Avevo inserito la voce Noncognitivismo teologico in quanto la Teologia negativa, l'Apofatismo, è il principale argomento con cui i noncognitivisti sostengono che il termine dio sia privo di significato. Se il teista propone una definizione di "dio" al negativo ... non sta dicendo nulla. Dio non è un oggetto e neanche un concetto o un'idea; non è questo e non è quello. Bene, che rob'è? Da qui nasce la posizione noncognitivista. Pensavo che fosse equilibrato far sapere a chi accede a queste due pagine che esiste anche la posizione del Noncognitivismo teologico che è direttamente antagonista rispetto all'Apofatismo, alla Teologia negativa. Così come è giusto far sapere a chi cerca la voce Teologia che esiste anche la voce Ateismo.
Il noncognitivista sulla questione teista non nega affatto che esistano intuizioni intellettuali universali che non possono essere facilmente definite: il concetto di realtà è chiaro a tutti ma forse impossibile da spiegare; il concetto di numero è tostissimo, ma lo capiamo tutti; il concetto di legge di causa-effetto fa venire le vertigini, ma lo accettiamo tutti. E così via. Il concetto di "dio" è ... assente.
Proporrei pertanto di reinserire la voce Noncognitivismo teologico.
Tutta la seguente parte sul contributo di Parmenide alla teologia negativa mi sembra inesatta o quantomeno confusa. "La teologia negativa di Plotino tuttavia partiva già (...) anche dalle considerazioni di Parmenide (V secolo a.C.) e della scuola eleatica a proposito dell'essere,[5] basate su un pensiero logico-formale di tipo negativo: gli eleati infatti erano stati i primi a utilizzare la tecnica della dimostrazione per assurdo, con cui affermavano che l'essere è e non può non essere perché il contrario conduce a una contraddizione. Giungevano cioè a dimostrare la verità dell'essere non tramite un procedimento diretto ma per via indiretta, secondo la prospettiva puramente formale della logica di non-contraddizione. L'essere risultava così per Parmenide totalmente privo di contenuti sostanziali, cioè di predicati che in qualche modo lo oggettivassero e ne dessero una definizione positiva: l'uso della semplice copula è senza l'aggiunta di un predicato nominale — per cui non diceva cosa l'essere è, ma solo che l'essere è, e basta — evidenzia il carattere indefinito dell'essere, non oggettivabile né quantificabile".
Mi sembra inesatto utilizzare l'aggettivo negativo per un pensiero che afferma, al contrario, che L'Essere supremo può solo essere e non non essere. Inoltre mi sembra propro inesatto dire che "L'essere risultava così per Parmenide totalmente privo (...) di predicati che in qualche modo lo oggettivassero e ne dessero una definizione positiva"; infatti basta visitare la pagina Parmenide di wikipedia per rendersi conto che non è così. Parmenide dà delle precise definizioni positive dell'essere: l'essere è uno, l'essere è eterno, è immobile, è indivisibile, è ingenerato ecc. Ora sebbene le ultime definizioni possano essere considerate negative (non mobile, non divisibile, non generato) le prime due sono assolutamente positive. Affermare che l'essere è eterno non mi sembra affatto un modo per fare dell'essere un concetto indefinito. Sarebbe forse meglio utilizzare l'aggettivo "astratto" per definire l'essere parmenideo in questo caso. Anche l'attribuire all'essere la caretteristica di unicità (l'essere è uno) mi sembra che non dia un carattere non quantificabile all'essere come è stato scritto. grazie
Guarda, ti ha già risposto Plotino: «Noi siamo gli esegeti delle teorie di tanto tempo fa, la cui antichità ci è testimoniata dagli scritti di Platone. Prima di lui anche Parmenide affermava una simile dottrina quando riduceva all'unità l'essere e l'intelligenza, e negava che l'essere consistesse nelle realtà sensibili. Egli diceva che l'essere e il pensiero sono la stessa cosa» (Enneadi, V, 1, 8)--217.203.91.122 (msg) 15:32, 24 dic 2013 (CET)
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