Storia dell'astronomia antica | |
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Titolo originale | Histoire de l'astronomie ancienne, depuis son origine jusqu'à l'établissement de l'école d'Alexandrie |
Altri titoli | Histoire de l'astronomie ancienne |
Frontespizio dell'opera. | |
Autore | Jean Sylvain Bailly |
1ª ed. originale | 1775 |
Genere | saggio |
Sottogenere | storico-speculativo |
Lingua originale | francese |
«Magni animi res fuit rerum Naturæ latebras dimovere, nec contentum exteriori eius conspectu, introspicere, et in Deorum secreta descendere.»
«È servito un gran coraggio per disvelare i nascondigli della Natura e, senza accontentarsi del suo aspetto esteriore, per scrutarla a fondo e scendere nei segreti degli Dei.»
La Storia dell'astronomia antica (titolo originale in francese: Histoire de l'astronomie ancienne, depuis son origine jusqu'à l'établissement de l'école d'Alexandrie) è un saggio storico-speculativo e divulgativo scritto dall'astronomo e letterato francese Jean Sylvain Bailly. Opera iniziale di un'imponente tetralogia di lavori sull'intera storia dell'astronomia, con questo libro Bailly iniziò a delineare la sua concezione della storia, incominciando anche ad elaborare le sue ipotesi sull'esistenza di un antichissimo popolo nordico scientificamente sviluppato, che istruì tutti i popoli dell'antichità più recente (come i Greci, gli Egizi, i Cinesi e gli Indiani).[1][2]
Da quest'opera, inoltre, nacque una interessante corrispondenza epistolare tra lo stesso Bailly e il celebre filosofo Voltaire, che fu pubblicata da Bailly nelle Lettres sur l'origine des sciences.[2]
Contesto generale
[modifica | modifica wikitesto]Concezione storica di Bailly
[modifica | modifica wikitesto]Da Leibniz e da Voltaire Bailly aveva imparato una nuova filosofia della storia. La storia non era più intesa come un mero oggetto di curiosità né come la cronaca di fatti superficiali, ma come fonte profonda di conoscenza e comprensione. Così come era d'accordo con i philosophes nei confronti dello scopo didattico dell'arte, Bailly era d'accordo con loro anche sullo scopo didattico della storia («historia magistra vitae» avrebbe detto Cicerone) in quanto essa dava una duplice lezione, insegnando dei buoni precetti da seguire e mostrando anche dei cattivi esempi da non accogliere. Latente nella storia, secondo Bailly, c'erano le universali e durature verità che documentavano il progresso dell'uomo dal momento della sua creazione. Ma nel suo studio della storia, nella sua elaborazione di un percorso storico del progresso scientifico, Bailly voleva applicare la pietra di paragone della semplicità, il rasoio di Occam, cercando sempre quelle che lui definiva le spiegazioni più semplici o più generali, o almeno presunte tali. Tutto questo però nella consapevolezza che non tutto poteva essere «dimostrato come le verità matematiche»: non poteva dunque che applicare, in quelle che lui stesso riteneva solo delle ipotesi, la categoria della vraisemblance (la verosimiglianza), imparata dall'esempio di Leibniz. L'obiettivo era quello di trovare delle "ipotesi storiche" quanto più verosimili possibili, almeno a suo giudizio.
Come nel campo degli studi astronomici precedenti, quindi, Bailly ricercava sempre la spiegazione più semplice e quella che avrebbe coperto più prove storiche possibili. Questo era dunque sia un procedimento di generalizzazione che di semplificazione, anche eccessivo in alcuni casi. A questo punto nello sviluppo del suo pensiero, a Bailly arrivò l'influenza di Court de Gébelin che in generale stava procedendo nella stessa direzione. Per alcuni anni i due lavorarono separatamente, ma lungo linee parallele, sull'interpretazione storica del mito e dell'allegoria, alla ricerca di una chiave di lettura sicura per accedere al passato. La storia di Bailly, come quella di Court de Gébelin, voleva essere la storia dell'umanità, delle leggi universali più che quella meramente cronologica o degli specifici eventi. Bailly scrisse infatti nell'Elogio di Molière: «La ricerca delle conoscenze degli antichi è il primo passo di un popolo che marcia verso la luce». Questa è un'indicazione di quanto presto, nella sua formazione, questo concetto si stesse formando nella sua mente. Secondo lo storico Burrows Smith, biografo di Bailly: «il suo rispetto per l'antichità era esagerato, ed egli fu frequentemente deluso da quella convinzione [che lui aveva e] secondo cui l'uomo primitivo aveva raggiunto uno stato di conoscenza pari o superiore a quella dell'uomo moderno».[2] La sua fede professata verso il progresso si qualificava quindi attraverso il sospetto che il progresso consistesse nel ri-raggiungimento di un livello già raggiunto nel remoto passato.[2]
La tetralogia sulla storia dell'astronomia
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1775 Bailly pubblicò un largo volume in quarto intitolato Histoire de l'astronomie ancienne, depuis son origine jusqu'à l'établissement de l'école d'Alexandrie. Esso fu seguito nel 1779 da un'ulteriore opera, stavolta in due volumi, dello stesso formato del precedente, intitolata Histoire de l'astronomie moderne depuis la fondation de l'école d'Alexandrie jusqu'à l'époque de 1730. Un'altra opera apparve nel 1782, l′Histoire de l'astronomie moderne, jusqu'à l'époque de 1782. Queste tre opere, assieme al Traité de l'astronornie indienne et orientale, ouvrage qui peut servir de suite à l'histoire de l'astronomie ancienne del 1787, costituiscono la tetralogia di Bailly sulla storia dell'astronomia. Esse formano insieme un panorama di circa 3000 pagine del lungo e lento sviluppo storico del corpus della conoscenza moderna.[3]
Nonostante le speculazioni immaginative del primo volume e gli errori di fatto dell'ultimo il lavoro, complessivamente, merita un posto di rilievo nello studio della storia della scienza.[2]
Così ad esempio il critico Sainte-Beuve recensisce l'opera di Bailly:
«L'ouvrage a de la beauté comme édifice, comme monument; il est d'une grande ordonnance. [...] Il faut y voir [...] une noble construction, conçue en l'idée et en présence de l′Histoire naturelle de Buffon: des discours généraux en tête, puis une narration suivie, faite pour être lue et, jusqu'à un certain point, entendue de tous, des gens du monde comme des savants; la discussion des faits, les preuves ou éclaircissements étaient rejetés dans une seconde partie du volume, plus particulièrement destinée aux astronomes et aux savants, mais nullement inaccessible au reste des lecteurs, pour peu qu'il fussent attentifs et curieux.»
«L'opera possiede una certa bellezza come edificio, come monumento; si tratta di un grande ordine. [...] Ci fa vedere [...] un nobile palazzo, progettato sull'idea e in presenza dell′Histoire naturelle di Buffon: dei discorsi generali in testa, poi una narrazione al seguito, fatta per essere letto e, in una certa misura, per essere comprensibile da tutti, dalle persone di tutto il mondo come dagli scienziati; la discussione dei fatti, le prove o i chiarimenti sono stati invece posti in una seconda parte del volume, soprattutto per gli astronomi e scienziati, ma non per questo inaccessibili al resto dei lettori, purché siano attenti o curiosi.»
La genesi di questa storia non è immediatamente evidente. Tra i documenti lasciati da Bailly al tempo della sua morte e pubblicati postumi da Michel de Cubières nel Recueil de pièces intéressantes ci sono diversi lunghi estratti dalle Histoire des mathématiques di Jean-Étienne Montucla. Montucla era molto interessato all'astronomia come scienza intimamente connessa con la matematica, e diverse centinaia di pagine della sua Histoire, in una serie di digressioni, sono dedicati proprio allo sviluppo di questa scienza, in particolare durante il XVI e il XVII secolo. L′Histoire di Montucla fu una delle fonti di Bailly per il suo Éloge de Leibnitz nel 1768. Non è improbabile, tuttavia, che Bailly conoscesse questo lavoro già quando esso fu pubblicato dieci anni prima, in quanto quella data corrisponde con i suoi primi studi di astronomia e matematica sotto il suo maestro Nicolas-Louis de Lacaille. Addirittura, Lacaille potrebbe aver suggerito a Bailly quest'opera come modello da imitare; del resto nel suo Éloge de l'abbé de Lacaille Bailly osservava che, se fosse vissuto di più «Lacaille avrebbe potuto esse lo storico che è mancato all'astronomia».[5] Probabilmente, allora, Bailly sentiva di stare continuando il lavoro del suo maestro.
Un altro fattore che ha probabilmente contribuito all'elaborazione di quest'opera è stato il contatto di Bailly con Guillaume Le Gentil. Sebbene Le Gentil fosse stato lontano da Parigi per un decennio, fu proprio Bailly ad occupare il suo seggio all'Accademia delle scienze dal 1763. Dopo il ritorno di Le Gentil, i due lavorarono insieme in veste di osservatori,[6] e Bailly probabilmente fu scosso dall'enorme bagaglio di conoscenze antiche che Le Gentil aveva scoperto in India,[7][8] e a cui lo stesso Bailly fa frequentemente riferimento nelle opere.
Bailly aveva probabilmente accesso alle note manoscritte di Le Gentil, perché egli fa riferimento nell′Histoire de l'astronomie ancienne a «la relazione del suo viaggio che apparirà a breve».[9] L'esempio dell′Histoire naturelle di Buffon menzionata da Sainte-Beuve sembrerebbe molto importante in considerazione ai rapporti che esistettero tra Bailly e Buffon. Eppure, anche se questo lavoro era apparso già dal 1749 e Bailly aveva avuto modo di entrare in familiarità con esso, si deve sottolineare però che il volume più significativo, Les Epoques de la nature, apparve solo dopo che la linea principale del pensiero di Bailly era già ormai evoluta. Addirittura, un biografo di Bailly, Merard de Saint-Just, suggerisce che il processo di assunzione teorica andò nella direzione opposta e che fu Buffon ad adottare alcune idee di Bailly: «Buffon nell'adottare le idee di Bailly non ha avuto voglia di dichiarare che lui gliele doveva. Ciononostante le presenta al pubblico come se fossero le sue».[10] In ogni caso ci sono solo quattro riferimenti a Buffon nell′Histoire de l'astronomie ancienne. L'influenza di Buffon su Bailly sarebbe stata molto più predominante nelle opere successive, come le Lettres a Voltaire.
Il ritorno di Le Gentil dall'India coincise con un altro evento letterario in un momento che poteva avere un'influenza decisiva sul pensiero di Bailly: la pubblicazione della traduzione di Anquetil-Duperron degli Zend-Avesta. Questo libro seguiva strettamente la prima traduzione francese dello Shaster[11] da parte di John Zephaniah Holwell. Assieme servivano per stimolare un crescente interesse verso la cultura orientale e contemporaneamente antica, e gran parte delle informazioni contenute in essi trovò un'elaborazione teorica anche negli scritti di Bailly.
È ragionevole supporre, quindi, che Bailly per alcuni anni (forse già dal suo primo contatto con Lacaille) aveva meditato un lavoro su larga scala relativo alla storia dell'astronomia e forse iniziò a compilare delle annotazioni con questo progetto in mente, che poi fu completato dopo la sconfitta nella lotta per la segreteria dell'Accademia e il successivo ritiro a Chaillot. Inoltre, in definitiva, il ritorno di Le Gentil e la contemporanea comparsa di diversi testi orientali sull'antichità diedero a Bailly la determinazione necessaria per iniziare il suo lavoro partendo dai primissimi inizi della storia dell'umanità.
La concatenazione delle circostanze porrebbe, secondo lo storico Burrows Smith, il terminus a quo della composizione, ovvero l'inizio della stesura, dell′Histoire de l'astronomie ancienne intorno al biennio 1770-1771. Invece la prima menzione di un'eventuale Histoire apparve in un mémoire di Bailly del 18 agosto 1773.
Indice dei capitoli
[modifica | modifica wikitesto]- Discorso preliminare: Sull'oggetto dell'astronomia, sulla natura dei suoi progressi & sulla sua utilità
- Io Libro: Sugli inventori dell'astronomia & sulla sua antichità.
- IIo Libro: Sullo sviluppo delle prime scoperte astronomiche.
- IIIo Libro: Sull'astronomia antidiluviana.
- IVo Libro: Sui primi tempi dopo il diluvio & sull'astronomia degli Indiani & dei Cinesi.
- Vo Libro: Sull'astronomia degli antichi Persiani & dei Caldei.
- VIo Libro: Sull'astronomia degli Egizi.
- VIIo Libro: Sull'astronomia dei Greci & dei filosofi della setta Ionica.
- VIIIo Libro: Sull'astronomia dei Greci nella setta di Pitagora, nella setta Eleatica & sulle opinioni di qualche altro filosofo.
- IXo Libro: Su Platone, Eudosso & i filosofi che li hanno seguiti.
- Discorso sull'origine dell'astrologia.
- Éclaircissemens: Dettagli storici e astronomici.[12]
Contenuto
[modifica | modifica wikitesto]Bailly aveva in mente una descrizione dettagliata del progresso storico dell'astronomia a partire dalle prime osservazioni: questo programma completo essenzialmente coinvolgeva nell'opera due punti nodali: una discussione attenta e abbastanza tecnica delle varie scoperte e numerosi confronti di una vasta quantità di antiche e moderne osservazioni. Se l'autore avesse completamente mescolato queste discussioni con l'intero corpo dell'opera, allora il libro sarebbe stato troppo tecnico e quindi comprensibile esclusivamente per gli astronomi. Se invece avesse soppresso tutte le discussioni, il libro avrebbe catturato l'attenzione soltanto di qualche dilettante interessato, e non dei professionisti del mestiere. Per evitare questo doppio pericolo, Bailly aveva deciso di scrivere un racconto sì allacciato in tutte le sue parti, ma narrando soprattutto la quintessenza dei fatti, scegliendo altresì di posizionare le prove più tecniche e le discussioni delle parti meramente congetturali in capitoli separati sotto la denominazione di Éclaircissements.[1]
Nel Discours préliminaire che precede l′Histoire de l'astronomie ancienne, dopo aver sottolineato l'utilità generale della scienza astronomica per la cronologia, per la geografia, per la navigazione e per altri campi. Bailly suggerisce che l'astronomia è anche un'arma del philosophe contro la superstizione e l'ignoranza e, in un certo senso, un metro di giudizio del progresso della comprensione umana.
«L'astronomie [...] en agrandissant l'univers [...] a agrandi l'idée de l'intelligence suprême; elle a donné de l'étendue à l'esprit humain, qui, comme Alexandre, se trouvant trop serré dans le globe qu'il habite, aime à s'égarer de sphère en sphère, et a mesurer du moins par l'imagination cette étendue immense, dans laquelle l'homme occupe un si petit espace! [...] L'astronomie a successivement reculé ces bornes. Elle a fait voir que le soleil est douze cent mille fois plus gros que la terre; elle a placé cet astre a trentequatre millions de lieues; Saturne, la plus éloignée des planetes, a trois cent vingt millions. Elle a dit: la distance des étoiles se refuse à mes mesures, et tout ce que je puis répondre à la curiosité humaine, c'est que l'orbite de la terre, dont le circuit a deux cent dix millions de lieues, cet espace si grand, vu des étoiles les plus proches, ne peut paraître que comme un point! Que l'imagination juge de la distance de ces étoiles, et de celles qui étant plus petites semblent plus éloignées. Que la raison pense, comme il est naturel de le penser, que ces étoiles sont autant de soleils, qui ainsi que le nôtre ont des planètes qui circulent autour d'eux; une infinité de comètes qui nagent dans l'espace et qui remplissent ce vide établissent une espèce de communication et de chaîne entre ces systèmes si éloignés. Qu'elle ajoute à ce spectacle magnifique la connaissance de la simplicité des lois prescrites à cet univers si imposant et si vaste; et elle aura l'idée de l'étendue, de la puissance de la nature, et de la grandeur de l'Etre suprême.»
«L'astronomia [...] espandendo l'universo [...] ha ampliato l'idea dell'intelligenza suprema; ha donato dell'ampiezza alla mente umana, che, come Alessandro, si trova troppo stretta nel mondo in cui vive, ama passeggiare di sfera in sfera, e misura, almeno con l'immaginazione, questa immensa distesa in cui l'uomo occupa solo un piccolo spazio! [...] L'astronomia ha successivamente rifiutato questi termini. Essa mostra che il Sole è duecentomila volte più grande della Terra; essa ha piazzato questa stella a trentaquattro milioni di leghe [di distanza]; Saturno invece, il più distante dei pianeti, a ben trecentoventi milioni di leghe. Essa ci ha detto: la distanza delle stelle si rifiuta alle mie misure, e tutto quello che posso rispondere alla curiosità umana è che l'orbita della Terra, il cui circuito è di duecentodieci milioni di leghe, questo spazio così grande, visto dalle stelle più vicine, può apparire solo come un punto! E allora che sia l'immaginazione a giudicare la distanza di queste stelle, e di quelle che essendo più piccole sembrano più remote. Che la ragione pensi, come è naturale pensarlo, che queste stelle siano simili a tanti soli, e che come il nostro, abbiano dei pianeti che circolano intorno a loro; un'infinità di comete che nuotano nello spazio e che colmano questa lacuna stabiliscono una sorta di comunicazione e di catena tra questi sistemi così lontani. [L'astronomia] aggiunge, a questo meraviglioso spettacolo, la conoscenza della semplicità delle leggi prescritte a questo universo così imponente e così vasto; e avrà idea della portata, del potere della natura e della grandezza dell'Essere Supremo.»
La visione di Bailly dell'universo è comparabile alla descrizione dei due infiniti di Blaise Pascal nei Pensées, in cui espone la disproporzione dell'uomo tra i due infiniti in cui è immerso, ovvero l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo. C'è da chiedersi se per Bailly l'"Essere supremo" non era che una designazione confortante per una serie di principi meccanici che governano ma non spiegano i fenomeni della natura. François Arago nella sua biografia di Bailly scrisse che quando questi aveva detto di voler iniziare dalla vera origine dell'astronomia, ci si sarebbe potuti attendere varie pagine di "scritti fantasiosi", ma nessuno si sarebbe preparato per un capitolo (ovvero un livre) intitolato De l'astronomie antédiluvienne (in italiano: "Sull'astronomia antidiluviana"). Questo capitolo non è, tuttavia, così speculativo come si potrebbe supporre dal semplice titolo; è in realtà una ricostruzione ipotetica basata su un esame approfondito delle informazioni disponibili all'epoca di Bailly. In questo capitolo Bailly stabilisce quello che sarà uno dei punti fermi del suo intero discorso storico-filosofico: conclude infatti che la conoscenza scientifica del mondo antico, in particolare quella astronomica, non poteva che rappresentare i residui culturali di una civiltà ancora più antica. Bailly infatti scrive: «Quando si considera con attenzione la situazione dell'astronomia in Caldea, in India e in Cina, sono più dei detriti che dei veri elementi di una scienza».[14]
Il primo fatto che colpì Bailly fu la prova, quasi universale, che le prime osservazioni registrate dagli astronomi Egizi, Caldei, Persiani, Indiani e Tartari sembravano essere datate entro lo stesso secolo, vicino all'anno 3000 a.C..[15] Inoltre, dalle nozioni estremamente avanzate di questa primitiva astronomia, dalle osservazioni accurate, lunghe e scrupolose che tali nozioni presupponevano, e dagli aspetti complementari delle astronomie dei vari popoli dell'antichità, Bailly dedusse che doveva esistere una qualche fonte comune di tali conoscenze[16] e ipotizzò che servisse un periodo di sviluppo di almeno 1500 anni prima di arrivare alla elaborazione di tali osservazioni. L'astronomia era per lui:
«...l'œuvre d'un peuple antérieur, qui avait fait sans doute en ce genre des progès, dont nous ignorons la plus grande partie. Ce peuple a été détruit par une grande révolution. Quelques unes de ses découvertes, de ses méthodes, des périodes qu'il avait inventées, se sont conservées dans la mémoire des individus dispersés.»
«...l'opera di un popolo anteriore, che aveva fatto senza dubbio questo genere di progresso, di cui ignoriamo la maggior parte. Questo popolo è stato distrutto da una grande rivoluzione. Alcune delle sue scoperte, dei suoi metodi, dei periodi che aveva inventato, si sono conservati nella memoria degli individui dispersi.»
I punti seguenti rappresentavano bene secondo Bailly la similarità della conoscenza astronomica in tutto il mondo antico:
- Il fatto che gli Egizi, gli Indiani e i Cinesi usavano tutti i nomi dei sette "pianeti" conosciuti (ovvero sole, luna e i cinque pianeti allora conosciuti) per indicare i sette giorni della settimana, e li usavano addirittura nello stesso ordine.[18]
- L'uso da parte di tutti questi popoli dei corrispondenti periodi di calcolo: 18 anni e 11 giorni per la previsione delle eclissi; 19 anni per le feste e sacrifici (soprattutto le Neomeniæ);[19] 600 anni per la riconciliazione dei periodi lunari e solari.[20]
- L'usanza in India, Cina ed Egitto di inserire cinque giorni all'anno in un calendario di 360 giorni (per un totale di 365 giorni), aggiungendo un giorno supplementare ogni quattro anni con l'eccezione di un giorno ogni 150 anni (il che è sostanzialmente lo stesso piano del moderno anno bisestile).[21]
- L'uso universale del sistema sessagesimale[22] di cui conserviamo delle tracce nell'uso moderno. Insomma, perché tutti usavano i 360° in un cerchio o 60 minuti in un'ora?
- Lo zodiaco, comune a tutti i popoli dell'Eurasia, col suo sistema duale di 12 segni zodiacali e 28 costellazioni.[23]
- L'evidenza che almeno i Tartari e gli Indiani avevano misurato correttamente il moto di precessione delle stelle fisse.[24]
La convinzione, da parte di Bailly, che la misura corretta della circonferenza della Terra fosse conosciuta nell'antichità,[25] il fatto che gli Indiani dicessero di conoscere quindici pianeti, il fatto che avevano descritto con precisione i dettagli della luna non visibili ad occhio nudo, che sapevano che la Via Lattea era composta da singole stelle, e che identificavano correttamente le comete secondo i loro differenti aspetti, sebbene non possedessero nessuno strumento scientifico con cui effettuare tali osservazioni:[26] questi e altri "fatti" Bailly li considerava come prove del fatto che il 3000 a.C. fu «l'epoca della rinascita dell'astronomia, e non della sua origine».[27]
«Ces méthodes savantes, pratiquées par des ignorants, ces systèmes, ces idées philosophiques, dans les têtes qui ne sont point philosophes, tout indique un peuple antérieur aux Indiens et aux Chaldeens; peuple qui eut des sciences perfectionnées, une philosophie sublime et sage, et qui, en disparaissant de dessus la Terre, a laissé aux peuples qui lui ont succédé quelques vérités isolées, échappées à la destruction, et que le hasard nous a conservées. Ainsi l'antiquité, si célèbre par plusieurs nations savantes, n'offre depuis les Chaldéens et les Indiens jusqu'à Hipparque que les débris des connaissances de ce peuple dont le nom même est inconnu aujourd'hui.»
«Questi metodi intelligenti, praticati da ignoranti, questi sistemi, queste idee filosofiche, in menti che filosofiche non sono, indicano tutti [che esisteva] un popolo anteriore agli Indiani e ai Caldei; un popolo che aveva delle scienze perfezionate, una filosofia saggia e sublime, e che, scomparendo dalla Terra, ha lasciato ai popoli che lo seguirono alcune verità isolate, sfuggite alla distruzione, e che il caso ha conservato per noi. Quindi l'antichità, così celebrata per i tanti popoli saggi, dai Caldei e dagli Indiani fino ad Ipparco, non offre che i detriti delle conoscenze di questo popolo il cui nome è sconosciuto ancora oggi.»
Per Bailly questa similarità delle conoscenze non poteva che significare che doveva esistere un popolo anteriore ai suddetti con delle «scienze perfezionate», con una «filosofia sublime e saggia», e che - spostandosi nelle terre di tali popoli - li aveva in qualche modo "istruiti", consegnando loro le conoscenze di cui disponevano.
Consapevole delle implicazioni della propria convinzione filosofica nell'unicità della verità e nella molteplicità degli errori, Bailly passò ad esaminare ciò che può essere descritto come "l'insieme degli errori degli antichi".
«Car l'homme toujours semblable à lui-même par ses goûts et ses sensations diffère par ses conceptions et ses idées; il n'a de point commun que la verite. Les chemins de l'erreur sont infinis; ils sont infiniment divergents. Les hommes ne peuvent s'y rencontrer que quand ils sont partis ensemble du même point.»
«L'uomo infatti, sempre somigliante a sé stesso per i gusti e per le sensazioni, differisce solo per le sue concezioni e le sue idee; egli ha il solo punto comune della verità. Le vie per l'errore sono infinite e infinitamente divergenti. Gli uomini non possono che incontrarsi [in tali vie per l'errore] solo quando sono partiti insieme dallo stesso punto.»
Bailly percepiva dunque che le superstizioni, i pregiudizi, i fraintendimenti, le paure, i tabù, e le pratiche rituali degli antichi tendevano a confermare l'ipotesi da lui postulata sulla fonte comune delle conoscenze scientifiche. La naturale curiosità umana, di sicuro, vorrebbe poter individuare questa fonte comune, ma Bailly in un primo momento si muove con molta cautela. Egli sentiva che, laddove la storia non riusciva, le leggende e la mitologia poteva offrire degli indizi importanti. Bailly scrisse: «Dobbiamo rispettare la tradizione senza adottarla interamente; [...] eppure tutto porta ad un nucleo che serve da legame, e questo nucleo è proprio la verità storica».[30] Con alcune riserve, Bailly accettò l'ipotesi che i leggendari fondatori di Cina, Egitto, Persia e Babilonia come persone reali, o almeno con un qualche fondo di verità. Bailly in effetti non fu consistente nel difendere la storicità di tali figure come testimonia l'osservazione: «Questi personaggi, così come il maggior numero di quelli della mitologia greca, non sono che degli emblemi».[31] In ogni caso queste nazioni rappresentavano gli avamposti di una civiltà a tutti gli effetti, e i loro fondatori (Fu-Hi per la Cina, Thot per l'Egitto, Zoroastro e Belus per i popoli mesopotamici) furono pionieri, i leader delle popolazioni in migrazione. Il popolo da cui essi discendevano, suggerì Bailly quasi casualmente, potevano essere gli Atlantidei, riportati da Platone e Diodoro Siculo come il popolo più antico del mondo;[32] inoltre l'era di Urano (circa nel 3890 a.C.) doveva rappresentare il crollo di Atlantide e l'inizio delle migrazioni.[33] Bailly fin qui accettava Atlantide come spiegazione solo simbolica del prototipo di civiltà della cui esistenza era convinto. Non si era preoccupato, come invece accadde nelle opere successive come le Lettres a Voltaire, della posizione geografica assegnata ad Atlantide da Platone. Al contrario egli osservò: «Una cosa molto notevole è che sembra che le luci [della conoscenza] provenissero da Nord, contro il pregiudizio comune secondo cui la Terra fu illuminata e popolato da Sud verso Nord».[34]
Questa idea si era evoluta dal confronto di una serie di opere di fisica, storia naturale, astronomia, viaggi, mitologia e storia. Essa si basava sull'accettazione, da parte di Bailly, della teoria dell'origine della Terra di Buffon e Mairan, secondo cui la Terra sarebbe dovuta essere un corpo estremamente caldo e che, dopo essersi raffreddato, aveva iniziato a solidificarsi prima vicino ai poli, e poi a poco a poco verso l'equatore. Anticamente quindi solo le zone polari erano abitabili in quanto parzialmente raffreddate e caratterizzate da un clima temperato mentre la "zona torrida" si doveva estendere su tutto il resto del globo. Secondo questa teoria paleoclimatica quindi, la vita e, e naturalmente anche l'uomo stesso, non potevano che aver avuto origine alle latitudini settentrionali. A Bailly sembrava di aver trovato conferma di questa teoria nella tradizione mitica e leggendaria che, ne era sicuro, conteneva un qualche nucleo di verità storica. Lo stesso Bailly suggerì che la culla della civiltà poteva trovarsi nei dintorni di Selinginskoi, in Siberia, dove alcune scoperte archeologiche sembravano confermare i suoi sospetti della presenza di tale popolo progenitore nordico.[35]
Bailly scrisse inoltre che spesso attraverso l'astronomia è possibile comprendere meglio l'origine di questa tradizione mitica che secondo lui andrebbe cronologicamente riferita al momento della grande migrazione di questo popolo. Infatti egli scrisse: «È alla dispersione degli uomini che si dovrebbe riferire la nascita di queste favole.[36] I geroglifici male interpretati, i racconti esagerati, e il naturale gusto dell'uomo per il meraviglioso sono le fonti naturali. Possiamo richiamare all'astronomia, come ha fatto Court de Gébelin,[37] l'origine di molte di queste favole».[38]
Una corretta interpretazione astronomica di alcune leggende mitiche, secondo Bailly, avrebbe permesso una loro ordinata disposizione sia geografica che temporale; in altre parole secondo Bailly attraverso uno studio più preciso di alcune di queste "storie" comparato con le possibilità astronomiche al variare della latitudine geografica, si poteva comprendere meglio sia dove - ovvero verso quale latitudine - queste storie nacquero e anche quando esse nacquero dando informazioni geografiche e temporali sul popolo da cui esse derivavano.
I principali miti con rilevanza astronomica a cui Bailly fa riferimento sono:
- Il mito di Proserpina, i cui sei mesi sulla Terra e i sei mesi sotto la Terra simbolizzerebbero la scomparsa del Sole nelle regioni polari per la metà dell'anno.
- Il mito di Ercole e delle Amazzoni, che rappresentano la lotta tra la luce e l'oscurità durante l'equinozio di primavera.
- Il mito della Fenice (comune sia alla mitologia egizia che a quella scandinava), la cui vita di 300 giorni, la cui migrazione verso il sud, la cui immolazione nel fuoco e la cui rinascita a Nord rappresentavano la fenomenologia solare ad una latitudine leggermente più meridionali (circa 79° nord di latitudine a nord), dove il sole è assente per soli 65 giorni nel corso dell'anno.
- Il mito di Giano bifronte, la cui effigie, secondo Macrobio, teneva il numero 300 in una mano e il numero 65 nell'altra, e che doveva aver avuto origine nella stessa latitudine del mito della fenice.
- I miti di Osiride e Adone, la cui morte e resurrezione dopo 40 giorni individuava l'origine di queste leggende circa a 68° nord di latitudine.
Nel corso del lento progresso umano dal Sud verso le regioni polari, Bailly credeva che l'astronomia iniziò a fiorire tra il 60° e il 50° nord di latitudine, dove il Sole era visibile quotidianamente, dove l'intero Zodiaco poteva essere osservato, e dove la divisione dell'anno in quattro stagioni era più pronunciata. Con la stessa ipotesi Bailly cercò inoltre di spiegare come fosse stata possibile una successiva degenerazione delle conoscenze astronomiche tra i popoli dell'antichità più recente; la spiegazione trovava riferimento nelle teorie del determinismo geografico: se il clima temperato conduceva ad «una miscela felice di forza e di attività necessaria per far progredire la conoscenza» invece un clima più caldo che le persone avevano trovato nelle nuove regioni più vicine all'equatore era più snervante e perciò avrebbe portato ad una diminuzione delle attività intellettuali.
Va detto che Bailly non insistitette troppo sull'astronomia antidiluviana; è stato solo alla luce dei suoi ultimi scritti che si sono cominciate a mettere in discussione seriamente le implicazioni dell′Astronomie ancienne. La sua tesi in quest'opera è semplicemente questa: che la conoscenza dei vari popoli antichi sembrava superare ampiamente i mezzi che questi avevano a disposizione per acquisire quella conoscenza, inoltre gli aspetti fin troppo simili della loro conoscenza (così come, simili, erano stranamente anche gli errori) suggeriva con forza l'ipotesi dell'esistenza di una fonte comune, probabilmente nordica, un popolo antecedente con un sistema scientifico già sofisticato, un popolo che Bailly vedeva simboleggiato in Atlantide (sebbene Bailly non avesse ancora espresso la tesi, come accadde nelle opere successive, che quella civiltà antecedente era proprio Atlantide). Egli fa inoltre riferimento alla teoria di una migrazione umana dal Nord verso il Sud, a causa del raffreddamento terrestre che stava via via rendendo inabitabili le zone artiche e si riferisce a tale migrazione solo come una «marcia puramente ipotetica»:
«Mais le temps manque à cette progression; le monde n'est pas assez vieux pour cette marche du genre humain qui, parti du pôle, toujours chassé par le refroidissement de la terre, irait attendre la destruction de l'espèce à l'équateur; tout ceci n'est qu'une fiction dont nous avons examiné astronomiquement les conséquences; il est temps de revenir à la vérité. Les faits de l'histoire indiquent une autre marche au genre humain.»
«Ma manca il tempo per una tale progressione; il mondo non è abbastanza vecchio per una tale marcia del genere umano che, partendo dal polo, è stato sempre guidato dal raffreddamento della Terra, aspettandosi la distruzione della specie all'equatore; tutta questa non è che una finzione della quale abbiamo esaminato astronomicamente le conseguenze; è il momento di tornare alla verità. I fatti della storia mostrano un ulteriore cammino per l'umanità.»
Quattro dei nove capitoli (livres) dell′Histoire de l'astronomie ancienne sono dedicati al soggetto generale dell'astronomia antidiluviana; il resto, invece, è dedicato ad un esame approfondito della storia delle osservazioni astronomiche tra i Persiani, i Caldei, gli Egizi e i Greci. Solo venti pagine scarse invece sono dedicate ai Cinesi e agli Indiani, che sono comunque lodati da Bailly per l'avanzata tecnologia di cui disponevano e per la diligenza delle loro osservazioni, ma che lo stesso Bailly respinse come "popoli fondatori" della scienza a causa della loro profonda mancanza di una comprensione di base degli argomenti. Bailly scrisse infatti che parevano: «simili a degli stranieri che avevano "catturato" un paio di frasi in una lingua che non comprendevano».[40]
Bailly vedeva i Caldei come «il più sapiente dei popoli dell'antichità».[41] Le loro osservazioni ininterrotte per un periodo di circa 2'000 anni, la loro conoscenza accurata del moto della Luna e degli effetti della precessione, il loro calcolo del ciclo di Saros, la loro convinzione nel ritorno delle comete,[42] la loro determinazione del periodo sinodico di Giove, e la loro accurata cronologia li collocava, almeno secondo Bailly, ben più vicini, rispetto alle altre civiltà a loro contemporanee, a quel popolo non meglio identificato a cui Bailly faceva riferimento.
Gli Egizi, d'altro canto, dovevano la maggior parte delle loro conoscenze astronomiche ai Caldei e agli Indiani, e gradualmente secondo Bailly persero memoria della maggior parte delle conoscenze che questi ultimi possedevano perché essa finì nelle mani di sacerdoti che non se ne occupavano, che smisero quasi del tutto di osservare, e la utilizzavano più per il culto che per usi civili. Nonostante ciò Bally attribuì agli Egizi la scoperta del vero movimento di Mercurio e Venere attorno al Sole. «Hanno però mancato del genio e delle osservazioni necessarie per estendere questa ottima idea al resto dei pianeti».[43]
Anche i Greci erano più "giovani" rispetto ai Caldei in campo astronomico, ed infatti derivarono da questi la maggior parte della loro più precoce conoscenza. La principale preoccupazione astronomica nei primi anni della loro civiltà fu la genesi di un calendario intelligente. Essi in realtà non fecero alcuna osservazione di propria iniziativa per tale scopo, ma introdussero delle correzioni dall'estero:
«... Les Grecs 1000 ans avant Jésus-Christ ne connaissaient point ces phénomènes par la théorie de la sphère ni par le récit de quelque voyageur, témoin oculaire, mais [...] ils les connaissaient confusément, par une tradition vague, incertaine, étrangère même au pays où ils l'avaient puisée.»
«... I greci, 1000 anni prima di Cristo, non conoscevano questi fenomeni né dalla teoria della Terra sferica, né per i racconti di qualche viaggiatore, testimone oculare, ma [...] li conoscevano confusamente, attraverso una tradizione vaga, incerta, straniera anche nei paesi dove l'avevano elaborata.»
Il primo vero astronomo greco, secondo Bailly, fu Talete di Mileto, fondatore della Scuola Ionica. Lui e i suoi seguaci introdussero lo gnomone, la sfera e lo Zodiaco in Grecia, misurarono il Sole e la Luna, e descrissero correttamente la forma della Terra, ma Bailly insistette sul fatto che ben poco del loro lavoro fosse in realtà originale. «Dobbiamo ripetere che l'astronomia della Grecia consiste quasi interamente delle opinioni dei filosofi. Osserviamo pertatnto che, almeno la maggior parte delle osservazioni che sono stati in grado di fare, sono state sepolte nell'oblio».[45]
Bailly si riferisce ancor più favorevolmente rispetto a Pitagora, Platone ed Eudosso, quest'ultimo considerato «il più grande astronomo prima di Ipparco».[46] Pitagora, discepolo di Talete, aveva viaggiato in Fenicia, Chaldea, India ed Egitto, ed era ritornato in Grecia insegnando prima a Samo e poi a Cortona; Pitagora pensava che la Terra fosse sferica, che la luna ruotasse e che le comete sarebbero ritornate. Sebbene insegnasse pubblicamente che la Terra fosse al centro dell'universo, privatamente - secondo Bailly - egli credeva che essa si muovesse attorno al Sole.[47] Platone invece, sebbene non fosse propriamente un astronomo, aveva unito le scoperte dei Pitagorei, degli Ionici e degli Eleati e propose quello che secondo lui era il vero scopo dell'astronomia: ovvero conoscere «il movimento delle otto sfere»[48], «come le sette sfere ruotano sotto la prima e secondo quale ordine ciascuna di esse completa la propria rivoluzione».[49] Platone sapeva che l'astronomia doveva essere fondata sulla matematica e su saldi principi scientifici, e fu il suo amico e discepolo Eudosso di Cnido, che si impegnò a spiegare le cause del moto planetario con l'invenzione di una serie di sfere concentriche. La spiegazione era ovviamente assurda, ma Bailly era incline a considerarla comunque come un tassello storico del progresso. Anche Eudosso, tuttavia, non fu un osservatore, e Bailly ripeté anche con lui lo stesso criticismo verso l'astronomia greca basata, secondo lui, più sulla dialettica che sulle osservazioni.
«Non encore convaincu de la nécessité des faits qui sont les seules connaissances, [l'esprit grec] croit qu'on peut en raisonnant, en conjecturant, approfondir la nature sans l'observer; et quelquefois le hasard, ou le génie, fait sortir du choc des opinions des étincelles qui éclairent cette nuit profonde.»
«Non ancora convinto della necessità dei fatti, che sono le sole conoscenze, [lo spirito greco] credeva invece che si potesse ragionare, congetturare e approfondire sulla natura senza osservarla; e qualche volta per caso, o per l'intelligenza [di alcuni], fece uscire, dal conflitto delle opinioni, delle scintille che illuminarono questa notte profonda.»
La ripetuta critica di Bailly all'aspetto speculativo dell'astronomia greca - che congettura senza alcuna osservazione - colpisce come una sorta di un gesto di compensazione da parte dello stesso Bailly. Dopo aver indugiato lui stesso su alcune speculazioni piuttosto selvagge, si affretta infatti a ribadire comunque la sua fede nei fatti, «che sono le sole conoscenze». Non ci può essere speculazione teorica secondo Bailly, senza osservazioni, che sono la materia prima dell'astronomia. In effetti, tutta l′Astronomie ancienne di Bailly assomiglia a un dibattito dialettico in cui lo stesso Bailly sostiene prima un lato e poi l'altro. L'argomento conclusivo in questo dibattito è un discorso sull'astrologia giudiziaria, in cui Bailly vede «il motivo encomiabile della ricerca della verità» distorto e pervaso dal materialismo. Egli ritiene che l'astrologia non è qualcosa di naturale per i popoli primitivi e non illuminati, ma che è il lavoro cosciente di un popolo sviluppato ma in errore. A questo proposito, egli arriva notevolmente vicino a condannare anche il materialismo del suo secolo.
«Nous pensons que l'astrologie judiciaire a eu sa source dans le matérialisme. [...] Quelle différence y a-t-il entre l'homme de Spinosa et l'homme dont un astrologue va tracer la destinée? Le spinosiste vous dira que toutes nos déterminations sont écrites d'avance dans le grand livre du monde, dans ce livre où pourrait lire celui qui aurait embrassé la nature entière et découvert toutes ses lois. Un astrologue va plus loin; il se vante de connaître ces lois. Un astrologue de bonne foi serait nécessairement athée comme Spinosa.»
«Riteniamo che l'astronomia giudiziaria ha avuto la sua fonte nel materialismo. [...] Che differenza c'è tra l'uomo di Spinoza e l'uomo del quale un astrologo va a tracciare il destino? Lo spinozista vi dirà che tutte le nostre determinazioni sono già scritte nel grande libro del mondo, in questo libro dove si può leggere tutto ciò che abbraccia la natura e scoprire tutte le sue leggi. Un astrologo va più lontano; e si vanta di conoscere queste leggi. Un astrologo in buona fede sarebbe necessariamente ateo come Spinoza.»
Bailly sente che il sistema delle monadi di Leibniz cade nello stesso errore del determinismo, ma «Leibniz è stato un filosofo troppo bravo per non sentire l'impossibilità di risolvere un tale problema».[52] È curioso che Bailly, che, in molti aspetti, vive l'epoca del punto più alto del materialismo settecentesco, sia lo stesso a denunciarlo in un modo che, tra l'altro, anticipa Chateaubriand, Joseph de Maistre e altri scrittori della rinascita cattolica nel Romanticismo.
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[modifica | modifica wikitesto]L′Histoire de l'astronomie ancienne probabilmente fu pubblicata nell'ottobre o nel novembre del 1775, in quanto è menzionata nella corrispondenza epistolare di Friedrich Melchior von Grimm di novembre in cui viene detto che è apparsa «solo da pochi giorni».[53]
L'opera fu immediatamente colta al volo da Jacques-Henri Meister, direttore del giornale Correspondance littéraire, come un importante contributo alla letteratura filosofica del giorno. Meister scrisse infatti: «l′Histoire de l'astronomie ancienne di Bailly potrebbe condurci un giorno attraverso le più importanti scoperte sull'origine delle nostre azioni e delle nostre conoscenze».[54] Anche le parti più speculative del libro furono apprezzate: «se anche il suo sistema non è dimostrato, è fondato almeno su un insieme di osservazioni così felicemente accostate che ci sembra impossibile non trovarlo infinitamente probabile».[55]
Inoltre l'entusiasmo dello stesso Grimm per il lavoro di Bailly lo portò ad inviare - oppure, secondo altre fonti, persuase Bailly stesso ad inviare - una copia dell'opera all'imperatrice Caterina II di Russia. Merard de Saint-Just, biografo di Bailly, riporta la notizia secondo cui Caterina rispose donando a Bailly «una scatola d'oro smaltata e adornata di diamanti».[56] Questa generosità in teoria non fu tanto dovuta all'interesse di Caterina verso l'astronomia, quanto invece alla suggestione espressa dallo stesso Bailly nella sua opera secondo cui la culla della civiltà poteva trovarsi nei dintorni di Selinginskoi, in Siberia, dove alcune scoperte archeologiche sembravano confermare i suoi sospetti di un popolo progenitore nordico.[57]
Bailly sì affrettò inoltre ad inviare una copia della sua opera a Voltaire il quale, in una lettera del 15 dicembre 1775, gli riconobbe alcuni meriti:
«J'ai bien des grâces à vous rendre, Monsieur; car ayant reçu le meme jour un gros livre de médecine et le vôtre, lorsque j'étais encore malade, je n'ai point ouvert le premier, j'ai déjà lu le second presque tout entier, et je me porte mieux. [...] Je vois dans votre livre, Monsieur, une profonde connaissance de tous les faits avérés et de tous les faits probables. Lorsque je l'aurai fini, je n'aurai d'autre empressement que celui de le relire; mes yeux de quatre-vingt-deux ans me permettront ce plaisir. Je suis déjà entièrement de votre avis sur ce que vous dites qu'il n'est pas possible que différents peuples se soient accordés dans les mêmes méthodes, les mêmes connaissances, les mêmes fables et les mêmes superstitions, si tout cela n'a pas été puisé chez une nation primitive qui a enseigné et égaré le reste de la terre. Or, il y a longtemps que j'ai regardé l'ancienne dynastie des Brahmanes comme cette nation primitive.»
«Le devo dire molte grazie, signore; perché dopo aver ricevuto lo stesso giorno un grande libro di medicina e il suo, quando ero ancora malato, non ho aperto il primo e invece ho letto il secondo quasi del tutto, e adesso sto anche meglio. [...] Vedo nel suo libro, signore, una profonda conoscenza di tutti i fatti noti e tutti i fatti probabili. Quando l'avrò terminato, avrò ancor più desiderio di leggerlo; i miei occhi di ottantadue anni consentiranno di godermelo. Sono anch'io completamente del suo parere sul fatto che non è possibile che popoli diversi potessero aver avuto gli stessi metodi, le stesse conoscenze, le stesse leggende e le stesse superstizioni, a meno che tutto questo non fosse stato elaborato in un popolo primitiva che lo aveva insegnato e aveva ingannato resto della Terra. Però io, da molto tempo, considero la vecchia dinastia dei Bramini indiani come tale popolo primitivo.»
Voltaire apprezzava le idee di Bailly, ed anche lui credeva che dovesse esistere questo popolo antecedente, però fu abile a trasformare le fonti usate da Bailly contro di lui in difesa degli Indiani, il popolo che lui considerava progenitore di tutti gli altri. Gli Indiani, secondo Voltaire, erano il popolo che «aveva insegnato e aveva ingannato il resto del mondo», dove "insegnare" indica i metodi e le idee scientifiche, mentre "ingannare" si riferisce agli errori e alle superstizioni che comunque questo popolo aveva tramandato agli altri. In ogni caso la lettera ha un tono simpatico e comprensivo. Questa ed altre lettere furono pubblicate da Bailly nelle Lettres sur l'origine des sciences, che raccoglievano l'intera corrispondenza epistolare intrattenuta tra l'astronomo e il celebre filosofo.
L′Histoire de l'astronomie ancienne assieme alle altre opere storiche della tetralogia, furono tradotte in varie lingue e divennero strumenti di studio storiografico di grande rilevanza in tutta Europa. Addirittura anche un giovane Giacomo Leopardi, per quanto riguarda la compilazione della sua Storia dell'astronomia, si avvalse in qualche modo del contributo di Bailly: il testo di base fu infatti la Storia dell’astronomia di Bailly, ridotta in compendio dal signor Francesco Milizia, testo tradotto e compendiato dal critico d'arte Francesco Milizia a partire dalle Histoires di Bailly.[59] Il testo, pubblicato nel 1791, era comunque piuttosto datato, infatti terminava con la scoperta del pianeta Urano da parte di Herschel. Invece il lavoro di Leopardi presentava numerosi ulteriori aggiornamenti, come ad esempio la scoperta dei satelliti Cerere, Pallade, Giunone e della cometa del 1811.[59]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b François Arago, Biographie de Jean Sylvain Bailly, 1844
- ^ a b c d e Edwin Burrows Smith, Jean Sylvain Bailly: Astronomer, Mystic, Revolutionary (1736-1798), American Philosophical Society (Philadelphia, 1954); p. 455.
- ^ Titoli e date sono citati al fine di evitare la confusione generale sulla datazione che nasce dalla comparsa delle seconde edizioni. I tre volumi delle due opere sull′Astronomie moderne sono numerate consecutivamente da 1 a 3. L′Astronomie ancienne e l′Astronomie indienne non sono invece numerate.
- ^ Saint-Beuve, Causeries du lundi 10: pp. 348-349.
- ^ Bailly, Discours et memoires, 1; p. 176.
- ^ L'osservazione dell'eclissi lunare del 30 settembre 1773, è un esempio calzante.
- ^ Voyage dans les mers de l'Inde, 2 v., Paris, 1779-1781.
- ^ "Memoires sur l'Inde", 1772-1773.
- ^ Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, p. 330.
- ^ Op. cit., 189.
- ^ Un trattato per l'istruzione autorevole tra gli Indiani; un libro di istituzioni; in particolare, spiega anche il Veda.
- ^ Sono ulteriori approfondimenti relativi ad ognuno dei libri precedenti.
- ^ Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, xxi-xxii.
- ^ Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, 18.
- ^ Ibid., 12-16.
- ^ Ibid., 16-18.
- ^ Ibid., 19.
- ^ Ibid., 62-63.
- ^ Ibid., 65-66. 19 anni giuliani equivalgono a circa 235 mesi sinodici (ovvero 235 moltiplicato per il periodo che intercorre tra congiunzioni o opposizioni del sole e della luna). Quindi, in diciannove anni la congiunzione o l'opposizione tra sole e luna si ripetono nello stesso giorno dello stesso mese. Questo è il cosiddetto ciclo metonico, "scoperto" da Metone di Atene circa nel 433 a.C. e ancora usato per fissare l'osservanza della Pasqua. Per maggiori informazioni: Russell, Dugan e Stewart, Astronomy, 2 v., Boston, Ginn, 1926-1927, 1: 160
- ^ Cassini identificò il periodo di 600 anni come uno in cui 7'421 rivoluzioni lunari di 29 giorni 12 ore 44 m 3 s uguali a 219'146,5 giorni o 600 anni 5 ore 51 m 36 s (o entro 3 minuti del moderno anno tropico). Bailly riteneva che un periodo di 600 anni poteva essere stato determinato solo da un'osservazione consecutiva in questo periodo di tempo con un ulteriore ripetizione delle osservazioni per una seconda volta in modo da confermarlo. (Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, 21, 65-66).
- ^ Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, 69-70.
- ^ Ibid., 70-71
- ^ Ibid., 73-74. In un'altra opera (Lettres sur l'origine des sciences, p. 139) Bailly indica che questa divisione dei cieli non è «naturale» e che gli Indios messicani avevano sviluppato un sistema completamente differente.
- ^ L'evidenza è estremamente tenue, in realtà. Il prodotto dei due periodi (144 anni nelle tabelle indiani, 180 anni tra i Tartari), che non serve ad alcun uso astronomico apparente è di 25'920 anni, ovvero un'approssimazione del periodo richiesto dall'equinozio di primavera per compiere un circuito completo dei cieli. (Histoire de l'astronomie ancienne, 76-77.) L'astronomo Newcomb, nel 1925, stimò la precessione annuale a 502619′′ e il periodo a 25'784 anni.
- ^ Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, 77-79. Questa misura presumibilmente accurata si basa su una rivalutazione fatta da Joseph-Nicolas Delisle (citato nelle Mémoires de l'Académie royale des Sciences, 1666-1790 (1721), Imprimerie Royale, 4th edition; p. 60), Nicolas Fréret (citato nelle Mémoires de l'Académie royale des Inscription, 24, p. 504) e dello stesso Bailly.
- ^ Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, 83.
- ^ Ibid., 16.
- ^ Ibid., 87-88.
- ^ Ibid., 85.
- ^ Ibid., 6.
- ^ Ibid., 5
- ^ Ibid., 6-7
- ^ Ibid., 9.
- ^ Ibid., 95
- ^ Ibid., 95-96.
- ^ «Fables» inteso come leggende mitiche secondo l'uso allora corrente.
- ^ Il riferimento è alle Allegories orientales, 1° volume.
- ^ Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, 91.
- ^ Ibid., 105
- ^ Ibid., 107
- ^ Ibid., 152.
- ^ Sulla loro conoscenza delle comete Bailly scrive: «Se questa loro opinione non è, come lo ritengo io, un residuo di un'astronomia più antica, si deve credere allora che il caso li ha indirizzati bene». (Bailly, Histoire de l'astronomia eancienne, 148.)
- ^ Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, 171
- ^ Ibid., 192.
- ^ Ibid., 202.
- ^ Ibid., 243.
- ^ Ibid., 214-215
- ^ Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, 233.
- ^ Ibid., 236.
- ^ Ibid., 257.
- ^ Ibid., 268.
- ^ Ibid., 271
- ^ Op. cit., 11: 153.
- ^ Ibid., 167.
- ^ Ibid., 153.
- ^ Merard de Saint-Just, Eloge de Bally, 55-56.
- ^ Bailly, Histoire de l'astronomie ancienne, 95-96.
- ^ Bailly, Lettres sur l'origine des sciences, 1-3; Voltaire 49: 453.
- ^ a b M. T. Borgato, L. Pepe, Leopardi e le scienze matematiche, pp. 5-8.