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[...] Ho provato e riprovato ma non sono riuscito a capire se ho firmato. Ho cliccato il tasto della Firma. E' giusto?
Francesco Mattesini--93.45.239.153 (msg) 18:02, 20 dic 2019 (CET)
- [@ Parma1983] Scusa di nuovo, ma ci risiamo.--Korvettenkapitän_Prien (sala radio) 03:48, 22 dic 2019 (CET)
- Grazie, [@ Korvettenkapitän Prien]. Intanto che c'ero, ho rimosso anche il messaggio lasciato da un ip 12 anni fa, che, nonostante gli ottimi intenti del suo autore, era decisamente fuori luogo per una pagina di discussione di Teknopedia.
- Gentile Francesco Mattesini, vale quanto ho scritto nell'altra pagina di discussione: per la stessa ragione, ho dovuto rimuovere anche da qui il testo che avevi inserito--Parma1983 12:33, 22 dic 2019 (CET)
Non parliamone più, dato che si mette in discussione la mia buona fede. Era un servizio che vi ho fatto perché ritenvo che avreste avuto il coraggio di riprodurlo. Mi sono sbagliato.
Da questo momento sono libero di inserire l'articolo, che avete rifiutato, in un altro sito. Preferisco un Forum dove ci siano delle discussioni.
Cordialmente
Francesco Mattesini--93.45.236.249 (msg) 12:18, 23 dic 2019 (CET)
- Gente, scusate ma devo farvi notare una cosa. Il nostro contributore è davvero Francesco Mattesini, lo storico dell'USSMI che ha firmato tanti libri di grande spessore. Non ha dimestichezza con le nostre regole ma può fornirci informazioni di prima mano dato che ha accesso agli archivi storici della Marina Militare. Io vorrei gestire i suoi contributi ed in passato l'ho fatto ma ora ci sono poco. Davvero non riusciamo a gestire questi contributi? Vi prego di fare uno sforzo in questo senso. L'amico parla di forum e noi sappiamo che Wiki non è un forum, ma davvero non riusciamo a guidarlo on modo produttivo? Grazie da adesso. --Pigr8 La Buca della Memoria 19:44, 24 dic 2019 (CET)
Si! Sono Francesco Mattesini, da ben cinqunt'anni collaboratore degli uffici storici dell'Aeronautica e della Marina, e ho postato l'articolo, che WIKIPEDIA ha rifiutato, nel sito CON LA PELLEA APPESA A UN CHIODO - INCROCIATORE DA BARBIANO.
Avevo pensato a WIKIPEDIA per avervi postato altri miei lavori di valore. Quest'ultimo era una nuova scoperta su un avveniemento che come viene trattato nei vari siti o pubblicazioni é completamente errato. In poche parole:
L'avvistameto aereo dei cacciatorpediniere britannici non fu preso in considerazione da Supermarina, perché avevano segnalato che quelle navi avessero una velocità di 20 nodi, mentre iìnvece, passato Algeri e dirigendo verso Malta, la loro ordinata velocità era di 30 nodi, e ciò per superare il più velocemente possibile il tratto di mare verso Capo Bon, e sfuggire agli attacchi dell'Aeronautica italiana della Sardegna. Erano attesi a Malta per importanti operazioni (attacchi ai convogli dell'operazione M.41), e non dovevano farsi distrarre da eventuali avvistamenti di navi nemiche.
L'avvistamento notturno del Ricognitore britannico WELLINGTON VIII (l'unico della giornata del 12 dicemnbre), fpornito di radar di scoperta navale ASV II, si verificò mezz'ora prima della tragedia di Capo Bon, e non vi fu il tempo, nella ritrasmissione da Malta, di avvertire i cacciatorpediniere, che però erano stati informati (per intercettazione e descrittazione dell'ULTRA) sulla possibilità di incontrare tre incrociatori italiani (e quindi da stargli alla larga). I cacciatorpediniere non ricevettero nessun ordine di raggiungere ed attaccare le unità italiane.
Tuttavia la presenza dell'aereo britannico causò la segnalazione a luce bianca del velivolo da parte della torpediniera CIGNO, che avverti la nave ammiraglia DA BARBIANO. Fu lo scambio di questìi segnali con lampeggiatore che fece avvistare ai cacciatorpediniere gli incrociatori italiani, una prima volta visti sparire dietro il promontorio di Capo Bon, per poi riapparire, dopo un segnale radar, mentre avevano invertito la rotta e dirivano contro i cacciatorpediniere, che a queto punto vistisi minacciati, stretti tra le navi nemiche e la costa, attaccarono con gli esiti che conosciamo.
La manovra d'inversione rotta del DA BARBIANO era avvenuta im seguito ad una segnalazione di Supermarina a Marina Messina, circa l'uscita da Malta di un convoglio britannico. Il segnale fu ritrasmesso (é non era il caso di farlo) da Marina Messina al DI BARBIANO, e poiché nessuno riusci a decifrarlo correttamente (neppure sul DI GIUSSANO e sulla torpediniera CIGNO), fu erroneamente ritenuto che, avvistato il convoglio (inesistente) potesse essere attaccato.
Quando le vedette dell'ammiraglio Toscano segnalarono ombre scure, Toscano (che non riteneva esistesse alcuna mimnaccia dai cacciatorpediniere britannici i quali in base ai suoi calcoli non sarebbero arrivati a Capo Bon prima delle 05.00, e quindi dure ore dopo che egli aveva superato quel promontorio), ritenendo che tali ombre fossero i piroscafi del convoglio segnalato, ordinò l'improvvisa inversione di rotta per 160°, che lo portava in direzione della costa, con gli uominoi al posto di combattimento e le armi pronte a far fuoco. Si accorse che in realtà si trattava di cacciatorpediniere soltanto pochi secondi prima che lanciassero i siluri.
Occorre dire che girato Capo Bon, e riavvistati, dopo i segnali a luce bianca, gli incrocuiatori italiani, i cacciatorpediniere britannici, per ordine del capitano di fregata Stokes sul SIKH, si portarono sotto la costa di Capo Bon riducendo la velocità da 30 a 20 nodi, per non mostrare un vistoso baffo di prua, e non sapendo ancora cosa fare, perché gli oirdini ricevuti dall'ammiraglio Somerville erano di non attaccaree. Fu l'inversione di rotta di Toscano, che arrivava alla carica pensando di fare un boccone degli inesistenti piroscafi, che, non avendo altre possibilità di sottrarsi all'attacco, trovandosi stretti tra la costa e gli incrociatori italiani, che li indussero ad andaree all'attacco, per poi scappare verxso sud ad alta velocità, senza occuparsi della torpediniera CIGNO.--93.45.238.74 (msg) 12:12, 29 dic 2019 (CET)
Nel corso della prima missione del 9 dicembre, il rientro a Palermo non era giustificato, tanto che Toscano ricevve dal Sottocapo di S.M. della Marina (ammiraglio Sansonetti) l'ordine categorio per la seconda missione di raggiungere a tutti i costi Tripoli, per portarvi urgentemente la benzina avio che i suoi incrociatori avevano a bordo. Tuttavia, l'inversione di rotta, impedì a tre incrociatorie e due cacciatorpediniere, salpati da Malta di intercettarlo.
Nella seconda missione l'unica minaccia era rappresentata da dodici aerosiluranti, partiti da Malta, per attaccarlo al mattino nella zona di Marettimo. Ciò non avvenne per l'affondameto dei due incrociatori italiani.
Non vi era nessuna minaccia di navi di superficie perché le unità presenti alla Valletta non partirono, per ordine dell'ammiraglio Cunningham, allo scopo di risparmiare la nafta, da riservare tutta per l'attacco ai convogli dell'operazione M.41 nello Ionio.
Se WIKIPEDIA ha ancora il mio articolo, é autorizzata, per aggiornare la VOCE, ad usare qualsia informazione dell'articolo stesso. Ma non si metta in dubbio la mia credibilità--93.45.231.125 (msg) 20:16, 26 dic 2019 (CET)
Francesco Mattesini
- Francesco, ti chiamai qualche anno fa avendo il numero da Virgilio. Allora parlammo di Teknopedia e di come la contribuzione qui fosse diversa da altrove, ma molto di più di cose tecniche, quindi cerco di guidarti adesso. Questo non è un blog o una delle pubblicazioni USSMI o SISM (ho letto il tuo articolo sul doppio volume SISM di quest'anno), ma una enciclopedia. Non abbiamo le restrizioni di spazio che avrebbero in Treccani (per esempio), ma l'impegno di mantenere sulle voci un taglio enciclopedico, uno stile più sobrio di quello che useremmo in una rivista di settore. Vorrei rassicurarti sul fatto che qui nessuno mette in dubbio chi tu sia; chi ti conosce di fama o personalmente non ne ha motivo e chi non ti conosce non si pone il problema perchè qui i contributi vengono valutati per la qualità e non per il nome di chi li scrive. Cosa vuol dire esattamente? Tu, io chiunque qui abbiamo solo uno pseudonimo, necessario per l'attribuzione dei contributi, ma nessuno garantisce che un utente con nick Nome Cognome sia davvero Nome Cognome. Cosa fa la qualità allora? Esattamente il contrario di quello che avviene nelle riviste o pubblicazioni ordinarie. Se Francesco Mattesini scrive un libro, il suo nome è garanzia sufficiente; non di meno anche tu alleghi le fonti alle tue pubblicazioni. Però se hai notizie originali e le pubblichi sei un passo avanti agli altri. Qui invece viene definita "ricerca originale" perché Wiki non è fonte primaria ma si rifà alle fonti primarie, e non va bene. Quindi paradossalmente per usare al meglio le tue informazioni ogni aggiunta andrebbe collegata ad una pubblicazione esistente, un libro, un articolo su rivista o bollettino o sito web; se è un libro servirebbe anche il numero di pagina o pagine. Saresti una risorsa preziosa, ma non riusciamo a utilizzarti senza questi riferimenti. Mi scuso per non aver potuto in passato gestire meglio la cosa, ci provo adesso, ed ho invitato i colleghi del Progetto:Marina a collaborare in questo senso. Purtroppo non abbiamo molto tempo qui su wiki, per cui abbi pazienza se non siamo immediati. Grazie. --Pigr8 La Buca della Memoria 01:05, 28 dic 2019 (CET)
PS il blog di cui sopra parla Francesco è https://conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com/
- [@ Pigr8] Ho letto per caso che la discussione era proseguita. Aldilà del problema delle fonti, in questo caso c'era un problema di copyviol, perché i testi pubblicati in questa pagina, da quel che si capiva, erano copiati da testi pubblicati altrove da Francesco Mattesini. Per poterli pubblicare qui (indipendentemente dal fatto che andassero riassunti e rivisti per renderli con uno stile più enciclopedico), era quindi necessaria un'autorizzazione scritta dall'autore, secondo uno dei modi descritti in questa pagina. Per questo ero stato obbligato a rimuoverli e oscurarli--Parma1983 01:32, 28 dic 2019 (CET)
Nell'articolo che avevo postato non erano uscite le note bibliografiche a fondo pagina. Le riporto di seguito, nelle loro fonti. Come notereme non porto nessun libro che non sia attendibile:
LE PRINCIPALI FONTI BRITANNICHE
National Archives, “Action of Cape Bon against Italian Naval Forces on the night 12TE – 13TE December 1941”, Relazione del capitano di fregata Stokes, ADM 1/12325.
Idem, relazione del cacciatorpediniere Isaac Sweers..
Ibidem, relazione del cacciatorpediniere Sikh.
Ibidem, relazione del cacciatorpediniere Maori.
Ibidem, relazione del cacciatorpediniere Legion.
AUSMM, Scambio notizie con Ammiragliato britannico, lettera HSL/5 del 31 gennaio 1959, cartella n. 2.
Historical Section Admiralty, volume Mediterranean 1941.
I.S.O Playfair e altri, Mediterranean and Middle East, Volume II, HMSO, London.
Tony Spooner, Supreme Gallantry. Malta’s Role in the Allied Victory 1939 – 1945, London, John Murray, 1996.
LE PRINCIPALI FONTI ITALIANE
AUSMM, Relazione d’inchiesta sulla perdita degli incrociatori DA BARBIANO e DI GIUSSANO, Commissione d’Inchiesta Speciale.
AUSMM, Relazione sul combattimento della 4a Divisione Navale nella notte sul 13 dicembre s.a, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella 45.
AUSMM, Affondamento degli incrociatori DA BARBIANO e DI GIUSSANO, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella 45.
AUSMM, “Rapporto di missione eseguita dal CIGNO da Palermo a Capo Bon, Prot. 215/SRP del 16 dicembre 1941”, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.
AUSMM, “Le operazioni di salvataggio superstiti Incrociate Da Barbiano e Di Giussano”, lettera n. 1708/SRP del 17 dicembre 1941, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.
AUSMM, Minuta di Supermarina sull’”Affondamento degli incrociatori Da Barbiano e Di Giussano”, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.
AUSMM, “Relazione del contrammiraglio Roberto Soldati, Capo della Sottodelegazione Marina di Biserta della Commissione Italiana d’Armistizio con la Francia (CIAF)”, Scontri navali ed operazioni di guerra, cartella n. 45.
AUSMM, Cartella Promemoria Ammiraglio Sansonetti 1941.
AUSMM, Intercettazioni Estere, 13 dicembre 1941.
AUSMM, Supermarina – Comunicazioni telefoniche, Comunicazione n. 14395, registro n. 22.
AUSMM, Supermarina Telegrammi Copia Unica, Registro n. 26; e anche Scontri navali e operazioni di guerra, cartella 45.
AUSMM, Supermarina – Cifra in Arrivo.
AUSMM, Supermarina – Cifra in partenza.
AUSMM, Supermarina Avvisi.
Francesco Mattesini, Lo scontro di Capo Bon, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Settembre 1991, p. 51-145.
Alfino Toscano, La IV Divisione ed il suo Ammiraglio. La trappola sanguinosa di Capo Bon (13-12-1941); Edigraf, Catania 1985.
Franco Gay, Incrociatori leggeri classe “Di Giussano”.
Alfino Toscano, Documenti raccolti e missive della IV Divisione Navale, Catania 1989.
Aldo Cocchia, La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale.
Angelo Iachino, Le due Sirti.
F.M.--93.45.238.74 (msg) 13:19, 29 dic 2019 (CET)
Per Francesco. Intanto inserirò la biblio che hai segnalato in voce, e proverò ad espandere la voce stessa sulla base del tuo articolo in Conlapelleappesaaunchiodo. Vorrei però che tu rileggessi la nota di Parma1983 immediatamente precedente al tuo ultimo intervento, per renderti conto di come non ci sia alcuna preclusione verso quanto tu offri. Semplicemente Wiki ha delle regole relative alla contribuzione che non si trovano in un blog. Se tu riuscissi ad interpretare le istruzioni, magari con la nostra guida, sono certo che sarebbe una esperienza gratificante per tutti. Solo che le note, vorrei ricordarti, dovrebbero essere puntuali, nel senso che una specifica informazione deve avere la pagina di riferimento. Per fartene una idea, potresti dare una lettura ad una delle tante pagine che abbiamo mandato in Vetrina, per esempio Seconda battaglia di El Alamein. --Pigr8 La Buca della Memoria 19:28, 2 gen 2020 (CET)
- Ah, e rileggendo i tuoi appunti qui sopra mi viene un dubbio. Tu dici che il convoglio venne scoperto da un Wellington MkVIII (che sarebbe il Type 429) dotato di radar. Le fonti che ho controllato io però dicono che il Mk VIII era una versione da pattugliamento marittimo e antisom con Luce Leigh e armi antinave/antisom, ma non di ASV MkII, che venne montato sul successivo MkXI (Type 458). Certo è un dettaglio secondario, ma fa tornare alla necessità delle note puntuali. Inoltre tu dici che nel primo tentativo Toscano venne rimproverato da Supermarina per essere tornato indietro, e la voce come è scritta ora dice che il rientro era motivato. Sto tentando di riorganizzare la voce ma non ho davvero niente di mio e con i soli blog non posso spingere più di tanto. Ti prego, possiamo avere la tua autorizzazione scritta nelle modalità previste così riusciamo a riscrivere questa voce in modo esaustivo? --Pigr8 La Buca della Memoria 20:12, 2 gen 2020 (CET)
Ho visto la bibliografia, e mi chiedevo a cosa servisse se poi i dati non corrispondevano con la Voce. Poi, la tua spiegazioni, ha risolto il problema. Dammi due o tre giorni di tempo é vedro come sistemare le cose. Nel frattempo, per la tua richiesta di "Autorizzazione", non ci sono problemi. Fai tutti gli interventi che volete, cosa che ti avevo già consigliato. Dato che io sono abituato a mettere le note a fondo pagina, come possiamo fare per poterle inserire al punto giusto, perché in questo caso ti manderei il testo già sistemato. Possiamo farlo, trattando tra noi due, per posta elettronica.
Francesco
- Ok, per la richiesta di autorizzazione cerco di organizzarmi. Non ho mai gestito la procedura ma altri qui si, quindi mi farò supportare dalle persone giuste. Per le note a piè di pagina, qui funziona allo stesso modo, nel senso che se fosse un testo cartaceo si metterebbe un numerino in apice, e poi a piè di pagina si ripete il numero e gli si affiancano le informazioni esplicative. Qui il numerino viene messo automaticamente quando nel testo si mette il tag <ref> nel posto dove deve apparire la nota, poi si inseriscono le info e infine si chiude la nota con il tag </ref>. Però possiamo stabilire una convenzione nostra fino a che non avrai fatto pratica, o fino a quando vogliamo, per cui tu nel testo metti la nota diciamo tra parentesi, e poi io (o altri del progetto) ripasso e la formatto come si deve. Lo ritengo un piccolo prezzo per quello che avremo in cambio. Potremmo anche usare la e-mail però restringerebbe la cosa solo a noi due e io non vorrei rendermi così indispensabile, anche se lo farei con piacere. Però se le inserisco io mi rimarrebbe la paternità dell'inserimento e francamente mi sembra ingiusto. Invece tu le inserisci, e così inizi anche ad interagire con gli altri scrivendo la voce a più mani. So che non è il tuo solito modo di lavorare, ma ti prego di valutare positivamente la cosa; alla fine magari ti divertirai pure. Un esempio di come inserire una nota? "La divisione incrociatori fece rotta per l'isola di Zembra alle ore 20:45 (Nota:USSMI Pubblicazione XXXX, pag. 45), preceduta dalla torpediniera Cigno." Poi ci pensiamo noi. Se per te è ok, scrivi direttamente in voce con questa modalità, e poi sistemiamo. Una cosa importante: se ci sono discordanze con altre notizie presenti, che però sono fontate, qui funziona che si mantengono entrambe. E' una collaborazione, ed anche se non è perfetta, ha prodotto alcune voci secondo me decisamente carine. Saluti. --Pigr8 La Buca della Memoria 23:52, 4 gen 2020 (CET)
OK. Cerchero di capite e organizzarmi. Per quanto riguarda il WELLINGTON VIII, ecco i dati di riferimento:
Il bimotore da ricognizione notturna Wellington VIII del 221° Squadron del Comando Costiero (Coastal Command) della RAF, di base a Limandy, in Cornovaglia (motto del reparto From Sea to Sea”), conosciuto come "Goofington", disponeva di un radar di scoperta navale ASV II con quattro antenne sul dorso del velivolo. Nell’autunno 1941 una sezione di tre velivoli, al comando del capitano Tony Spooner, (in bibliografia “Supreme Gallantry. Malta’s Role in the Allied Victory 1939 – 1945”). era stata trasferita dall’Inghilterra a Malta, con base sull’aeroporto di Luqa, e aggregata al 69° Squadron da Ricognizione della RAF.
Per averne conferma, cliccare in Internet “221° Squadron RAF”, apparirà l’articolo con la fotografia. In’oltre vi è un disegno pittorico del Wellington VIII in ww2Aircraft.net.
Se ai il mio numeto di telefono mi puoi chiamare cosi potremo capirci meglio a voce. Altrimenti, il mio numero, tanto lo conoscono tutti,
Testo fontato di Mattesini da inserire
[modifica wikitesto]Ho inviato un testo con le notte: Tra periodo e pediodo, dove c?é lo spazio, vi é la nota. Noterete che anche la bibliografia é arricchita. Buon lasvoro.
FRANCESCO MATTESINI
Il giallo di Capo Bon.
Prima di mettere in movimento la grande operazione M.41, con il quale si intendeva inviare a Tripoli e Bengasi tre convogli di rifornimento, scortati da quasi tutta la Flotta italiana, su richiesta di Superaereo appoggiata dal Comando Supremo, era richiesto alla Regia Marina di portare urgentemente un carico di benzina avio a Tripoli, per permettere agli aerei italiani operanti in quella zona (Settore Ovest della 5a Squadra Aerea, di poter assicurare la protezione dei convogli, poiché le loro scorte di carburante erano scese ad appena 25 tonnellate. Supermarina decise di impiegare allo scopo gli incrociatori della 4a Divisione Navale Alberico Da Barbiano (capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi) e Alberto Di Giussano (capitano di vascello Giovanni Marabotto), al comando dell’ammiraglio Antonino Toscano sul Da Barbiano, che si trovavano a Taranto. Le due unità, già destinate a portare rifornimenti urgenti a Tripoli, imbarcato un carico di nafta e munizioni a Brindisi, si trasferirono a Palermo per imbarcare 22 tonnellate di benzina avio, che fu stivata in ogni parte della nave, soprattutto a poppa dietro ai cannoni da 152 mm degli incrociatori, per poi salpare per Tripoli. Ciò avvenne la sera del 9 dicembre. Dirigendo inizialmente le due navi verso occidente per aggirare da nord le isole Egadi, dove nella notte furono avvistate da un ricognitore britannico Wellington VIII, con sigla AM9W, fornito di radar di scoperta navale ASV II, decollato da Malta. (1 - Francesco Mattesini, Lo scontro di Capo Bon (13 dicembre 1941), in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, settembre 1991, p. 51-145.)
Considerato ormai fallita la sorpresa, che era la premessa indispensabile per la riuscita della sua missione, l’ammiraglio Antonino Toscano, volendo evitare di spingersi ancora più a sud perché temeva di essere attaccato con luce lunare dagli aerei di Malta ormai allertati, invertì la rotta dirigendo verso l’Isola di Marettimo indeciso sul da farsi, per poi rientrare a Palermo su ordine di Supermarina, che successivamente mostrò di non condividere l’iniziativa rinunciataria presa dal Comandante della 4a Divisione Navale. Quello che Supermarina non conosceva era che, dopo l’avvistamento dei due incrociatori italiani da parte del Wellington AM9W del 221° Squadron, il Comandante della Marina a Malta, vice ammiraglio Wilbraham Ford, aveva inviato in volo sette aerosiluranti Swordfish dell’830° Squadron e cinque aerosiluranti Albacore dell’828° Squadron dell’Aviazione Navale (Fleet Air Arm – FAA). Nel frattempo, sempre allo scopo di intercettare i due incrociatori dell’ammiraglio Toscano, alle 18.30 del 9 dicembre erano partite da Malta cinque unità della Forze B e K, gli incrociatori Neptune, Aurora, Penelope e i cacciatorpediniere Jaguar e Kandahar. (2 - Malta War Diary, 9 e 10 dicembre 1941. Malta War Diary, 9 e 10 dicembre 1941.)
Nelle prime ore del 10 dicembre gli aerei britannici si spinsero oltre Trapani, e nonostante possedessero il radar di scoperta navale ASV II non riuscirono a rintracciare gli incrociatori italiani, che avrebbero dovuto attaccare. I comandanti del Da Barbiano (capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi) e del Di Giussano (capitano di vascello Giovanni Marabotto), avendo invece percepito, alle 03.30, la presenza dei velivoli nemici, ritennero, erroneamente, di aver sventato un attacco aerosilurante, con l’ausilio della manovra e nascondendosi con cortine di nebbia artificiale, per poi rientrare a Palermo alle 08.20 di quello stesso giorno. Il rientro alla base degli incrociatori italiani della 4a Divisione Navale costrinse le unita navali britanniche salpate da Malta ad effettuarono un viaggio di intercettazione a vuoto, e rientrarono alla Valletta il mattino dell’indomani, 10 dicembre. Il Da Barbiano e il Di Giussano, se avessero continuato nella rotta sud, nella notte sul 10, o al limite l’indomani dello stesso giorno, sarebbero andati incontro al nemico, nelle condizioni più sfavorevoli ad affrontare un combattimento, a causa del loro pericolosissimo carico di combustibili e munizioni e per l’inferiorità numerica e potenziale. La ritirata dell’ammiraglio Toscano, che pure aveva fatto storcere la bocca negli ambienti navali italiani e generato anche discussioni antipatiche nei riguardi dell’ufficiale, servi invece ad evitare i pericolosissimi attacchi degli aerosiluranti e delle navi di superficie britanniche, e fortunatamente, almeno per il momento, ad evitare un’altra tragedia navale simile a quella di Matapan e del convoglio “Duisburg”. Dopo quell’esperienza negativa, Supermarina decise di apportare una variante al piano operativo aggregando alla 4a Divisione Navale l’incrociatore Giovanni dalle Bande Nere, fatto venire da La Spezia, e le torpediniere Cigno e Climene partire da Trapani per assumere la scorta dei tre incrociatori, L’impiego dell’incrociatore Bande Nere si era reso necessario per l’urgenza del dover trasportare in Libia una maggiore quantità di rifornimenti, in particolare munizioni e un maggiore quantità di benzina avio, quest’ultima particolarmente necessaria, lo ripetiamo, per far volare gli aerei destinati a proteggere i convogli dell’operazione M.41, il cui impiego era previsto con inizio all’alba il 13 dicembre. Affinché il sostegno a quelle preziose navi fosse stato il più efficiente possibile, nella giornata del 10 il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, generale di Squadra Aerea Rino Corso Fougier, che aveva sollecitato il trasporto della benzina diretta a Tripoli nella maggiore quantità possibile, per assicurare agli incrociatori la maggiore scorta aerea, inviò al Comando della 5a Squadra Aerea (generale Vittorio Marchesi) l’ordine di concentrare sull’aeroporto di Misurata, a disposizione del Settore Aeronautico Ovest, il 3° e il 23° Gruppo Caccia, il primo equipaggiato con velivoli biplani Cr.42, il secondo ad ala fissa Mc.200. (3 - ASMAUS, Superaereo – Messaggi 1B/20611 e 1B/20618, GAM 8, cartella 140.)
Purtroppo, come se tutto volesse congiurare contro il trasporto del carburante a Tripoli, quello stesso pomeriggio Marina Palermo fece sapere a Supermarina che l’incrociatore Giovanni dalle Bande Nere, appena arrivato da La Spezia da dove era salpato alle 17.15 del 10, non poteva partecipare alla missione perché immobilizzato da un’infiltrazione d’acqua nel condensatore principale di prora. (4 - L’incrociatore Giovanni delle Bande Nere, si trovava alla Spezia a disposizione dell’ammiraglio di squadra Vittorio Tur, Comandante della Forza Navale da Sbarco, che si teneva pronta, all’ordine che non arrivò, di iniziare l’operazione C.2, lo sbarco e la conquista della Corsica. L’ammiraglio Sansonetti, dovette spiegare all’ammiraglio Tur il motivo dell’impiego del Bande Nere, riferendo che sarebbe stato restituito al più presto. Cfr, AUSMM, Promemoria Ammiraglio Sansonetti 1941.)
Un analogo inconveniente si verificò sulla torpediniera Climene, che all’arrivo a Palermo, nel corso della notte, lamentò una forte perdita al surriscaldatore della caldaia n. 1, e dal momento che non fu possibile completare in tempo i lavori di riparazione, che pure erano stati accelerati su esplicita richiesta di Supermarina, anch’essa, al pari del Bande Nere, non si trovò in condizioni di partecipare alla missione; ragion per cui, forzatamente, la scorta agli incrociatori si ridusse al solo Cigno (capitano di corvetta Nicola Riccardi).
L’indisponibilità del Climene e del Bande Nere ebbe una duplice conseguenza negativa, perché non permise alla 4a Divisione di poter disporre di una più consistente protezione di vigilanza, e nello stesso tempo costrinse gli altri due incrociatori Da Barbiano e Di Giussano, ad imbarcare una maggiore quantità di benzina. Inoltre, quest’ultima non era contenuta nelle consuete lattine, facili da stivare in navi da guerra, ma in fusti che, oltre a possedere limitata tenuta stagna, non potevano essere portati al coperto, nei locali interni, ragion per cui fu necessario sistemarli sul ponte di coperta, all’estrema poppa degli incrociatori. Queste difficoltà furono fatte presenti la sera dell’11 dicembre dallo stesso Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, con l’Avviso n. 8456, consegnato a mano al Comando Supremo e portato a conoscenza di Superaereo e della Divisione Superiore Trasporti di Superesercito. L’ordine operativo per la nuova missione dei tre incrociatori, sempre al comando dell’ammiraglio Toscano, fu compilato dall’ammiraglio Emilio Ferreri e diramato da Supermarina al Comando della 4a Divisione Navale con il messaggio in partenza in cifra n. 88642. Trasmesso con il codice della macchina cifrante C.38 e per conoscenza a tutti i Comandi Navali interessati all’operazione, stabiliva: partenza da Palermo (punto febbraio) alle 18.00 del 12 dicembre alla velocità di 22 nodi ed arrivo a Tripoli (punto traiettoria) alle 15.00 del 13. Con lo stesso ordine di operazione Marina Messina doveva mandare in mare tre Mas per protezione ed allarme sulle provenienze nemica da Malta, mentre a Marina Tripoli era chiesto di inviare una torpediniera incontro agli incrociatori e disporre per la loro protezione aerea. Il gruppo incrociatori doveva ripartire da Tripoli al tramonto del giorno 14 per rientrare in Italia. La forzata rinuncia all’impiego dell’incrociatore Bande Nere, che ebbe l’ordine di completare urgentemente i lavori di riparazione per essere pronto a salpare isolato a ventiquattrore di distanza dalle altre due unità della 4a Divisione, costrinse Supermarina ad apportare altre varianti alle istruzioni impartite con l’ordine di operazione 88642 dell’11 dicembre, che però nelle linee generali rimasero immutate, stabilendo che i due incrociatori sarebbero partiti “da Palermo sera del dodici diretti Tripoli previsto arrivo ore 150013”. (5 - ASMAUS, “Operazione Speciale dal 7 al 14 dicembre 1941”, GAM 8, cartella 138. ASMAUS, “Operazione Speciale dal 7 al 14 dicembre 1941”, GAM 8, cartella 138.)
In definitiva, sperando questa volta di eludere gli avvistamenti del nemico, Supermarina aveva impartito alla 4a Divisione Navale l’ordine di effettuare, dopo la partenza da Palermo, un ampio giro a nord delle Isole Egadi, per poi passare a circa 40 miglia ad ovest di quell’arcipelago. Questa manovra fu ritenuta necessaria per evitare alle navi di transitare a sud dell’Isola Marettimo, nella quale si era verificato durante la precedente uscita l’avvistamento aereo del nemico. Evitando quella zona, in cui l’esperienza aveva dimostrato vi fosse una vigilanza molto intensa, gli incrociatori dell’ammiraglio Toscano dovevano procedere alla velocità di 22 nodi, che era pertanto superiore a quella di 18-22 nodi fissata per la precedente fallita operazione. Con rotta diretta sud (180°) gli incrociatori dovevano raggiungere le acque di Capo Bon esattamente alle 02.00 del 13 dicembre. Da questo massiccio promontorio all’estremità settentrionale della costa della Tunisia, dovevano passare alle 03.00 al largo della località di Kelibia, ossia quaranta minuti dopo il passaggio da Capo Bon, per poi proseguire verso le Isole di Kerkennah, davanti alla località tunisina di Sfax, da raggiungere alle 08.00 del 13. Di questo programma Supermarina mise al corrente il Comando della Marina Germanica in Italia, alle 23.05 del 12 dicembre, quando le navi erano già salpate da cinque ore. (6 - AUSMM, Supermarina – Telegrammi Copia Unica, Avviso n. 1500 del 12 dicembre, registro n. 26.
Della partenza della 4a Divisione Navale Supermarina era stata messa al corrente, con comunicazione telefonica delle 19.10, dal Comandante di Marina Palermo, ammiraglio Eugenio Genta, che a domanda dell’ammiraglio Carlo Pinna rispose che l’ammiraglio Toscano era “partito alle 18.10 e che tutto si era svolto regolarmente”. (7 - AUSMM, Supermarina – Comunicazioni telefoniche”, n. 14395, registro n. 22. * L’orario di uscita delle navi da Palermo non corrisponde a quelli dichiarati dai comandante della torpediniera Cigno (Riccardi) e dell’incrociatore Di Giussano (Marabotto) che sostennero che le unità erano uscite da Palermo rispettivamente dalle ore 17.24 alle 17.45 la Cigno e alle 17.30 il Di Giussano. Invece, secondo il tenente di vascello Giovanni Bacich, ufficiale di rotta e alle comunicazioni in Plancia Comando del Di Giussano, il comandante Marabotto alle 17.10 ricevette e gli passo l’ordine di operazione, che conteneva un anticipo della partenza, per cui alle 17.15 fu ordinato il posto di manovra e furono aperti gli ascolti di navigazione. Uscendo da Palermo fu costituita le linea di fila, Cigno, Da Barbiano, Di Giussano, e si procedette alla velocità di 23 nodi, “con lievi varianti delle rotte indicate nell’ordine di operazione. Zigzagamento fin oltre le isole Egadi, si passa molto al largo di queste. Poi rotta 218° verso Capo Bon. Atterraggio a Capo Bon alle ore 03.05 circa a 6-8 miglia avendo il faro per 175°”.)
Dopo aver incontrato le torpediniere Calliope e Cantore, inviate da Marilibia ad unirsi alla 4a Divisione Navale, per scortarla nell’ultimo tratto della navigazione, il Da Barbiano, il Di Giussano e la torpediniera Cigno avrebbero dovuto arrivare a Tripoli alle 15.00 del 13, con la protezione dei velivoli da caccia del Settore Ovest della 5a Squadra Aerea, al comando del generale Raul Da Barberino. Questo Comando Superiore aveva anche disposto di fare effettuare con velivoli da bombardamento voli di ricognizione a rastrello, nella zona situata a sud del parallelo 35° nord e tra i meridiani 13° e 15°30’ est. Sbarcato il carico, gli incrociatori sarebbero ripartiti per l’Italia al tramonto del 14 dicembre, dopo aver imbarcato a Tripoli, su richiesta pervenuta a Supermarina dal Supercomando Africa Settentrionale (messaggio n. 27231), quattrocento prigionieri britannici, (8 - ASMAUS, Diario Storico del Comando Settore Ovest della 5a Squadra Aerea 1941.)
di cui l’organizzazione crittografica britannica Ultra venne a conoscenza diramando la notizia alle 16.05 e riferendo: “Tripoli a Roma 27231: Decifrate di Persona, 200 prigionieri saranno imbarcati su ciascuno degli incrociatori del Gruppo Da Barbiano”. (9 - National Archives, DEFE 3/835.)
Per assicurare, nella rotta di andata, alle navi dell’ammiraglio Toscano il massimo del sostegno e della vigilanza, Marina Messina, in conformità degli ordini ricevuti da Roma, dispose per la notte del 13 dicembre l’impiego di sei Mas della 2a Flottiglia. Di essi i Mas-531e 488, che si trovavano di base a Trapani, furono inviati ad operare nel Canale di Sicilia, a nord della rotta seguita dagli incrociatori dell’ammiraglio Toscano, mentre invece i Mas-544, 549, 563 e 564 salparono da Pantelleria alle 19.50 del 12, al comando del tenente di vascello Roberto Baffigo, per portarsi sulla congiungente isole di Pantelleria e Lampione, essendo questa la zona più pericolosa per le provenienze navali da Malta. Per comprendere quali siano stati gli ordini verbali impartiti da Supermarina all’ammiraglio Toscano dopo il fallimento della prima missione del 9 dicembre (che ricordiamo se non avessero invertito la rotta tornando a Palermo i due incrociatori Da Barbiano e Di Giussano sarebbero stati attaccato dalle Forze B e K di Malta e dagli aerosiluranti degli Squadron 828° e 830° della FAA decollati da Hal Far), esiste nella cartella Promemoria dell’Ammiraglio Sansonetti, il sunto di una telefonata che il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina fece al Comandante della 4a Divisione Navale il mattino del 10 dicembre, ordinando: “In una prossima occasione prendi una decisione e poi informane Supermarina. Questo per impedire che un disservizio R.T. faccia perdere del tempo prezioso. E’ assolutamente necessario passare” [il neretto è nostro]. (10 - AUSMM, Promemoria Ammiraglio Sansonetti 1941.)
Fin dal mattino dell’11 dicembre, in conformità con le richieste di ricognizione espresse da Supermarina, il generale Fougier aveva ordinato al generale Renato Mazzucco, Comandante dell’Aeronautica della Sicilia, di effettuare per la giornata del 12 un ampio servizio di ricognizione nel Mediterraneo centrale. Al generale Ottorino Vespignani, Comandante dell’Aeronautica della Sardegna, fu invece richiesto di vigilare a sudovest dell’isola ed anche a ponente della Corsica. (11 - ASMAUS, Superaereo – Messaggi 1B/20671 e 1B/19124, SA 1, cartella n. 10.)
Quest’ultima zona di esplorazione può essere attribuita al fatto che nella notte il Servizio Informazioni Estere di Maristat aveva radiogoniometrato la presenza di un’unità britannica, ritenuta di superficie, in contatto con l’Ammiraglio di Gibilterra (Comandante della Zona del Nord Atlantico) e con il Comando della Forza H, “nel tratto compreso fra 100 miglia Ponente di San Antiaco e zona Sud di Minorca”, ma senza poterne fare un rilevamento preciso ed un qualsiasi apprezzamento sullo scopo della trasmissione. (12 - ASMAUS, Maristat, Reparto Informazioni Ufficio I.E.,“Rapporto sulla situazione navale alle ore 1000 del 12 dicembre 1941”, GAM 17, cartella n. 275.)
In quel momento le sole unità di superficie britanniche che si erano spinti da Gibilterra verso ovest, e proseguivano nella loro rotta verso Malta erano quattro cacciatorpediniere della 4a Flottiglia, di cui parleremo dettagliatamente. Alle 15.20 del 12 dicembre il Comando dell’Aeronautica della Sicilia informò Supermarina che le missioni di ricognizione svolte nei dintorni di Malta con quattro velivoli S.79 del 10° Stormo Bombardieri, non avevano porto a nessun avvistamento di navi nemiche. Tale notizia, aggiungendosi a quella che indicava una situazione di piena tranquillità nelle acque tra Marsala e Capo Bon e lungo la costa della Tunisia accertata da altri cinque S.79 del 10° Stormo Bombardieri, fornì la certezza che quel pomeriggio nessuna unità britannica era in mare nel Mediterraneo centrale. Ciò era anche confermato dal fatto che due veloci caccia Mc.202 del 54° Stormo, inviati a sorvolare La Valletta, avevano chiaramente individuato nel porto maltese i quattro incrociatori britannici delle Forze B e K, che erano: Ajax, Neptune, Aurora e Penelope e quattro cacciatorpediniere. Uno di questi incrociatori (l’Ajax), appariva in riparazione nel porto della Valletta, come in effetti era. Esito ben diverso ebbero invece le ricognizioni strategiche disposte dal Comandante dell’Aeronautica della Sardegna. Con fono n. 0010599, compilato alle ore 10.50 del 12 dicembre, il generale Vespignani aveva emanato l’ordine di operazione n 393, con il quale, adeguandosi alle istruzioni ricevute da Superaereo, era assegnato alla 212a Squadriglia del 51° Gruppo Bombardamento, specializzata nelle ricognizioni marittime, un programma di volo assegnato nel pomeriggio a tre velivoli Cant.Z.1007 bis, stabilendo: “In caso di avvistamenti di forze navali che non comprendono portaerei il ricognitore non dovrà proseguire il percorso mantenendo il contatto fino al limite massimo dell’autonomia e segnalando ogni mezz’ora i dati dei movimenti nemici”. (13 - ASMAUS, Diario Storico del Comando Aeronautica della Sardegna 1941.) Sulla base di quell’ordine di operazione, tra le 13.30 e le 13.50 decollarono dall’aeroporto cagliaritano di Decimomannu tre Cant.Z.1007 bis, destinati ad effettuare le tre ricognizioni ordinate dal Comandante dell’Aeronautica Sardegna. Il primo di questi velivoli, con capo equipaggio il sottotenente pilota Gaetano Bellinazzo, che svolgeva la ricognizione R.7, avvistò alle 15.40 il neutrale piroscafo francese Bouidmel e alle 16.20 un sommergibile con rotta levante. Il secondo trimotore, che aveva per primo pilota il sottotenente Aldo Nascimbene e per ufficiale osservatore il guardiamarina Pizzarelli, prima di individuare il piroscafo francese Reinais, volando alla quota di 500 metri avvistò quattro cacciatorpediniere britannici a 60 miglia ad est di Algeri, ed immediatamente trasmise: “Ore 15.00 avvistati 4 cc.tt. inglesi ad un fumaiolo in lat. 37°30’ long 04°30’ rotta 90 velocità 20”. Mantenendo il contatto, un’ora dopo il velivolo della R.8 aggiunse: “Sono in vista del nemico – nessun cambiamento degli elementi dell’avvistamento precedentemente segnalato”. (14 - ASMAUS, Diario Storico del Comando Aeronautica della Sardegna 1941.)
Tra le due segnalazioni trasmesse dall’aereo del sottotenente Nascimbene se ne inserì una terza da parte del Cant.Z.1007 bis impegnato nella ricognizione R.9. Il velivolo, che aveva per primo pilota il sottotenente Armando Biondi e quale ufficiale osservatore il tenente di vascello Gorini, dopo aver avvistato i piroscafi francesi Rabelais, Saint Marte e Rounais, alle ore 16.00 confermò la presenza dei quattro cacciatorpediniere britannici, con rotta 90° e velocità 20 nodi [in realtà marciavano a 30 nodi], che erano poi i dati di navigazioni trasmessi dal Cant.Z.1007 del sottotenente Bellinazzo. Il ricognitore, che fu anche inquadrato dal tiro contraereo delle unità nemiche, effettuò riprese fotografiche della formazione navale, la quale navigava su due colonne. Come accennato, i quattro cacciatorpediniere avvistati dai ricognitori italiani appartenevano alla 4a Flottiglia, ed erano il Sikh, Maori, Legion e l’Isaac Sweers (quest’ultimo olandese), comandati rispettivamente dai capitani di fregata Graham Henry Stokes (che aveva il comando della squadriglia), Rafe Edwards Courage, Richard Frederick Jessel e Jacques Hoursmuller. Essi erano partiti alle ore 05.30 dell’11 dicembre da Gibilterra per andare, dopo scalo a Malta, a rinforzare urgentemente la Mediterranean Fleet di Alessandria, che difettava alquanto di naviglio leggero, essendo partiti per l’Oceano Indiano sei cacciatorpediniere, in seguito all’entrata in guerra del Giappone il 7 dicembre 1941. Questa mancanza di siluranti impediva alle due corazzate della Mediterranean Fleet, Queen Elizabeth e Valiant, di uscire da Alessandria per il sostegno alla divisioni d’incrociatori che erano impegnate per attaccare i convogli italiani dell’operazione M.41 per la Libia, di cui l’Ultra aveva fornito tutti dettagli di navigazione. Gli ordini di navigazione impartiti al capitano di fregata Stokes dal Comandante della Forza H di Gibilterra, vice ammiraglio James Somerville, erano, lasciato il porto e percorrendo il Mediterraneo occidentale, di simulare inizialmente una ricerca antisom, e appena superata l’altezza di Algeri, in long. 03°30’E, procedere per Malta alla massima velocità, allo scopo di portarsi il più rapidamente fuori dalla minaccia degli aerei italiani della Sardegna. Raggiunto il punto prescritto, la velocità fu infatti portata dal comandante Stokes a 30 nodi; e ciò avvenne prima ancora dell’avvistamento dei ricognitori italiani, e non dopo come si è sempre creduto con lo scopo di intercettare gli incrociatori dell’ammiraglio Toscano. (15 - ASMAUS, Diario Storico del Comando Aeronautica della Sardegna 1941.)
Per non perdere tempo nella navigazione verso Malta gli ordini erano invece di non farsi impegnare: “Proceed at high speed practising evasion”. E non fu ordinato nessun ulteriore aumento di velocità. (16 - The Somerville Papers, Edito da Michael Simpson, Scolar Press for the Navy Record Society, Chester e Cambridge, 1996, p. 343).
La segnalazione dei quattro cacciatorpediniere britannici, che secondo gli ufficiali osservatori di Marina imbarcati sui due ricognitori procedevano verso est alla velocità di 20 nodi, arrivò perfettamente a conoscenza di Supermarina e dell’ammiraglio Toscano, ma entrambi, ritenendo che il passaggio degli incrociatori italiani a Capo Bon si sarebbe svolto con qualche ora di vantaggio sulle unità nemiche, non si preoccuparono troppo dell’eventualità di dover incontrare quelle siluranti. Pertanto l’operazione proseguì senza apportare varianti precauzionali, come quella di un aumento della velocità, che avrebbe permesso ai due incrociatori della 4a Divisione Navale di sottrarsi facilmente all’insidia fatale. E questa precauzione mancata fu soprattutto da addebitare al fatto che i calcoli sulla velocità mantenuta dai cacciatorpediniere nemici, trasmessi dai ricognitori erano stati errati, ma che non avrebbero ugualmente avuto alcuna conseguenza se non si fosse verificato un ritardo, incomprensibile, di circa un ora della 4a Divisione Navale a Capo Bon. Ritardo che si sarebbe potuto verificare per un allungamento del percorso di rotta, prendendo molto al largo l’aggiramento delle Isole Egadi, per tenersi lontano dalla zona in cui la divisione era stata avvistata il 9 dicembre dal ricognitore Wellington VIII del 221° Squadron; oppure al non aver rispettato la velocità di spostamento fissata da Supermarina in 22 nodi, ma che poi l’ammiraglio Toscano aveva portato nel suo ordine di operazione a 23 nodi. Fu questa del ritardo una delle cause, secondo noi la principale, del disastro di Capo Bon. L’errore, se vi fu, fu esclusivamente del Comandante della 4a Divisione Navale, che nel suo ordine di operazione effettuò alcune varianti di navigazione e di velocità, che non erano nelle intenzioni di Supermarina, che poi mostrò di non essere stata neppure informata. Infatti, sulle norme di navigazione fissate dall’ammiraglio Toscano, abbiamo la testimonianza del tenente di vascello Giovanni Bacich, ufficiale di rotta e alle comunicazioni in Plancia Comando del Di Giussano. Egli ha sostenuto che il comandante Marabotto, comandante del Di Giussano, alle 17.10 ricevette e gli passo l’ordine di operazione, che conteneva un anticipo della partenza, per cui alle 17.15 fu ordinato il posto di manovra e furono aperti gli ascolti di navigazione. Uscendo da Palermo fu costituita con le tre unità le linea di fila, Cigno, Da Barbiano, Di Giussano, e si procedette alla velocità di 23 nodi, “con lievi varianti delle rotte indicate nell’ordine di operazione. Zigzagamento fin oltre le isole Egadi, si passa molto al largo di queste. Poi rotta 218° verso Capo Bon. Atterraggio a Capo Bon alle ore 03.05 circa a 6-8 miglia avendo il faro per 175°”. Quindi la 4a Divisione, effettuando lievi varianti alla rotta e con navigazione con zigzagamento passò molto al largo delle Isole Egadi (è da presumere oltre le 40 miglia fissate da Supermarina), però procedendo a 23 nodi invece delle 22 ordinate, per poi passare a 24 nodi a 4 miglia a nord di Capo Bon. E’ durante questo tratto di navigazione, Palermo – Capo Bon, che si verificò il ritardo di un ora. Ricordiamo che le navi di Tosxcano doveva essere a Capo Bon alle 02.00 del 13 dicembre, ed invece vi arrivavano alle 03.00, e ciò che gli fu fatale. Si è sempre ritenuto, erroneamente, che i cacciatorpediniere britannici, avendo ricevuto da Malta una segnalazione Ultra che le unità italiane, dirette a Tripoli, sarebbero arrivate a Capo Bon alle ore 02.00 (01.00 britannica) del 13 dicembre che essi avessero aumentato la velocità almeno a 28 nodi, con lo scopo “ipotetico” di intercettare gli incrociatori italiani. Ma ciò, lo ripetiamo, non era esatto, e ne vedremo più avanti il motivo. Mentre i preparativi per la sistemazione del pericolosissimo carico di benzina e di munizioni sugli incrociatori erano in atto a Palermo, alle 10.30 del 12 dicembre si svolse a bordo del Da Barbiano una riunione di carattere tecnico a cui parteciparono, con l’ammiraglio Toscano, i comandanti del De Barbiano e Di Giussano, e quello della torpediniera Cigno, nonché i direttori di macchina e gli ufficiali addetti alle trasmissioni sulle tre navi. Secondo quanto riferì nella sua relazione il tenente di vascello Demini, ufficiale di rotta e alle comunicazioni sul Di Giussano, l’ammiraglio Toscano fece un’esposizione sulle modalità per la navigazione. Si accese poi una “discussione sulla possibilità di sparare in ritirata con le torri poppiere”, in quanto a poppa degli incrociatori era stato concentrato il carico di benzina in fusti, che avrebbero potuto esplodere in conseguenza del cono di vampa dei cannoni da 152 mm, in particolare di quelli più vicini alla torre 4, l’ultima della nave. (17 - AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella 45.)
Queste informazioni collimano perfettamente con quanto nella sua relazione scrisse il tenente di vascello Bacich, che essendo presente come ufficiale di rotta e alle comunicazioni del Di Giussano, ha riportato che l’ammiraglio Toscano, raccomando ai direttori di macchina: “di curare la stabilità delle navi”; espose quali erano le “modalità della navigazione”; discusse “sulla possibilità di sparare in ritirata con le torri poppiere”; si escluse la “possibilità di poter ricercare uno scontro nelle condizioni di carico della nave”, ed anche “di poter sparare verso poppa a causa del cono di vampa che, secondo alcuni convenuti, avrebbe fatto esplodere i fusti di benzina, caricati in coperta a poppa. Infine fu deciso che l’idrovolante, sulla catapulta a prora degli incrociatori, dovesse essere scarico benzina nel corso della navigazione notturna, per poi essere rifornito all’alba, quando si sarebbe verificato il decollo degli aerei per ricognizione, prima quello del Di Giussano e poi quello del Da Barbiano. (18 - AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella 45.)
Dal rapporto del tenente di vascello Bruno Salvini, imbarcato sul Di Giussano, risulta che Capo Bon fu avvistato dall’incrociatore alle 01.30 del 13 dicembre, e che subito dopo, trovandosi a circa 4 miglia da quel promontorio, la velocità della 4a Divisione fu aumentata a 24 nodi. Quando poi la torpediniera Cigno, vedendo passare insistentemente un velivolo avvistato per la prima volta alle 02.45, segnalò alle 02.56 con il lampeggiatore Donath al Da Barbiano “Aereo sul vostro cielo” (avvistato poco dopo anche dalle vedette del Da Barbiano), le navi italiane si trovavano ancora, con prora 180°, a 3,5 miglia a nord del faro di Capo Bon. (19 - AUSMM, Marina Messina 46647, Primo rapporto telegrafico della torpediniera Cigno; R. Torp. Cigno, Rapporto sulla missione eseguita da Palermo a Capo Bon e Trapani, Naviglio Militare.)
In quel momento, secondo quanto risulta nella relazione del capitano di vascello Giovanni Marabotto, comandante del Di Giussano, le condizioni meteorologiche nella zona erano le seguenti: “Nubi basse che non lasciano trasparire la luce lunare. Visibilità all’orizzonte a tratti buona e a tratti mediocre. Notevole fosforescienza delle onde mosse dall’elica. Vento leggero da Maestrale. Mare quasi calmo”. (20 - AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.)
Alle 03.00 la Circe, che guidava la marcia seguita dai due incrociatori, accostò, come previsto, per 157° per costeggiare il massiccio promontorio di Capo Bon. La distanza dalla costa scese a circa 2 miglia, ed il Da Barbiano segnalò per ultra corte alle altre due navi della formazione: “Fate attenzione ai piroscafi nemici”. (21 - AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45. * In realtà la Circe ricevette gli ordini trasmessi per r.d.s. non essendo la torpediniera fornita di u.c. Cfr., AUSMM, Comando in Capo Squadra Navale, “Relazione sul combattimento della 4a Divisione Navale nella notte sul 13 dicembre u.s., Comandi Navali Complessi, cartella 6.
Si riferiva alla segnalazione ricevuta da Supermarina sul probabile incontro con piroscafi usciti da Malta, la quale, nonostante le difficoltà di interpretazione sorte sulle navi italiane, era stata ritenuta ben compresa dal Comando della Divisione, mentre invece non lo era assolutamente. Appena oltrepassato il settore di vigilanza di Capo Bon, entrando nel settore oscurato del faro che fino a quel momento aveva illuminato le navi a tratti, il Da Barbiano prese un po d’acqua sulla dritta, per poi invertire la rotta sulla sinistra. Il Di Giussano, che non aveva ricevuto il segnale di inversione di rotta trasmessa per R.D.S. della nave ammiraglia, ne imitò la manovra per contromarcia al termine della quale, avendo manovrato per 180°, invece che i 160° del Da Barbiano rimase spostato verso il largo, sulla dritta del De Barbiano, che lo precedeva. Manovrando per 160° il Da Barbiano non ritornò a nord, che era la rotta più logica se voleva ritirarsi, ma puntò in direzione della costa di Capo Bon, dove si trovavano occultati i cacciatorpedinierde britannici. E mentre il Da Barbiano manovrava per rimettersi in rotta sulla scia del Da Barbiano fu udito il grido “ombre indistinte a sinistra”. Poi scoppiò “l’inferno”. (22 - AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.)
La torpediniera Cigno, continuando a mantenersi a una distanza di 2.000 metri di prora all’incrociatore Da Barbiano, non si accorse della sua manovra di inversione rotta, anche perché non percepì il segnale di dirigere per 160° trasmesso per R.D.S. della nave ammiraglia; pertanto, il Cigno proseguì nella sua rotta sud fino alle ore 03.25 quando anch’essa, aumentando la velocità, tornò indietro, rimanendo però nettamente arretrata rispetto ai due incrociatori della formazione. Il vero motivo per il quale il Da Barbiano effettuò quella improvvisa manovra di inversione di rotta per contrommarcia non è stato mai chiarito, essendo scomparsi quella notte tutti coloro che avrebbero potuto dircelo sia l’ammiraglio Toscano sia i membri del suo stato maggiore e il comandante dell’incrociatore. In mancanza di elementi probanti sono state fatte soltanto ipotesi, che però presentano tutte alcuni lati oscuri e non sempre sono ponderate con la dovuta logica. Riteniamo che la più convincente, e anche quella più tempestiva, sia stata la deposizione del tenente di vascello Bruno Salvini, del Da Barbiano, resa in Tunisia, dove era approdato dopo l’affondamento della sua nave, a personale della Commissione Italiana di Armistizio con la Francia (CIAF). Egli riferì, come appare di seguito, che l’ammiraglio Toscano stava manovrando per il combattimento, e per questo motivo nella contromarcia a sinistra aveva assunto la rotta 337°, che lo portava verso la costa, e non i 360° che era la metà (180°) di quella percorsa fino a quel momento con rotta sud, e l’ideale se effettivamente avesse voluto tornare a Palermo con rotta nord: (23 – AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.)
Alle ore 03.09 in seguito a segnalazioni verbali ricevute direttamente dal Comandante Rodocanacchi, dalla plancia Ammiraglio [ammiraglio Toscano], veniva invertita la rotta, rilevamento 337. Macchine alla massima forza – Artiglierie seguire indici elettrici – Complessi attenzione. Dalla controplancia le vedette segnalano: avvistamento unità navali sulla sinistra. Dalla feritoia laterale sinistra della torretta corazzata , avvistati su un Beta di circa 60 gradi, due unità navali che giudicai di un tonnellaggio di circa 2000 [tonnellate]. La velocità di dette unità apprezzata dai baffi di prora era di circa 28-30 miglia. Ordine dalla plancia Ammiraglio di aprire il fuoco. Distanza al traverso di detta unità 300 metri. Il comandante in seconda capitano di fregata [Alfredo] Ghiselli, che seguiva la manovra dell’unità nemiche annuncia “Ha lanciato”. Ordine immediato del Comandante Rodocanacchi: “Tutta barra a sinistra”. Il Comandante Ghiselli annuncia per la seconda volta “Ha lanciato”.
Subito dopo il Da Barbiano, nello spazio di trenta secondi, fu colpito da due siluri lanciati dal cacciatorpediniere Sikh e da tiro di artiglieria e armi leggere e immobilizzato e in fiamme. Fu tentata un’ultima resistenza da parte di una mitragliera da 20 mm, che però dopo aver sparato due caricatori fu ridotta al silenzio dal fuoco nemico. Da parte nostra, come abbiamo messo in risulto nel saggio per l’Ufficio Storico della Marina Militare, per cercare di ricostruire quell’avvenimento nel modo il più possibile accettabile, ci siamo basati sugli ordini impartiti dalla nave ammiraglia Da Barbiano al Di Giussano, del quale si salvarono quasi tutti gli ufficiali, compresi il comandante e il comandante in seconda e facendo un’attenta analisi delle testimonianze dei superstiti che quella notte si trovavano sulla plancia del Da Barbiano. I due primi cacciatorpediniere che lanciarono i siluri sul Da Barbiano furono avvistati anche dal Di Giussano, che dopo l’inversione di rotta stava manovrando per rimettersi il linea di fila sulla scia della nave ammiraglia. Alle 03.25 le vedette del Di Giussano situate in contro plancia e nella plancia mitragliere segnalarono , “a circa 20° a sinistra in direzione del DA BARBIANO, masse scure identificate prima per piroscafi poi per 3 e poi 4 cacciatorpediniere”, contro i quali il comandante, capitano di vascello Marabotto, ordinò “al primo direttore del tiro di passare in punteria sul bersaglio e all’ufficiale T. di tenersi pronto al lancio sul lato sinistro”. (24 - AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.)
Sul Da Barbiano, dopo alcuni momenti di indecisione la plancia ammiraglia ordinò di aprire il fuoco contro i cacciatorpediniere nemici, ormai distanti soltanto 300 metri (circa 900 metri per il comandante Stokes), ma prima che l’unità potesse cominciare a sparare, il comandante in seconda, capitano di fregata Alfredo Ghiselli, che teneva il binocolo puntato sulla silurante nemica più vicina, gridò due volte “Ha lanciato … Ha lanciato”. (25 - AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45. AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.)
Sebbene il comandante Rodocanacchi avesse ordinato “Tutta barra a sinistra” per evitare i siluri, non vi fu il tempo di contromanovrare convenientemente. Dal Di Giussano, che nel frattempo aveva ricevuto il segnale “velocità 30” trasmesso dalla nave ammiraglia, il Da Barbiano fu visto avvolto da un’enorme vampata. L’attacco dei quattro cacciatorpediniere del capitano di fregata Stokes, avvenuto per semplice causa fortuita, era iniziato con effetti devastanti.
Dopo essersi portato sotto costa per tenersi nascosto il più possibile davanti alla costa di Capo Bon le unità della sua squadriglia alle vedette delle navi italiane, il capitano di fregata Stokes, sul Sikh, “fece un lungo segnale d’allarme a luce rossa lampeggiante” al Legion, che lo stava seguendo nella formazione in linea di fila con a poppa gli altri due cacciatorpediniere Maori e Isaac Sweers. E un minuto dopo, alle 03.23, il Sikh e il Legion, sfilando sul fianco sinistro degli incrociatori italiani, lanciarono i siluri da corta distanza, stimata in circa 900 – 1.000 metri. Subito dopo aprirono il fuoco con i pezzi binati da 120 mm sulle due navi dell’ammiraglio Toscano. Come vedremo, due dei quattro siluri lanciati dal Sikh colpirono il Da Barbiano, ed uno dei primi due siluri scagliati dal Legion raggiunse il Di Giussano. Quest’ultimo, non essendosi ancora messo sulla scia della nave ammiraglia e trovandosi nell’accostata a sinistra per contromarcia a maggiore distanza dalle unità nemiche, che erano in parte coperte dal Da Barbiano, prima di essere colpito ebbe tuttavia il tempo di sparare con le torri prodiere, tre salve da 152 mm, che dirette probabilmente sul Legion (che stava sparando con i cannoni da 120 mm sul Da Barbiano con le mitragliere Oerlikon sul Di Giussano), finirono tutte lunghe sulla costa. Il comandante Stokes, ha scritto che la seconda nave (il Di Giussano) “sparò una salva dell’armamento principale finita in riva al mare di Capo Bon, prima che venisse messa a tacere da tre salve ben dirette del SIKH e da un siluro a mezza nave del LEGION per poi scomparire in una nuvola di fumo”. Anche il comandante del Legion, capitano di fregata Richard Frederick Jessel, scrisse che fu sparata una sola salva, finita lunga, probabilmente diretta sulla sua nave. Alle 03.25 lanciò i suoi ultimi sei siluri sul Di Giussano, e Jessel ritenne, erroneamente, di averne messo uno a segno sull’incrociatore. (26 - National Archives, “Action of Cape Bon against Italian Naval Forces on the night 12TE – 13TE December 1941”, Relazione del capitano di fregata Stokes, ADM 1/12325.)
Avendo notato che i siluri del Sikh avevano colpito l’incrociatore di testa (Da Barbiano), alle 03.26 il cacciatorpediniere Maori del capitano di fregata Rafe Edward Courage, impegnò quella medesima nave, che era in fiamme, con le artiglierie, colpendola visibilmente sul ponte di comando, per poi lanciare due siluri, uno dei quali andò a segno sull’incrociatore. Il cacciatorpediniere olandese Isaac Sweers del capitano di fregata Jaques Houtsmuller, che essendo l’ultimo della fila guidata dal Sikh venne a trovarsi in una zona dove non poté lanciare i siluri, osservò però i colpi a segno degli altri cacciatorpediniere e il loro fuoco d’artiglieria sulle unità nemiche. Riuscì a sparare alcuni colpi su una nave in fiamme, che era il Di Giussano, osservandone poi le esplosioni con lampi molto grandi, e poi defilando velocemente verso sud, vide di prora, alla distanza di 2.000 yards, un cacciatorpediniere che si avvicinava, e che il comandante Houtsmuller ritenne fosse il Legion. Ma poi osservando meglio con il binocolo si accorse trattarsi di una torpediniere italiana della classe “Partenope”, che era il Cigno, contro il quale aprì il fuoco d’artiglierie e mitragliere, e lanciò anche un siluro che, non essendo esploso sulla nave presa di mira, Houtsmuller ritenne le fosse passato sotto lo scafo. (27 - National Archives, relazione del cacciatorpediniere Isaac Sweers, ADM 1/12325.)
Da parte sua il Cigno, trovandosi arretrato rispetto agli incrociatori, in quella fase confusa della battaglia vide defilare velocemente controbordo i cacciatorpediniere britannici, e contro di essi aprì il fuoco con i suoi tre canmnoni da 100 mm, e lanciò un siluro contro il Legion, senza però riuscire a colpirlo. Lo stesso Cigno, secondo la relazione del comandante del Sikh, era stato individuato durante “un giro del radar” dal cacciatorpediniere, che si trovò vicino alla torpediniera, ritenuta della classe “Spica”, ma ha scritto Stokes “essa passò così rapidamente e talmente vicino e con un rittimo talmente elevato di velocità che l’armamento principale non poté essere messo in punteria”. (28 - Ibidem, relazione del cacciatorpediniere Sikh, ADM 1/12325.)
Lo stesso accadde per il Maori del capitano di fregata Courage che nel dirigere con rotta sud, avendo visto e poi superato una torpediniera sul suo lato dritto, apri il fuoco con i cannoni da 120 mm a distanza ravvicinata, “che non ebbe molto successo a causa del raggio molto corto”. (29 - Ibidem, relazione del cacciatorpediniere Maori, ADM 1/12325.)
Occorre dire che la Cigno fu fortunata, poiché i comandanti dei cacciatorpediniere britannici pensarono soltanto ad allontanarsi verso sud il più rapidamente possibile, mentre invece se si fossero trattenuti nella zona dello scontro, occupandosi anche della torpediniera, per essa non si sarebbe stato campo. Nel frattempo, dopo aver lanciato i suoi siluri, il cacciatorpediniere Legion del capitano di fregata Jessel aumentando la velocità aveva diretto verso sud-ovest, per poi segnalare alle altre unità “E-boat”, ossia la presenza di un Mas o di un motosilurante verso terra. Quindi aprì il fuoco a dritta con ogni tipo di arma, mitragliere Oerlikon, pom-pom e cannoni da 120 mm, e quella piccola unità, assolutamente inesistente, “fu vista disintegrarsi e affondare”. (30 - Ibidem, relazione del cacciatorpediniere Legion, ADM 1/12325. Ibidem, relazione del cacciatorpediniere Legion, ADM 1/12325.)
In definitiva i comandanti dei quattro cacciatorpediniere ritennero di aver affondato sicuramente due incrociatori e un cacciatorpediniere, e probabilmente un altro cacciatorpediniere oppure Mas.
Contro i due incrociatori della 4a Divisione Navale l’attacco delle unità britanniche risultò rapido e micidiale nei suoi effetti. Il Da Barbiano fu colpito da un totale di tre siluri (due del Sikh e uno del Maori), che esplosero sul fianco sinistro dello scafo, rispettivamente a prora all’altezza della torre n. 1, al centro nave, e a poppa all’altezza della sala convegno ufficiali. L’incrociatore fu anche bersagliato dal fuoco d’artiglieria e delle mitragliere, in particolare dal Legion. I proiettili dell’unità britannica ridussero al silenzio una mitragliera da 20 mm, che aveva aperto il fuoco sparando circa due caricatori, mettendone fuoci combattimento tutti i serventi, assieme a quelli degli altri complessi di armi automatiche e le vedette schierate sullo stesso lato sinistro raggiunto dai siluri. L’unità con le macchine completamente immobilizzate, assunse subito uno sbandamento pauroso, in seguito al quale alle 03.35, capovolgendosi, affondò rapidamente in una fornace di nafta e benzina in fiamme, sgorganti a fiotti dai depositi squarciati e dai fusti situati a poppa, a un miglio e mezzo ad est del Faro di Capo Bon. Erano passati appena quattro o cinque minuti dallo scoppio del primo siluro che aveva colpito l’incrociatore. In questa situazione infernale elevato risultò il numero di perdite di vite umane, molte delle quali mentre si dibattevano in in mare cosparso di benzina e nafta in fiamme, che continuò a bruciare per alcune ore. Quanto al Di Giussano, subito dopo l’inversione di rotta le stazioni di vedetta segnalarono un avvistamento a 20 gradi a sinistra in direzione dell’incrociatore; masse scure identificate prima per piroscafi e poi per tre e quattro cacciatorpediniere, con rotta all’incirca di controbordo. Il comandante Marabotto “ordinò al primo Direttore del Tiro di passare in punteria sul bersaglio e all’ufficiale T di tenersi promnto al lancio sul lato sinistro. .. il De Barbiano segnalò velocità 30” che fu sibuto trasmessa alle macchine, ma subito dopo fu avvistata di prora a sinistra un’enorme vampata avvolgere il Da Barbiano. Il capitano di vascello Marabotto ordinò “al Primo Direttore del Tiro di iniziare il tiro”, che cominciò prima che il nemico sparasse sul Di Giussano. Alla seconda salva da 152 mm sembro che una nave fosse stata colpita, e la fiammata notevole intravista sull’obiettivo fu “salutata con gioia dal personale di plancia”. E possibile che invece si trattasse del bagliore di una salva da 120 mm in partenza dal cacciatorpediniere preso di mira. Subito dopo aver sparato la terza salva con i pezzi da 152 mm prodieri (i comandanti del Sikh e del Legion ritennero che l’incrociatore ne avesse sparata soltanto una), il Di Giussano manovrò per evitare uno di due siluri lanciati dal Legion, che arrivavano da poppavia al traverso. Dal rapporto del capitano di corvetta, Morisani, comandante in seconda del Di Giussano, risulta che egli vide un’ombra profilarsi sulla sinistra dell’incrociatore, che stava accostando alla massima forza, contro la quale fu aperto il fuoco con le mitragliere da 20 mm. Subito dopo, alle 03.27, si verificò “una violenta esplosione al centro sinistra”, in corrispondenza delle caldaie 3 e 4 e presso il deposito munizioni centrale. (31 - AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.)
Raggiunto anche da due granate da 120 mm al centro batteria sinistra e presso la segreteria comando, nonché da raffiche di mitragliera in controplancia, sotto la plancia e sulla tuga centrale, il Di Giussano rimase privo di energia elettrica e, cominciando a sbandare sul fianco sinistro, diminuì l’andatura per poi fermarsi con la sala macchine in fiamme, rimanendo immobilizzato. Rimasto senza energia elettrica per poter usare ancora le artiglierie e per diminuire lo sbandamento, e non potendo usare i turafalle, in quanto lo squarcio del siluro sullo scafo interessava quasi tutto il centro della nave, dal compartimento macchine di sinistra fino all’altezza dell’alloggio ammiraglio, l’incrociatore appariva ormai condannato. In effetti quell’unico colpo di siluro, in una nave che aveva una protezione di corazza modestissima, risultò mortale, e al comandante Marabotto, che aveva ricevuto dal Direttore di Macchina la notizia che la situazione era “disperata”, di fronte all’aumento dello sbandamento assunto dal Di Giussano e il pericolo che l’incendio in sala macchine, aumentando di proporzione, si propagasse alla benzina in fusti stivata a poppa, non restò che dare l’ordine di abbandonare la nave. Alle 04.22 del 13 dicembre, con le fiamme che ormai si stavano propagando in coperta, l’incrociatore, con lo scafo che si spezzo in due tronconi, affondò di poppa a miglia 2,5 a levante di Capo Bon. La torpediniera Cigno, che stava risalendo verso nord a grande velocità, per raggiungere e sopravanzare gli incrociatori, allo scopo di riprendere il suo posto in testa alla formazione, vide chiaramente i bagliori del duello d’artiglieria e gli scoppi dei siluri sugli incrociatori italiani. Successivamente individuò una unità velocissima avanzare di controbordo, che in primo tempo ritenne uno degli incrociatori nazionali. Diminuita la distanza e riconosciuta per il profilo che si andava delinenado la sagoma di un cacciatorpediniere a due fumaioli, di cui distinse la sigla H 64, (32 - La sigla H 64 apparteneva al cacciatorpediniere britannico Duchess, che però era affondato il 12 dicembre 1939 nel Mare del Nord in seguito ad una collisione con la corazzata Barham, avvenuta presso Mull of Kintyre (Scozia). Può darsi che la stessa sigla sia stata data, per motivi di riconoscimento, all’Isaac Sweers dopo che l’unità olandese era entrata a far parte della Marina britannica.)
il capitano di corvetta Riccardi accostò sull’unità nemica, che era indubbiamente l’olandese Isaac Sweers, contro la quale lanciò un siluro e scambiò colpi d’artiglieria e di mitragliere. (33 - La sigla H 64 apparteneva al cacciatorpediniere britannico Duchess, che però era affondato il 12 dicembre 1939 nel Mare del Nord in seguito ad una collisione con la corazzata Barham, avvenuta presso Mull of Kintyre (Scozia). Può darsi che la stessa sigla sia stata data, per motivi di riconoscimento, all’Isaac Sweers dopo che l’unità olandese era entrata a far parte della Marina britannica.)
Occorre dire che, nonostante la torpediniera Cigno e i cacciatorpediniere britannici nella mischia risultata molto confusa abbiano ritenuto di aver individuato nella zona del scontro unità sottili, motosiluranti o Mas, la realtà era ben diversa, poiché dei sei Mas italiani i più vicini si trovavano molto più a sud-est, dislocati sulla congiungente tra le isole di Pantelleria e Linosa, mentre cinque motosilurani tedesche, mandate in agguato presso Malta, a iniziare dalle 02.00, come da ordine ricevuto, stavano rientrando alla base. In effetti, l’azione si svolse in modo talmente veloce che trascorsero appena sette minuti dal momento in cui la 4a Squadriglia Cacciatorpediniere britannica aveva doppiato Capo Bon e il momento in cui, concluso l’attacco, le sue unità avevano assunto la rotta di disimpegno verso sud-est. Dopo il rapido combattimento, che determinò l’immediato arresto dei due incrociatori italiani in un tratto di superficie del mare cosparsa di benzina in fiamme, le unità britanniche diressero ad alta velocità per Malta, dove arrivarono, calorosamente accolti, poco prima di mezzogiorno del 13 dicembre, mentre il Cigno raggiunta la zona del disastro, si apprestò a recuperare i naufraghi. Nel corso del breve combattimento la torpediniera Cigno, come risulta dalla sua relazione, aveva sparato “24 colpi da 100/47 e 240 colpi da 20/65”.
Conclusioni
Nel dopoguerra l’idea che nell’affondamento degli incrociatori Da Barbiano e del Di Giussano vi fosse stato uno spionaggio o un tradimento, trovando ampio credito in giornalisti e storici male informati, servì per alimentare sul tragico episodio di Capo Bon della notte del 13 dicembre 1941 ipotesi assolutamente errate. Il responsabile del disastro era unicamente da ricercare nell’abilità degli operatori crittografici dell’organizzazione Ultra, che decifrando rapidamente e correttamente, grazie alla macchina elettromeccanica Bombe, gli ordini operativi trasmessi via radio a Marilibia, cifrati con il codice della macchine cifranti di Supermarina, permisero al Comando Aereo di Malta di predisporre le operazioni di ricerca aerea contro gli incrociatori italiani. Ed uno di quegli aerei, un Wellington VIII del 221° Squadron, decollato da Luqa con pilota e capo equipaggio il sergente maggiore William Denis Reason, segnalando gli incrociatori, determinò le cause che portarono all’azione notturna, costringendo la torpediniera Cigno a segnalarne la presenza al Da Bardiano con il lampeggiatore, mettendo sull’avviso le navi britanniche. La velocità di 30 nodi, mantenuta dai cacciatorpediniere della 4a Flottiglia da presso Algeri (long. 03°30’E) a Capo Bon, per uscire dal raggio di azione degli aerei italiani della Sardegna, fu la carta vincente di quelle misure, assieme al contributo di errori commessi da parte italiana. L’inversione repentina di rotta del Da Barbiane, per attaccare le navi di un presunto convoglio nemico segnalato da Supermaruina in uscita da Malta, mentre invece si trattava dei cacciatorpediniere della 4a Flottiglia che si tenevano sotto la costa di Capo Bon in attesa di sapere come comportarsi, si verificò proprio nel punto peggiore del Canale di Capo Bon, di 3 miglia tra la costa e gli sbarramenti minati; e il risultato dello scontro fu agevolato per le unità britanniche proprio dal fatto che, con tale manovra di controbordo a sinistra, le navi italiane si avvicinarono al nemico a velocità più che doppia di quella che sarebbe stata necessaria ai cacciatorpediniere del comandante Stokes per raggiungere gli incrociatori. Inoltre, se l’ammiraglio Toscano avesse proseguito la rotta verso sud, il possibile incontro con i cacciatorpediniere britannici della 4a Flottiglia si sarebbe potuto verificare lontano da Capo Bon, a sud di Kelibia, in un punto di mare più largo che avrebbe consentito, anche per la lontananza della costa, una maggiore visibilità per le vedette italiane e altresi permesso alla 4a Divisione Navale una più ampia possibilità di manovra.
Non deve poi essere dimenticato che la velocità delle navi britanniche, da sfruttare in un eventuale inseguimento, era al momento inferiore a quella delle unità italiane, poiché per ridurre la visibilità dell’onda di prova ai suoi cacciatorpediniere, e portandosi sotto costa alla scopo di non farsi avvistare dalla vedette nemiche, il comnandante Stokes aveva ordinato alle sue unità di ridurla a 20 nodi, mentre le navi italiane marciavano a 24 nodi. Motivo per il cui, se improvvisamente continuando con rotta sud, gli incrociatori italiani avessero aumentato la loro maggiore velocità è da presumere che i cacciatorpediniere britannici sarebbero rimasti indietro, anche in considerazione dell’ordine di non impegnarsi. Servivano ad Alessandria, per poter scortare le corazzate e gli incrociatori della Mediterranean Fleet, e dovevano arrivarvi senza un graffio.
Infine, occorre spiegare che era molto più difficile colpire un bersaglio con lancio effettuato contro unità in allontanamento a maggiore velocità di quella del nemico, perché la velocità dei siluri britannici era a quell’epoca all’incirca uguale a quella che potevano raggiungere alla massima forza gli incrociatori italiani. Conseguentemente un attacco portato dai cacciatorpediniere da poppa, difficilmente avrebbe consentito di colpire i bersagli, i quali aumentando di velocità al primo allarme (e l’allarme vi era stato), avevano la possibilità di schivare i siluri e di portarsi fuori dalla loro traiettoria prima della fine della loro autonomia. Alla luce delle conoscenze attuali delle relazioni dei comandanti dei cacciatorpediniere britannici, non risulta che in quell’occasione l’avvistamento da parte delle siluranti del comandante Stokes sia stato effettuato con l’ausilio del radar; d’altro conto le apparecchiature del tempo avevano una portata di scoperta navale che si aggirava sulle 6 miglia. Dalle relazioni risulta che il Sikh e il Legion usarono nel corso dell’azione il loro appartato radar tipo 283 R/FF come ausilio all’avvistamento ottico e per il controllo del tiro, e fu grazie al radar del Sikh che il comandante Stoker si accorse che gli incrociatori italiani avevano invertito la rotta e dirigevano verso i suoi cacciatorpediniere, che a questo punto attaccarono. (34 - National Archives, “National Archives, Action of Cape Bon against Italian Naval Forces on the night 12TE – 13TE December 1941”, Relazione del capitano di fregata Stokes, ADM 1/12325.)
E necessario ripetere, per sfatare ogni dubbio che ancora potesse sussistere, che l’avvistamento iniziale delle unità dell’ammiraglio Toscano si verificò otticamente, alla distanza di circa 3 miglia. L’avvicinamento ai bersagli, per un certo tempo non più in vista, fu invece agevolato dai segnali con il lampeggiatore scambiati con il Da Barbiano (capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi) dalla torpediniera Cigno (capitano di corvetta Nicola Riccardi), che avvertì la nave ammiraglia della presenza dell’aereo di Malta che aveva sorvolato la Divisione. Sull’inversione di rotta della 4a Divisione Navale, alle ore 03.20 del 13 dicembre 1941, sono stati espressi giudizi contrastanti, ma in gran parte polemici nei riguardi dell’ammiraglio Toscano. Storici e addetti ai lavori si sono chiesti perché quell’alto ufficiale, sapendo che le sue navi erano state sorvolate dal “Wellington VIII di Malta fin dalle 02.45, abbia atteso ben trentacinque minuti per decidere di invertire la rotta. In questo frattempo non vi era da parte sua una qualche intenzione di depistare la sorveglianza del velivolo britannico, dal momento che le sue tre navi continuarono a dirigere verso sud con rotta diretta. Pertanto sono state fatte varie ipotesi, la più accreditata delle quali, anche perché esposta a livello ufficiale dall’ammiraglio Aldo Cocchia era stata la seguente: (35 - Aldo Cocchia, La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale, USMM, cit., p. 168-169.)
L’ipotesi più probabile è che l’ammiraglio Toscano abbia deciso di tornare indietro perché convinto, in seguito all’avvistamento aereo, che se avesse proseguito sarebbe stato duramente e pericolosamente attaccato dall’aviazione di Malta, ma in tal caso non si comprende perché l’inversione di rotta sia stata ordinata alle 03.20 e non subito dopo aver notato che un velivolo avversario era nel cielo delle unità italiane, e cioè poco dopo le 02.45.
Questa osservazione non tiene però conto di quattro dettagli importantissimi, che rendono assolutamente non giustificabile ed estremamente rischiosa una eventuale decisione dell’ammiraglio Toscano di puntare verso le Isole Egadi, o di effettuare un’improvvisa manovra di depistaggio, per confondere l’avvistamento dell’aereo nemico ed eludere il suo pedinamento. Il primo motivo era di contenuto tecnico, perché determinato dalla presenza di estesi campi minati italiani (sbarramenti S 11) che si trovavano ad oriente di Capo Bon, ad appena un miglio di distanza dalla rotta seguita dagli incrociatori, che pertanto non potevano effettuare un’accostata troppo ampia sulla loro destra per non entrare nella zona pericolosa. Pertanto le norme di sicurezza imponevano all’ammiraglio Toscano di ripercorrere nella rotta verso nord il canale di 3 miglia di ampiezza esistente lungo la costa orientale della Tunisia, fino a raggiungere le acque libere oltre Capo Bon. Il secondo motivo era di natura operativa, perché essendo la 4a Divisione Navale in ritardo di un’ora sulla tabella di marcia, ogni altro ritardo sulla rotta per Tripoli sarebbe risultato in contrasto con i dettagli di navigazione fissati da Supermarina, che prevedevano, a iniziare dall’alba, turni di protezione aerea affidata ai velivoli della Tripolitania, e un appuntamento con due torpediniere, salpate dal porto libico per rafforzare la scorta alla 4a Divisione Navale, che era stato fissato per le ore 09.00 del 13 dicembre. Su questo appuntamento, verso mezzanotte Marina Tripoli aveva trasmesso al Da Barbiano il seguente avvertimento: “MARILIBIA 090012 – Cifrate da solo alt Alle 090013 incontrerete nave CALLIOPE et nave CASTORE che vi scorteranno fino a Traiettoria [Tripoli] alt Su punto A vi sarà dragamine pilota dalle 130013 in poi alt 235012”. Supermarina intercettò la comunicazione alle 01.03, e si deve pertanto desumere che il Da Barbiano abbia ricevuto quella comunicazione “Urgente” all’incirca alla stessa ora. Quindi l’ammiraglio Toscano sapeva che Supermarina lo spingeva ad andare avanti senza indugio. Il terzo motivo era di natura urgente ed anche di indole morale, perché costituito dall’ordine tassativo impartito al Comandante della 4a Divisione Navale di fare ogni sforzo per portare urgentemente la benzina a Tripoli. Dal suo arrivo a destinazione era infatti legata la possibilità di effettuare la complessa operazione M.41 di rifornimento della Libia, per la quale erano anche impegnati, oltre a quasi tutte le unità e reparti della flotta e dell’Aeronautica disponibili, anche aerei, sommergibili e motosiluranti tedesche; e ciò obbligò l’ammiraglio Toscano a non invertire la rotta di propria iniziativa, a meno che un grave e giustificato pericolo non lo avesse indotto a disporre altrimenti. Un ordine in tal senso non poteva assolutamente essere giustificato per la presenza di un aereo nemico che stava sorvegliando le navi, anche se esisteva il sospetto di poter essere attaccato, in conseguenza dell’avvistamento, da velivoli offensivi provenienti da Malta, nelle restanti ore di oscurità, e un probabile intervento navale proveniente dalla Valletta, segnalato dai servizi d’imnformazione tedeschi e italiani, che si riteneva di poter eludere aumentando la velocità degli incrociatori dell’ammiraglio Toscano, ordinata da Supermarina quando ormai gli incrociatori Da Barbiano e Di Giussano erano stati affondati. Infine il quarto motivo, il più importante, era che soltanto Supermarina, sulla base delle informazioni sul nemico in suo possesso, aveva la competenza di un interruzione della missione, poiché quell’organo operativo dello Stato Maggiore della Regia Marina, era l’unico in quel momento in grado di giudicare se esisteva una minaccia convincente per poter ordinare alle navi il rientro dalla missione. E poiché alle 03.00 la 4a Divisione Navale sarebbe dovuto passare da Capo Bon “da un’ora non si ritenne il caso di interrompere la missione che era urgentissima”. [il neretto è dell’Autore]. Era da considerare a bordo del Da Barbiano, che i cacciatorpediniere britannici potevano essere nei pressi di Capo Bon alle ore 03.00, se avessero navigato a 30 nodi. Pertanto tornare indietro, con il ritardo accumulato di un’ora, significava per gli incrociatori italiani di andare incontro a quelle siluranti. Capo Bon era stato scapolato dalla 4a Divisione Navale da circa venticinque minuti, ed era naturale che ne occorressero altrettanti per tornare indietro e riguadagnare il mare aperto, allontanandosi dagli sbarramenti minati S.11 che iniziavano proprio a 3 miglia a nord e ad est di quel promontorio. Ritengo che nelle condizioni di vantaggio sulla tabella di navigazione dei cacciatorpediniere britannici (che erano errate) una simile eventualità, quella di invertire la rotta, non fu neppure considerata dall’ammiraglio Toscano e dagli ufficiali del suo stato maggiore. Gli ufficiali superstiti non ne hann parlato. Essa avrebbe avuto il solo risultato di andare incontro ai cacciatorpediniere britannici (ossia all’unica vera minaccia in quel momento conosciuta, essendo ipotetica luscita della navi nemiche da Malta), che potevano facilmente tagliare la rotta della ritirata agli incrociatori se fossero stati guidati proprio dall’aereo di Malta che li aveva avvistati. Dobbiamo però dire, ed è bene ripeterlo, che secondo la relazione del capitano di fregata Stokes, comandante della 4a Flottiglia cacciatorpediniere, i suoi ordini prescrivevano di raggiungere Malta ad alta velocità senza effettuare cambiamenti di rotta; e ciò significava che una ricerca degli incrociatori verso la Sicilia o nel Canale di Sicilia non sarebbe stata effettuata, anche perché non gli era stato impartito al riguardo alcun ordine da parte di un comando britannico. L’interesse primario era che i cacciatorpediniere britannjici raggiungessero Malta, da dove poi, una volta riforniti, il 14 d9icembre avrebbero partecipato con le Forze B e K ad una puntata nello Ionio contro i convogli italiani dell’operazione M.41, e successivamente sarebbero partiti per Alesandria per rinforzare la Mediterranean Fleet, e partecipare alla scorta di un importante convoglio per Malta (operazione M.E.9), che si mise in movimento il giorno 15. (36 - National Archives, “National Archives, Action of Cape Bon against Italian Naval Forces on the night 12TE – 13TE December 1941”, Relazione del capitano di fregata Stokes, ADM 1/12325.)
Occorre inoltre considerare che il segnale d’avvistamento trasmesso dal ricognitore britannico alle 03.01, arrivato a Malta intorno alle 03.15 e ritrasmesso più tardi, non avrebbe significato di poter concedere all’aviazione dell’isola la possibilità di poter attaccare subito le navi della 4a Divisione Navale. Infatti, a meno che i britannici si trovassero già in volo e diretti verso l’obiettivo, e non lo era, per preparare il decollo delle formazioni offensive, ed inviarle in volo sotto l’intralcio determinato dagli attacchi aerei pianificati per qualla notte dall’Aeronautica della Sicilia per poi raggiungere il piuttosto lontano obiettivo, sarebbe accorso del tempo, e nel frattempo le navi italiane avrebbero raggiunto la zona di mare libera dalle mine, nella quale manovrare ad alta velocità. Tuttavia, la minaccia aerea esisteva realmente. Infatti, la formazione di sette aerosiluranti Swordfish dell’830° Squadron e di tre Albacore dell’828° Squadron decollata da Hal Far per ricercare le navi italiane in una zona di mare tra Capo Bon e 30 miglia a sud di Pantelleria, effettuò la missione quando gli incrociatori erano già affondati. E di quei velivoli, che effettivamente avrebbero potuto attaccare nell’oscurita il Da Barbiano e il Di Giussano, uno solo, alle 04.27, diresse contro la superstite torpediniera Cigno, impegnata nel salvataggio dei naufraghi, ma senza colpirla con il suo siluro. (37 - Tony Spooner, Supreme Gallantry. Malta’s Role in the Allied Victory 1939 – 1945, London, John Murray, 1996, p. 98.)
In definitiva, sulla determinazione di Supermarina di mandare avanti le navi influiva, in modo determinate, l’impegno preso con il Comando Supremo, che non avrebbe tollerato un nuovo ritardo nel trasporto della benzina avio, dipendendo dall’arrivo del carburante le possibilità di poter scortare gli importanti convoglio dell’operazione M.41, con l’aviazione del Settore Oveast della Libia. Pertanto, questa volta Supermarina non avrebbe assolutamente giustificato una nuova inversione di rotta ordinata autonomamente dal Comando della 4a Divisione Navale su semplici indizzi di una minaccia nemica che Roma aveva comunque preso in seria considerazione, prevedendo un intervento dell’aviazione di Malta, come in effetti avvenne, ma anche della formazione navale, che invece restò in porto alla Valletta per risparmiare la nafta, consumata in una serie di scorrerie nel Mediterraneo centrale. (38 - La nafta sarebbe arrivata alla Valletta soltanto il 18 dicembre con la nave ausiliaria Breconshire, dopo che si era svolto, per le unità di scorta, il breve e inconcludente combattimento della 1a Sirte contro la Squadra Navale italiana, impegnata nell’operazione M.42, che aveva sostituito la M.41. Era accaduto che in seguito al danneggiamento della corazzata Vittorio Veneto, silurata il 14 dicembre a sud dello Stretto di Messina dal sommergibile britannico Urge, e all’affondamento nel Golfo di Taranto delle motonavi Filzi e Da Greco (che trasportavano due battaglio di carri armati), silurate dal sommergibile Upright, vi fu la necessità riorganizzare le forze, e alla M.41 subentrò la M.42, con la quale un prezioso convoglio riuscì, finalmente, a raggiungere Tripoli.)
Ciò è ampiamente dimostrato dallo scambio di messaggi e comunicazioni telefoniche, che si svolse fra i vari Alti Comandi nella Capitale italiana. Infatti, alle 03.30 del 13 dicembre Supermarina telefonò a Superaereo , informandolo: (39 - ASMAUS, “Operazione Speciale dal 7 al 14-12-1941, GAM 8, cartella n. 138.)
Alle ore 03.00 aereo nemico ha avvistato nostra Divisione incrociatori, lanciando segnale di scoperta: “due incrociatori nemici a 10 miglia per 350° da Capo Bon – rotta 170 gradi velocità 22”. Richedesi ulteriore azione notturna su Malta per contrastare possibili interventi velivoli nemici. CAT [Corpo Aereo Tedesco] Sicilia informato situazione da Marina Messina. (40 - In effetti, erano state pianificate due azioni notturne, affidate a undici bombardieri del Comando Aeronautica Sicilia e a sette Ju.88 del 606° Gruppo Combattimento (KGr.606) dislocati a Catania. Dei velivoli italiani, sette Cant.Z.1007 bis del 9° Stormo Bombardieri effettuarono, dalle 19.29 alle 21.45 del 12 dicembre, il bombardamento dell’aeroporto di Luqa, delle strisce di volo di Gudia e del porto di La Valletta, sganciando sugli obiettivi, che erano parzialmente coperti da nubi, sessantatre bombe: due da 500 chili, tre da 250, trentadue da 100, sei da 70 e venti da 20 chili. Per noie meccaniche non decollò un altro Cant.Z.1007 bis, mentre tre Br.20 del 55° Gruppo Bombardieri, partiti alle 18.00, erano stati costretti a rientrare alla base, avendo trovato sulla rotta per Malta cattive condizioni atmosferiche. Quanto agli Ju.88 tedeschi, che avrebbero dovuto raggiungere l’obiettivo tra le 19.30 e le 21.30 del 12, essi restarono a terra per motivi non dichiarati ai comandi italiani.)
Ricevuta questa allarmante segnalazione, Superaereo telefonò subito (ore 03.40) al Comando dell’Aeronautica della Sicilia (generale Silvio Scaroni), per chiedere l’attuazione di nuove azioni offensive sugli obiettivi aeronavali di Malta, da svolgersi “subordinatamente” alla disponibilità di velivoli da bombardamento ed alla “possibilità” di effettuare le incursioni entro le ore notturne. Oltre a questa misura di carattere offensivo, l’organo operativo della Regia Aeronautica ne prese un’altra dal contenuto difensivo, ordinando al Comando Settore Ovest della 5a Squadra Aerea di anticipare la scorta aerea agli incroiatori Da Barbiano e Di Giussano, già prevista per le prime luci del giorno con velivoli da caccia Cr.42 del 3° e 23° Gruppo. (41 - ASMAUS, “Operazione Speciale dal 7 al 14-12-1941, GAM 8, cartella n. 138.)
Nel frattempo, alle 04.35, quando ancora non era conosciuta la tragica sorte toccata ai due incrociatori della 4a Divisione Navale, Supermarina aveva telefonato a Superaereo, comunicando: (42 – ASMAUS, “Operazione Speciale dal 7 al 14-12-1941, GAM 8, cartella n. 138, Comunicazione telefonica n. 14418.)
Probabile uscita da Malta tra le ore 05.00 e le ore 07.00 degli incrociatori ivi alla fonda con rotta sud-ovest per incontrare alle ore 11.00 nel punto 34 gradi nord 12 gradi 20 primi est [circa 70 miglia nord di Tripoli] nostra Divisione avvistata nella notte nei pressi di Capo Bon, chiedesi effettuazione ricognizione offensiva con aerosiluranti sulla rotta degli incrociatori nemici.
Cinque minuti più tardi la medesima urgente richiesta a Superaereo fu sollecitata da Supermarina, e contemporaneamente l’ammiraglio Sansonetti si mise personalmente in contatto con il vicino Comando della Marina Germanica in Italia, situato presso Supermarina, facendogli conoscere le medesime previsioni sull’uscita della Forze navali britanniche dalla Valletta esposte a Superaereo, e chiedendo che ne fosse subito informato il Comando del II Fliegerkorps per disporre un intervento aereo “nella zona a sud-ovest di Malta sulla rotta degli incrociatori nemici”. (43 - AUSMM, Supermarina – Comunicazioni telefonica, comunicazione n. 14414, registro n. 22.)
La risposta di Superaereo arrivò a Supermarina alle ore 05.00 nella seguente forma, riferita dal tenente colonnello Porta al comandante Monfrini: “In seguito alla vostra richiesta è stata disposta alle prime luci dell’alba una ricognizione a vista sulla Valletta e in seguito a questa la partenza della ricognizione armata con aerosiluranti”. L’ordine era stato impartito da Superaereo al Comando dell’Aeronautica Sicilia con il messaggio in chiaro per telescrivente n. 1B/20753. (44 - ASMAUS, Comunicazioni telefoniche e Messaggi in partenza, GAM 8, cartella n. 138.)
Come si vede dallo scambio delle comunicazioni e dalla diramazione degli ordini operativo, Supermarina riteneva più probabile nei confronti della 4a Divisione Navale la minaccia degli incrociatori di Malta. Fu proprio per evitare alle sue unità navali di essere intercettate da quelle nemiche provenienti dalla Valletta, che alle 04.50 Supermarina trasmise al già affondato Da Barbiano un messaggio (chiedendo di dare il ricevuto che non poteva realizzarsi) in cui si ordinava: “SUPERMARINA 77413 – Appena possibile aumentate velocità a nodi 25 et dirigete punto complesso (alt) Marilibia informato – 043513”. (45 - AUSMM, Supermarina – Cifra in Partenza.)
In effetti questo cifrato, trasmesso da Supermarina, fu seguito alle 04.55 da quello inviato a Marilibia, in cui si avvertiva: “SUPERMARINA 95724 – Destinatario Marilibia et per conoscenza Marina Messina (alt) Gruppo BARBIANO at ore 5 dirige per punto complesso velocità 25 (alt) Informate torpediniere – 043523”. Questo messaggio fu decrittato dall’Ultra che inoltre riportò nel suo messaggio immediato ZIP/ZTP I/3206, che il punto complesso si trovava a 120 miglia da Tripoli. Ricordiamo che le torpediniere erano il Calliope e il Cantore, le quali secondo quanto segnalato da Marina Tripoli al Da Barbiano con il messaggio n. 09012 delle 23.50 del 12 dicembre, erano state incaricate di congiungersi agli incrociatori alle ore 09.00 del 13 a sud delle Isole Kerkennah. Ciò avrebbe permesso di costituire intorno alle unità della 4a Divisione Navale, in pieno giorno e con il sostegno dell’Aeronautica del Settore Ovest della 5a Squadra, un complesso di tre siluranti, per cercare di fronteggiare nel modo migliore una qualsiasi minaccia potesse presentarsi: di superficie (sempre che il nemico non avedsse disposto di forze superiori), subacquea e aerea. Purtroppo, quando alle 06.00 arrivò dalla torpediniera Cigno la notizia dell’affondamento degli incrociatori dell’ammiraglio Toscano, che gettava nella costernazione il personale di Supermarina e dell’intera Marina, perché la notizia non tardò a diffondersi, non restò che richiamare alla base le torpediniere Calliope e Cantore, che invertitono la rotta per Tripoli alle 06.50, e di avvertire Superaereo di sospendere le richieste azioni aeree di copertura alle navi dell’ammiraglio Toscano, informandone il II Fliegerkorps.
Dall’ordine trasmesso alle 04.50 del 13 agosto al Comando della 4a Divisione Navale, di aumentare la velocità a 25 nodi, si ha la conferma che Supermarina, oltre a non avere alcun motivo di interrompere la missione, riteneva di poter facilmente eludere l’eventuale tentativo di intercettazione da parte delle Forze B e K. Nello stesso tempo riteneva di non dover temere per le sue navi a causa dei cacciatorpediniere avvistati nel pomeriggio del giorno avanti all’altezza di Bougie, i quali, secondo i calcoli più pessimistici, non avrebbero potuto raggiungere gli incrociatori dell’ammiraglio Toscano prima dell’alba, anche se quelle siluranti avessero sostenuto una navigazione superiore ai 28 nodi. E a quel momento, con la luce del giorno, gli incrociatori, con i loro cannoni da 152 mm, e l’appoggio delle tre torpediniere, dopo aver catapultato i velivoli da ricognizione per controllare se vi fossero vicino navi nemiche, erano in grado di far fallire un eventuale attacco. Purtroppo quello che l’organo operativo dell’Alto Comando Navale non aveva evidentemente messo sul conto delle ipotesi era che la 4a Divisione Navale si trovava in ritardo di un’ora; ritardo accumumulato nel lungo giro effettuato uintorno alle Isole Egadi, per tenersi il più lontano possibile dalla zona di vigilanza degli aerei britannici di base a Malta. Questo ritardo increscioso, non certamente imputabile a Supermarina perché non segnalato dall’ammiraglio Toscano per ovvi motivi di mantenimento di un rigoroso silenzio radio, portò a far ritenere che gli incrociatori stessero procedendo secondo la tabella di marcia fissata dall’ordine di operazione. Pertanto, sempre considerando la velocità di spostamento dei cacciatorpediniere quella ragionevolmente più elevata, Supermarina non aveva alcun elemento per cambiare l’errato convincimento che da quelle unità nemiche non vi fosse da attendersi una minaccia nel corso della notte. Quindi, una volta sostenuto fortemente che nella seconda missione una eventuale inversione di rotta, effettuata di propria iniziativa dall’ammiraglio Toscano non sarebbe stata tollerata da Supermarina, la cui contrarietà per la precedente fallita operazione era stata personalmente espressa al Comandante della 4a Divisione dal Sottocapo di Stato Maggiore, è ovvio che nell’ordine dato alle unità di tornare verso nord debba aver influito qualcosa di particolarmente importante. Ciò anche perché la manovra del Da Barbiano dato alle navi di tornare per contromarcia a sinistra verso nord, fu talmente improvvisa, vera manovra di emergenza, da non concedere al Di Giussano e alla Circe il tempo necessario per mantenere la formazione normale di marcia più favorevole, con la torpediniera in testa, quale nave avanzata di vigilanza. Eviddentemente si era verificato qualcosa di molto allarmante, una minaccia che andava affrontata con la massima energia, oppure era stata percepita una presenza di unità navali che andava controllata senza indugio. E’ lecito chiedersi se sulla nave ammiraglia – già allertata da Supermarina con la errata comunicazione di poter trovare sulla sua rotta piroscafi nemici, che l’Alto Comando Navale riteneva fossero usciti da Malta – avessero ben compreso il significato di quella trasmissione: “SUPERMARINO 88071 – Possibile incontro con piroscafi in uscita da Malta (alt) Nessun piroscafo nazionale aut francese su vostra rotta – 214512”. (46 - AUSMM, Supermarina - Cifra in partenza.)
Anche perché il Da Barbiano, avendo ricevuto in via indiretta il messaggio di Supermarina ritrasmesso dal Centro Radio di Marina Messina (a cui il messaggio di Supermarina era stato diretto), cifrato con il codice S.M. 16/S e compilato con precedenza assoluta PAPA e senza richiesta di dare il ricevuto, non era riuscito a stabilire correttamente se effettivamente si trattasse di piroscafi britannici. Nella relazione dell’aspirante sottotenente commissario Antonio Di Francesco, che si trovava al posto di combattimento Ufficiali alla cifra, in plancia comando del Da Barbiano, è riferito: “Verso le 22 è arrivato da Supermarina un cifrato che solo in parte e a stento è stato decifrato, nel quale veniva segnalato un probabile nostro incontro verso le ore 1 con piroscafi nazionali (aut francesi). Seguivano nominativi di cui ricordo solo Malta”. (47 - AUSMM, Fascicolo “Cartella deposizioni superstiti”, Archivio 37, Archivio Militare, cartella D.6.)
Il messaggio di Supermarina diretto al Da Barbiano fu intercettato anche dal Di Giussano, ma risultò indecifrabile. Ha scritto al riguardo nella sua relazione il tenente di vascello Giovanni Demini che, essendo ufficiale di rotta e alle comunicazioni, si trovava sulla plancia comando dell’incrociatore: (48 - AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45. AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.)
Dopo le 2300 la radio mi informa della ricezione di un messaggio diretto al Comando Divisione – sistema indiretto – da Roma a Messina. Poco dopo l’ufficio Cifra mi comunica che il messaggio risulta indecifrabile pur essendo cifrato con la SM 16/S- Serie A. Insisto perché si cerchi di decifrarlo. Dopo le 2400 il BARBIANO ci chiede per u.c. [ultra corte] di ripetergli il messaggio 612/231. (49 - Dalla esistente documentazione non è stato possibile accertare, con il Direttore e gli ufficiali dell’Ufficio Storico della Marina Militare, di quale messaggio si trattasse, per stabilirne il contenuto. Il mio lavoro sul Bollettino d’Archivio del settembre 1991 (p. 51-145), Lo scontro di Capo Bon (13 dicembre 1941), che comprende moltissimi documenti fotografati dall’originale, e che fu considerato dall’ammiraglio di squadra Renato Sicurezza una monografia, fu molto apprezzato, perché aveva risolto quasi ogni enigma sullo scontro di Capo Bon.)
Dopo verifica constato che non risulta ricevuto da noi: C’era invece il 612/235 di cui sopra. Faccio ritrasmettere quest’ultimo col KK, a parte , lo informo “messaggio indecifrabile”. Dopo le 0130 il BARBIANO comunica: “Massima importanza decifrare messaggio …”. Col permesso del Comandante scendo in Cifra. Rimane in plancia col comandante il S.T.V. Vecchietti per tentare la decifrazione. Il Capitano Commissario Gibaldi mi dice che non c’è nulla da fare. Ugualmente mi metto al lavoro . La decifrazione regolare non mi da alcun risultato. Comincio con i tentativi, ma dopo circa 10 minuti dalla plancia avvertono. “Posto di combattimento”. Sospendo tutto e mi reco in plancia. Potevano essere le 0200. Comunico ancora al BARBIANO per u.c “Messaggio indecifrabile”. Qualche tempo dopo si riceve dal BARBIANO “Attenzione piroscafi nemici”. Faccio aprire le R.D.S. onda 105 e le microonde che rimangono silenziosi. Conseguentemente, si comprende il modo erroneo con cui il Comando della 4a Divisione Navale aveva interpretato la comunicazione di Supermarina, ossia che le navi eventualmente incontrate lungo la rotta, essendo nemiche, potevano essere attaccate. Ciò è chiaramente esposto nel rapporto del capitano di corvetta Riccardi, comandante della torpediniera Cigno, che testualmente fece riferimento a “quel convoglio che si poteva attaccare”, (50 - AUSMM, “Rapporto di missione eseguita dal CIGNO da Palermo a Capo Bon, Prot. 215/SRP del 16 dicembre 1941”, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.)
mentre invece Supermarina, conoscendo la situazione del carico pericoloso a bordo degli incrociatori, non aveva riportato di attaccare quei piroscafi. La successiva manovra di rapida inversione della rotta per controbordo ordinata dal Da Barbiano, che aveva avvistato sagome di navi sotto la costa di Capo Bon, deve essere considerata una conseguenza di quella errata interpretazione. Ciò è abbastanza desumibile, scorrendo ancora nella relazione dell’aspirante sottotenente commissario Di Francesco, il quale sostenne di aver sentito verso le 01.00 del 13 dicembre, il comandante del Da Barbiano “chiamare il comandante [Aldo] Cavallini, 1° Direttore del Tiro ed avvertirlo che la plancia ammiraglio segnalava un nostro incontro con piroscafi (unita?) nemici provenienti da Malta durante le ore notturne, all’altezza di Capo Bon. S’informava quindi con che proiettili fossero caricati in torre, ed in seguito dava opportune disposizioni in modo che la benzina portata a poppa fosse gettata in mare appena il convoglio fosse stato avvistato, in modo di poter sparare con le torri di poppa”. (51 - AUSMM, Fascicolo “Cartella deposizioni superstiti”, Archivio 37, Archivio Militare, cartella D.6.).
Questa testimonianza è molto importante, forse fondamentale per far comprendere il clima di eccitazione bellica esistente sul Da Barbiano e sul Di Giussano al momento dell’improvvisa deviazione di rotta, che come è scritto nella relazione del comandante Stokes, girando di 16 punti (160°) stava avvicinando le navi italiane ai suoi cacciatorpediniere. Inoltre, dall’ultima affermazione del Di Francesco si deduce che il capitano di vascello Rodocanacchi si apprestasse ad attaccare i segnalati piroscafi nemici, sparando, se necessario, anche con le torri di poppa dell’incrociatore, dopo essersi liberato del carico di benzina. Osservando che una simile iniziativa offensiva era assolutamente contraria allo spirito della missione, che imponeva di portare a Tripoli ogni goccia di carburante destinato agli aerei della 5a Squadra. Non sappiamo se l’ordine di approntare le artiglierie era partito direttamente dalla plancia ammiraglio, come è probabile, oppure fosse stata una semplice iniziativa del comandante del Da Barbiano. Ricordando che lo stesso comandante della torpediniera Cigno fece chiaramente riferimento, nel suo rapporto, a “quei piroscafi che si potevano attaccare”, si rafforzò la convinzione nel supporre che la comunicazione di Supermarina, pur essendo arrivata in maniera alquanto confusa, fu anche interpretata come un chiaro ordine di attacco, a cui tutti è da supporre anelavano. E’ anche probabile che il Comando della 4a Divisione Navale si fosse reso conto della presenza non di piroscafi ma dei cacciatorpediniere britannici che si avvicinavano dai quartieri poppieri, con il Sikh che trasmetteva con segnali rossi alle altre unità che lo seguivano gli ordini di combattimento, e quindi dell’esistenza di una minaccia che andava affrontata senza indugio e con la massima determinazione. Sia che si trattasse di attaccare i lenti e poco armati piroscafi, che poteva essere anche scortati, sia di fronteggiare l’insidia di veloci unità siluranti, la manovra d’inversione per controbordo era pienamente motivata. Perché consentiva agli incrociatori, come era stato discusso a Palermo, di portare in punteria i cannoni delle torri principali da 152 mm prodiere, di disporre di una maggiore possibilità di manovra nel fronteggiare il nemico, e nello stesso tempo permetteva di non presentare alle artiglierie avversarie la poppa in cui erano accatastati i pericolosissimi fusti di benzina, che potevano incendiarsi se le unità avessero risposto al fuoco nemico con i 152 mm delle torri prodiere. A questo punto ci appare convincente quanto scritto dal figlio del comandante della 4a Divisione Navale, Alfino Toscano, il quale afferma in un suo libro che sul Da Barbiano fu evidentemente percepita una minaccia incombente proveniente dai quartieri poppieri, verso la costa. Pertanto, egli sostiene, occorreva anzitutto “mettere la nave nelle migliori condizioni di offesa, e cioè presentare la parte prodiera al nemico; e nel farlo, adottando la tanto contestata rotta nord-est che indubbiamente portò gli incrociatori ad un rapido avvicinamento ai cacciatorpediniere nemici, non vi fu, con quella manovra di emergenza, “il tempo materiale per dare avviso alle altre navi che seguivano l’ammiraglia”. (Alfino Toscano, La IV Divisione ed il suo Ammiraglio. La trappola sanguinosa di Capo Bon (13-12-1941; Edigraf, Catania 1985, p. 68-70.)
L’ammiraglio Franco Gay ha scritto che “Sul DA BARBIANO l’avvistamento del nemico avvenne quasi subito l’accostata, ad opera del 3° Direttore del Tiro, sulla controplancia”, e che le sagome delle siluranti nemiche, intravviste sotto costa e sotto il cono di luce del faro di Capo Bon, furono subito dopo “avvistate dall’Ammiraglio e dal suo Capo di S.M., Capitano di vascello Giordano in plancia ammiraglio”. (Franco Gay, Incrociatori leggeri classe “Di Giussano”, cit.)
Aggiunge Alfino Toscano, che il tempestivo ordine subito impartito al Di Giussano di aumentare l’andatura (“Vela 30”), e di portare in punteria le artiglierie prodiere pronte a far fuoco, difficilmente potevano essere dati “con la tempestività con cui furono impartiti” se gli uomini del Comando della 4a Divisione Navale non fossero “già stati sull’avviso”. (54 - Alfino Toscano, Documenti raccolti e missive della IV Divisione Navale, Catania 1989, p.30-31.)
Il tenente di vascello Enzo Nicolini, che era proprio il Terzo Direttore del Tiro sul Da Barbiano, ha sostenuto di essere rimasto molto perplessi sul fatto che pur essendo pronti a far fuoco con le torri 1 e 2, l’incrociatore non cominciò a sparare; probabilmente perché “nella confusa situazione cinematica determinatasi nel corso dell’inversione” di rotta, il comandante Rodocanacchi ebbe forse dubbi “sulla posizione” della torpediniera “CIGNO rispetto al piano di tiro”. (55 - Ibidem, lettera di Enzo Nicolini, p. 173-174.)
E invece possibile, secondo noi, che il comandante del Da Barbiano, pensando di aver di fronte un bersaglio facile e lento, come quello rappresentato da piroscafi, abbia volutamente atteso ad aprire il fuoco, per avere la possibilità di colpire con precisione bersagli bene individuati fin dalle prime salve. Fu soltanto dopo che apparvero nel cielo i bengala lanciati dai britannici per illuminare i bersagli e fu contemporaneamente notato che le sagome inizialmente ritenute piroscafi erano in realtà quelle di cacciatorpediniere, che fu compreso il pericolo. Ma era ormai troppo tardi. Gli incrociatori erano andati in bocca al nemico, che non si aspettava un simile regalo. E la reazione dell’incrociatore nave ammiraglia della 4a Divisione Navale fu insignificante. Infatti, secondo un altro superstite del De Barbiano, soltanto il pezzo “da centro sito al centro tra la plancia siluri” [cannone da 100 mm contraereo], avrebbe “subito sparato … nel tentativo di abbattere il primo e secondo bengala lanciato dagli inglesi”. (56 - Aldo Cocchia, La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale, cit., p. 168.)
L’inversione di rotta per 180 gradi, effettuata repentinamente dal Da Barbiano, seguita dall’ordine trasmesso alle unità dipendenti di passare da 24 nodi a una velocità del tutto inusitata di 30 nodi e con le artiglierie prodiere e i lanciasiluri puntati verso la costa pronti ad agire, sono elementi probanti che il Comando della 4a Divisione Navale manovrò all’ultimo istante per fronteggiare una improvvisa emergenza, determinata dalla convinzione della presenza di un presunto convoglio salpato da Malta, segnalato da Supermarina oppure di un insidia letale. (57 – Francesco Mattesini, Lo scontro di Capo Bon, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Settembre 1991, p. 135-136.)
Quest’ultima si presentò appena un minuto e mezzo dopo l’inizio dell’accostata, quando i primi siluri dei cacciatorpediniere Sikh e Legion, chiaramente individuati soltanto all’ultimo istante, raggiunsero il Da Barbiano e il Di Giussano con esiti devastanti. E’ assolutamente vero, come ha scritti l’ammiraglio Cocchia, che con tale manovra di controbordo gli incrociatori italiani provocarono “un rapido avvicinamento con il reparto avversario”. (58 - Aldo Cocchia, La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale, cit., p. 168.)
Ma dobbiamo ribadire che, nelle condizioni contingenti in cui si vennero a trovare le unità dell’ammiraglio Toscano, con la presenza verso terra di un presunto convoglio britannico salpato da Malta che non avrebbe dovuto sfuggire alla distruzione, una volta effettuata quella era anche l’unica manovra possibile per poter fronteggiare adeguatamente, nello stretto non minato, l’emergenza che si presentava da nord-ovest. Invece, occorre doverosamente dire, per una corretta esposizione dei fatti, che la causa principale del disastro di Capo Bon rientrava nel ritardo di un’ora accumulato dalla 4a Divisione Navale per raggiungere quel promontorio della Tunisia. Ciò avvenne senza che Supermarina né fosse stata messa al corrente per il vigente silenzio radio, e il ritardo era dovuto, come sappiamo, al lungo giro effettuato dalle navi intorno alle Isole Egadi. Per stabilire la tabella di marcia fissata dall’ordine di operazione di Supermarina, tale ritardo doveva essere annullato dalla 4a Divisione Navale abbastanza facilmente, o al limite ampiamente ridotto prima di raggiungere la sponda africana, con un semplice aumento della velocità di un paio di nodi, come rilevato nel 1948 dalla Commissione d’Inchiesta Speciale (C.I.S.) della Marina, presieduta dall’ammiraglio Emilio Brenta (nel 1941 Capo Reparto Operazioni di Supermarina). Il perché ciò non sia stato fatto costituisce forse il vero giallo di Capo Bon, perché è facilmente arguibile che, senza quel deprecabile contrattempo, a suo tempo rilevato dalla C.I.S. i cacciatorpediniere del capitano di fregata Stokes, pur mantenendo la loro velocità di 30 nodi non avrebbero mai potuto raggiungere le navi italiane. E ciò a dispetto delle pur precise informazioni crittografiche Ultra ricevute a Malta dall’Ammiragliato britannico. Dal rapporto del comandante del Sikh, risulta che gli era stata segnalata da Malta la presenza di tre incrociatori italiani diretti a sud ma senza alcun ordine di ricercarli e attaccarli. (59 - National Archives, “Action of Cape Bon against Italian Naval Forces on the night 12TE – 13TE December 1941”, Relazione del capitano di fregata Stokes, ADM 1/12325.)
E questa è una novità in assoluto, perché si è sempre ritenuto il contrario, ossia che alla 4a Flottiglia Cacciatorpediniere fosse stato ordinato di raggiungere gli incrociatori italiani e attaccarli. Tuttavia, come avvistò le navi nemiche sulla sua stessa rotta, il comandante Stokes, trovandosi a distanza ravvicinata del nemico, non si lasciò sfuggire l’occasione di attaccare, proprio come avrebbe voluto fare l’ammiraglio Toscano con il presunto convoglio, sebbene anche i suoi ordini scritti non lo prevedessero. E’ da ritenere, per le dichiarazioni dei superstiti, che la segnalazione di un convoglio (inesistente) partito da Malta, ma senza specificarne la rotta, fu interpretata, lo ripetiamo, da Toscano e dagli altri comandanti della sua formazione come un ordine di attacco, che aveva contagiato tutti. Riepilogando, il comandante della 4a Squadriglia Cacciatorpediniere fu anche fortunato, perché, sulle informazioni trasmessegli a Malta dal Comando del vice ammiraglio Ford, sapeva di non poter raggiungere i tre incrociatori italiani, peraltro molto pericolosi, anche se avesse voluto, e doveva limitarsi, come detto, a mantenere la rotta e l’alta velocità di 30 nodi iniziata subito dopo aver superato la zona di Algeri, per raggiungere Malta nel tempo ordinatogli. Il motivo, senza che Stokes fosse stato informato, era, e lo ripetiamo, che le sue unità dovevano prendere parte, nella giornata del 14 dicembre, ad una punta della Forze B e K contro i convogli italiani dell’operazione M.41 segnalati dall’organizzazione Ultra, e successivamente alla scorta di un convoglio in partenza da Alessandria (operazione M.E. 9), comprendente la nave ausiliaria Breconshire che doveva portare a Malta 5.000 tonnellate di nafta per le unità navali, movimento che ebbe inizio il 15 dicembre. Il capitano di fregata Stokes avvicinandosi da ovest a Capo Bon con i suoi quattro cacciatorpediniere in linea di fila (Sikh, Legion, Maori, Isaac Sweers) alla velocità di 30 nodi, aveva l’obbiettivo di passare, in acque territoriali francesi, a un miglio e mezzo di stanza tra la costa e gli sbarramenti minati italiani, e proseguire fino a Kelibia, per poi puntare ad est su Malta, Alle 03.02 del 13 dicembre, con condizioni atmosferiche che vedevano la luna all’ultimo quarto, coperta dalle nuvole e la notte chiara, Stokes avvistò di prora verso oriente dei lampi di luce: era la torpediniera Cigno che segnalava con il lampeggiatore Donath al Da Barbiano la presenza in cielo di un aereo. Alle 03.12 individuò due sagome che ritenne essere navi di medio tonnellaggio che dirigevano a sud. Considerò che potessi trattarsi della forza dei tre incrociatori italiani che gli erano stati segnalati come “probabili” in quella zona, per poi vederli sparire dietro il promontorio di Capo Bon. Sebbene i suoi “ordini fossero quelli di non impegnarsi”, Stokes decise di controllare bene se vi fosse una possibilità di attacco favorevole. “Superato Capo Bon, alla distanza prescritta entro un miglio e mezzo dalla costa”, ebbe “la prima visione chiara del nemico”, riconoscendo le sagome per incrociatori. Ma poi, preso un contatto radar, e controllando con il binocolo, si accorse che gli incrociatori italiani “avevano invertito la rotta di 16 punti” (160°), e che tornando a nord gli stavano venendo incontro. In questa favorevole situazione, per non lasciarsi sfuggire, “se possibile”, un’occasione favorevole non prevista, segnalando ai suoi cacciatorpediniere “Nemico in vista”, ridusse la velocità a 20 nodi, per rendere meno visibile una vistosa onda di prora che potesse farlo individuare al nemico, e mantenendosi, per non essere avvistato, tra gli incrociatori italiani e la costa, in modo da “avere la possibilità di passare non avvistato”. A questo punto Stokes dette l’ordine di attacco con “i segnali di avvertimento alle navi a poppa” e i quattro cacciatorpediniere della 4a Flottiglia, tra le 03.23 e le 03.26, defilarono lungo gli obiettivi lanciando i siluri e facendo fuoco con le artiglierie, e conseguendo, secondo il comandante della 4a Flottiglia, un “successo altre le mie più grandi aspettative”. (60 - National Archives, “Action of Cape Bon against Italian Naval Forces on the night 12TE – 13TE December 1941”, Relazione del capitano di fregata Stokes, ADM 1/12325.) Quindi, la fortuna per i britannici non si verificò, come è stato sempre ritenuto, a seguito della trasmissione di avvistamento del ricognitore Wellington VIII del 69° Squadron della RAF, effettuata alle 03.00 del 13 dicembre. La segnalazione dell’aereo non ebbe alcun peso sull’azione dei cacciatorpediniere del comandante Stokes, poiché a quell’ora essi si trovavano già a contatto visivo con le unità dell’ammiraglio Toscano. Ma il suo determinante contributo il velivolo della RAF lo dette con la sua sola presenza sul cielo di Capo Bon, perché indusse la torpediniera Cigno, come era suo dovere, a segnalarlo a luce bianca al Da Barbiano, mettendo il comandante del Sikh sulla giusta strada. Nel rapporto del comandante Stokes, non si accenna all’aver ricevuto la trasmissione di avvistamento del Wellington, che fu ritrasmessa dal Comando di Malta molto più tardi. Infine. Il figlio dell’ammiraglio Toscano, il magistrato Alfino Toscano, scrisse un lettera che inviò nel dicembre 1989 al Direttore dell’Ufficio Storico della Marina Militare, capitano di vascello Antonio Severi. dandomi una copia perché vi ero citato per un mio articolo su Capo Bon molto apprezzato. Nella lettera era riportato: "Da quanto si apprende che in una riunione intervenuta la mattina del 12/12 sul DA BARBIANO si stabilì di anticipare la partenza fissata per le 18 di una mezz’ora. Ciò spiega perche il CIGNO, che doveva assumere le funzioni di capofila, salpò per come esattamente comunicato alle 17.24 mentre tutta la Divisione la seguì nel volgere di pochi minuti". Il Comandante della IV Divisione Navale, per evitare di essere avvistato dagli aerei come era accaduto il giorno 9 dicembre dopo l’uscita delle sue navi da Palermo, “aveva ordinato alla Divisione di passare molto a nord delle Egadi e di puntare poi a Capo Bon e di qui dirigere per le boe di Kerkennah mantenendo sempre una velocità di 23 nodi”. Espresse poi questo commento condivisibile: “Certo è che se si parte con mezz’ora di anticipo il ritardo doveva essere non già di un’ora solamente bensì di un’ora e mezzo; il ché difficultà l’assurdo”. E’ questa corretta constatazione di Alfino Toscano, rappresenta sul ritardo di un’ora della 4a Divisione Navale a Capo Bon proprio l’elemento che, nonostante tutte le deposizioni dei naufraghi degli incrociatori, e degli ufficiali della torpediniera Cigno (essendo le navi partita da Palermo con un’ora di anticipo, e avendo sempre navigato con una velocità intorno ai 23 nodi che era superiore ai 22 nodi fissati da Supermarina), non si riesce a capire. E’ uno dei misteri del giallo di Capo Bon, il più importante.
L’ammiraglio Iachino scrisse nel dopoguerra: (61 - Angelo Iachino, Le due Sirti, cit., p. 67.) . La Marina rimase tutta dolorosamente impressionata dal tragico avvenimento, e anche il Comando Supremo comprese che non era conveniente arrischiare importanti e insostituibili unità da guerra, sia pure per portare carichi preziosi di carburante. Il disgraziato esperimento finì così, e non fu più ripreso per tutta la durata delala guerra. (62 - La partenza dell’incrociatore Bande Nere da Palermo per Tripoli fu infatti sospesa quello stesso 13 dicembre. Continuò invece, saltuariamente, il trasporto della benzina mediante impiego di cacciatorpediniere e torpediniere.
Ma quel triste episodioebbe anche il deplorevole effetto sul morale dei nostri equipaggi, in quanto l’affondamento di due incrociatori ad opera di quattro cacciatorpediniere, che ne erano usciti senza danni, venne a confermare quanto già si sospettava dello stato di netta inferiorità in cui si trovavano le nostre navi nel combattimento notturno, e contribuì notevolmente a creare nella nostra gente uno stato d’animo di apprensione ogni qualvolta si doveva uscire per operazioni di notte.
In definitiva, con la sconfitta di Capo Bon del 13 dicembre 1941, seguita l’indomani dal siluramento a sud dello Stretto di Messina della corazzata Vittorio Veneto da parte del sommergibile Urge e dall’annullamento dell’operazione M.41 anche in seguito all’affondamento nel Golfo di Taranto delle motonavi Carlo del Greco e Fabio Filzi ad opera del sommergibile Upright, la Regia Marina toccò il fondo della crisi più profonda che aveva dovuto affrontare fino a qual momento nel Mediterraneo.Quando le condizioni per far passare rifornimenti in Libia sembravano ormai insostenibili, ed ogni speranza di riprendere il controllo della situazione era riposta sull’arrivo in Sicilia del grosso del II Fliegerkorps, accadde il miracolo. La battaglia navale della Sirte del 17 dicembre, pur essendo stata una semplice scaramuccia in cui il nemico non riportò alcun danno, seguita dall’arrivo a Tripoli del convoglio dell’operazione M.42, costituì una prova di forza tonificante, perché permise la riapertura delle rotte Libiche. Inoltre, la notte del 17 dicembre si verificò l’eliminazione, da parte degli sbarramenti minati di Tripoli, di oltre metà delle Forze B e K di Malta, con l’affondamento dell’incrociatore Neptune e del cacciatorpediniere Kandahar e il danneggiamento degli incrociatori Aurora e Penelope. La notte successiva, per l’attacco dei mezzi d’assalto della Regia Marina si verificò il grave il danneggiamento delle due uniche corazzate della Mediterranean Fleet, la Queen Elizabeth e la Valiant, che costrette a lasciare il Mediterraneo per le riparazioni, non poterono essere sostituite ad Alessandria per la profonda crisi in cui si dibatteva la Royal Navy, per fronteggiare nell’Oceano Indiano l’aggressività del Giappone e per tenere aperte nell’Artico le rotte dei convogli con la Russia. Ne conseguì che, anche con l’arrivo in Sicilia di una grande unità aerea tedesca, la 2a Luftflotte del feldmaresciallo Albert Kesselring che mise Malta sotto pressione e tenne lontano dal Mediterraneo centrale le navi britanniche, fu concesso alla Regia Marina la possibilità di risollevarsi dal baratro in cui il nemico l’aveva cacciata nel novembre del 1941, riconquistando il dominio sulle rotte libiche, che avrebbe poi mantenuto, con il sostegno dell’aviazione italo tedesca, per quasi tutto l’anno 1942.
FRANCESCO MATTESINI
Integrazione ed evoluzione
[modifica wikitesto]Quindi l'impianto aveva anche antenne differenti, pare. Ora vedo di inserire questo contenuto nella voce con i riferimenti puntuali, ma sto lavorando anche ad un'altra voce e spero di finire domani. --Pigr8 La Buca della Memoria 23:09, 6 gen 2020 (CET)
- A parte tutto, il testo che ho già iniziato ad integrare è abbastanza lungo, e mi terà allegro per un po'. Grazie e segui l'evoluzione della voce. Eventualmente metti mano tu stesso, tanto se ci sono problemi di wikificazione li risolviamo a posteriori. --Pigr8 La Buca della Memoria 23:22, 6 gen 2020 (CET)
___________________ Nella Voce, attuale, ci sono parecchi inesattezze, come quella presenza a Palermo fin dalla prima missione dell'incrociatore BANDE NERE. Esso fu trasferito a Palermo da La Spezia per partecipare alla seconda missione, non alla prima.
Comunque, attenderò di vadere come farai il nuovo testo, e poi ti faro sapere come eventualmente intervenire per altre correzioni.
In questo momento sono impegnato nol comporre una riduzione del mio Saggio (stampato nel 1984 sul Bollettino d'Archivio dell'Ufficio Storico Marina) LA MARINA E IL GEGNO DEL SUD (3 puntate), in modo da ridurlo da circa 250 pagine a una cinquantina. Ciò significa che dovrò abolire, oltre a parte del testo, tutti i numerosi documenti, fotografati dall'originale, degli Alleati e degli Italiani. Eventualmente ne parleremo. --93.45.238.161 (msg) 16:58, 9 gen 2020 (CET) F.M.
- Perfettamente ragione sul Bande Nere che infatti ho corretto subito. Per il resto sto anche su altre voci, ma ovviamente piano piano faccio anche questa. Se hai altri preziosi riscontri, passameli e sistemo al volo, e buon lavoro per il saggio che poi leggerò con piacere. --Pigr8 La Buca della Memoria 22:01, 9 gen 2020 (CET)
- Procedendo con l'integrazione ho notato una cosa. Tu dici che la tp. Cigno era partita da Trapani, ma la nave e tutta la XI Squadriglia della quale era caposquadriglia (compresa la Climene che non partì per noie ai motori) erano basate all'epoca a Tripoli. Errore di battitura? --Pigr8 La Buca della Memoria 17:50, 17 gen 2020 (CET)
Ti ho mandato un risposta. Non ti é arrivata ?
F.M.--93.45.233.58 (msg) 19:35, 20 gen 2020 (CET)
- No, temo. Comunque in questi giorni sono un poco di corsa, ma ti chiamerò a breve, spero. In ogni caso vorrei che tu lasciassi la risposta anche qui in modo che tutti si rendano conto della paternità del lavoro. Io poi aggiungo anche del mio, ma voglio che sia chiaro che è opera tua :) anche per il prestigio nostro di averti come contributore. --Pigr8 La Buca della Memoria 18:06, 22 gen 2020 (CET)
____________________
Ho fatto tutto in fretta, attento a qualche errore d'ortografia.--93.45.224.58 (msg) 08:54, 24 gen 2020 (CET)
Purtroppo, l’incrociatore Bande Nere, appena arrivato da La Spezia da dove era salpato alle 17.15 del 10, non poté partecipare alla missione perché immobilizzato da un’infiltrazione d’acqua nel condensatore principale di prora. Un analogo inconveniente si verificò sulla torpediniera Climene, che assieme alla torpediniera Cigno la sera dell’11 dicembre era partita da Trapani, per essere aggregata in qualità di unità di scorta alla 4a Divisione Navale. All’arrivo a Palermo la Climene lamentò una forte perdita al surriscaldatore della caldaia n. 1. Supermarina ordinò di accelerare i lavori di riparazione che però non furono completati in tempo. Conseguentemente la Climene non si trovò in condizioni di partecipare alla missione, per cui la scorta agli incrociatori Da Barbiano e Di Giussano si ridusse alla sola Cigno, e ciò ebbe la conseguenza negativa di non permettere alla 4a Divisione di poter disporre di una più consistente protezione di vigilanza. NOTA: AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella 45.
--93.45.224.58 (msg) 08:55, 24 gen 2020 (CET)Nello stesso tempo, la mancanza del Bande Nere costrinse gli altri due incrociatori ad imbarcare una maggiore quantità di benzina. Inoltre, poiché la benzina non era contenuta nelle consuete lattine, facili da stivare in navi da guerra, ma in fusti che, oltre a possedere limitata tenuta stagna, non potevano essere portati al coperto, nei locali interni, fu necessario sistemarli sul ponte di coperta, all’estrema poppa del Da Barbiano e Di Giussano, che complessivamente, su ciascun incrociatore, vennero a disporre di un carico di 250 fusti di benzina, per 100 tonnellate, completato da nafta, gasolio viveri e munizioni. NOTA: ASMAUS, GAM 1, cartella 9.
Mentre lavori per la sistemazione del pericolosissimo carico erano in atto, alle ore 10.30 del 12 dicembre si svolse a bordo del Da Barbiano una riunione di carattere tecnico a cui parteciparono, con l’ammiraglio Toscano, i comandanti del De Barbiano e del Di Giussano, e quello della torpediniera Cigno (capitano di corvetta Nicola Riccardi), nonché i direttori di macchina e gli ufficiali addetti alle trasmissioni sulle tre navi. NOTA: AUSMM, “Rapporto di missione eseguita dal CIGNO da Palermo a Capo Bon, Prot. 215/SRP del 16 dicembre 1941”, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.
Secondo quanto riferì nella sua relazione il tenente di vascello Giovanni Demini, ufficiale di rotta e alle comunicazioni sul Di Giussano, l’ammiraglio Toscano fece un’esposizione sulle modalità per la navigazione. Si accese poi una “discussione sulla possibilità di sparare in ritirata con le torri poppiere”, in quanto a poppa degli incrociatori era stato concentrato il carico di benzina in fusti, che avrebbero potuto esplodere in conseguenza del cono di vampa dei cannoni da 152 mm, in particolare di quelli più vicini alla torre 4, l’ultima della nave. E si escluse anche “di poter ricercare uno scontro nelle condizioni di carico delle navi”. NOTA: AUSMM, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella 45. --93.45.224.58 (msg) 08:54, 24 gen 2020 (CET)--93.45.224.58 (msg) 08:55, 24 gen 2020 (CET)
MF ___________________________ Grazie mille. Ho già integrato questi ultimi contributi, molto ordinati e con le fonti organizzate, per cui ho fatto in un lampo. Potresti darmi un riscontro in positivo o in negativo su questi dati? "In dettaglio il Da Barbiano e il Di Giussano venivano così a trasportare complessivamente oltre al carburante per aeroplani e altri rifornimenti (100 t di benzina, 250 t di gasolio, 600 t di nafta, 900 t di vettovaglie), anche 135 militari e operai militarizzati che rientravano in Africa dalla licenza fruita in patria." Era in voce prima che arrivassi tu e la benzina concorda con quello che hai scritto sopra, ma il resto non è fontato. Puoi verificare? Grazie --Pigr8 La Buca della Memoria 23:05, 24 gen 2020 (CET)
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Con la direttiva “è assolutamente necessario passare”, trasmessa telefonicamente all’ammiraglio Toscano dal Sottocapo di Stato Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Sansonetti. gli incrociatori Da Barbiano e Di Giussano lasciarono Palermo nel tardo pomeriggio del 12 dicembre: alle 17.24 secondo il comandante della Cigno; alle 17.30 secondo il comandante del Di Giussano; alle 1810 secondo quanto segnalò a Supermarina il Comandante di Marina Palermo, ammiraglio Eugenio Genta, aggiungendo che tutto era andato regolarmente. Gli incrociatori, presero il mare preceduti dalla torpediniera Cigno, ed avendo a bordo oltre al carico di viveri, munizioni e combustibili, anche centotrentacinque militari del CREM (Corpo Reali Equipaggi di Marina) destinati a Tripoli. La manovra per uscire dal porto ed allontanarsi dal porto fui considerata corretta e in orario da Supermarina, che ritenne valido l’orario delle 18.30, trasmesso dall’ammiraglio Genta. (NOTA): AUSMM, Cartella Promemoria Ammiraglio Sansonetti 1941.
L’ammiraglio Aldo Cocchia ha scritto “Probabilmente l’orario comunicato da Palermo a Supermarina, col consueto telegramma di partenza, si riferisce all’ora in cui la Divisione era in franchia al completo ed è, di conseguenza, da considerare l’orario effettivo nel quale i due incrociatori intrapresero la navigazione”. (NOTA): Aldo Cocchia, La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale, cit., p. 166.
Il fatto che le navi della 4a Divisione fossero partite praticamente in orario (ore 18.10), in conformità con quanto stabilito dall’ordine di operazione, fu poi convalidato dalle informazioni scambiate nel corso della notte tra i vari Comandi della Capitale italiana, incluso il Comando della Marina Germanica, che la ricevette alle 23.05 da Supermarina, quando aveva inviato cinque motosiluranti della sua 3a Flottiglia a sorvegliare le acque di Malta. Ciò era dovuto alla segnalazione, erroneamente pervenuta dal Comando tedesco, sulla prevista partenza di alcuni piroscafi dal porto di La Valletta, diretti verso Gibilterra. (NOTA) L’ora di partenza 18.10, trasmessa da Marina Palermo, é anche riportata nel documento di Supermarina “Notizie sulla situazione alle ore 06.00 del 13.12.941-XX“, inviata quello stesso giorno 13 al Comando Supremo con protocollo n.8512 a firma dell’ammiraglio Riccardi.
Notizia, come vedremo, che era assolutamente inesistente, ma la cui presunta segnalazione, ritrasmessa gli italiani, sarebbe stata, come vedremo, una delle cause dell’annientamento della 4a Divisone Navale.--93.45.225.103 (msg) 19:08, 25 gen 2020 (CET)
F.M _____________________________
Nell'aggiungere nella FONTE quanto é contenuto sul mio ultimo scritto, di cui sopra, tenere conto che la torpediniera CIGNO era a Palermo e che uscì con le altre navi mettendosi in testa alla formazione dei due incrociatori alla distanza di 2.000 metri, che mantenne fino all'attacco dei cacciatorpediniere britannici a Capo Bon.
Quando ai problemi all'elica del DI GIUSSANO in nessuno dei moltissimi documenti che ho rintracciato si parla di quel problema. E' qualcosa che, si può ritenere, é stato aggiunto, magari per sentito dire.--93.45.235.10 (msg) 10:40, 11 feb 2020 (CET)
F.M.
Scusate se lo dico. Ma vi siete arenati? Eppure é tutto chiaro? Non potete tenere una bibliografia come la mia, perché i lettori potrebbero pensare che alcune cose inesatte le ho scritte io. F.M. --93.45.209.236 (msg) 19:41, 24 feb 2020 (CET)