Sogni proibiti di una fanciulla in fiore | |
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[[Commedia teatrale]] in due tempi | |
Autore | Luigi Lunari |
Lingua originale | |
Composto nel | 1987 |
Prima assoluta | Milano, Teatro San Babila, 1988 (con il titolo "La Bella e la Bestia"). Regia di Lamberto Puggelli, con Giuseppe Pambieri e Lia Tanzi. |
Personaggi | |
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Sogni proibiti di una fanciulla in fiore è un'opera teatrale di Luigi Lunari tradotta in francese, tedesco, inglese ed estone.
Trama
[modifica | modifica wikitesto]Moderna rivisitazione del mito della Bella e la Bestia, è la storia di una fanciulla che nella lettura della favola proietta i propri sogni sentimentali ed erotici e vive con accesa fantasia l'incontro con un mostro orribile ma al tempo stesso ben più affascinante del pallido tenentino del quale è da sempre promessa sposa. La storia è ambientata emblematicamente nell'Inghilterra vittoriana del 1901, anno visto come l'inizio di un secolo di straordinarie innovazioni. Il dilemma tra il mostro e il tenentino, che provoca nella fanciulla una serie di nevrosi degne dell'età di Freud, si risolve quando essa riuscirà a conciliare nella vita pratica e nel proprio matrimonio la sicurezza che le offre il tenentino e il fascino che su di lei esercita il mostro.
Prima rappresentazione all'estero
[modifica | modifica wikitesto]- Rakvere (Estonia), 2001 (con il titolo "Kaunitar ja koletis") traduzione di Eva Kolli. Regia di Tiit Palu.
Produzione
[modifica | modifica wikitesto]I sette attori sono chiamati ad interpretare più personaggi, secondo le seguenti concordanze:
- Bella Anderson sarà anche: La Bella, La Piccola Licia, La Piccola Carlotta, La bella Miss degli inglesi;
- Il tenente Fairchild sarà anche: La Bestia, Il promesso sposo, L'imperatore Nerone, L'incorruttibile Robespierre, Il sultano Shahriyàr;
- Sir Anthony Anderson sarà anche: Il padre, Il vecchio licio, Il vecchio conte di Corday, Il vecchio generale inglese;
- Il dottor Turner sarà anche: Primo marito, Petronio, Danton, L'arabo;
- Padre Chesterton sarà anche: Secondo marito, Paolo, Il cavaliere Des Grieux, Il capitano inglese;
- Elizabeth sarà anche: Prima sorella, Schiava, Sanculotta, Donna dell'harem;
- Pamela sarà anche: Seconda sorella, Schiava, Sanculotta, Donna dell'harem.
Edizioni
[modifica | modifica wikitesto]Pubblicata nella rivista "Hystrio", diretta da Ugo Ronfani, con il titolo "La Bella e la Bestia", Milano 1988.
Accoglienza della stampa e della critica
[modifica | modifica wikitesto]Lunari innesta con estrosa ironia la sua rilettura psicanalitica della famosa fiaba. (...)Ma "La Bella e la Bestia" non è un trattato di psicanalisi, ma una commedia: gustosa, garbata, divertente. Le pudiche ritrosie di Bella velano le sue intruzioni sessuali coltivate in una inconscia attrazione per il padre, e finiscono col trasfigurare il maschio - ossia l'infreddolito e amorfo tenente Fairchild - in un Mostro, una Bestia dal fascino irresistibile. Così, se immagina in se stessa la Licia di "Quo vadis?", vuol dire che Fairchild sarà Nerone; lei Carlotta Corday e lui Robespierre; lei l'inglesina in Arabia e lui il Sultano che la vuole nel suo harem... E che alla fine la Bestia si riveli Principe Azzurro, nessuno può dubitare: tanto meno la Bella. Un successo che, se la novità fosse straniera e non italiana, i soliti critici definirebbero un trionfo.
(Carlo Maria Pensa, Oggi, Milano 1988)
La commedia scorre agile, scritta con ben scandito ritmo dialogico (...) gli stessi pudibondi incontri tra Bella e Archibald nella serra sono di un evidente stile manieristico, ma anche di molto buon gusto e spesso francamente divertenti. Le quattro "riprese" della favola riescono un tantino più didattiche, anche se vi si avverte, sotto il velo di un'amabile ironia, l'impegno vero di Lunari di affrontare modernamente la dialettica libertà-costrizioni sessuali.
(Guido Davico Bonino, La Stampa, Torino, 1988)
Ci vorrebbe un musical hollywoodiano per poter tradurre in immagini lo straripante, cangiante testo di Lunari, e anche quel suo sapore di fiaba.
(Renato Tomasino, Giornale di Sicilia, 1988)
Lunari si è concesso il lusso di una commedia degli intenti piuttosto sottili che, partendo da uno sviluppo drammaturgico delle riflessioni di Brun Bettelheim sulle favole infantili, si snoda come un percorso freudiano attraverso le incognite delle fantasia edipiche e i vantaggi di un loro definitivo superamento nell'accettazione delle componenti oscure dell'istinto; muovendosi tra l'esasperazione dei luoghi comuni fiabeschi e il divertito omaggio allo stile compassato del linguaggio vittoriano...
(Renato Palazzi, Il Corriere della Sera, Milano 1988)