«Non è vero! I fantasmi non esistono, li abbiamo creati noi, siamo noi i fantasmi...»
Questi fantasmi! | |
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Commedia in tre atti | |
Autore | Eduardo De Filippo |
Lingua originale | |
Genere | Teatro napoletano |
Ambientazione | Uno stanzone di un appartamento arredato in stile secentesco, nel quale variano le suppellettili di atto in atto |
Composto nel | 1945 |
Prima assoluta | 7 gennaio 1946 Teatro Eliseo di Roma |
Personaggi | |
come indicati nel testo dallo stesso autore
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Riduzioni cinematografiche | Cinema: dall'opera di Eduardo, nel 1954 fu tratto un film con la sua regia ed interpretato da Renato Rascel, nel 1967 fu tratto un film con la regia di Renato Castellani e con interpreti Vittorio Gassman e Sophia Loren TV: due trasposizioni televisive con regia dello stesso autore nel 1954 e nel 1962 Trasposizione televisiva del 2011 diretto da Franza Di Rosa ed interpretato da Massimo Ranieri |
Questi fantasmi! è una commedia in tre atti, scritta nel 1945 ed interpretata da Eduardo De Filippo il 7 gennaio 1946, al Teatro Eliseo di Roma, con la Compagnia «Il Teatro di Eduardo con Titina De Filippo».
Questa fu la prima commedia di Eduardo rappresentata all'estero: il 7 giugno 1955 a Parigi, al Théâtre de la Ville – Sarah Bernhardt, in occasione del "Festival internazionale d'arte drammatica".
Dall'opera fu tratto un film omonimo, diretto da Eduardo stesso ed interpretato da Renato Rascel, Erno Crisa e Franca Valeri. Nel 1962 ne venne realizzata una produzione per la televisione diretta ed interpretata dallo stesso Eduardo De Filippo. Infine nel 1967, con la regia di Renato Castellani, e con interpreti Vittorio Gassman e Sophia Loren, ispirò liberamente un film.
Nell'autunno del 1981, Enrico Maria Salerno diresse e interpretò un'edizione dell'opera da lui stesso adattata in italiano, mantenendo il dialetto solo per il personaggio del portinaio, affidato all'attore "eduardiano" Antonio Casagrande.
Trama
[modifica | modifica wikitesto]Ancora una volta, come avviene in molte commedie di Eduardo, il sipario si apre con il palcoscenico al buio. È la commedia della vita che sta per nascere dal buio.
La luce fioca di una candela illumina lo stanzone d'ingresso di un appartamento che si intuisce molto grande. Il "guardaporte", il portinaio Raffaele, fa strada con la luce di una candela a dei facchini che stanno con grande fatica portando nell'appartamento pesanti suppellettili. I facchini stanno per tornare al pianterreno per portare gli altri mobili ma Raffaele, dopo aver in fretta aperto dei finestroni che illuminano lo stanzone, impedisce loro di scendere. Preferisce attendere l'arrivo dell'inquilino Pasquale Lojacono e, mentre aspetta, rubacchia dalle ceste quello che gli può essere utile.
Finalmente arriva Pasquale con una gallina stretta sotto il braccio, ormai morta soffocata, e con nelle mani una gabbietta con un canarino e un fascio di ombrelli. Pasquale si lamenta di avere aspettato inutilmente i facchini dabbasso ma Raffaele li giustifica dicendo che è stato lui a trattenerli per la paura di rimanere solo.
Pasquale si meraviglia dell'eccessiva paura del portinaio, ma questi gli racconta che quel palazzo è molto antico, risalente alla dominazione spagnola di Napoli quando il grande di Spagna, Rodriguez Lòs Deriòs (come pronuncia Raffaele), che aveva "odorato il fieto del miccio"[1], che cioè aveva capito che sua moglie lo tradiva, si mise "appiattolato" (si appostò di nascosto) e, sorpresi i due amanti, li aveva fatti murare vivi nella stessa stanza dove avevano fatto la "schifezza". E come se non bastasse, racconta Raffaele, la sua stessa sorella, Carmela, aveva visto un fantasma e da quel momento era diventata canuta e "scema".
Pasquale comincia a preoccuparsi e a guardarsi intorno impaurito. Prima di tornare nella portineria, Raffaele riferisce quanto è stato incaricato dai proprietari di dire al nuovo inquilino. Soggiornerà a titolo gratuito nel grande, antico appartamento, ma a delle condizioni: dovrà fare il giro dei sessantotto balconi attirando l'attenzione dei vicini battendo tappeti, cantando e ridendo, di modo che la gente non creda più che il palazzo sia infestato dai fantasmi.
Pasquale accetta tutte le strambe condizioni, anche a costo di sembrare matto: questa è l'ultima occasione per cambiare la sua vita e quella di sua moglie. Decide perciò di rimanere nonostante i fantasmi: vuole trasformare l'appartamento in una pensione e in questo modo sistemare la sua ormai critica situazione economica e riconquistare la stima e l'amore di sua moglie Maria.
Nel frattempo i facchini hanno portato un grande armadio che hanno sistemato nell'ingresso e se ne sono andati. Pasquale lascia la stanza d'ingresso per parlare con sua moglie, nel frattempo sopravvenuta. Nella stanza d'ingresso, ormai vuota, si aprono cigolando i battenti del grande armadio dal quale esce un giovane che mette su un tavolo un mazzo di fiori e un pacchetto che apre tirandone fuori un pollo arrosto che sistema in un piatto: ciò fatto se ne ritorna nell'armadio. Pasquale rientrato nella stanza nota i fiori e chiede alla moglie se è stata lei a portarli, ma lei nega ed allora pensa che evidentemente i fantasmi lo abbiano preso in simpatia portandogli dei regali di benvenuto.
In realtà il "fantasma" benefico è Alfredo, un uomo sposato e con figli, divenuto l'amante di Maria che vuole convincere a lasciare il marito: egli con i suoi denari penserà a consolare dell'abbandono Pasquale fornendogli, nelle vesti di fantasma, il denaro di cui ha bisogno per arredare la sua pensione e avviare la sua nuova attività.
Mentre Maria e Alfredo, uscito nuovamente dall'armadio, stanno parlando, torna Lojacono allontanatosi di casa per comprare delle candele. Nella penombra Pasquale scorge Alfredo che, con mosse lente e studiate esce dalla stanza sparendo, con un ultimo inchino di saluto allo stupefatto e terrorizzato Pasquale, convinto di aver incontrato un fantasma buono.
La commedia prosegue con la scena di Pasquale che, tranquillamente seduto sul balcone, sta chiacchierando con il pettegolo professore dirimpettaio, Santanna (descritto nella presentazione dei personaggi della commedia come «anima utile ma che non compare mai»), spiegandogli come basti poco per essere felici, così come lo è lui quando può bersi un caffè da lui stesso preparato con cura[2].
Le cose non vanno bene per Lojacono in quanto, nonostante i generosi aiuti del benefico "fantasma", nessuno ha ancora frequentato la sua pensione.
Proprio di questo egli sta discutendo con sua moglie che gli chiede se si sia mai chiesto da dove provengono quei soldi con cui ha potuto affrontare le prime spese. Pasquale sostiene che non gli importa, egli vuole vivere bene e non si fa domande su chi paghi. La moglie, convinta che il marito sappia della sua relazione, e faccia finta di niente, è ormai decisa a lasciarlo.
Pasquale, invece, crede veramente nell'aiuto extraterreno ed ora è sempre più disperato perché il fantasma buono sembra averlo, senza ragione, abbandonato non facendogli più trovare denari in una tasca di una giacca.
Pasquale gli tenderà allora una trappola per sorprenderlo e chiedergli quanto ha bisogno. Fingerà di partire, ma invece si nasconderà sul balcone.
Il suo piano avrà effetto: sorprenderà Alfredo venuto per fuggire con la sua amante. Pasquale lo implora di aiutarlo e di non abbandonarlo altrimenti perderà tutto ma soprattutto sua moglie che ama profondamente. Alfredo si commuove e, convinto della ingenua buona fede di Pasquale, gli lascerà sul tavolo, annunziandogli la sua definitiva scomparsa, un fascio di denari con i quali era intenzionato a pagare la sua fuga con l'amante a cui ha ormai rinunciato.
Pasquale, invasato dalla gioia, contando i biglietti di banca e mostrandoli al professor Santanna - che naturalmente assisteva alla scena sul balcone di fronte - lo ringrazia per avergli suggerito lo stratagemma della finta partenza, e gli dice: «Mi ha lasciato una somma di denaro... però dice che ha sciolto la sua condanna... che non comparirà mai più... Come?... Sotto altre sembianze? È probabile. E speriamo...»
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Letteralmente in napoletano sentì la "puzza del lucignolo" o, più sensatamente in questo caso, "la puzza della miccia" che bruciava, vale a dire, in italiano, "subodorò" il tradimento dei due amanti (in Raffaele D'Ambra, Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri, edito a spese dell'autore, 1873, p.180 e 242 e in Raffaele Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano, ed. G.B. Paravia, 1887, p.399)
- ^ È questa la famosa ricetta del caffè che il protagonista espone al professore che alla parola "becco" finge, un po' per scherzo un po' sul serio, di non capire che Pasquale non sta parlando di se stesso, nel senso di "cornuto", ma della caffettiera: «Sul becco [della caffettiera napoletana] io ci metto questo "coppitello" (cappuccio) di carta [in modo che] il fumo denso del primo caffè che scorre, che è poi il più carico, non si disperde. Come pure ...prima di colare l'acqua, che bisogna farla bollire per tre, quattro minuti, per lo meno, ...nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata, ...in modo che, nel momento della colata, l'acqua in pieno calore già si aromatizza per conto suo».
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Eduardo De Filippo, Teatro (Volume secondo) - Cantata dei giorni dispari (Tomo primo), Mondadori, Milano 2005, pagg. 317-484 (con una Nota storico-teatrale di Paola Quarenghi e una Nota filologico-linguistica di Nicola De Blasi)