La cosiddetta Elegia del naufragio[1] di Archiloco[2] è, forse, l'unico componimento integro del giambografo di Paro a noi pervenuto.
«Κήδεα μὲν στονόεντα, Περίκλεες, οὔτε τις ἀστῶν
μεμφόμενος θαλίηις τέρψεται οὐδὲ πόλις·
τοίους γὰρ κατὰ κῦμα πολυφλοίσβοιο θαλάσσης
ἔκλυσεν· οἰδαλέους δ᾽ ἀμφ᾽ ὀδύνηισ᾽ ἔχομεν
πνεύμονας. ἀλλὰ θεοὶ γὰρ ἀνηκέστοισι κακοῖσιν,
ὦ φίλ᾽, ἐπὶ κρατερὴν τλημοσύνην ἔθεσαν
φάρμακον. ἄλλοτε τ᾽ ἄλλος ἔχει τάδε· νῦν μὲν ἐς ἡμέας
ἐτράπεθ᾽͵ αἱματόεν δ᾽ ἕλκος ἀναστένομεν͵
ἐξαῦτις δ᾽ ἑτέρους ἐπαμείψεται. ἀλλὰ τάχιστα
τλῆτε γυναικεῖον πένθος ἀπωσάμενοι.»
«Pericle, nessuno dei cittadini, lamentandosi dei lutti lacrimevoli,
si rallegra di festa, né la città;
infatti tali sono quelli che l’onda del mare sonoro
inghiottì e per il dolore abbiamo gonfi
i polmoni. Ma gli dei, infatti, per i mali incurabili,
amico, diedero la virile rassegnazione
come cura; or l’uno, or l’altro ha questo; ora a noi
tocca e piangiamo la ferita sanguinosa,
ma toccherà a loro volta ad altri; però subito
sopportate scacciando il lutto da femmine.»
Il frammento, in distici elegiaci, è una riflessione, all'amico Pericle, sulle vittime di un naufragio, in cui era morto il marito della sorella del poeta[3]. Nonostante l'apparente elemento gnomico tradizionale della saggezza dei forti, Archiloco mostra la sua soggettività ammonendo, tra le righe, che il dolore capita a tutti.