«D. Girolamo Branconio, abbate di S. Clemente della Pescara, dottore e uomo di gran bontà, pietosissimo verso i poveri, e da tutti riverito per uno de' più esemplari Ecclesiastici che fossero in quei paesi (...)»
Girolamo[2] Branconio (L'Aquila, 1560 circa – L'Aquila, 1629) è stato un abate, letterato e mecenate italiano. Fu uno dei più importanti personaggi della famiglia aquilana dei Branconio.
Biografia
[modifica | modifica wikitesto]Nacque nella seconda metà del XVI secolo, probabilmente intorno al 1560,[3] da Fabrizio Branconio e Giulia Porcinari; Fabrizio fu importante esponente politico e, per quattro occasioni, camerlengo cittadino, mentre Giulia era l'erede del nobile casato dei Porcinari.[4]
Ereditò dall'antenato Giovanni Battista Branconio il controllo dell'abbazia di San Clemente a Casauria e ne divenne abate e commendatario già in giovanissima età, tra gli anni ottanta[3] e novanta[4] del Cinquecento. Oltre che per gli interessi religiosi, si distinse per abilità amministrativa e spirito mecenatistico, investendo numerose risorse nella cura e nell'abbellimento del patrimonio familiare, tra cui spiccava il palazzo Branconio in piazza San Silvestro.[4] Nella prima metà del XVII secolo acquistò da Ludovico Organella da Roio alcuni fabbricati posti all'angolo tra piazza San Silvestro e via Garibaldi dove realizzò l'edificio oggi noto come palazzo Farinosi Branconi, riunificando in esso una serie di unità edilizie d'origine cinquecentesca ed originariamente autonome.[5][6]
Negli anni seguenti commissiona a numerosi artisti, per lo più di scuola raffaellesca, la decorazione dei possedimenti di famiglia, principalmente la cappella nella chiesa di San Silvestro, commissionata al pittore Giulio Cesare Bedeschini, e alcune sale del nuovo palazzo — tra cui spicca la Sala di San Clemente[7] — che, nel 1639, divenne residenza di tutta la famiglia.[8] All'interno del giardino del vecchio Palazzo Branconio realizza inoltre un Casino delle Delizie facendolo affrescare interamente con un ciclo di storie sulla vita di Mosè, ad oggi quasi completamente perduto.[7]
Pur essendo vicino alla spiritualità oratoriana, fu tra i principali mediatori nel confronto tra la comunità religiosa aquilana ed i Gesuiti, da poco approdati in città;[6] partecipò ad alcune esercitazioni poetiche e, all'inizio del XVII secolo, compare nell'opera d'ispirazione boccaccesca Delle giornate aquilane di Scipione Pisanelli (1602).[4] Fu membro attivo, con l'umanista Salvatore Massonio, dell'Accademia dei Velati che raggruppava l'élite cittadina dell'epoca.[4]
Dotato di notevole abilità nella cura del patrimonio, venne scelto come tutore dei nipoti Alessandro Branconio (figlio del fratello Orazio) e Giovambattista Branconio (figlio della sorella Olimpia).[4] Strinse, inoltre, amicizia con il cardinale Alessandro Crescenzi che lo aiutò economicamente nella fondazione dell'oratorio aquilano di San Filippo Neri.[4]
Morì all'Aquila nel 1629.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Luigi Orsolini, Vita del venerabile servo di Dio, P. Baldassare Nardi (Lib. I), Roma, 1674, p. 16.
- ^ Talvolta citato come Gerolamo o Geronimo.
- ^ a b Ciano, p. 17.
- ^ a b c d e f g Girolamo Branconio (PDF), su cultura.regione.abruzzo.it. URL consultato il 9 marzo 2016.
- ^ Mario Moretti, Marilena Dander, Architettura civile aquilana dal XIV al XIX secolo, L'Aquila, Japadre, 1974, p. 131.
- ^ a b Ciano, p. 20.
- ^ a b Antonello Cesareo, Memorie raffaellesche in una decorazione di fine Cinquecento: Le Storie di Mosè nel casino Branconio a L’Aquila, in Bollettino d'Arte, vol. 123, gennaio-marzo 2003, p. 39.
- ^ Ciano, p. 9.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Vincenzo Bindi, Artisti Abruzzesi. Pittori scultori architetti maestri di musica fonditori cesellatori figuli, dagli antichi a' moderni. Notizie e documenti, Napoli, De Angelis, 1883.
- Angela Ciano, Palazzo Farinosi-Branconi, L'Aquila, Ufficio Stampa Giunta Regionale, 2003.
- Alessandro Clementi e Elio Piroddi, L'Aquila, Bari, Laterza, 1986.
- Alfonso Dragonetti, Le vite degli illustri aquilani, L'Aquila, Francesco Perchiazzi Editore, 1847. URL consultato il 18 febbraio 2021.