La locuzione res iudicata pro veritate habetur o accipitur[1] («la cosa giudicata è ritenuta verità») è un brocardo latino che afferma il carattere definitivo di una sentenza passata in giudicato. L'accertamento dei fatti in un processo sottostà a critica: il giudizio potrebbe essere errato e l'ordinamento, perciò, prevede la possibilità di impugnare la sentenza davanti a un nuovo giudice. Nulla garantisce in assoluto che l'accertamento definitivo riproduca la verità sostanziale,[2] ma le possibilità di impugnazione non possono protrarsi all'infinito: per questo esso va accettato come verità (processuale) indiscutibile.[1]
Nell'ordinamento italiano, la regola espressa dal brocardo è sancita, per il processo civile, dall'art. 2909 c.c.; per il processo penale, dall'art. 649 c.p.p.,[1] che correlativamente proclama il principio del ne bis in idem.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c Umberto Albanese, Massime, enunciazioni e formule giuridiche latine, Hoepli, Milano, 1993, p. 337. ISBN 88-203-2057-6
- ^ Sandro Furfaro, Il fatto come oggetto di prova, in Alfredo Gaito, La prova penale, UTET, Torino, 2008, p. 376. ISBN 978-88-598-0250-1