In filosofia, il singolo è l'individuo considerato come valore sommo.[1]
Il concetto nella storia della filosofia
[modifica | modifica wikitesto]Tale concetto è stato sviluppato in particolare dal filosofo danese Søren Kierkegaard (1813-1855), il quale, in contrapposizione a Georg Hegel, asserì che l'esistenza si afferma nella realtà singolare[2], senza mai coincidere con il concetto. In particolare, l'uomo si distinguerebbe dall'animale proprio in questo, nel fatto che il singolo uomo "sta più in alto" del genere umano.[1] Inoltre – sostiene il pensatore danese – non sarebbe neanche possibile aderire autenticamente alla religione cristiana senza una decisione personalissima del singolo credente[3].
La categoria della singolarità si contrappone al contempo in maniera antitetica alla categoria della folla, considerata da parte del filosofo danese come foriera di valori negativi[4], similmente a quanto il filosofo stoico Seneca affermava nelle sue Lettere a Lucilio[5].
Concetti analoghi al singolo in Kierkegaard sono quelli espressi da Max Stirner ("l'Unico") e Friedrich Nietzsche ("l'Oltreuomo"); Karl Jaspers ha inoltre ripreso il concetto di "singolo", evidenziandone il carattere "eccezionale".[1]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c Abbagnano, p. 799.
- ^ Per esempio in Una recensione letteraria, in Prefazioni, e nelle pagine del Diario.
- ^ Dario Antiseri, Come leggere Kierkegaard, Bompiani, Milano, 2013, Edizione Kindle, posizione 979.
- ^ Ivi, posizione 1047.
- ^ Si veda Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, I, 7: «Quid tibi vitandum praecipue existimem quaeris? Turbam»
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, 2ª ed., Torino, UTET, 1992 [1971], ISBN 88-02-01494-9.