Siamo abituati a pensare l'amore come una forza che unisce. In realtà, è una forza che divide. E' il Vangelo a ricordarlo. Gesù ha dichiarato solennemente: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Perché sono venuto a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno i suoi familiari. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me.» (Matteo, 10-21) Il paradosso evangelico in realtà rivela una grande verità: andando in cerca di ciò che unisca incontriamo ciò che divide. La forza che spinge a cercare l'altro incontra sulla sua strada innumerevoli 'ostacoli': non il semplice sentimento che è in noi basta a fare di noi amanti perfetti. L'altro chiede molto di più. Quello stesso sentimento viene spesso negato, in nome di un amore più grande, più vero, più puro, più sincero. Verità, purezza, sincerità, autenticità, allora, si accamperanno subito sulla scena come valori, principi, regole da soddisfare, che ci allontaneranno dall'oggetto d'amore, che ci faranno vivere sentimenti di esclusione, di abbandono. Sperimenteremo la mancanza, la lontananza, la perdita. Ci sentiremo non amati o non amati a sufficienza. Ci ritroveremo impegnati nella battaglia per il riconoscimento che sempre contraddistingue l'esperienza d'amore. Proveremo il dolore della mente, il dolore dell'attesa. Una fede adulta e la maturità emotiva soltanto ci consentono di pensare l'amore nella sua realtà complessa, come prendersi cura dell'altro, più che puro sentire, sentimento, affettività e basta. L'amore non è un semplice sentimento e nemmeno un sentimento semplice Nella vita di coppia si è sempre cercato il criterio interpretativo per definire la ragione dell'insuccesso o del successo della coppia stessa, immaginando di volta di volta che alla base dell'armonia coniugale ci fosse la grande affinità dei caratteri o, al contrario, la grande diversità. E ogni volta, proverbi, sentenze, motti celebri hanno giustificato la 'verità' degli assunti. Oggi sappiamo, invece, che non è vera in assoluto né l'una né l'altra cosa, ma soltanto gli schemi di attaccamento positivi e l'intensità dei sentimenti di vergogna influenzano l'intimità e quindi i modelli di comportamento personali. [modifica] La 'ferita dei non amati' Nell'opera di PETER SCHELLENBAUM, La ferita dei non amati. Il marchio della mancanza d'amore, RED EDIZIONI 1991 si affronta la questione affascinante della sensazione che si prova a non sentirsi amati. C'è chi sostiene che alla base della tossicodipendenza ci sarebbe una ferita originaria, vera o presunta non importa: il soggetto vive come irredimibile quell'antica vicenda personale che solo un'approfondita analisi esistenziale può riportare alla luce, per riscattare quel passato e «diventare finalmente la madre e il padre amorosi che mancarono quando ce n'era bisogno». [modifica] Citazioni da opere letterarie e filosofiche «Nel Convito, PAUSANIA distingue dall'eros volgare, che si rivolge ai corpi, l'eros celeste, che si rivolge alle anime. Il medico ERISSIMACO vede nell'amore una forza cosmica che determina le proporzioni e l'armonia di tutti i fenomeni così nell'uomo come nella natura. ARISTOFANE, col mito degli esseri primitivi composti d'uomo e di donna (androgini), divisi dagli dèi per punizione in due metà di cui l'una va in cerca dell'altra per unirlesi e ricostituire l'essere primitivo, esprime uno dei caratteri fondamentali che l'amore rivela nell'uomo: l'insufficienza. Da questo carattere, appunto, prende le mosse SOCRATE: l'amore desidera qualche cosa che non ha, ma di cui ha bisogno, ed è quindi mancanza. Il mito infatti lo dice figlio di Povertà (Penìa) e di Acquisto (Poros); come tale esso non è un dio, ma un dèmone; perciò non ha la bellezza ma la desidera, non ha la sapienza ma aspira a possederla ed è quindi filosofo, mentre gli dèi sono sapienti. L'amore è dunque desiderio di bellezza; e la bellezza si desidera perché è il bene che rende felici. L'uomo che è mortale tende a generare nella bellezza e quindi a perpetuarsi attraverso la generazione, lasciando dopo di sé un essere che gli somiglia. La bellezza è il fine, l'oggetto dell'amore. Ma la bellezza ha gradi diversi ai quali l'uomo può sollevarsi solo successivamente attraverso un lento cammino. In primo luogo, è la bellezza di un corpo quella che attrae ed avvince l'uomo. Poi egli si accorge che la bellezza è uguale in tutti i corpi e così passa a desiderare e ad amare tutta la bellezza corporea. Ma al di sopra di essa c'è la bellezza dell'anima; al di sopra ancora, la bellezza delle istituzioni e delle leggi e poi la bellezza delle scienze e infine, al di sopra di tutto, la bellezza in sé, che è eterna, superiore al divenire e alla morte, perfetta, sempre uguale a se stessa, fonte di ogni altra bellezza e oggetto della filosofia». (da N.ABBAGNANO-G.FORNERO, Filosofi e filosofie nella storia, PARAVIA 1986)
«Il mito è quello platonico di Poros e Penia. Poros ebbro, venendo meno alla sua natura di figlio di Métis, si congiunge con la Sete senza fine di Penia, col non-essere del soddisfacimento illusorio ed effimero, con la privazione e la miseria che succedono ad ogni apparente appagamento. Eros nasce da questo obnubilamento della potenza e pienezza dell'Essere. Pandora è il frutto di questo deragliamento dell'Essere, la donna del desiderio per la quale, secondo Esiodo, entra nel mondo la morte». (da Massimo CACCIARI, Dallo Steinhof. Prospettive viennesi del primo Novecento, ADELPHI 1980, pag.171)
Amore non è una cosa tranquilla, non è delicatezza, confidenza, conforto. Amore non è comprensione, condivisione, gentilezza, rispetto, passione che tocca l'anima o che contamina i corpi. Amore non è silenzio, domanda, risposta, suggello di fede eterna, lacerazione di intenzioni un tempo congiunte, tradimento di promesse mancate, naufragio di sogni svegliati. Amore è toccare con mano il limite dell'uomo. Scrive Platone: «Gli amanti che passano la vita insieme non sanno dire che cosa vogliono l'uno dall'altro. Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provano una passione così ardente a essere insieme. E' allora evidente che l'anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vari presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio». Non bisogna leggere Platone in modo "platonico", cioè ascetico, edificante, cristiano. Non bisogna intendere la mortificazione del corpo come mortificazione dei piaceri, delle passioni, della sessualità. Platone guarda più in alto, i problemi che gli stanno a cuore sono quelli della dicibilità della indicibilità, quindi le regole della ragione e gli abissi della follia. Guardando "le cose d'amore" o, come dice il testo greco, ta aphrodisia, Platone si chiede che cosa con esse l'anima riesce o non riesce a dire. E dove il dire si interrompe e la regola non basta a portare la parola ad espressione si apre lo sfondo buio del presagio e dell'enigma. Amore appartiene all'enigma e l'enigma alla follia. L'amore porta fuori dal luogo dove solitamente si svolge la vita, crea uno stato di sospensione in cui spazio e tempo perdono estensione e durata. Estraneo all'ordinato scorrere della quotidianità, l'amore è atopos, è fuori luogo. Le cose d'amore, infatti, non appartengono al racconto dell'anima razionale perché, in loro presenza, l'anima subisce una dislocazione (atopia) che, spostando il regime delle sue regole, indebolisce il possesso di sé. La sua trama viene interrotta da qualcosa di troppo che, spezzando la continuità del dire e l'ordine del discorso, porta verso itinerari di fuga che l'anima non riesce a inseguire. Pulsioni e desideri, infatti, irrompendo come significanti incontrollati nell'ordine dei significati statuiti, producono nel senso quel controsenso che fa ruotare i discorsi senza immobilizzarli intorno a un disposi-tivo ideale che l'anima ha faticosamente raggiunto come sua connessione. da UMBERTO GALIMBERTI, Gli equivoci dell’anima
«Sono sempre i nostri muri quelli contro cui urtiamo e su cui proiettiamo la nostra immagine del mondo, sia che cerchiamo di amplificare il nostro spazio, sia che vi accatastiamo i nostri beni.» «Solo chi rimane completamente se stesso si presta alla lunga a venire amato, perché solo così, nella sua pienezza vitale, può simbolizzare per l’altro la vita, essere avvertito come una potenza di essa. Non vi è errore più grande nell’amore dell’adattarsi timorosamente l’uno all’altro e di uniformarsi a vicenda…»
«Un eterno rimanere estranei nell’eterna vicinanza è dunque il segno più pertinente e inalienabile di ogni amore in quanto tale: …non solo nel disprezzo o nell’amore non ricambiato, infatti, ma dappertutto, ovunque dove ci si ama, l’uno sfiora solo l’altro lasciandolo poi a se stesso. E’ sempre una stella irraggiungibile che noi amiamo, e ogni amore è sempre nella sua profonda essenza una segreta tragedia, ma proprio per il fatto di esserlo riesce ad avere effetti così potentemente produttivi.»
LOU ANDREAS SALOME’, Riflessioni sull’amore (1900)
E Giove seguitò dicendo: avranno tuttavia qualche mediocre conforto da quel fantasma che chiamano Amore.
GIACOMO LEOPARDI, Storia del genere umano
E un'altra volta, ancora in quel viaggio, durante la traversata di quello stesso oceano, anche quella volta era già notte, nel salone del ponte principale, l'esplosione di un valzer di Chopin che lei conosceva in modo segreto e intimo, perché per mesi aveva tentato di impararlo e non era mai riuscita a suonarlo bene, mai, tanto che poi sua madre le aveva permesso di non studiare più il pianoforte. Quella notte, perduta tra tante e tante notti, la ragazza, di questo era certa, l'aveva trascorsa su quella nave e c'era quando ciò era successo, quando era esplosa la musica di Chopin sotto il cielo luminescente. Non c'era un alito di vento e la musica si era propagata per tutto il piroscafo buio, come un'ingiunzione del cielo, come un ordine divino dall'ignoto significato. E la ragazza si era alzata come per andare a uccidersi a sua volta, a buttarsi a sua volta in mare e poi aveva pianto, perché aveva pensato all'uomo di Cholen e tutto a un tratto non era più sicura di non averlo amato, solo che quell'amore non l'aveva visto perché si era perso nella storia come acqua nella sabbia e lei lo ritrovava soltanto ora, nell'istante della musica sul mare. MARGUERITE DURAS, L'amante
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