Il regalziér è una tecnica di finitura muraria particolarmente diffusa nel Veneto XV e XVI secolo con precedenti sicuri anche nel medioevo.
Descrizione
[modifica | modifica wikitesto]La tecnica consisteva nel coprire la cortina muraria con un sottile strato di intonaco a base di calce dipinto di rosso (un pigmento ferroso a base di cocciopesto reso più saturo dall'aggiunta di ematite) e dipingervi a fresco, con un bianco di calce, il disegno delle fughe, solitamente con i tratti verticali più ampi. Spesso le fughe orizzontali erano marcate dall'incisione con un punteruolo. Talvolta anche l'impasto conteneva o veniva trattato sostanze oleose (le analisi hanno rintracciato olio di lino) al fine di ottenere una maggiore impermeabilità[1]. Quest'ultima variante della tecnica veniva utilizzata anche nei paramenti esterni, di fatto però solo su un ammattonato preventivamente levigato.
Non deve ingannare l'apparente futilità di tale decorazione, si trattava di invece un intervento necessario per uniformare l'aspetto irregolare delle pareti, Infatti la fabbricazione dei mattoni a quel tempo, per quanto appartenenti alla stessa partita e cioè realizzati con l'argilla proveniente dalla medesima cava e cotti contemporaneamente nello stesso forno, non garantiva una omogeneità sia nel colore (più o meno giallastro o rossastro) sia nella dimensione a causa delle diversità di temperatura raggiunta dal singolo pezzo a seconda della posizione nella catasta. A questo bisogna aggiungere il tradizionale utilizzo di materiali di recupero e i tempi dilatati (determinati da lunghe interruzioni) per giungere alla fine dell'opera: cosa che comportava una forte differenza nelle misure "standard" dei laterizi (nei casi più estremi, come ai Frari, si poteva andare dalle altinelle, lunghe al massimo 17,5 cm, ai mattoni tardogotici, 28-29 cm).
Inizialmente il regalzier imitava un paramento monocromo poi dal Trecento si iniziò a imitare un ammattonato bicromo con gli elementi disposti a formare una trama di figure geometriche. E dalla semplice bicromia l'evoluzione fu semplice per passare ai quattro toni presenti a Santo Stefano o all'imitazione del rivestimento marmoreo del Palazzo Ducale rintracciabile in un lacerto conservatosi a palazzo Cavalli[2].
Questa finitura è di norma associata a fasce complementari di chiusura variamente decorate a fresco. Nelle chiese le fasce lasciano libero lo scorrere del paramento a finto ammattonato limitandosi a contornare arcate e finestre, Invece negli edifici civili spesso il regalzier rimaneva isolato nei riquadri definiti da fasce di sottogronda o marcapiano e dalle bordure di porte e finestrati. È piuttosto difficile immaginare oggi come poteva apparire un palazzo così ornato. A parte l'episodica rappresentazione di Gentile Bellini nel Miracolo della Croce a san Lorenzo, se ne può avere un'idea osservando la facciata di Ca' d'Oro dove, grazie alle maggiori disponibilità dei Contarini, col medesimo gusto è stato riprodotto in pietra quello che altrove poteva essere solo dipinto[3].
Origine
[modifica | modifica wikitesto]L'origine della lavorazione e del suo nome non sono noti. Le ricerche archeologiche hanno tuttavia rinvenuto lacerti di tali finiture risalenti a XII secolo (Venezia, chiesa di San Lorenzo)[4] o altrimenti permane qualche testimonianza iconografica oppure alcune ridotte rimanenze, rimaste aderenti ai muri, rinvenute e notificate nei restauri di fine Novecento[5], e in ogni caso la sua diffusione nell'entroterra veneto risulta già attestata nel Trecento (p.e. in alcune dimore trecentesche di Treviso o Verona e nel castello di Avio in Trentino).
La tecnica risulta comunque saltuariamente presente nel resto della penisola e trova qualche precedente nel nord Europa e nei motivi ricorrenti riscontrabilli nel vicino oriente ad esempio nelle costruzioni dei Selgiuchidi[6]. Anche il lemma, naturalmente contaminato nel gergo da cantiere, presenta qualche assonanza con le lingue germaniche che potrebbe suggerirne la derivazione dai «termini tedeschi die Regel (regola) e die Zier (termine arcaico per Gezierde, cioè "decorazione"), da zieren (adornare, decorare)»[7].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Regalzier 2012, pp. 322-324,
- ^ Piana-Danzi 2002, p. 73.
- ^ Piana-Danzi 2002, pp. 75-76.
- ^ Piana 2000, p. 73.
- ^ Piana-Danzi 2002, pp. 65-66.
- ^ Velluti 2002, p. 30.
- ^ Squassina 2011, p. 267.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN, IT) Anna Remotto, Eleonora Balliana, Francesca Caterina Izzo, Guido Biscontin e Elisabetta Zendri, Regalzier: study of a typical historical plaster finish in Venice, in Conservation Science in Cultural Heritage, vol. 12, Università di Bologna, 2012.
- Angela Squassina, Murature di mattoni medioevali a vista e resti di finiture a Venezia (PDF), in Arqueología de la arquitectura, n. 8, Madrid, 2011.
- (EN) Mario Piana e Edoardo Danzi, The Catalogue of Venetian External Plasters: Wedieval Plasters, in Pierpaolo Campostrini (a cura di), Scientific Research and Safeguarding of Venice – Research Programme 2001-2003 – 2002 results, vol. II, Venezia, Corila, 2003. (Estratto con versione italiana aggiunta: La catalogazione degli intonaci esterni veneziani: Gli intonaci medievali (PDF), su iuav.it.)
- Federico Velluti, L’arredo domestico fisso dal gotico al rinascimento nel territorio cenedese, trevigiano e nel basso bellunese, in Vittorino Pianca e Federico Velluti (a cura di), Interno veneto: arredamento domestico fra trevigiano e bellunese dal gotico al rinascimento : mostra: Vittorio Veneto, Museo del Cenedese, Conegliano, 2002.
- Mario Piana, Note sulle tecniche murarie dei primi secoli dell'edilizia lagunare, in Francesco Valcanover e Wolfgang Wolters (a cura di), L'architettura gotica veneziana - atti del Convegno internazionale di studio, Venezia, 27-29 novembre 1996, Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 2000.
- Norbert Huse e Wolfgang Wolters, Venezia, l'arte del Rinascimento - Architettura, scultura, pittura 1460-1590, Venezia, Arsenale, 1989.
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Paolo Faccio e Paola Scaramuzza, Le tecniche costruttive veneziane (PDF), su iuav.it. URL consultato il 20 marzo 2021.