioris, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 1069.
- ^ Paolo Maglioni, che insieme a Luigi Tomassetti riuscì nell'impresa di recuperare, a Calvi dell'Umbria, l'atto del notaio Giovanni Cesidio da Gavignano, a quasi un secolo di distanza dal Benucci, riporta per intero la sentenza (Maglioni, pag.21-22).
- ^ È interessante notare come, seppure il castello di Antignano fosse ormai diruto nel XIII secolo, come ricordato dalla lapide di Roccaranieri, nel 1385 il suo nome figurava ancora, durante il governo dell'abate di San Salvatore Maggiore Ludovico di Lippo Mareri, tra i Castelli dell'abbazia che erano ancora: Mirandella, Vallecupola, Poggio Vittiano, Guaita, Rocca Vittiana, Longone, Pratoianni, Baccarecce, Antignano, San Silvestro, Rocca Ranieri, Porcigliano, Cenciara, Offeio, Capradosso, San Martino e Verano. Nel 1506, poi, il nome di Antignano era ancora nel portale di San Salvatore Maggiore ordinato da Giulio II della Rovere e scolpito dar Ser Luca da Vallecupola, raffigurato però tra le formelle delle ultime due file, quelle riservate ai castelli ormai diruti di cui l'abbazia, però, conservava la titolarità sui territori.
- ^ Il consiglio di Roccaranieri, riunito il 10 Ottobre del 1743, decise di tassarsi a seconda del numero di capi di bestiame posseduti da ogni famiglia per trovare il denaro per sostenere una nuova causa (Maglioni, pag.23).
- ^ Si trattava, in realtà, di quel Serafini, già condannato come falsario nel 1762 a Roma nella causa Serfini-Olgiati, che, trent'anni dopo, si andava ancora spacciando come erede dei conti di Cunio.
- ^ Alcuni abitanti tra i più abbienti di Roccaranieri furono costretti a vendere alcuni terreni per ricavare i 100 scudi necessari a pagare il notaio per ritracciare la sentenza del 1486 (cfr. Maglioni, pag.23).
- ^ Maglioni, pag.23.
- ^ Maglioni, pag.40.
- ^ È probabile che gli abitanti di Concerviano, informati dell'identità del Serafini il quale, nel 1794, aveva indicato l'ubicazione agli abitanti di Roccaranieri del documento recante la sentenza del 1486, visti i trascorsi del Serafini come falsario, abbiano avanzato un ricorso supponendo false le carte prodotte dagli abitanti di Roccaranieri proprio su indicazione del Serafini. Pare ormai, invece, assodata l'assoluta autenticità del documento del 1486 con il quale il Serafini, vista la sua familiarità con i documenti notarili, poteva essere venuto in contatto durante le sue estensive ricerche sui Conti di Cunio negli archivi della Sabina.
- ^ (EN) Shlomo Simonsohn, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539–1545, in The Apostolic See and the Jews. Complete set of 8 volumes, Vol.5, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1988-1991, doc. 2226, ISBN 978-0-88844-419-6.
- ^ Consulta straordinaria negli Stati romani (a cura di), Bollettino delle leggi e decreti imperiali pubblicati dalla Consulta straordinaria negli Stati romani. Con l'indice cronologico e delle materie, Volume 2, Luigi Perego Salvioni Stampatore, 1809, p. 509.
- ^ Attilio La Padula, Roma e la regione nell'epoca napoleonica Contributo alla storia urbanistica della città e del territorio, Roma, Istituto editoriale pubblicazioni internazionali, 1970, p. 217.
- ^ Il fante Sante Giangiuli, di Francesco Giangiuli, nato a Roccaranieri (Cantone di Monteleone), il 2 aprile 1791, coscritto a 20 anni nel 1811, assegnato il 27 gennaio 1812 nel 25º reggimento di fanteria di linea (25e régiment d'infanterie de ligne, ai comandi del colonnello Martin François Dunesme, veterano delle campagne napoleoniche), inquadrato nel 5º battaglione, 3ª compagnia del reggimento con la matricola 11365, partecipò alla Campagna di Russia del 1812 (iniziata tra il 23 ed il 25 giugno 1812 con l'attraversamento del fiume Niemen) dove, presumibilmente, trovò la morte (i registri dell'esercito francese riportano la dicitura "Presumée prisonier in Russie en 1812"). È lecito supporre che non fosse tra le vittime della battaglia di Borodino del 7 settembre 1812 ma che, dopo la presa di Mosca, fosse, piuttosto, tra quanti non fecero ritorno lungo il cammino della ritirata (iniziata il 19 ottobre 1812 e conclusa formalmente il 14 dicembre 1812 col passaggio del Maresciallo Ney sul fiume Niemen). cfr. ( Henri Charles-Lavauzzelles (a cura di), Historique du 25e régiment de ligne, 2e édition, Paris, Henri Charles-Lavauzzelles éditeur militaire, 1905, pp. 84-91.)
- ^ J. Martinet, Annuario Politico, Statistico, Topografico e Commerciale del Dipartimento di Roma per l'anno 1813 compilato per ordine del Baron de Tournon Prefetto del Dipartimento, Viterbo, Stamperia dell'Accademia degli Ardenti, 1812.
- ^ Adone Palmieri, Descrizione topografica di Roma e Comarca. Loro monumenti, commercio, industria, agricoltura, istituti di pubblica beneficenza, santuarii, acque potabili e minerali, popolazione, uomini illustri nelle scienze, lettere ed arti, con molte altre nozioni utili ad ogni ceto di persone. Parte prima: Roma., Volume I, Roma, 1864, pp. 115-116.«[.....]Rocca Ranieri:
Una mola a grano di Novelli, sali e tabacchi, macello, vino, muratore, sarti è quanto presenta questo piccolo paese appodiato di Longone. La Parrocchiale ristretta Chiesa senza organo è dedicata a S. Pietro, ed ha sotto 459 anime, riunite in 81 famiglie entro 78 case: ma 78 degli indicati individui soggiornano nella campagna. L'aria di Rocca Ranieri è eccellente, ed ubertoso il territorio, esteso in superficie tavole 7125. Non evvi nulla da rimarcare, se non l'antica Rocca dei Ranieri, da che trasse il suo nome. È lontano 6 miglia e mezzo da Rieti, e le prime sue famiglie sono Mattioni, e Longhi. Gli abitanti si occupano tutti nella pastorizia e nell'agricoltura.
Censimento Rust. 18267 - Cens. Urb. 1923.
Direzione Postale: Rieti per Rocca Ranieri.» - ^ Località Lu' Cereciu lungo il sentiero che giungeva a Roccaranieri dalla Valle del Salto (verso Grotti).
- ^ AA. VV., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani., Milano, Garzanti, 1996,, ISBN ., Milano, Garzanti, 1990, pp. 485-486, ISBN 88-11-30500-4.« Pesco: Voce dei dialetti meridionali, anche con la variante peschio, ha il significato di ‘pietra, grosso macigno, roccia’ ed e ben rappresentata nella toponomastica centro-meridionale, compresi Lazio ed Umbria (ove è marginale) e con l’esclusione di Sicilia e Salento; e più frequente nel Sannio (Abruzzo e Molise). Corrisponde a pessulus, pesclus , plescus nei documenti medievali e rappresenta verosimilmente (ma non mancano altre ipotesi etimologiche) un relitto lessicale italico (depone per tale interpretazione anche l’area di diffusione della voce). Pare essere la continuazione del termine osco pees slum / pestlum, attestato col significato di ‘podio’; formalmente può ben essere l’antecedente delle varianti medievali citate. Quanto al significato, da ‘podio, basamento’ ad ‘altura’, e parallelo al latino podium, in origine ‘basamento’, quindi ‘altura’, ‘poggio’; l’evoluzione successiva a ‘roccia’ dei dialetti meridionali e motivata dalle caratteristiche dell’orografia dell’Italia centro-meridionale (v. Poccetti 1983, 245-254 che riassume tutta la questione relativa al tipo “pesco" ed anche “peschio"). c. M.»
- ^ Sunto delle voluminose e moltiplici memorie esistenti nel deposito della guerra intorno alle annose reclamazioni di confine tra il regno di Napoli e lo stato pontificio, Napoli, 1837, pp. 53-54.«Il Confine nel Territorio de Le Grotte: Dal detto fosso (ndr. Fosso di Cenciara), poco sotto la Mola seguitando in sulla Selvetta di Cenciara o di San Nicola, indi per linea retta alla Cesa di Salvati e di qui all'ara Spizzapane, donde calando si va ai Casarini delle Cerase, poscia al Peschio Roscino, indi per linea retta sino alla Roscia di Francia di qua dal fiume Salto verso Calcariola e continua per la Strada Regia (ndr. la vecchia Salto-Cicolana).»
- ^ Dai Rapporti della Polizia dello Stato Pontificio per l'anno 1837 conservati all'Archivio di Stato di Rieti vedi pag.17/256.
- ^ Odoardo Bussini, La diffusione del colera in Umbria nel secolo XIX e l’impatto sull’assetto demografico, in Popolazione e storia, XV, n. 2, Udine, Forum Editrice Universitaria Udinese, 2014, p. 100.«L’epidemia del 1855 interessò circa 1/3 della popolazione totale, diversificandosi comunque sul territorio; il comune capoluogo presenta valori di morbosità intorno al 20‰ e di mortalità pari al 10‰, ma in alcuni piccoli comuni, dove il colera era arrivato in modo violento, i livelli sono assai più elevati. I membri delle deputazioni sanitarie dell’Umbria, specie in occasione della crisi del 1855, prestarono un’accorta vigilanza alle cause secondarie, identificate nella scarsa pulizia pubblica, in quella delle abitazioni private e nell’igiene personale, facendo adottare provvedimenti per rimuovere i rifiuti dalle strade, gli scoli delle acque, e ispirati a più generali interventi di risanamento, oltre a diffondere ripetutamente norme d’igiene individuale.»
- ^ Aggiudicazioni (Vendite) - Rieti (Perugia) - Subeconomato Benefici Vacanti, in Giornale dei lavori pubblici e delle strade ferrate, n. 1-2, Roma, Stabilimento Civelli, 2-9 Gennaio 1919.«Si registra la vendita di 194 piante d'alto fusto (castagno) pari a 536.500 mc di legname, appartenenti al beneficio della Parrocchia di San Pietro di Roccaranieri a Basilio Savastani di San Silvestro. Il legname proveniva dai fondi in vocabolo: La Vaccaia, Valle San Pietro, Valle Otrina, Pozzirio, Piana e Cerreto.»
- ^ Il delitto di San Giovanni a Rocca Ranieri, in Il Carabiniere, Serie II, n. 47, Roma, Tipografia Voghera, 22 novembre 1884, p. 373.
- ^ Sono tuttora presenti nell'area di Filadelfia negli Stati Uniti, famiglie con gli stessi cognomi presenti a Roccaranieri: famiglie Falcetti, Mattioni, Novelli, Pezzotti. Sono probabilmente i discendenti, di terza e quarta generazione, degli emigrati tra la fine dell'800 e l'inizio del '900.
- ^ Archivio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Cartoline macrosismiche, elaborazione basata sui dati forniti dal Questionario macrosismico compilato dal Comune di Longone Sabino sugli effetti causati dal terremoto del 13 gennaio 1915 nelle località del territorio comunale, Longone Sabino febbraio 1915 (Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica - Roma).
- ^ Notifiche del Comune di Longone Sabino, sindaco E. Verdirosi, in Foglio degli annunzi legali della provincia di Roma, n. 25, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Sabato 4 Aprile 1925, p. 469.«[...] a Roccaranieri gli stabili in Via Belvedere n.10 (di proprietà di Falcetti Angela e Felice fu Giovanni, Falcetti Cecilia Giuseppina fu Domenico, Mattioni Barbara, Giuseppe e Margherita fu Pietro, Falcetti Giovanni, Gerolamo, Benedetto, Giuditta, Francesco, Lucia e Serfina fu Giuseppe) [...] in Via della Chiesa n.17 (di proprietà di Felice Mattioni fu Raffaele).»
- ^ Sergente Pezzotti Giovanbatista; Soldati: Catasta Felice, Novelli Angelo, Novelli Ottavio, Mattioni Valentino, Magni Bartolomeo, Pezzotti Angelo, Pezzotti Arcangelo, Pezzotti Luigi, Rossi Giuseppe.
- ^ Soldati d'Africa (1897-1913), su google.it.«Fronte Libico: Novelli Pasquale, soldato 6 reggimento Fanteria, Encomio Zanmur 8 VI 1912»
- ^ Società Anonima Editrice, Lazio - Provincia di Rieti - Comune di Longone Sabino (4967), in Annuario Generale d'Italia 1933, II, n. 48, Genova, Stabilimento Tipografico G.B. Marsano.
- ^ Società Anonima Guida Monaci, Provincia di Rieti - Longone Sabino, in Guida Monaci - Annuario Generale di Roma e Lazio, LXIX, Roma, Società Anonima Guida Monaci, 1941, p. 257.
- ^ Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti del Regno d'Italia, Culto, in Bollettino ufficiale del Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti, n. 37, Roma, Tipografia Elzeviriana, 14 Settembre 1904, p. 435.
- ^ Ministero della Giustizia e degli Affari di Culto, Culto, in Bollettino ufficiale del Ministero della Giustizia e degli Affari di Culto, n. 22, Tipografia della Camera dei Deputati, 28 Maggio 1932, p. 410.
- ^ La lapide alla destra della porta di ingresso della Chiesa di San Pietro a Roccaranieri ricorda come la chiesa venne inaugurata nel 1934 quando era Vescovo di Rieti Mons. Massimo Rinaldi, parroco Don Ugo Clementi ed amministratore Giovanni Pezzotti. La lapide riporta altresì come la Chiesa venisse inaugurata sotto il Governo del Duce Benito Mussolini. Quest'ultima parte dell'iscrizione, volutamente cancellata dopo la guerra, è stata recentemente resa di nuovo visibile.
- ^ Sergente Maggiore Falcetti Celestino; Caporale Di Gregori Angelo; Soldati: Di Gregori Elvino, Tomassetti Umberto, Bocchi Antonio; Appuntato Camilli Filippo; Dispersi: Mastroiaco Icilio, Rossetti Armando; Carabiniere Pezzotti Ercole
- ^ Alcuni degli abitanti di Roccaranieri furono tra coloro che all'indomani dell'8 settembre 1943 vennero catturati dai tedeschi e rinchiusi nei lager in Germania. E' il caso di Francesco di Gregori, soldato del 53 reggimento d'artiglieria sul fronte albanese che venne catturato il 29 novembre 1943 e imprigionato nel Stalag VII A a Moosburg nel sud della Baviera.
- ^ Dal sito Strazinazifasciste.it - Episodi di Roccaranieri di Longone Sabino del 06.06.1944, su straginazifasciste.it.
- ^ Cipolloni (2003), Cipolloni (2011).
- ^ Luciano Radi, Buonanotte, onorevole, Roma, Società editrice internazionale, 1996, pp. 67-68.«Era un lavoro duro con degli orari impossibili che costringeva a dormire nei sottoscala e nelle cantine, un impiego stagionale che permetteva agli abitanti di Roccaranieri di integrare il magro reddito proveniente da attività agricole.»
- ^ L'onorevole Luciano Radi, parlamentare di riferimento per la DC, nel 1959 incontrò a Roma Termini i fuochisti di Roccaranieri.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]Fonti principali
[modifica | modifica wikitesto]- Paolo Maglioni, Storie Inedite di Castelli Antichi: Roccaranieri, Longone Sabino, Fassinoro, San Silvestro, Rieti, Arti Grafiche Nobili Sud, 1994.
Sulla chiesa di San Giovanni Battista di Roccaranieri
[modifica | modifica wikitesto]- (LA) Gregorio da Catino, Regesto Farfense, Codice Vat.Lat.8487, Biblioteca Vaticana, Roma, 1125.
- Cesare Verani, Gli affreschi della Chiesa di S. Giovanni Battista a Rocca Ranieri, in La Sabina, Gennaio - Aprile 1959, p. 5.
- Giovanni Rampazzi, San Giovanni Battista di Roccaranieri, Anno 982. Enfiteusi o Precarìe, in Fidelis Amatrix, n. 16, Roma, Associazione culturale Cola dell'Amatrice, Marzo-Aprile 2006.
Sulla fondazione di Roccaranieri e i conti di Cunio
[modifica | modifica wikitesto]- Domenico Benucci, Di alcuni atti del notaio Gio: Cesidio da Gavignano, in Bollettino della Società Umbra di Storia Patria, Vol. II, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1896, p. 114.
- (LA) Paul Fridolin Kehr, Bocchignano, in Italia Pontificia, Vol. II, Berlino, Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, 1906, pp. 70.
- Ildefonso Schuster, Un protocollo di notar Pietro di Gregorio nell'archivio di Farfa, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 35, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1912, pp. 540-582.
- Mauro Banzola, I conti di Cunio fra Romagna e Sabina: un approccio prosopografico. (PDF), in Studi Romagnoli, Anno XLI, Cesena, Stilgraf, 1990, p. 329.
- Tersilio Leggio, I conti di Cunio e la Sabina. Un problema tra storiografia e storia (PDF), in Studi Romagnoli, Anno XLI, Cesena, Stilgraf, 1990, p. 349.
- Riccardo Pallotti, Un diploma di Federico II per i conti di Bagnacavallo. Armi, politica e poteri signorili tra Romagna e Patrimonium, in Studi Romagnoli, LXV, Cesana, Stilgraf, 2014.
Su Roccaranieri castello dell'abbazia di San Salvatore Maggiore
[modifica | modifica wikitesto]- (LA) Antonius Hercules, Oppida, Castra et Villae sub iurisdictione Abbatiae S.Salvator Maioris, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 1069.
- (LA) Antonius Hercules, Giorni di Feste Particolari dei Castelli dell'Abbazia di S.Salvator Maggiore, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 481.
- Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, in Archivio della Reale Società Romana di Storia Patria, vol. 37, Roma, Archivio Romano di Storia Patria, 1914, pp. 393-452.
- Bernardino Tofani, Longone di S. Salvator Maggiore nel Gastaldato di Rieti e nella Massa Torana, Rieti, Comunità montana del Turano, 1988.
- Vincenzo Di Flavio, Gli statuta del XV secolo dell'abbazia di San Salvatore Maggiore (PDF), in Archivi di Storia Romana Patria, vol. 129, Roma, 2006, pp. 125-162.
Approfondimenti
[modifica | modifica wikitesto]- Battisti, Leggio e Osbat e Sarego, Itinerari Sabini: Storia e cultura di città e paesi della Provincia di Rieti, Rieti, Diffusioni Editoriali “Umbilicus Italiae”, 1995.
- Pietrantonio Pace, Gli Acquedotti di Roma, II Edizione, Roma, Art Studio S.Eligio, 1986.
Contesto storico
[modifica | modifica wikitesto]- (FR) Pierre Toubert, Les structures du Latium médieval. Le Latium meridional et la Sabine, du IX siècle à la fin du XII siècle, Rome, 1973.
- Andrea Staffa, L’incastellamento nella valle del Turano (secc. X-XII), in Une région frontalière au Moyen Âge. Les vallées du Turano et du Salto entre Sabine et Abruzzes, Publications de l'École française de Rome, vol. 263, Roma, École Française de Rome, 2000, pp. 167-207.
- Maria-Teresa Caciorgna, Confini e giurisdizioni tra Stato della Chiesa e Regno, in Une région frontalière au Moyen Âge. Les vallées du Turano et du Salto entre Sabine et Abruzzes, Publications de l'École française de Rome, vol. 263, Roma, École Française de Rome, 2000, pp. 167-207.
- (FR) Étienne Hubert, Chapitre 9. Le second « incastellamento » - I - La Costitution de la frontière terrestre du Royame de Sicile et ses répercussions locales - C - La Sabine et le Réatin entre papes et empereurs, in L'"incastellamento" en Italie Centrale. Pouvoirs, territoire et peuplement dans la vallée du Turano au Moyen Âge, collana Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome Rome, Rome, Publications de l’École française de Rome, 2002, ISBN 9782728306282.
- Mauro de Meo, Tecniche costruttive Murarie Medioevali, la Sabina, Roma, L'Erma di Bretschneider, 2006.
- Tersilio Leggio, La Sabina e il Reatino. Un mosaico di signorie rurali (PDF), in La signoria rurale nel Lazio tardomedievale, Universitalia, 2022, ISBN 978-88-3293-582-0.
Sull'eccidio di Roccaranieri
[modifica | modifica wikitesto]- Antonio Cipolloni, Monelli di guerra. Storia di fatti accaduti e vissuti a Rieti fra il 1943 e il 1944, Rieti, Amministrazione Comunale di Rieti, 2003, pp. 223-225.
- Antonio Cipolloni, La guerra in Sabina dall'8 settembre 1943 al 12 giugno 1944, Terni, Arti Grafiche Celori, 2011, pp. 576-583, 800, 843.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Abbazia di San Salvatore Maggiore
- Signoria di San Salvatore Maggiore
- Chiesa di San Giovanni (Roccaranieri)
- Chiesa della Madonna dei Cignali (Fassinoro)
- Longone Sabino
- San Silvestro (Longone Sabino)
- Fassinoro
- Cenciara
- Concerviano
- Pratoianni
- Vaccareccia
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]Storia della parrocchia di Roccaranieri
[modifica | modifica wikitesto]- Diocesi di Rieti (a cura di), Santi Pietro e Paolo Apostoli in Roccaranieri di Longone Sabino, su chiesadirieti.it, 29 gennaio 2019.
Origini
[modifica | modifica wikitesto]- Giuseppe Chisari, Il Castello di Guardiola, su sganawa.org, 9 luglio 2005.
- Ciclo di conferenze sul Paesaggio: Tersilio Leggio, Il paesaggio del Cicolano all'epoca di Dante, su simbas.it, Sistema territoriale Integrato Musei Biblioteche Archivi della Sabina e del Cicolano, 26 Marzo 2022.«Il Cicolano ha avuto rapporti molto significativi tra XII e XIV secolo con la Romagna, ma anche la Romagna ha avuto contatti molto stretti con il Cicolano, che hanno avuto un’eco nella Divina Commedia. Un cicolano che conobbe bene la Romagna è senz’altro Tommaso I Mareri, podestà di Ravenna e vicario imperiale nella regione tra gli anni 1239 e 1248. I personaggi romagnoli, che sono stati presenti nel Cicolano e in Sabina, sono i conti di Cunio, originari di un piccolo castello nei pressi di Faenza, giunti in zona al seguito di Federico Barbarossa intorno alla metà dell’XII secolo e fondatori del castello di Rocca Ranieri. Di loro parla Dante nel Purgatorio, fornendo lo spunto per uno sguardo d’assieme al paesaggio fortificato del Cicolano, subito dopo la conquista angioina.»
- Museo Archeologico del Cicolano, Il paesaggio del Cicolano all'epoca di Dante - I conti di Cunio e Roccaranieri, Intervento di Tersilio Leggio alla conferenza tenutasi sabato 26 marzo 2022 presso il Museo della Riserva Naturale delle Montagne della Duchessa a Corvaro di Borgorose (RI)., su YouTube, SIMBAS, 1º aprile 2022, a 5 min 54 s.«[...] da questo punto di vista si dimostra come anche la grande storia è passata per i piccoli centri come la grande storia ha interessato tutto il territorio basta che noi oggi siamo in grado di poterlo leggere.[...] spesso gli amministratori locali non conosco nemmeno dove vivono allora Alberico da Barbiano è un nome. Perché non rivendicare questi rapporti? Si rivendicano rapporti strani che non c'entra nulla o di nessun valore... ma questi veri! Che potrebbero anche innescare piccoli flussi di... allo stesso [modo] Roccaranieri: localmente la conoscono ma che fosse una fondazione dei conti di Cunio? [...]»
Altri siti
[modifica | modifica wikitesto]- OldMapsOnline, su www.oldmapsonline.org.«Un nuovo modo di scoprire la storia. Esplora il passato su una mappa interattiva con una cronologia. Cerca mappe scansionate ad alta risoluzione e scopri cosa è successo nel luogo scelto in passato.»