Giuditta con la testa di Oloferne | |
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Autore | Hans Baldung |
Data | 1525 circa |
Tecnica | olio su tavola |
Dimensioni | 208,5×74 cm |
Ubicazione | Museo nazionale tedesco, Norimberga |
Giuditta con la testa di Oloferne (in tedesco Judith mit dem Haupt des Holofernes) è un dipinto a olio su tavola dipinto nel 1525 circa dall'artista tedesco Hans Baldung. L'opera è conservata al museo nazionale tedesco di Norimberga.[1][2]
Descrizione
[modifica | modifica wikitesto]Il dipinto ritrae Giuditta, la protagonista del libro omonimo dell'Antico Testamento, dopo aver decapitato Oloferne, il generale assiro che stava mettendo sotto assedio la città nella quale viveva. L'eroina biblica occupa tutto lo spazio della composizione verticale ed emerge dallo sfondo nero in tutta la sua nudità. Le sue gambe sono incrociate in una posa strana.[3][4]
L'opera è molto simile ad altre tre tavole di Baldung che ritraggono dei soggetti nudi su uno sfondo nero: sono l'Adamo e l'Eva del museo di belle arti di Budapest e il dipinto Venere e Cupido conservato nel museo Kröller-Müller di Otterlo, nei Paesi Bassi.[5] In effetti, è molto probabile che queste quattro opere siano le stesse che Remigius Fesch cita in un suo manoscritto, secondo il quale nel 1641 furono inviati da Strasburgo a Basilea quattro quadri di Baldung a grandezza d'uomo ritraenti questi personaggi.[2]
La donna impugna con la sua mano destra un coltello invece che una spada (l'arma presente in molte altre opere sul tema della decapitazione di Oloferne), probabilmente perché Baldung riprese il termine pugio usato nella traduzione latina del Vecchio Testamento (la Vulgata), mentre con la sinistra tiene per i capelli la testa decapitata del generale assiro.[3] Invece di guardare lo spettatore, lo sguardo dell'eroina biblica è rivolto verso la sua sinistra, come se ella stesse nascondendo qualcosa: si tratta di un espediente adoperato anche per l'Eva del dipinto Eva, il serpente e la Morte, conservato alla galleria nazionale del Canada di Ottawa, con la quale condivide il sorriso enigmatico.[6]
L'opera appartiene a un tema artistico molto diffuso in area tedesca nel secolo sedicesimo, quello del potere delle donne (Weibermacht), che riprendeva degli episodi biblici o mitologici nei quali delle donne soggiogavano gli uomini.[2][7] Come molti autori nordici di quel periodo, il dipinto baldunghiano ritrae una Giuditta erotica e pericolosa, un'incarnazione dei pericoli che possono derivare dalla seduzione lussuriosa.[3][8] Un accenno di peluria pubica (che nell'arte rinascimentale era rarissima, per lo più presente nelle opere erotiche) non fa che sessualizzare maggiormente la figura, trasformandola da eroina del popolo ebraico a seduttrice fatale.[4]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ (DE) Judith mit dem Haupt des Holofernes - Deutsche Digitale Bibliothek, su www.deutsche-digitale-bibliothek.de. URL consultato il 4 gennaio 2025.
- ^ a b c (DE) Judith mit dem Haupt des Holofernes, su objektkatalog.gnm.de. URL consultato il 4 gennaio 2025.
- ^ a b c Wills 2019, p. 132.
- ^ a b (EN) Sherry C. M. Lindquist, The Meanings of Nudity in Medieval Art, Ashgate Publishing, Ltd., 2012, p. 196, ISBN 978-1-4094-2284-6. URL consultato il 4 gennaio 2025.
- ^ BALDUNG, Hans detto Grien - Enciclopedia, su Treccani. URL consultato il 4 gennaio 2025.«Del 1825 [sic] è una serie di nudi, fra cui la Giuditta (Norimberga), Adamo ed Eva (Budapest), Venere e Cupido (L'Aia, collezione Kroeller), ove un'euritmia lineare subentra alla plasticità robusta.»
- ^ (EN) Karl A. E. Enenkel, Theatre of Sexual Attraction and Psychological Destruction: The Myth of Hercules and Omphale in the Visual Arts, 1500–1800, BRILL, 11 novembre 2024, p. 88, ISBN 978-90-04-69465-1. URL consultato il 4 gennaio 2025.
- ^ Wills 2019, p. 130.
- ^ (EN) Kevin R. Brine, Elena Ciletti e Henrike Lähnemann, The Sword of Judith: Judith Studies Across the Disciplines, Open Book Publishers, 2010, p. 252, ISBN 978-1-906924-15-7. URL consultato il 4 gennaio 2025.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Lawrence M. Wills, Judith, Fortress Press, 5 novembre 2019, ISBN 978-1-5064-6382-7.
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